FRACASTORO, Girolamo
Nacque a Verona da Paolo Filippo e da Camilla Mascarelli, di origine vicentina, tra il 1476 e il 1478. L'incertezza della data di nascita è dovuta alla contraddittorietà dei dati forniti dagli estimi e dalle anagrafi relative alla famiglia, la quale nel 1481, quando al F. vengono attribuiti cinque anni, risiedeva nella contrada di Santa Maria della Fratta insieme col suocero di Paolo Filippo, il medico Montorio Mascarelli (cfr. R. Brenzoni, Documenti per la biografia di G. F., in Studi stor. veronesi, V [1954], pp. 69-84). Penultimo di sette figli, perse la madre molto presto, dal momento che nel 1481 questa risulta già defunta.
Compì gli studi universitari a Padova, dove conseguì la laurea in artibus dopo gli esami di dottorato del 31 ottobre-2 nov. 1502, insieme con Andrea da Creta, avendo come promotores Girolamo e Marcantonio Della Torre, Giovanni Aquila, Pietro Trapolino e Gabriele Zerbo. Aveva sicuramente seguito i corsi di Pietro Pomponazzi, sebbene il testo della Vita premessa all'Opera omnia non ne faccia menzione, mentre nella versione riportata nell'edizione cominiana delle opere del F. del 1739 (I, p. XXIII) la notizia compare in forma esplicita.
L'omissione nell'Opera omnia rispondeva certo all'intenzione di non collegare il F. con una personalità "empia" e malvista dalla Chiesa, mentre le prospettive generali del suo pensiero, soprattutto nell'ambito della filosofia naturale, risentono chiaramente e profondamente delle dottrine di Pomponazzi, in particolare del De incantationibus.
Già prima della conclusione degli studi patavini il F. è ricordato come lettore di logica, incarico che manterrà, insieme con quello di conciliarius anatomicus, fino al 1509. Nell'autunno-inverno del 1508-1509 venne invitato a partecipare all'accademia aperta a Pordenone da Bartolomeo d'Alviano.
Il condottiero, comandante in capo delle truppe veneziane, era stato nominato duca di Pordenone dopo la vittoria sull'esercito imperiale in Cadore e la successiva conquista di Pordenone, enclave imperiale in territorio veneziano, di Gorizia, Trieste e Fiume. All'Accademia Alviana aderirono i più illustri rappresentanti della cultura veneta del momento, da Pietro Bembo a Giulio Camillo Delminio, da Giovanni Cotta ad Andrea Navagero, per dedicarsi soprattutto a composizioni poetiche. Fu però una parentesi di breve durata. Proprio i successi conseguiti dall'Alviano determinarono la coalizione antiveneziana riunita nella Lega di Cambrai (10 dic. 1508). Di nuovo al comando dell'esercito veneziano, insieme con Niccolò Orsini conte di Pitigliano, l'Alviano venne sconfitto il 14 maggio 1509 presso Agnadello dalle truppe francesi. Il F. in un primo tempo seguì l'Alviano nella campagna contro i Francesi, ma dopo la sconfitta dei Veneziani ritornò definitivamente a Verona, dove, in seguito all'occupazione imperiale, trovò il patrimonio familiare in completa rovina.
Verona rimase per il F. la principale residenza per tutta la sua vita, in particolare la dimora nel quartiere di Sant'Eufemia, dopo le precedenti abitazioni in Santa Maria della Fratta e a Santa Agnese Extra. Sin dal 1501 si trova annotata negli estimi sua moglie, Elena Clavi, dalla quale ebbe quattro figli maschi, uno solo dei quali, Paolo Filippo, gli sopravviverà, e una femmina, Isabella. Il luogo di soggiorno preferito, nel quale si dedicò più intensamente agli studi, fu però la villa di Incaffi, sulle pendici del monte Moscal, tra la riva veronese del lago di Garda e il monte Baldo, all'inizio della Val d'Adige, dove sono ambientate le discussioni dei suoi dialoghi filosofici. Dal 1505 (18 settembre) il F. era stato ammesso nel Collegio dei medici veronesi, di cui sarà consigliere e priore.
