DUODO, Girolamo
Primo dei quattro figli maschi di Pietro di Girolamo, del ramo principale della casata, quello di S. Maria Zobenigo, e di Chiara Foscarini di Nicolò di Alessandro, nacque a Venezia il 7 genn. 1655.
Ricche entrambe le famiglie: il nucleo erninente delle proprietà dei Duodo, secondo quanto essi dichiararono in occasione della redecima del 1661, era costituito dalla splendida villa di Monselice, circondata da oltre 600 campi, ai quali si affiancava l'abituale folla di livelli decime diritti, e da numerose case e botteghe a Venezia ed a Padova; quanto alla madre, nel testamento dettato poco prima di morire (14 marzo '95), destinava la sua dote a "maritar le donne di casa", e per far ciò garantiva ad ognuna la somma - davvero non esigua - di 6.000 ducati.
Aveva solo cinque anni, il D., quando rimme orfano del padre, morto a Bergamo inentre vi esercitava la carica di podestà; all'amministrazione famigliare dovette allora pensare lo zio paterno Alvise, sposato ma senza figli, che qualche mese dopo la morte del fratello, nel settembre del 1660, acquistava per 25.000 ducati (era la somma prevista dall'emergenza finanziaria causata dalla guerra di Candia) il titolo di procuratore di S. Marco de supra, la qual cosa gli avrebbe consentito sino alla fine dei suoi giorni, un prestigioso ma tranquillo eserciziodella politica.
Neppure Alvise visse però a lungo, e la sua scomparsa, avvenuta nel '74, costrinse il D. a farsi carico di tutte le incombenze connesse, ad ruolo di capofamiglia; non sappiamo, quale sia stata la sua educazione, ma il tirocinio politico ebbe inizio non appena raggiunta l'età prevista, dalla legge: il 25, genn. 1680 fu eletto savio agli, Ordini sino alla fine di marzo, e poi ancora dal 14 giugno al 31 dicembre dello stesso anno; nominato poi ufficiale alle Cazude, ossia alla riscossione dei tributi inevasi, se ne dimise il 7 luglio '81.
Dopo alcuni mesi di inattività divenne quindi ufficiale alle Rason Nove, dall'ottobre '83 al febbraio del 1685, anno in cui il matrimonio del fratello minore, Francesco, con Loredana Tron di Alvise assicurava la continuità del casato, consentendo al D. di dedicarsi esclusivamente alla carriera politica. Savio di Terraferma per il secondo semestre dell'86, qualche tempo dopo gli venne assegnato il compito di assistere il duca di Savoia, nella sua ormai prossima permanenza in città.
Formalmente il ventunenne Vittorio Amedeo II giungeva sulla laguna in veste privata e sotto falso nome (oltretutto, le relazioni diplomatiche fra i due Stati erano interrotte dal 1670, a causa del perdurante rifiuto veneziano di riconoscere ai Savoia il titolo regio, ch'essi facevano discendere dai diritti vantati su Cipro), per incontrare il cugino Massimiliano di Baviera e godere insieme i divertimenti del carnevale, ma in realtà per compiere il primo e decisivo passo in quel processo di emancipazione dalla Francia che, di li a qualche anno, sarebbe sfociato nell'adesione del Piemonte alla Lega di Augusta.
Cosi, al riparo della facciata di una giovanile ansia di svago, in una città che la gioia di vivere aveva eretto ad assioma sociale, il duca prosegui nel palazzo Correr, a S. Fosca, i colloqui iniziati a Torino con l'agente imperiale, l'abate V. Grimani, mentre il D. provvedeva a garantime la segretezza, organizzando abilmente la rappresentazione della giornata "esterna" dell'ospite. Ne ebbe in cambio il titolo di cavaliere e il Senato lo riconfermò savio di Terraferma per i semestri aprile-settembre del 1688 e 1689. Eletto podestà a Verona il 15 maggio '89, un mese più tardi ottenne la dispensa dall'incarico e riprese il suo posto tra i savi di Terraferma per un quadriennio, ininterrottamente (nel 1690, '91 e '93 dal 1° di ottobre al 31 marzo successivo; nel '92 dal 30 novembre alla fine di marzo '93).
Poi, dovette finalmente accettare un rettorato: eletto luogotenente a Udine il 7 marzo '94, cercò ancora una volta di evitare la nomina adducendo difficoltà economiche (peraltro del tutto improbabili, come testimonia un inventario dei beni compilato nell'anno 1700, nel quale argento, diamanti e altre pietre preziose figurano presenti in notevole quantità); le sue ragioni non furono dunque ritenute valide e nell'estate il D. era già ad Udine, dove rimase sino alla fine del 1695.
