Girolamo Fracastoro
Girolamo Fracastoro, nella cui visione si fondono tradizione aristotelica, suggestioni lucreziane e neoplatoniche, si colloca al centro della scena intellettuale del primo Cinquecento, non solo per il celebre poema, dedicato a Pietro Bembo, Syphilis sive De morbo gallico libri tres (1530), ma anche per la sua proposta di un sistema astronomico alternativo al tolemaico, elaborata pochi anni prima della rivoluzione copernicana, fondata sul rinnovamento dell’omocentrismo classico e arabo-islamico. Alle sue riflessioni naturalistiche e mediche, rappresentate nel De sympathia et antipathia rerum, premessa al De contagione et contagiosis morbis et eorum curatione libri tres (1546), che reca una innovativa teoria del contagio, si deve la sua importanza nella storia della medicina.
Nato a Verona tra il 1476 e il 1478, discepolo di Alessandro Achillini, Pietro Trampolin, Alessandro Benedetti e Pietro Pomponazzi, studiò e si addottorò a Padova nel 1502 dove fu lettore di logica e conciliarius anatomicus fino al 1509. In quest’ambiente Fracastoro acquisì una formazione pluridisciplinare non appiattita sulla lectio aristotelica, ma aperta a scambi e confronti con la tradizione antica, greca e latina, con quella araba e agli apporti degli studia humanitatis. Paolo III, nel 1545, lo nominò medico del Concilio di Trento, e fu lui a consigliare, in questa veste, lo spostamento della sede conciliare da Trento a Bologna, a causa di un’epidemia di tifo verificatasi nella regione. Allo stesso papa aveva indirizzato il suo Homocentricorum sive De stellis liber unus, pubblicato a Venezia nel 1538 assieme al De diebus criticis libellus. In contatto non solo con l’ambiente patavino, ma anche con quello veronese, Fracastoro fu vicino in particolare a Girolamo, Marco Antonio e Giambattista Della Torre e intrattenne rapporti con Gaspare Contarini, Gian Matteo Giberti, Marcantonio Flaminio e Giambattista Ramusio; fece parte sia dell’Accademia gibertina sia di quella pontaniana.
Autore poliedrico, con interessi che spaziavano dalla medicina all’astronomia, dalla filosofia alla teologia e alla poesia, egli s’impose con una vasta produzione, parte della quale – come i dialoghi Naugerius sive De poetica, il Turrius sive De intellectione, il Fracastorius sive De anima, il poema Ioseph (incompiuto), il De vini temperatura sententia, la Risposta del crescimento del Nilo (in risposta alle Navigazioni e viaggi di Ramusio) e i Carmina – fu pubblicata, postuma, negli Opera a Venezia, nel 1555. Alcuni inediti, tra cui rientrano una Controversia teologica veronese, un trattato di cosmologia sulle tesi degli Homocentrica, composto dopo il 1530, e parte dell’epistolario, verranno invece pubblicati nel 1955. Oltre all’Alcon sive De cura canum venaticorum, va ricordata anche la lettera ad Alvise Corner sulla laguna di Venezia. Morì a Incaffi (frazione di Affi in provincia di Verona) il 6 agosto 1553.
L’individuazione di alcune delle fonti e delle matrici culturali che confluiscono nell’opera di Fracastoro aiuta a far luce su non pochi aspetti della sua riflessione e rende ragione delle scelte da lui operate sia nell’ambito delle scienze mediche sia, più in generale, in quello delle indagini sulla natura, condotte in linea con una lettura dei testi aristotelici rivisitata e profondamente influenzata da motivi averroistici, ma anche platonici e neoplatonici.
Opere come il Naugerius sive De poetica, il Turrius sive De intellectione, il Fracastorius sive De anima non possono essere intese senza tenere in debita considerazione l’idea di un universo armonico e solidale in tutte le sue parti, che è anche alla base degli Homocentrica, testo che segna la ripresa della cosmologia aristotelica in opposizione al modello astronomico tolemaico. Al centro dell’indagine naturalistica di Fracastoro vi è infatti l’idea di un universo retto da leggi naturali che, escludendo ogni spiegazione di tipo sovrannaturale o miracolistico, riconducono il divenire cosmico a una gerarchia di cause fisiche per cui le rivoluzioni del cielo appaiono in connessione con i cicli terrestri, con i casi della natura e con gli eventi della storia (Peruzzi 1995). Questo tema è fondamentale anche nel De sympathia et antipathia rerum, dove il ricorso a una causalità del tutto naturale implica l’idea platonica che il cosmo possegga una vitalità regolata da principi elementari tra loro interagenti, in obbedienza a un più interno ritmo cosmico in cui è leggibile l’azione intelligente dell’anima mundi. Le vicissitudini mondane si svolgono in accordo con la disposizione gerarchica degli esseri che fa capo alle sfere celesti, i cui movimenti guidano, condizionano e influenzano in modo naturale il divenire del mondo sublunare. Su tali indicazioni Fracastoro regola il suo systema naturae e si sforza di mantenere quell’unità della natura, postulata nelle pagine del Timeo e ripresa successivamente da Proclo nel suo Commento al dialogo platonico.