Fondamentale risultò per il F. nell'ambiente veronese l'amicizia con il vescovo Gian Matteo Giberti, che lo accolse nella sua accademia, la Gibertina. Del Giberti il F. divenne medico personale (ci rimane il testo manoscritto di un consulto nei codici capitolari veronesi), ottenendo dal vescovo l'uso di una villa e un canonicato a Malcesine, come registrato nelle visite pastorali (cfr. Riforma pretridentina della diocesi di Verona. Visite pastorali del vescovo G.M. Giberti. 1525-1542, a cura di A. Fasani, Vicenza 1989, II, p. 508). Al Giberti il F. dedicò l'orazione gratulatoria per il suo ingresso nella diocesi, non pochi componimenti poetici e, probabilmente, lo stesso trattato di cosmologia, rimasto inedito nei codici capitolari. Ugualmente importanti i rapporti di amicizia con Raimondo, Marco Antonio e Giovanni Battista Della Torre, già suoi colleghi di studio all'ateneo padovano, dove insegnava il loro padre, Girolamo.
Va sottolineato come a più riprese il F. riconoscesse esplicitamente di considerare gli studi astronomici di G.B. Della Torre la fonte principale per le proprie ricerche cosmologiche e astronomiche, presentate anzi come una semplice divulgazione di quanto l'amico aveva teorizzato prima della morte, avvenuta nel 1534, anno in cui però una prima stesura degli Homocentrica era già stata eseguita.
Dalla quiete degli studi a Incaffi il F. fu distolto nel 1545, quando venne nominato medico ufficiale del concilio di Trento. Vi si recò con uno stipendio piuttosto elevato (60 scudi mensili), ospite del cardinale Cristoforo Madruzzo. Fu per il suo referto, redatto sotto giuramento insieme con Balduino de' Balduini, che nel 1547 la sede del concilio venne trasferita a Bologna, suscitando non poche perplessità e critiche per una supposta acquiescenza ai desideri del partito papale. Sta di fatto però che, almeno da quanto indicato nella dichiarazione dei due medici e dalla diagnosi della malattia che aveva già causato dei decessi, l'epidemia di tifo petecchiale era effettivamente presente nel territorio trentino, anche se di non grande virulenza. È questo l'unico episodio di un certo interesse negli ultimi anni della vita del F., insieme con l'omaggio reso a Carlo V a Peschiera. Ma la sua fama nel frattempo si era ampiamente diffusa. Ammesso nell'Accademia Pontaniana di Napoli, il F. nel 1544 ricevette la visita di Konrad Gesner, come testimoniato dallo stesso scienziato svizzero nella sua Bibliotheca universalis (Zurigo 1545-49, f. 328r: "Hieronymus Fracastorius medicus, quem superiore anno Veronae vidi").
Dando, proprio nella Bibliotheca universalis, una delle prime bibliografie fracastoriane, Gesner ricorda le edizioni della Syphilis del 1536 (Basilea) e del 1539 (Parigi), nonché quella degli Homocentrica del 1538. Informazioni riprese e ampliate nella Appendix bibliothecae Conradi Gesneri (edita a Zurigo nel 1555) e nella Epitome bibliothecae Conradi Gesneri di C. Lycosthenes e J. Simler, pubblicata sempre a Zurigo nel 1555, in cui si cita anche un'edizione italiana, non meglio specificata, dell'Alcon sive De cura canum venaticorum.
Il F. morì improvvisamente di apoplessia a Incaffi (frazione di Affi in provincia di Verona) il 6 ag. 1553, ancora in piena attività di ricerca filosofica e poetica, lasciando incompiuti il dialogo De anima e il poema Ioseph, commissionatogli molti anni prima dal cardinale Alessandro Farnese, interrotto al secondo libro. La salma venne traslata a Verona e tumulata nella chiesa di S. Eufemia. Con decreto del 21 nov. 1555, a seguito di una votazione in cui risultarono 49 voti favorevoli e 13 contrari, il Consiglio della città di Verona approvò l'erezione di una statua in suo onore, opera di Danese Cattaneo, nell'attuale piazza dei Signori. G.B. Ramusio inserì il ritratto del F., insieme con quello di A. Navagero, sotto la volta della porta di S. Benedetto a Padova, insieme con un'iscrizione romana trasportata da Salona in Dalmazia, riprodotta all'inizio dell'Opera omnia del 1555.