Qui, oltre ad annosi problemi di ordine generale, quali i contrasti che opponevano il Parlamento della Patria al capoluogo, il luogotenente stesso ai rettori dei centri minori, l'abituale difficoltà nella riscossione dei dazi e nella repressione dei delitti e delle violenze che insanguinavano un paese fortemente segnato dalla presenza feudale e da enclaves imperiali, in grado di offrire ai rei facili occasioni di sfuggire alla giustizia, il D. trovò modo di inviare al Consiglio dei dieci "un supposto diamante stato donato da molto tempo all'altare della Madonna miracolosa di Cordovado, che si sospetta mutato in altra pietra falsa", perché finalmente se ne facesse la stima.
Tornato a Venezia, il D. occupò nuovamente la carica di savio di Terraferma dal 17 nov. 1696 al 31 marzo '97, quindi fu del novero dei cinque savi alla Mercanzia fra l'ottobre del '97 ed il settembre '99; di questo impiego ci rimane una lunga scrittura indirizzata al Senato, il 24 maggio 1698, in unione al collega Giovan Battista Corner, come risposta alla supplica dei proprietari di "edifici da orsoglio alla bolognese", che chiedevano una proroga all'esportazione dei tessuti negli Stati esteri: l'importanza del documento - che nelle sue conclusioni recepiva favorevolmente la richiesta - consiste ai nostri occhi nella dettagliata analisi compiuta dai due sottoscrittori a proposito della genesi e dell'evoluzione tecnico-economica compiuta dal prodotto.
Infine, il 29 sett. '99, l'ultima e più prestigiosa nomina, quella di ambasciatore al re di Spagna. Le commissioni gli vennero consegnate il 24 giugno del 1700 ed una settimana più tardi il D. si incamminava alla volta di Madrid attraverso Modena, Torino, la Provenza; era appena giunto nella capitale, allorché si verificava l'evento tanto atteso e temuto dalle corti europee, la scomparsa di Carlo II, l'ultimo re spagnolo di casa d'Asburgo.
Tra i due aspiranti al trono, il candidato asburgico, l'arciduca Carlo, e quello francese, Filippo di Borbone duca d'Angiò, erede designato, fu subito guerra, ed al conflitto parteciparono ben presto tutte le maggiori potenze europee. In tale situazione, dal momento che la Repubblica si era dichiarata neutrale, il D. vide drasticamente restringersi gli spazi di manovra (peraltro già esigui) che erano consentiti alla sua azione di tutela del commercio veneziano e, più in generale, degli amichevoli rapporti tra le due corti.
Impossibilitato dall'incalzare di vicende sempre più gravi, complesse e pericolose, non soltanto a determinare la scansione e l'impatto degli eventi sullo Stato marciano (sin dai primi mesi del conflitto la Terraferma veneta era stata invasa dai contrapposti eserciti e sottoposta alle vessazioni che si possono facilmente immaginare: distruzione dei raccolti, requisizioni degli animali, inconsulti tagli di piante), ma neppure a prendervi parte in alcun modo, al D. non restò che cercare di assolvere l'unico compito che gli fosse consentito: quello di registrare, di riferire, di delucidare il succedersi degli avvenimenti, per fornire al proprio governo un quadro il più possibile esatto della situazione. Osservare, e prevenire, dunque. Evitare, anticipando, defilandosi, possibili richieste di alleanza, di collaborazione che potessero compromettere la proclamata neutralità della Repubblica, limitandosi tutt'al più a dolersi per le incessanti violazioni che, in spregio ai trattati, avevano ridotto la Terraferma ed il Golfo a spazio di manovra dei belligeranti.
I primi anni di regno di Filippo V di Borbone, insediatosi a Madrid, furono i più difficili, a motivo della minaccia britannica che nel luglio 1703 si concretizzò in una lega che univa l'Inghilterra, l'Olanda e l'Impero; sin dagli inizi di maggio il D. scriveva al Senato: "Li grandi armamenti maritimi che si fanno in Inghilterra rendono sollecitate le possibili preventioni per tutti li porti di questi regni…, il timore dell'invasioni cadendo principalmente sopra l'importante piazza di Cadiz"; alle preoccupazioni politichesi sommarono, poco più tardi, quelle economiche, quando il ribaltamento di fronte del Portogallo apri ai collegati le porte del Mediterraneo; il 5 agosto dello stesso 1703 il D. riferiva dell'approssimarsi a Lisbona di una flotta anglo-olandese forte di cinquantasei vascelli di primo rango, "scortando più di cento e cinquanta navi mercantili, buona parte delle quali s'attrovano destinate per li porti di quel regno, et il rimanente maggior numero s'introdurrebbe nel Mediterraneo tutte addrizzate per le scale del Levante".