Negli Homocentrica Fracastoro critica l’innaturalità del sistema astronomico di Tolomeo che, con costruzioni geometriche, quali eccentrici, epicicli e deferenti, tenta di «salvare i fenomeni» e di spiegare le anomalie dei moti dei corpi celesti, ma tradisce la ‘vera’ natura dei fenomeni celesti. Riprendendo la cosmologia di Aristotele, Fracastoro realizza un nuovo modello astronomico. Sulla scia delle teorie elaborate nell’antichità da Eudosso e da Callippo e di quella avanzata in età medievale nel Kitāb fī al-Hay’a (Compendio di astronomia), noto in latino come De motibus coelorum, di Abū Ishāq Nūr al-Dīn al-Bitrūǧī (Alpetragius; m. nel 1204 ca.), egli propone una cosmologia antagonista a quella tolemaica. Il ricorso alla teoria delle sfere omocentriche offre la possibilità di risolvere i problemi relativi alle anomalie dei moti planetari attraverso il recupero del modello cosmologico aristotelico, avvalendosi anche di alcune soluzioni contenute nel Commento di Averroè al De coelo di Aristotele. Il sistema è basato sul principio che l’asse di ciascuna sfera celeste sia perpendicolare agli assi delle sfere immediatamente superiori e inferiori; ciò comporta una proliferazione del numero delle sfere (ben settantanove), mosse dal primum mobile, che comunica il moto diurno ai pianeti; a ciascuno di questi vengono assegnate cinque sfere che circolano in direzione contraria a quella della sfera in cui è incastonato il pianeta e che hanno la funzione di compensare l’effetto di trascinamento causato dagli orbi esterni, mantenendo il sistema perfettamente centrato su un unico punto costituito dalla Terra.
Il tentativo di riformare l’astronomia dell’Almagesto in nome di una scienza che corrisponda alla vera natura dei fenomeni, aderendo all’originario dettato aristotelico, non è isolato, ma trova sponda nel De orbibus (1498) di Achillini e in autori come Agostino Nifo e, soprattutto, in Giovanni Battista Della Torre, di cui raccoglie l’eredità in campo astronomico. A questi nomi si aggiunge quello di Giovanni Battista Amico, autore del De motibus corporum coelestium iuxta principia peripatetica sine eccentricis et epicyclis (1536). Indipendentemente dalla bontà delle soluzioni proposte, resta dominante in questi autori, e in particolare in Fracastoro, l’idea della perfetta circolarità delle rivoluzioni planetarie, assunta non unicamente come dogma della differenza tra fisica celeste e fisica terrestre, ma a garanzia della simmetria di tutte le parti del cosmo in cui la sympathia e il reciproco influsso tra mondo celeste e mondo sublunare scandiscono i cicli di un eterno divenire. Passando dal superiore all’inferiore si realizza, attraverso la contiguità e il contatto (nexus) tra le parti, un ordine di causalità fisica che il filosofo può ricostruire e che si può rintracciare nei casi particolari della natura, come sono, per es., quelli collegati alla pratica medica.
La compresenza di differenti tradizioni filosofiche antiche trova la sua sintesi in un solido impianto filosofico di matrice aristotelica, che sembra costituire la cornice teorica entro la quale matura la particolare sensibilità che Fracastoro nutre in relazione al problema della conoscenza e, in particolare, nei confronti del mondo dell’esperienza.