L'esiguità del numero delle stampe di opere fracastoriane precedenti l'editio princeps postuma del 1555, nonché il fatto che tutte si collochino nell'ultimo ventennio della vita del F., non permettono una ricostruzione sicura della data di composizione delle singole opere. La prima a essere stampata è il poema Syphilis sive De morbo gallico, uscito a Verona presso Stefano Nicolini da Sabbio nel 1530, preceduto da un'edizione veneziana diffusa senza l'autorizzazione dell'autore e abbondante di errori: questo, secondo quanto il F. comunicava al Bembo (25 sett. 1530), era stato il motivo più cogente per dare alle stampe la versione corretta. Dallo scambio epistolare intervenuto tra il Bembo e il F. tra il novembre 1525 e il gennaio 1526 risulta che il poema era già stato scritto in due libri, ai quali, nonostante l'avversione del Bembo, il F. ne aggiunse un terzo. Nessuna altra opera fracastoriana, a parte le ristampe della Syphilis (apparse a Roma e a Parigi nel 1531, e a Basilea nel 1536), comparve sino al 1538, quando, senza l'indicazione dell'editore (ma si tratta dei Giunta di Venezia) venne pubblicato l'Homocentricorum sive De stellis liber unus, accompagnato dal De diebus criticis libellus.
L'uscita del trattato sulle sfere omocentriche veniva a coronare un lavoro e un travaglio editoriale i cui inizi vanno posti almeno un decennio prima, contemporanei quindi alla fine della composizione della Syphilis. Una prima redazione, sicuramente diversa dalla versione data alle stampe, era stata sottoposta a Gasparo Contarini intorno al 1530. Il Contarini in risposta inviò al F. un insieme di osservazioni molto puntuali, raccolte sotto il titolo De homocentricis ad Hieronimum Fracastorium, alle quali il F. replicò subito, respingendo in parte le critiche (ma tenendone ben conto, soprattutto di quelle teologiche, tanto da togliere dal testo destinato alla stampa i luoghi che avevano suscitato le perplessità del Contarini) con una lunga risposta inviata da Incaffi in data 1° luglio 1531 (cfr. G. Contarini, Opera, Parisiis 1571, pp. 238-252). Ulteriori difficoltà sorsero poi a Roma negli anni seguenti. In due lettere del novembre-dicembre 1536 inviate da Roma al F. da Francesco Della Torre si accenna a opposizioni sollevate dal maestro del Sacro Palazzo, Tommaso Badia, a correzioni apportate su richiesta dello stesso F. da Galeazzo Florimonte, allo smarrimento della copia inviata a Roma e, infine, al rifiuto di darla alle stampe. Nonostante questo, gli Homocentrica uscivano due anni dopo, mantenendo la dedica a Paolo III.
Otto anni dopo gli Homocentrica, nel 1546, ancora i Giunta pubblicavano a Venezia l'opera medica fondamentale del F., il De contagione, contagiosismorbis et eorum curatione, in tre libri, preceduta dal De sympathia et antipathia rerum, necessaria introduzione alla teoria dei contagi. Sia il De sympathia sia il De contagione vennero ristampati a Lione nel 1550 (apud Ioannem Tornaesium et Guillelmum Garzeium). Fondamentale per la comprensione dell'intera attività scientifica, filosofica e poetica fracastoriana è l'edizione postuma (1555) dell'Opera omnia, pubblicata dai Giunta di Venezia con successive ristampe del 1574 e del 1584 (ma il colophon è quello dell'edizione precedente), cui faranno seguito altre edizioni complete di Lione (François Le Febure, 1591) e di Ginevra (Samuel Crespin, 1621; Pierre e Jacques Chouët, 1622; Jacques Stoër, 1637; Samuel Chouët, 1671); solo da alcuni cataloghi vengono segnalate un'edizione di Montpellier (1622) e una ginevrina del 1628, mentre un'altra ginevrina del 1591 è la lionese dello stesso anno con la semplice correzione del luogo di stampa. Non hanno edizioni precedenti a quella dell'Opera omnia i tre dialoghi filosofici (Naugerius sive De poetica, Turrius sive De intellectione, Fracastorius sive De anima, quest'ultimo incompiuto), il poema in due libri Ioseph, completato con un terzo libro da Francesco Luisini, il De vini temperatura sententia (se si eccettua un'edizione di Camerino del 1553 inserita nel De temperatura vini sententia Consalvi Barredae Hispani sententiam perpendens libellus) e l'intero corpus delle poesie latine.
