FRANCO, Girolamo
Nacque nel 1491 a San Severino Marche da famiglia nobile.
Sulla sua formazione sappiamo solo che apprese il greco e il latino ed ebbe conoscenze giuridiche. Nel 1517 era al servizio del condottiero Marc'Antonio Colonna, quando questi lasciò l'esercito dell'imperatore per passare dalla parte della Francia. In seguito fu per vari anni segretario del cardinale Agostino Trivulzio, fedele sostenitore della politica francese in Curia, legato a latere a Parigi dall'aprile 1530. Al servizio del cardinale e di altri membri della famiglia Trivulzio il F. trascorse un periodo piuttosto lungo alla corte francese.
Che il F., così come il suo padrone, abbia conseguito meriti significativi sostenendo gli interessi francesi, è provato con parole molto elogiative da un documento di Francesco I del dicembre 1532 (San Severino Marche, Bibl. comunale, cl. CLXXXXVI). Il monarca esprime la sua gratitudine al F., gli concede di inserire un giglio nel suo stemma e lo accoglie tra i cavalieri di S. Michele, il più illustre Ordine cavalleresco di Francia.
Non sappiamo quando il F. lasciò il servizio presso il Trivulzio per passare a quello del pontefice. La prima attestazione del cambiamento è nel breve del 17 maggio 1541 con cui Paolo III lo nominò nunzio presso la Confederazione elvetica.
In Svizzera i pontefici non avevano più mantenuto nunzi dal 1533. Stretti rapporti con la Confederazione erano stati tenuti dal nunzio Ennio Filonardi, ora elevato alla porpora, il quale tra il 1513 e il 1533 svolse parecchie missioni diplomatiche in Svizzera.
Obiettivo della missione del F. era quello di creare i presupposti per il reclutamento di soldati svizzeri per il papa, dopo che richieste in tal senso erano state respinte nel 1537 e nel 1539. Le richieste del pontefice erano motivate esclusivamente con il pericolo ottomano e con l'intenzione di rinforzare la guardia per la protezione della persona del pontefice. Probabilmente in Curia si riteneva che un diplomatico come il F., che nella sua carriera era stato fino a quel momento un incondizionato sostenitore della Francia, non sarebbe stato accolto con diffidenza.
L'auspicio si rivelò erroneo. Albert Rosin, uno zurighese da parecchi anni a Roma con l'incarico di scrivano della guardia pontificia e ora assegnato come agente e interprete al F., che parlava bene il francese ma non il tedesco, si trovava in Svizzera già dal marzo 1541 per ottenergli il salvacondotto. Incontrò tuttavia notevoli difficoltà attizzate dall'inviato francese. Costui, ricordando i debiti accumulati dal papa in stipendi non pagati, che risalivano fino al 1521, aveva creato un clima sfavorevole all'accoglienza dell'emissario pontificio e la Dieta rinviò a tempo indeterminato la concessione del salvacondotto. Solo il 15 luglio il Rosin poté comunicare al F., il quale aspettava ad Olmo presso Chiavenna il consenso della maggioranza dei Cantoni cattolici. Il 29 luglio il F. partì per Altdorf nel Cantone di Uri.
L'occasione di esporre la sua missione in una Dieta generale si presentò al F. il 15 settembre a Bremgarten. Ma la sua richiesta di mettere a disposizione del papa 800 uomini come guardia del corpo in diverse città dello Stato della Chiesa e di effettuare un'ulteriore leva in caso di minaccia da parte dei Turchi fu respinta.
Dopo questa prima esperienza il F. scrisse nella sua relazione al vicecancelliere Alessandro Farnese di non ritenere prossimo un mutamento di questo atteggiamento negativo e propose addirittura di tornarsene indietro. Ma a Roma non si voleva interrompere subito le relazioni appena riallacciate e al F. fu risposto che la sua missione sarebbe stata comunque positiva se fosse servita a mantenere rapporti più stretti con la Confederazione. Circa i vecchi debiti, da Roma non venne altro che il consiglio di lasciare cadere il discorso.
Già nel novembre dello stesso anno il F. giudicava tuttavia le sue chances con maggiore ottimismo. In una riunione dei Cantoni cattolici il 13 ottobre la richiesta del papa in effetti era stata di nuovo accantonata, ma il F. era adesso convinto che il rifiuto costituisse una concessione alle città protestanti e ai Francesi, che temevano per il loro monopolio del reclutamento dei mercenari, e non fosse dovuto a un radicato sentimento antipapale. Egli era persuaso che sarebbe riuscito a reclutare subito gli 800 uomini e i sei ufficiali per la guardia non appena da Roma fosse giunto il denaro necessario.