Data la delicatezza della situazione, il Senato non trovò di meglio che differire l'elezione del successore del D., al quale anzi, il 18 ag. 1705, venne comunicata la nomina all'ambasciata di Francia, dove avrebbe dovuto recarsi non appena si fosse resa possibile la sua partenza dalla corte madrilena. Protestò, ma intanto le vicende del conflitto andavano aggravandosi; il momento più difficile per le sorti del Borbone si verificò nel 1706: in aprile i Portoghesi, appoggiati dalla fortissima artiglieria inglese, presero Alcantara, poi fu la volta di Toledo e di gran parte della Vecchia Castiglia.
Il 16 giugno il D. comunicava al Senato la "fatal nuova d'essersi nella passata domenica … rivoltata la città di Saragozza, et regno tutto d'Aragona, coll'haver acclamato il nome dell'Arciduca, et che li esserciti alleati hora dirigino concordi le loro mire, et vadino affrettando li passi per l'occupatione di questa reale residenza; dalla quale ha risolto dimani d'allontanarsi Sua Maestà, et sarà seguito dalla regina con la famiglia. La confusione in cui ciascuno s'attrova, non può a bastanza esser spiegata".Anche il D. fu costretto a seguire la corte presso la quale era accreditato, "non si sa dove precisamente", in una sorta di fuga verso i Pirenei; ma, proprio quando ormai il destino di Filippo sembrava segnato, si verificò un improvviso rovesciamento della situazione, grazie ai rinforzi inviati da Parigi ed al concorde appoggio della nobiltà spagnola.
Agli inizi di settembre l'ambasciatore poté cosi ritornare a Madrid, ma i disagi affrontati in un clima torrido ne avevano minato irreparabilmente il fisico; nei successivi dispacci egli accenna sempre più spesso alle "indispositioni, che molto m'affliggono, et gravemente mi tormentano", alle "flussioni" che lo snervano e gli tolgono energia. Scrisse fino al 6 dicembre, poi a firmare la corrispondenza subentrò il segretario, Antonio Perazzo.
Il D. mori a Madrid il 13 gen. 1707 e fu sepolto a Venezia, nel monastero delle Terese.
Fonti e Bibl.: Introvabile il manoscritto, celebrativo della famiglia, che nel 1701 l'abate e genealogista Teodoro D'Amaden dedicò al D. (cfr. Cicogna), per cui non resta che ricorrere alle consuete fonti: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta 19; M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' patritii…, III, p. 388; Ibid., Avogaria di Comun. Libro d'oro nascite. Schedario 170, sub voce; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, cod. 16 (= 8305): G.A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto…, II, c. 48v; Arch. di Stato di Venezia, Dieci savi alle Decime. Redecima del 1661, b. 214/991; per il testamento della madre, Ibid., Sez. notarile. Testamenti, b. 92/57; per l'inventario dei beni familiari, Ibid., Avogaria di Comun. Miscellanea civile, b. 161/10; su un processo per ragioni inerenti all'economia contro i Barbarigo, cfr. Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Mss. P. D. C 2533/3-4. Per la carriera politica, Arch. di Stato di Venezia, Segretario alle Voci. Elezioni del Maggior Consiglio, reg. 23, cc. 20, 38, 175; reg. 24, cc. 138, 178; Ibid., Segr. alle Voci. Elez. Pregadi, reg. 19, c. 22; reg. 20, cc. 18 ss.; reg. 21, cc. 12, 49, 72 s.; reg. 22, cc. 75 s.; la supplica per la dispensa al reggimento di Udine in Venezia, Bibl. del Civ. Museo Correr, Mss. P. D. 492 c/23; sue lettere al Consiglio dei dieci, in Arch. di Stato di Venezia, Capi del Consiglio dei dieci. Lettere di rettori, b. 176, nn. 172-208; per la scrittura sugli "orsogli", Ibid., Cinque savi alla Mercanzia s. II, b. 117, sub die; sull'ambasceria spagnola, Ibid., Senato. Dispacci Spagna, filze 136-139 (essendo stata distrutta a Napoli, il 30 sett. 1943, la f. 136, può essere parzialmente sostituita con Rubricari Spagna K11, sempre all'Archivio); Ibid., Capi del Consiglio dei dieci. Lettere di ambasciatori, b. 30, n. 154. Cfr. ancora Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, VIII, Spagna, a cura di L. Firpo, Torino 1981, p. XXX: E. A. Cicogna, Delle inscriz. venez., V, Venezia 1842, p. 132.
G. Gullino