La cronologia dei Carmina fracastoriani è stata oggetto di attento studio da parte di F. Pellegrini (Appunti per una disposizione cronologica dei componimenti poetici del F. con l'aggiunta di alcune poesie in volgare a lui attribuite, in Studi stor. veronesi, V [1954], pp. 89-123). La loro composizione abbraccia un arco molto ampio della vita del F., dall'elegia per la morte di Marco Antonio Della Torre, dedicata al fratello Giovan Battista, databile al 1512-1514, fino al componimento per la fuga di Carlo V (1552) e ai frammenti del De theriaca, composti l'anno successivo.
L'epistolario fracastoriano è ancor oggi solo in parte stampato, per lo più in raccolte miscellanee, e molte sono le lettere manoscritte ancora da esaminare. Strumento insostituibile per lo studio delle epistole fracastoriane è tuttora l'edizione padovana del 1739, stampata da Giuseppe Comino, delle opere poetiche del F., di Adamo Fumano e di Nicola d'Arco, contenente, oltre a numerose lettere, anche la prima trascrizione (Quaedam fragmenta), a opera di Girolamo Da Prato, di alcuni testi inediti tratti dai manoscritti autografi conservati nella Biblioteca capitolare di Verona.
Le epistole si presentano come fonte importante per la ricostruzione della data di composizione delle opere del F., ma ancor più perché si inseriscono nella parte più viva del suo pensiero (specialmente la corrispondenza con Giovan Battista Ramusio) per la costante attenzione rivolta ai problemi di terminologia botanica, lo scambio di osservazioni astronomiche e di notizie geografiche, botaniche e faunistiche sulle Americhe, precisi giudizi in campo medico e terapeutico, insieme con notizie sull'ambiente familiare e sulle amicizie. Ugualmente prezioso è il materiale autografo conservato nei codici CCLXXV - I e III della Biblioteca capitolare veronese. Studiato soprattutto da F. Pellegrini (sua l'edizione degli Scritti inediti del 1954, ma molte altre trascrizioni, ampiamente commentate, sono uscite su varie riviste a più riprese), rivela la presenza di abbozzi e di intere sezioni di trattati poi stampati (è il caso degli Homocentrica, del De diebus criticis libellus, del De contagione), ma anche di stesure di opere rimaste inedite, come il trattato di cosmogonia e cosmologia. Quest'ultimo, trascritto dal Pellegrini nei citati Scritti inediti (pp. 275-337), è un'opera affatto diversa dagli Homocentrica, loro necessario complemento in quanto precisa analisi della costituzione fisica e metafisica del cosmo, della materia prima, della funzione ordinatrice più che creatrice di Dio, della natura delle intelligenze celesti. Solo manoscritto era rimasto anche il testo del dialogo, intitolato da F. Pellegrini Controversia teologica veronese (anch'esso pubblicato negli Scritti inediti, pp. 72-230), sulla grazia e la predestinazione, che risente certamente dei dibattiti successivi alla riforma luterana ma che non prescinde dalle tematiche "laiche" del De fato di Pomponazzi e dalla problematica di Alessandro di Afrodisia, il cui De fato era stato pubblicato nella traduzione di Girolamo Bagolino (Verona 1516). Ultimo ad essere trascritto, dal cod. CCLXXV - I, un trattato di farmacologia, con la discussione teorica della composizione qualitativa dei medicinali, classificati in funzione della loro finalità terapeutica.
La poliedricità degli interessi fracastoriani si esplica nella varietà delle sue opere, che si possono raggruppare in quelle di argomento astronomico (Homocentrica, la risposta al De homocentricis di G. Contarini, l'inedito di cosmogonia e cosmologia), medico (il De contagione, il De diebus criticis, il trattato inedito sulla sifilide, vari altri testi inediti), psicologico e gnoseologico (i dialoghi Turrius sive De intellectione e Fracastorius sive De anima), estetico (il dialogo Naugerius sive De poetica) e religioso (l'inedita Controversia teologica veronese e il frammento di un commento all'Apocalisse). Vanno aggiunti il De sympathia et antipathia rerum, sintesi del naturalismo fracastoriano, e i brevi trattati De vini temperatura sententia, la Risposta del crescimento del Nilo e la lettera ad Alvise Corner sulla laguna di Venezia.
