FABBRI, Girolamo
Nacque a Ravenna, da Aurelio e Cecilia Mastalli, il 25 dic. 1627- Seguì gli studi di grammatica e retorica, nonché quelli di filosofia e teologia, nel seminario di Ravenna. All'età di vent'anni circa fu chiamato a Roma da un suo concittadino, monsignor Francesco Ingoli, segretario della congregazione di Propaganda Fide (era stato nominato da Gregorio XV), che cercava dei collaboratori. Nelle ore libere dal lavoro il F. frequentò la Sapienza, dove studiò diritto civile e canonico e si perfezionò in teologia.
Nel frattempo curò la stampa della relazione del viaggio del p. Francesco Manco in India: Il missionario apostolico, ovvero Relazione dell'operato dal p.d. Francesco Manco chierico regolare, missionario apostolico nelle Indie orientali, Roma 1649. L'operetta è dedicata a Dionigio Massari, che nel 1649 era subentrato all'Ingoli come segretario della congregazione di Propaganda Fide, e col quale il F., come afferma nella dedica, collaborava strettamente.
Il Manco, dell'Ordine dei teatini, era nativo di Lecce, ed aveva esercitato la sua missione nell'arco di sei anni, dal 1640 al 1646, probabile anno di morte. La missione aveva avuto luogo nel regno di Golcondà, ai confini settentrionali del regno di Goa, che attualmente corrisponde alla zona meridionale di confine tra Pakistan ed India. Oltre alla descrizione degli eventi principali che caratterizzarono la missione dei Manco, il F. ricordava i suoi compagni di viaggio e di missione, ed offriva la descrizione particolareggiata di alcune città, in particolare di Hidraband o Baganagar, che corrisponde all'attuale Bhaunagar, porto mercantile dove il Manco si fermò a lungo. Accennava inoltre alle usanze e credenze religiose bramaniche, al clima, alle principali ricchezze del paese, alla moneta ed alla forma di governo. Si soffermava poi diffusamente sulla costruzione di una chiesa promossa dal Manco. Sebbene di seconda mano ed eccessivamente elogiativo dell'operato del Manco, il racconto offre numerosi spunti d'interesse.
Il F. prese quindi gli ordini e nel 1650 fu chiamato a coprire la carica di canonico teologo della chiesa metropolitana di Ravenna. Pubblicò poco dopo alcune opere di carattere giuridico: Ravennatensis immunitatis pro ecclesiasticis Ravennatibus contra laicos eiusdem civitatis, Ravennae 1651, e Ravennatensis immunitatis pro ecclesiasticis Ravennatibus defensio, responsio ad Ravennatensis contributionis, ibid. 1651, in risposta ad un'opera del suo concittadino Achille Mattarelli, giureconsulto. Sempre nel 1651, indetto il sìnodo diocesano dall'arcivescovo Luca Torregiani, vi partecipò con un discorso che venne poi stampato: Oratio die XVIII octobris anni 1651 dum archidioecesana synodus haberetur Ravennati clero dicta, ibid. 1651.
Successivamente il F. tornò di nuovo a Roma per difendere i diritti del capitolo dei canonici di S. Apollinare in Classe, che aveva intentato una causa contro i monaci camaldolesi, per aver questi ultimi ad arbitrio trasportato il corpo di s. Apollinare dalla basilica omonima nella loro chiesa di S. Romualdo; la lite si concluse con una sentenza che decretava il ritorno dei corpo del santo nella basilica. Il F. si fermò a Roma tre anni, nel corso dei quali raccolse materiale archivistico per le opere che aveva in mente di scrivere sulla storia di Ravenna. Tornò quindi a Ravenna, dove diede alle stampe la Oratio in funere Iosephi Maioli nobilis Faventinis..., Ravennae 1657, ma presto fu chiamato dal cardinale Marcello Santacroce, vescovo di Tivoli, come vicario generale di quella diocesi. Rimase in tale carica tre anni, accompagnando il Santacroce in una visita pastorale alla diocesi, e stendendo gli atti del sinodo diocesano promosso nel 1658 dal cardinale, in seguito pubblicati (Decreta synodi diocesanae Tiburtinae..., Romae 1658). Desideroso di tornare a Ravenna per dedicarsi interamente agli studi eruditi, rinunciò a quell'incarico e ad altri che gli venivano offerti sempre su iniziativa del Santacroce ed accettò solo il titolo di protonotario apostolico, ufficio sul quale scrisse in seguito un'opera latina, Tractatus de protonotariis apostolicis..., Bononiae 1672, primo vasto trattato ad occuparsi di quella carica. Nella sua diocesi fu chiamato dagli arcivescovi ravennati Paluzzo Altieri, Luca Torregiani e Fabio Guinigi a coprire l'ufficio di vicario generale e quello di vicario capitolare.
Il F. si dedicò quindi interamente a compilare le memorie della città di Ravenna, che vennero stampate a Venezia nel 1664, con il titolo Le sacre memorie di Ravenna antica....