Un minaccioso messaggio dei Cantoni cattolici il 17 novembre, che annunciava di nuovo il ritiro del salvacondotto al F. se questi non avesse rinunziato a ulteriori pratiche, non fu preso molto sul serio né dal nunzio stesso né da Roma. Il F., secondo le direttive del Filonardi, trattava ora con alcuni politici i quali, insoddisfatti della unilaterale politica filofrancese dei loro Cantoni, erano pronti a legarsi al papa. Già il 24 dicembre poté essere spedito a Roma l'abbozzo di un accordo con Josua von Beroldingen. Subito dopo il Filonardi consigliò il cardinale Farnese di mandare segretamente al F. il denaro necessario al reclutamento e di concedergli pieni poteri nelle trattative per il contratto.
Il F. affidò il reclutamento dei soldati al Rosin dopo essersi trasferito nello stesso dicembre nel Ticino. Un primo gruppo di 150 uomini al comando del Beroldigen partì alla fine di marzo 1542 per Bologna, dove Paolo III licenziò la preesistente guardia di lanzichenecchi. Tre altre compagnie si misero in marcia in giugno per Parma, Piacenza e Ancona. Molti altri soldati, parecchi provenienti anche dai Grigioni, si erano offerti, ma dovettero essere respinti perché il papa voleva limitare il suo impegno finanziario. Tuttavia Roma consentì a pagare degli stipendi precauzionali ai due condottieri grigionesi Gian Giacomo Ferrari (Jakob Schmid) e Pietro Saxo per assicurarsene gli eventuali servigi in futuro. Nel complesso il papa fu molto soddisfatto dei risultati conseguiti, "bastando per hora che sia rotto il ghiaccio" (Wirz, Akten, p. 366), e incaricò il F. di continuare a tenere sotto controllo la situazione svizzera.
Nel gennaio 1543 il F. tornò in Italia. Passò per San Severino e poi fu a Roma dove con fatica riuscì a riscuotere gli stipendi che gli erano dovuti. In Svizzera lo sostituì il Rosin. Durante l'estate ebbe un'udienza da Paolo III a Marino e un colloquio con il cardinale A. Farnese ad Anagni, al quale presenziò anche il papa. Il 12 settembre partì di nuovo da Roma per la Svizzera. Per tutto l'anno successivo visse a Lugano. Dalla sua corrispondenza non risulta chiaramente quali fossero i suoi incarichi: forse si trattava solamente di fornire a Roma relazioni sulla situazione in Svizzera. Nell'autunno 1544, il Rosin, tornato da un viaggio a Roma, lo poté sostituire, e il F. rientrò a sua volta in Italia. Alla fine di maggio o inizi di giugno 1546 fu rimandato in Svizzera con nuovi compiti.
Il Rosin l'anno precedente non era riuscito a fare progressi nelle Diete né circa il desiderio del papa di reclutare soldati per la spedizione contro il Turco né circa le richieste di partecipare al concilio. Ora il F. doveva superare l'atteggiamento ostile al concilio diffusosi in Svizzera secondo l'orientamento francese. In particolare, però, egli doveva trattare un'alleanza tra i Cantoni cattolici e Pierluigi Farnese, da poco insediatosi nel Ducato di Parma e Piacenza, nonché spingere per l'intervento nella guerra smalcaldica.
Questa volta il F., dopo un breve soggiorno a Lucerna, si trasferì di nuovo ad Altdorf e prese contatto con i Cantoni cattolici per preparare la sua comparsa dinanzi ai rappresentanti di tutti i Cantoni nella Dieta annuale a Baden il 5 luglio. Vi prese parte insieme con il Rosin e tenne un discorso in cui richiamò al dovere di partecipare al concilio e trasmise brevi dell'11 aprile a tutti i Cantoni.
