FRACASTORO, Girolamo
Nato a Verona nel 1478 (non nel 1483), morto nella paterna villa d'Incaffi l'8 agosto 1553, fu poligrafo così dotto da parere quasi mente universale. Studiò medicina a Padova, ove ebbe ad amico e compagno di studî Niccolò Copernico. Fu allievo dell'anatomico Achillini e di Pietro Pomponazzi. Nel 1502 divenne professore di logica nello Studio, ma pochi mesi dopo fu dall'Alviano invitato a recarsi a Forlì, dove rimase per qualche tempo fino a che, sconfitto l'esercito della repubblica, ritornò in patria. Legato in amicizia strettissima a Marcantonio Della Torre, l'anatomico che aveva suggerito a Leonardo l'idea dei Quaderni d'anatomia, e a Giovanni Battista Ramusio, il celebre viaggiatore, il F. nel 1510 prese dimora nella sua villa d'Incaffi, poco distante dalla città, e si diede interamente ai suoi studi prediletti di filosofia, di medicina e d'astronomia. In questa villa convitava spesso amici fra i più cari: spesso veniva chiamato per consiglio da malati da ogni parte d'Italia, da Margherita di Navarra, da Paolo III, che lo nominò medico del Concilio di Trento. Nei suoi scritti il F. spaziò per le matematiche, l'astronomia, la cosmografia, la fisica, la botanica, la geografia, con dottrina così rara, che in ognuna fu considerato maestro. Amò ardentemente la poesia e la musica. Fu un gran signore della più varia cultura cinquecentesca.
Delle opere in versi la più celebre è il poema Syphilis sive de Morbo gallico (Verona 1530), in tre libri d'esametri nel quale tratta dell'indole e della cura della lue venerea. Il poema era stato scritto nel 1521, dedicato al Bembo, al quale erano stati inviati in lettura, il 5 gennaio 1526, i primi due libri del poema. Il terzo libro, contro il consiglio del Bembo, fu aggiunto più tardi. Da questo poema deriva il nome della malattia che da allora fu generalmente adottato. Il F. tratta anzitutto dell'origine della sifilide, che in forma di pestilenza s'era rapidamente diffusa in Italia al principio del Cinquecento. Immagina il F. che l'origine della malattia sia dovuta al fatto che un giovane pastore Sifilo divenne infedele al dio Sole e fu da lui punito, sicché tosto si videro sul suo corpo le ulcere immonde. Per intercessione d'Apollo gli fu perdonato il misfatto e sorse un grande albero adorno di verdi fronde, il guaiaco, dal quale gli uomini trassero la medicina guaritrice del morbo (III, vv. 222-361). Un altro rimedio efficace consigliato dalla ninfa Lipare al pastore Ilceo, è il mercurio (II, vv. 285-423). La descrizione del morbo in tutte le sue manifestazioni, occupa molte pagine del poema e dimostra nel suo autore una visione chiarissima dei fatti clinici e una perfetta conoscenza del decorso. La descrizione è avvivata da episodî quali, oltre quelli già ricordati, la morte d'un giovine bresciano, vittima della sifilide (I, vv. 384-414); le sventure terribili che nella prima metà del Cinquecento afliggevano tutta Europa e in particolar modo l'Italia (I, vv. 415-469); Cristoforo Colombo che giunge al nuovo continente (III, vv. 93-129). In questi episodî balena qualche lampo di poesia, il resto è mirabile esercizio di virtuosità formale in un latino squisitamente virgiliano. Prove di valentia sono anche il poemetto Alcon sea de cura canum venaticorum e i Carmina, dei quali è considerato il migliore l'epistola Ad Ioannem Baptistam Turrianum, in cui piange la morte dei figli Paolo e Giulio. Inferiore è al contrario il poemetto biblico Ioseph, in due libri, apparso postumo.