Sottolineare la funzione della logica come instrumentum è in questo senso essenziale per la definizione di un sapere non rivolto solamente alla conoscenza delle essenze, ma interessato alle scienze naturali e soprattutto all’arte medica (Rossi 1954; Vasoli, in Girolamo Fracastoro fra medicina, filosofia e scienze della natura, 2006). Nel Turrius, Fracastoro fa dipendere l’intero processo conoscitivo dalle impressioni sensibili, trattenute nella memoria in maniera stabile. La mente distingue e ordina le impressioni secondo il criterio soggettivo della somiglianza, producendo delle subnotiones tramite un’attività intermedia tra i sensi e la ragione. La cognizione dell’universale risulta opera dell’intelletto ed è momento conclusivo di un processo conoscitivo che non si ferma all’acquisizione ancora confusa delle species sensibili, ma amplia le sue operazioni attraverso le subnotiones. È così possibile ordinare in modo organico e sistematico le cognizioni prodotte dall’esperienza, ma anche procedere, senza interventi esterni, all’elaborazione dell’universale. L’anima si presenta allora come potenza che ordina i vari universali fino a giungere agli universali ‘generalissimi’ ed è proprio un tale potere a rendere l’anima di ciascun uomo ‘divina’. La sensazione fornisce le specie sensibili in maniera confusa, mentre l’intelletto le separa, le distingue e infine le trasforma in ‘universali’. Questo potere della logica si collega a quell’esaltazione dell’uomo di ispirazione ermetica che sembra derivare dall’Oratio di Pico della Mirandola. Per Fracastoro il vero miraculum consiste proprio nella capacità dell’intelletto di effettuare operazioni astratte, che consente di assimilare l’uomo alle intelligenze separate. Il concetto di subnotio acquista un rilievo particolare: il termine coniato da Fracastoro designa una sottofunzione in grado di assicurare all’anima una serie di nozioni già contenute confusamente nell’apprensione sensibile dell’oggetto.
Contro ogni forma di innatismo, Fracastoro precisa l’importanza dell’interazione tra le diverse facoltà dell’anima e insieme la plasticità del processo mnestico, considerato nella stretta interdipendenza dal nesso anima-corpo, che egli recupera dalla tradizione aristotelica: le funzioni sensitive dipendono infatti dal corpo, ed è perciò privilegiata nell’analisi degli stati patologici, cosa questa che preclude, decisamente, qualsiasi ricorso a facoltà o cause occulte.
Sul presupposto dell’armonia universale si muove il De anima, che a sua volta registra in maniera significativa la confluenza in Fracastoro di differenti filoni. Di ascendenza certamente platonica è l’idea che dall’anima del mondo derivino le anime motrici delle diverse sfere che ne ricevono specifiche virtutes e che sono perciò governate ciascuna da una natura particolare, così come lo è anche l’anima umana. L’origine celeste dell’anima intellettiva, che possiede in sé il principio dell’essere e del movimento, è garanzia del suo destino immortale, non condiviso dalle anime vegetativa e sensitiva, congiunte al corpo e per questo corruttibili e mortali.
La funzione egemone dell’anima trova una perfetta simmetria nella dimensione cosmologica, cioè in rapporto con l’anima del mondo, tesi questa in contrasto evidente con le affermazioni di Alessandro di Afrodisia e in collegamento invece con gli insegnamenti neoplatonici del De vita coelitus comparanda di Ficino.
Il legame con Ficino si rivela particolarmente stringente anche se si confrontano le posizioni assunte dai due autori sul concetto di seminaria. Il De morbo gallico e il De contagione sono i testi in cui Fracastoro sviluppa la teoria del contagio. Se il concetto di semenza (semina) divina o celeste è già rintracciabile nella cosmologia platonica di Ficino, negli anni 1520-40 anche Jean Fernel e Paracelso svilupparono teorie analoghe. Nel commentario di Ficino al Simposio (1484), le idee, le ragioni, le semenze e le forme derivano dalla stessa fonte che è Dio e si diffondono nell’universo attraverso la luce. È possibile ritenere che, tramite la mediazione ficiniana, la nozione di semenza transiti dall’ambito metafisico e cosmologico a quello naturale e medico, anche se nel Consiglio contro la pestilenza (1481) Ficino sembra invocare una spiegazione del fenomeno di tipo essenzialmente astrologico.