L'opera, dedicata al cardinale Santacroce, è divisa in due parti: nella prima tratta della storia di tutte le chiese della città e di quelle principali dei dintorni (in numero totale di ottantadue); nella seconda narra le vite degli arcivescovi ravennati. Nella prefazione al lettore il F. afferma innanzitutto essere in Italia la città di Ravenna seconda solo a Roma per importanza nella storia ecclesiastica, e si dice inoltre convinto di riempire un vuoto, perché le storie della Ravenna sacra scritte sino ad allora, che enumera, erano troppo brevi o poco convincenti. Nel volume è inclusa una descrizione dell'inondazione di Ravenna del 26 maggio 1636 dovuta alla fuoruscita delle acque dei fiumi Ronco e Montone (pp. 561-566). L'opera venne ripresa e aggiornata circa due secolì dopo da Antonio Tarlazzi (Memorie sacre di Ravenna, Ravenna 1852), che valuta positivamente l'opera del Fabbri.
Nel 1665 il F. dette alle stampe gli Officia propria sanctorum sanctae metropolitanae Ecclesiae Ravennae nunc primum a S. Rituum congregatione approbata..., opera citata negli Acta sanctorum, Martii, II, Antverpiae 1685, p. 426. Nel 1672 vide la luce una sua Relazione della città di Tivoli, e suo territorio, dedicata a Felice Felici, vicario generale del vescovo di Porto, inclusa nelle Lettere memorabili di M. Giustiniani, III, Roma 1675, pp. 102-118.
Nel 1675 il F. pubblicò a Ravenna, presso gli stampatori camerali ed arcivescovili, la Effemeride sacra et istorica di Ravenna antica..., opera nella quale raccolse le varie notizie e citazioni riguardanti Ravenna che aveva appuntato nel corso dei suoi studi, ordinate secondo il calendario dell'anno; trattasi per lo più di notizie storiche ed agiografiche. Nell'opera è inserito un elenco di autori che avevano elogiato il F., e ad essa fa seguito, con le medesime note tipografiche e con paginazione continua, un Compendio istorico del dominio e governo della città di Ravenna, col catalogo degl'imperatori, re, esarchi e prencipi che vi hanno dominato, e risieduto, de' podestà, e proveditori della Republica di Venetia e de' conti, rettori, legati e presidenti, che per la Sede Apostolica sino al giorno d'oggi ne hanno avuto il governo.
Tre anni dopo, nel 1678, fece stampare a Bologna la Ravenna ricercata, ovvero Compendio istorico delle cose più notabili dell'antica città di Ravenna, operetta scritta in forma di guida della città per i forestieri.
Le sue opere di storia ravennate furono parzialmente censurate dall'abate G. A. Pinzi, che vi notò alcuni errori e lo definì scrittore poco accurato. Esse, al di là della gran copia di citazioni erudite che le accompagnano e le sostengono, non si discostano da una semplice sorta di puntualizzazione bibliografica della storia ravennate, in particolare ecclesiastica, la loro vastità e singolarità, comunque, le hanno rese strumenti di consultazione indispensabile per quanti si sono occupati della storia ecclesiastica ed artistica ravennate.
Il F. godette dell'amicizia e della stima di uomini quali L. Allacci, L. Holste (Holstenio), F. Ughelli, D. Papenbroeck. Dei suoi rapporti con l'Ughelli rimangono alcune lettere nel fondo Barberini della Biblioteca apost. Vaticana.
Nel Barb. lat. 3246, c. 420, in una lettera da Ravenna, 1° luglio 1662, il F. afferma l'origine ravennate di un card. Damiano, citato dall'Ughelli del III volume dell'Italia sacra, nello stesso codice, c. 483, Ravenna, 11 marzo 1662, parla di una bolla con la quale Leone X aveva concesso al cardinale Niccolò Fieschi e agli arcivescovi ravennati di batter moneta, e chiede all'Ughelli di confrontarla con i registri di Leone X dell'Archivio Vaticano. nel Barb. lat. 3240, c. 64, Ravenna, 30 maggio 1668, gli spedisce, tramite il padre Adriano Ansaloni, una copia delle sue Sacre memorie di Ravenna antica.
Il F. si dilettò di scrivere versi in poesia latina e volgare, e partecipò alle Accademie degli Ansiosi di Gubbio e a quella degli Apatisti di Firenze.
Morì a Ravenna il 17 sett. 1679. Fu sepolto nella chiesa di S. Michele in Africisco e sul sepolcro fu posta una iscrizione riportata dal Ginanni (Memorie..., I, p. 187); distrutta quella chiesa, il sepolcro fu traslato in quella di S. Domenico, di fronte a quello del pittore Luca Longhi.
Bibl.: G. Cinelli Calvoli, Biblioteca volante, II, Venezia 1735, p. 267; P. P. Ginanni, Memorie storico-critiche degli scrittori ravennati, I, Faenza 1769, pp. 184-192; G. B. Mittarelli, De literatorum Faventinorum..., Venetiis 1775, col. 71; F. Mordani, Vite degl'illustri ravegnani, in Giornale arcadico di scienze, lettere ed arti, LVI (1836), pp. 137-140; P. Amat di S. Filippo, Biografia dei viaggiatori italiani colla bibliografia delle loro opere, I, Roma 1882, p. 415.