A parte va considerata l'attività poetica che, come si è visto, oltre ai due poemi Syphilis sive De morbo gallico e Ioseph, ha prodotto una notevole quantità di componimenti latini e alcuni (di incerta attribuzione) in volgare.
Scritti negli stessi anni del De motibus corporum coelestium di Giovan Battista Amico, mai peraltro citato dal F., opera che precede di due anni la stampa del suo trattato, gli Homocentrica si inseriscono nella discussione critica sul sistema tolemaico già evidente nel De orbibus di Alessandro Achillini. La riproposizione del sistema aristotelico per la spiegazione dei moti planetari fatta in base a movimenti di sole sfere omocentriche rispondeva a un'esigenza, più che astronomica, filosofica, di una concezione della natura fondamentalmente armonica e simpatetica, che escludeva la presenza al suo interno di elementi perturbatori di tale armonia e simmetria, quali erano le sfere eccentriche. Lo stesso sistema di Eudosso e Callippo rimane solamente sullo sfondo del trattato fracastoriano, tanto da essere esplicitamente dichiarato insufficiente per la spiegazione delle anomalie dei moti planetari. Preponderante appare nel F. la critica averroista al sistema tolemaico, quale si era attuata nei commenti al De coelo e al libro XII della Metafisica, con l'insistenza sulla innaturalità dei movimenti eccentrici. L'istanza di Averroè aveva trovato una prima risposta nel De motibus coelorum di Alpetragio. Il F. si inserisce in questo solco, costretto però ad aumentare progressivamente il numero delle sfere motrici per spiegare le anomalie non solo dei moti dei pianeti ma anche del cielo delle stelle fisse, fino a raggiungere un totale di 77. Di modesta importanza sul piano astronomico, anche per la genericità dei contenuti matematico-geometrici, gli Homocentrica sono, sul piano della filosofia naturale rinascimentale, un documento da non trascurare e da collegare ai testi inediti dei codici capitolari veronesi e alla prima parte del De sympathia per la conoscenza del dibattito cosmologico cinquecentesco, nel quale alla componente averroista della concentricità dei moti planetari si collega la nozione della simpatia universale, presentata come elemento unificatore e insieme principio metodologico caratterizzante per l'analisi dell'intera realtà fisica. Un'unità di metodo che si amplia allo studio dei fenomeni psichici e gnoseologici, attraverso il recupero della teoria delle species che, mediante l'interscambio tra i corpi, la loro capacità di propagazione e di influsso, si presentano come il fenomeno naturale rivelatore della presenza della simpatia e dell'antipatia.
È alla luce della capacità agente della simpatia e delle species che va valutata la stessa teoria dei contagi. Liberata da ogni preconcetto "precorrimento", essa si presenta come un'elegante combinazione tra la dottrina della generazione spontanea e della facoltà di autopropagarsi delle species, inserita in un vitalismo onnipresente, dell'anima mundi che fa del mondo stesso un grande animale fino alla sua presenza nelle parti più sfuggenti della realtà quali i seminaria, essi stessi organismi viventi in quanto partecipi di questo universale processo di autogenerazione e autodistruzione del cosmo. Un divenire unitario della realtà naturale in cui la processualità interna è garantita dalle cause "medie" e "prossime" dei fenomeni. Eliminata consapevolmente la presenza di ogni elemento teologico dalla natura, quale l'azione diretta di Dio sui fenomeni naturali, la causalità astrale (pichianamente intesa come semplice influsso di luce, calore e movimento) si qualifica come nesso coordinatore tra mondo celeste e sublunare, collegando ai grandi moti dell'universo (le variazioni di velocità nel cielo delle stelle fisse, l'abbassamento dell'eclittica verso l'equatore) l'avvicendarsi dei grandi periodi della storia umana e delle ere geologiche, dei grandi cataclismi e delle trasformazioni sulla crosta terrestre. Ugualmente, alle congiunzioni dei pianeti superiori (Saturno, Giove, Marte) va attribuita l'origine prima dei contagi, attraverso perturbazioni nella sfera dell'elemento aereo e acqueo. A queste cause remote si collegano però quelle "medie", sottraendo così alla genericità del rifugio negli influssi astrali l'analisi medica e quella di fenomeni sfuggenti quali il magnetismo. A proposito del quale va sottolineata la polemica, di sapore pomponazziano contro ogni ingerenza dell'occulto e la sua sostituzione con il concetto di "fenomeno latente": una manifestazione di cui non si riesce a ricostruire il processo eziologico più intimo, ma che rimane sicuramente nell'ambito di un'esclusiva causalità naturale.