Nel De contagione Fracastoro si muove in un quadro strettamente medico e, se non tralascia elementi lucreziani, scolastici e di derivazione pomponazziana, delinea comunque una teoria meglio definita e insieme più articolata e ricca, all’interno della quale emerge il concetto di contagio che lo ha reso celebre, consegnandolo alla storia della scienza e a quella della medicina in particolare. L’impostazione metodologica del Turrius e le premesse contenute nel De sympathia hanno una diretta ricaduta sul De contagione, in cui il ‘contagio’ viene incluso nell’elenco dei mirabilia naturalia, insieme a molti altri casi curiosi e apparentemente inspiegabili della natura, come i fenomeni di attrazione e repulsione, quelli magnetici, i poteri straordinari di alcune pietre, minerali, sostanze e animali o quelli legati alla fascinazione e alle suggestioni della fantasia o vis imaginativa. Fracastoro si sforza di spiegare tali casi singolari o ‘particolari’ e, senza ricorrere a facoltà di tipo occulto o al concetto di actio in distans, fa perno sulla struttura simpatetica del cosmo in cui si realizza una comunicazione ‘fisica’ delle sostanze e una continua circolazione di specie simpatetiche e antipatetiche (Pennuto 2008).
ll contagio trova una nuova forma di spiegazione, ben diversa da quella fornita dai teorici delle proprietates occultae e dalla medicina astrologica – criticata nell’opuscolo De causis criticorum dierum libellus del 1538 – che chiamavano in causa veleni di origine celeste, derivanti dalla putrefazione o corruzione dell’aria in seguito a congiunzioni astrali o a esalazioni dovute al passaggio di qualche cometa. Il problema del contagio viene a risolversi in un quadro naturale, disposto dal Creatore, in obbedienza a leggi che regolano in maniera ferrea – secondo gli insegnamenti di Pomponazzi – gli accadimenti mondani. La natura del contagio si spiega come una infectio che passa da un soggetto a un altro e che può avvenire in tre modi: per contatto diretto, come è nel caso della tisi o della lebbra; per contatto indiretto veicolato dai fomites, cioè da sostanze o oggetti che diffondono la malattia; e, infine, a distanza, cioè attraverso l’aria, questo è il caso della peste o del vaiuolo.
Il principio del contagio è individuato nei seminaria – diversi dagli atomi o semina morbi lucreziani – che Fracastoro assimila piuttosto a corpuscoli minimi, invisibili e attivi, dotati di movimento autonomo che, penetrando attraverso i pori del corpo e trovando un pabulum adatto, si nutrono e si moltiplicano generando l’infezione e la malattia. Essenziale è, anche in questo caso, il concetto di analogia o affinità che deve necessariamente esserci tra i seminaria e il ricettore, nel senso che i seminaria contagionum si originano quando si creano le condizioni che favoriscono l’aggregazione di particelle minimae et insensibiles, come è nel caso della putrefazione o dell’infezione. I seminaria hanno cioè bisogno di un terreno simile a quello di derivazione o provenienza così che il contagio si diffonde tra i corpi propter analogiam, nel senso che si tratta di particelle alterate che si vanno a ‘nutrire’ di analoghe particelle sane, veicolando così la malattia.
Fracastoro distingue con precisione le varie tipologie di febbri pestilenziali come anche l’eziologia della tisi e soprattutto quella della sifilide o ‘mal francese’, di cui si occupa nel poema didascalico in esametri latini Syphilis sive De morbo gallico. Facendo ricorso ai miti e alle favole, egli descrive in una splendida forma poetica, ma senza rinunciare all’esattezza, i sintomi, il decorso e i rimedi della malattia introdotta dalle soldatesche francesi calate in Italia, sul finire del Quattrocento. Tra i rimedi, oltre alla cura mercuriale, egli indica il legno di guaiaco o lignum sanctum, suggerito dalla ninfa America, custode delle selve.
Il Syphilis conferma quanto Fracastoro scrive nel Naugerius sive De poetica, dialogo in cui si interroga sul valore gnoseologico della poesia. Muovendo da indicazioni aristoteliche, che tende a conciliare con un platonismo filtrato attraverso l’esperienza ficiniana, la poesia viene per lui a rappresentare la possibilità di congiungere la percezione della bellezza con l’intuizione della sua idea attraverso la mediazione del linguaggio poetico, in cui si manifesta la forza divina della parola. La bellezza insita nell’armonia della natura può essere compiutamente svelata solo dallo sguardo e dalla parola del poeta, capace di fondere in un unicum filosofia e poesia, di dare senso e valore al continuo fluire degli eventi nel cui avvicendamento egli è in grado di cogliere l’immanenza del divino. Anche per questo Fracastoro si dimostra capace di tenere in equilibrio la lezione degli antichi con quella dei moderni e di offrire un quadro innovativo, attento a cogliere la realtà naturale iuxta propria principia, nella sua dinamica vitalità, secondo un modello esplicativo che collega in un tutto armonico le rivoluzioni del cosmo e la vita della mente.
Syphilis sive De morbo gallico, libri tres ad Petrum Bembum, Veronae 1530, poi in Opera, Patavii 1739.
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