Se all'opera sulla sifilide il F. deve la sua più vasta fama, dal punto di vista medico-storico quella che assicura al F. il vanto d'essere stato il fondatore della moderna patologia, è il libro De contagione et contagiosis morbis (Venezia 1546), nel quale egli descrive le malattie contagiose allora conosciute. Per la prima volta il quadro del tifo esantematico o petecchiale è esattamente tracciato. Il F. riconosce il carattere e l'importanza dell'esantema e lo descrive e afferma il nesso causale della fame e della guerra con la diffusione del contagio. Il concetto del contagio viene posto per la prima volta dal F. in debita luce: esso può avvenire in tre modi e precisamente per semplice contatto, come nella scabbia, nella lebbra, ecc.; per mezzo di fomites, ciò che noi oggi chiameremmo veicoli, come vestiti, lenzuola, ecc., infine a distanza, senza contatto diretto e senza veicoli, come nella peste, nel vaiolo e simili. Il F. già esprime chiaramente l'idea che il contagio (infectio) derivi da germi (seminaria prima), che possono essere assorbiti mediante l'inspirazione e propagati mediante gli umori. Degna di nota è altresì l'osservazione delle speciali affinità che certe malattie hanno con determinati individui o con determinati organi; sicura è in lui l'affermazione del carattere contagioso della tubercolosi, che fino allora non era stato asserito che da pochi. Tutta la patologia delle malattie infettive è giudicata per la prima volta con grande acutezza di giudizio, frutto di un'osservazione accuratissima: le ipotesi del F. sulle cause e le vie delle infezioni sono state quasi integralmente convalidate dalle moderne ricerche scientifiche. Fra le minori opere del F. va citato il libro Dies critici vel de dierum criticorum causis (Venezia 1538). L'autore non ritiene ammissibile l'azione diretta degli astri quale causa delle crisi nelle malattie, e in generale si ribella alla medicina dogmatica.
De' suoi studî astronomici il più importante è il libro Homocentrica sive de stellis (Venezia 1538), diviso in tre parti, dove parla dei movimenti dei cieli e degli astri, delle stagioni, dei giorni naturali e civili, infine dell'economia celeste e delle orbite secondo le ipotesi di Eudossio e Calippo.
Delle ricerche astronomiche del F. è stato giustamente osservato che egli sentì e seguì di fronte alla cultura del passato il desiderio di nuovo e più profondo indirizzo, pur senza scoprire nuovi veri.
Delle sue opere filosofiche le più insigni sono i tre dialoghi Naugerius sive de Poetica, Turrius sive de Intellectione, Fracastorius sive de Anima. Il più noto è quello sulla poetica, in cui il F. cerca quale sia il carattere peculiare della poesia, quello cioè che la distingue dalla storia, dall'oratoria e dalla filosofia, e dichiara che sta nella bellezza ideale delle cose e dei soggetti.
Molte delle lettere del F. al Ramusio, interessanti perché sono le prime lettere scientifiche scritte in italiano anziché in latino, furono pubblicate nel 1564 in una collezione intitolata Lettere di XIII huomini illustri a opera di Tommaso Porcacchi; esse illustrano felicemente le condizioni della vita scientifica nell'Italia di allora. Molte opere inedite del F. sono conservate nella Biblioteca capitolare di Verona.
Edizioni. - Rara è oggi l'edizione delle Opera omnia, Venezia, Giunta, 1555; che fu più volte riprodotta nel Cinquecento, nel Seicento e nel Settecento. Importante per aggiunte è quella cominiana di Padova del 1739. Numerose sono anche le edizioni dei Carmina o Poemata, per lo più uniti a quelli di M. A. Flaminio, del Cotta, del Navagero e di altri. I più noti volgarizzatori del poema Syphilis sono P. Belli, V. Benini, Seb. degli Antoni, A. Tirabosco, G. L. Zaccarelli, F. Scolari e il De Vita. Il libro dello Scolari (Venezia 1843) a un'ampia introduzione biografica e bibliografica unisce in appendice una raccolta di note, utile e copiosa. Il poemetto Syphilis fu anche tradotto in francese e in tedesco.
Bibl.: F. O. Mencken, De vita moribus, scriptis, meritisque... H. F., Lipsia 1731; G. B. Corniani, G. F., in Secoli della lett. ital., IV, Brescia 1806; G. Orti Manara, Cenni intorno alla casa di G. F. nella terra d'Incaffi, Verona 1842; A. Luzio e R. Renier, Contr. alla storia del mal francese nei costumi e nella lett. ital. del sec. XVI, in Giorn. stor. d. lett. it., V (1885); V. Rossi, Le lettere di M. A. Calmo, Appendice I, Torino 1888; G. Rossi, G. F. in relazione all'aristotelismo e alle scienze nel Rinascimento, Pisa 1893; E. Barbarani, G. F. e le sue opere, Verona 1897; H. F. Garrison, G. F., in Science, XXXI, New York 1910; R. Massalongo, G. F. e la rinascenza in Italia della medicina, in Atti Ist. ven., LXXVI (1916-17); C. e D. Singer, G. F., in Annals of Medical History, I, New York 1918-19; P. Copparoni, Profili bio-bibliografici di medici e naturalisti celebri italiani, I, Roma 1925; A. Castiglioni, Il poema "Morbus Gallicus" di G. F., Torino 1930; M. Truffi, La vita di G. F., in Boll. dell'Ist. stor. dell'arte san., XI (1931).