Nella trilogia dei dialoghi filosofici centrale è l'analisi del processo conoscitivo, che inizia dalle percezioni particolari, collegate tramite la subnotio (termine ed elemento intermedio fra senso e ragione di elaborazione fracastoriana), per giungere infine per astrazione alla produzione dell'idea. Questo processo dal particolare all'universale si ripropone nella teoria estetica, esposta nel Naugerius. Al di là delle finalità pedagogiche, insite ma non necessarie al messaggio poetico, sta la nozione della poesia e del furor poeticus come itinerario platonico di progressiva sublimazione dalle bellezze particolari e sensibili alla pura astrazione dell'idea della bellezza in sé.
Senza un'effettiva soluzione resta il problema dell'anima umana, della possibilità razionale di mostrarne l'immortalità e la divinità. L'anima, partecipe dell'armonia universale, viene ad essere l'ultima delle intelligenze celesti, palesando così la sua origine extraterrena, puramente giustapposta al corpo di cui si serve come strumento, mantenendo un'esistenza separata con proprie attività non corporee. Affermata, all'inizio del dialogo, l'impossibilità di affrontare ogni argomento con criteri razionali, la dimostrazione dell'immortalità dell'anima travalica il limite della razionalità di impianto aristotelico, nel cui ambito tale immortalità non è dimostrabile, e si colloca su di un piano decisamente teologico.
Fonti e Bibl.: Per le notizie sulla vita del F., cfr. M. Truffi, La vita di G. F., in Rass. di clinica, terapia e scienze affini, XI (1931), pp. 139-159; in partic., sulla presenza e l'attività del F. all'università di Padova, gli Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini, III, 1 (Ab anno 1501 ad annum 1525), a cura di E. Martellozzo Forin, Padova 1969, schede nn. 26, 136, 138, 172 ss., 191, 211, 395; sull'ammissione al Collegio dei medici veronesi, O. Viana, L'atto di ammissione del F. al Collegio medico di Verona, in Riv. di storia critica delle scienze mediche e naturali, V (1914), pp. 382 s.; sull'appartenenza alla Accademia Pontaniana, C. Minieri Riccio, Biografie degli accademici Alfonsini detti poi Pontaniani dal 1442 al 1543, Bologna 1969, pp. 110-114; sul soggiorno del F. a Incaffi, G. Orti Manara, Cenni intorno alla casa di G. F. nella terra di Incaffi, Verona 1842; il testo del referto sull'epidemia di tifo petecchiale a Trento in F. Pellegrini, L'epidemia di "Morbus peticularis" del 1546-47 e il medico del concilio di Trento, in Castalia, V (1946), pp. 271-278; sulla tomba del F. in S. Eufemia a Verona, G. Sandri, Il sepolcro di G. F., Verona 1936.
Per le varie edizioni dell'Opera omnia e per un'analisi completa ed esaustiva delle edizioni e traduzioni della Syphilis cfr. L. Baumgartner - J.F. Fulton, Abibliography of the poem "Syphilis sive morbus gallicus" by G. F. of Verona, New Haven 1935 (alle pp. 125-150 un'ampia rassegna bio-bibliografica); l'elenco delle trascrizioni di F. Pellegrini dai codici capitolari veronesi, oltre al citato volume di Scritti inediti, in E. Peruzzi, Un trattato inedito di farmacologia di G. F., in Rinascimento, XVIII (1978), pp. 183-228: p. 185 n. 7; la raccolta più ampia delle epistole è contenuta nella citata edizione cominiana del 1739, dove si trova pure la sezione (con numerazione propria) degli Operum fragmenta tratti dai codici capitolari; non poche però le epistole ancora manoscritte, per le quali si rinvia a P.O. Kristeller, Iter Italicum, Cumul. Index, I-VI, ad vocem; fra le edizioni più recenti di opere fracastoriane si segnalano: Alcon sive De cura canum venaticorum, a cura di P. Simoni, Verona 1972; De vini temperatura sententia, a cura di L. Bonuzzi, Verona 1986; Syphilis, a cura di G. Eatough, Liverpool 1984; sulla lettera ad Alvise Corner per la regimentazione della laguna di Venezia, cfr. E. Lippi, Una lettera di Alvise Cornaro al F., in Studi offerti a Gianfranco Contini dagli allievi pisani, Firenze 1984, pp. 141-159.
Per un'analisi complessiva del pensiero fracastoriano sono ancora indispensabili, anche se da accogliere con non poche riserve, le opere di O. Fracastorii Mencken, De vita, moribus, scriptis meritisque in omne litterarum genus prorsus singularibus H. F., Lipsia 1731; di G. Rossi, G. F. in relazione all'aristotelismo e alle scienze del Rinascimento, Pisa 1893; di E. Barbarani, G. F. e le sue opere, Verona 1897; di E. Di Leo, Scienza e umanesimo in G. F., Salerno 1937, e di F. Pellegrini, F., Trieste 1948. Sul pensiero filosofico cfr. E. Cassirer, Storia della filosofia moderna, I, Torino 1978, ad Indicem; P. Rossi, Il metodo induttivo e la polemica antioccultistica in G. F., in Riv. critica di storia della filos., IX (1954), pp. 485-499; E. Peruzzi, Antioccultismo e filosofia naturale nel "De sympathia et antipathia rerum" di G. F., in Atti e mem. della Acc. toscana di scienze e lettere "La Colombaria", n.s., XXXI (1980), pp. 41-131; qualche ragguaglio sulle tematiche psicologiche e gnoseologiche in F. Pellegrini, L'inedito del dialogo "Fracastorius sive De anima", in Studi stor. veronesi, I (1947), pp. 303-323, e in M.W. Bundy, F. and the imagination, in Philological Quarterly, XX (1941), 1, pp. 236-249; sulla poetica e il dialogo Naugerius, cfr. B. Croce, Il dialogo del F. sulla poetica, in Quaderni della critica, IX (1947), 9, pp. 56-61; E. Gianturco, La poetica di G. F., Napoli 1932; A.M. Carini, Il "Naugerius" del F. e le postille inedite del Tasso, in Studi tassiani, V (1955), pp. 107-145 (con l'intero testo latino del dialogo); cfr. pure le introduzioni di A. Gandolfo (Bari 1947) e G. Preti (Milano 1945) alle traduzioni italiane del Naugerius; sul pensiero religioso, cfr. H. Jedin, Laientheologie im Zeitalter der Glaubensspaltung: der Konzilsarzt F., in Trierer theologische Zeitschrift, LXIV (1955), pp. 11-24, e N. Badaloni, Il significato filosofico della discussione sulla salvezza in G. F., in Logos, I (1969), pp. 40-69.
Per l'amplissima bibliografia sul pensiero medico del F., spesso però superficiale e meramente encomiastica, cfr. un primo elenco di studi in appendice al citato volume di F. Pellegrini sul F. (pp. 181-186), da integrare con Isis Cumulative Bibliography (1913-1965), a cura di M. Whitrow, I, London 1971, pp. 430 s.; una miscellanea di testi di argomento medico in F. Studi e memorie nel IV centenario, Verona 1954; fra i contributi più recenti, C. Colombero, Il problema del contagio nel pensiero medico-filosofico del Rinascimento italiano e la soluzione di F., in Atti della Acc. delle scienze di Torino, classe di scienze morali, stor. e filol., CXIII (1979), pp. 245-283, e G. Ongaro, La medicina nello Studio di Padova e nel Veneto, in Storiadella cultura veneta, 3, Dal primo Quattrocento…, III, Vicenza 1981, pp. 112-118; sull'astronomia fracastoriana cfr. J.L.E. Dreyer, Storia dell'astronomia da Talete a Keplero, Milano 1980, pp. 270-275; G.L. Andrissi, Sul "Sogno astronomico" di G. F., in G. Fracastoro, Scritti inediti, a cura di F. Pellegrini, Verona 1954, pp. 277-294; E. Peruzzi, Note e ricerche sugli "Homocentrica" di G. F., in Rinascimento, s. 2, XXV (1985), pp. 247-268; V. Nutton, The reception of F.'s theory of contagion, in Osoris, s. 2, VI (1990), pp. 196-234; M. Di Bono, Le sfere omocentriche di Giovan Battista Amico nell'astronomia del Cinquecento, Genova 1990, ad Indicem.