Questi richiami si intrecciarono con la tensione che proiettava la guerra scoppiata ai confini dell'Impero. Il fatto che il papa fomentasse il conflitto inasprì la contrapposizione tra i partiti confessionali e portò nella successiva Dieta del 9 agosto a un atteggiamento definitivamente ostile al F. da parte dei Cantoni protestanti. Alla corte imperiale si era sperato che Paolo III, attraverso il suo nunzio presso la Confederazione, avrebbe tentato di evitare che i protestanti svizzeri accorressero in aiuto di quelli tedeschi e lo stesso Carlo V cercò di ostacolare la convergenza tra i protestanti sottolineando che egli portava la guerra contro due principi ribelli e non contro gli Stati protestanti dell'Impero. Questa tesi fu credibile soltanto finché le "capitolazioni" concluse dall'imperatore con il pontefice rimasero segrete.
La propaganda protestante favorevole alla guerra non si fece sfuggire l'occasione di sfruttare con zelo questo accordo. Inoltre la sua pubblicazione provocò una violenta reazione contro il papa e il Franco. Le città protestanti rinfacciarono al F. la diffusione di lettere in cui erano diffamate come eretiche e paragonate a Turchi e infedeli; il nunzio fu descritto come turbatore della pace e fu richiesto il suo licenziamento.
In una riunione appositamente convocata l'11 ottobre a Lucerna i Cantoni cattolici scelsero di cedere a questa offensiva per evitare la rottura con il papa. Al F. fu consigliato di lasciare di sua iniziativa la Svizzera, compreso il Ticino, con il pretesto di voler presentare personalmente al papa la richiesta di aiuto dei Cantoni cattolici nel caso si fosse arrivati a una nuova guerra di religione.
Dopo aver lasciato alla fine di ottobre il territorio svizzero il F. trascorse qualche settimana nel Ducato di Parma e Piacenza. Già alla fine di novembre era tornato a Bellinzona, da dove spedì nuove credenziali a una Dieta il 10 genn. 1547. Poco dopo poté trasferirsi di nuovo ad Altdorf.
Il 16 febbraio il F. partecipò a una Dieta dei Cantoni cattolici a Lucerna per riferire la risposta del papa alla loro richiesta di aiuto. Realisticamente, il 28 aprile riferì a Roma che l'alleanza con Pierluigi Farnese sarebbe stata possibile solo se prima si fosse ottenuto un accordo con la Francia. Una proposta fattagli in maggio, dopo la sconfitta della Lega Smalcaldica, di tentare di convincere le città protestanti a sottomettersi al concilio non fu presa dal F. molto sul serio. Ancora scettico fu in ottobre, quando comunicò l'ordine del papa di inviare delegati al concilio a Bologna.
All'inizio del 1548 il F. già progettava il suo ritorno a Roma, ma nuovi impegni gli si presentarono a causa del cambiamento della situazione politica causato dall'assassinio di Pierluigi Farnese e dall'avvicinamento di Paolo III alla Francia. Il papa licenziò anche a Roma i lanzichenecchi e richiamò in servizio la guardia svizzera sconfitta nel 1527.
In questo periodo in Svizzera era vivo l'interesse per le notizie sull'aspro conflitto tra il papa e l'imperatore intorno alla sospensione o al ritorno del concilio a Trento. Alla Dieta del 12 marzo 1548 a Baden il F. vide per la prima volta quasi tutti i rappresentanti dei Cantoni protestanti, guidati dal borgomastro di Zurigo, avvicinarsi al suo scranno.
Il F. era convinto che avessero intenzione di formare una lega antimperiale. La situazione politica creatasi corrispondeva così perfettamente alle sue personali vedute che egli dissuase con insistenza la Curia da una riconciliazione con Carlo V e fece valere la sua influenza affinché, contro l'opinione del Meggen e soprattutto del Beroldingen, l'alleanza svizzero-francese venisse rinnovata.
Il F. comunicò il suo richiamo a una Dieta a Baden il 4 sett. 1549. Poco dopo rientrò in Italia e arrivò a Roma qualche giorno dopo la morte di Paolo III. Tenne una relazione sulla missione conclusa al Collegio dei cardinali. Per l'insediamento di Giulio III la Confederazione non inviò alcun ambasciatore d'obbedienza e presentò le sue felicitazioni tramite il F. e il comandante della guardia. Il nuovo papa il 16 febbr. 1550 confermò il Rosin come agente, ma ancora non decise quando il F. sarebbe dovuto tornare in Svizzera come nunzio. Solo il 22 maggio 1551 fu redatto per lui un nuovo breve di accreditamento. Dopo una sosta a Coira, dove rese nota la riabilitazione del vescovo Thomas von Planta che era stato incarcerato a Roma, l'11 giugno il F. giunse a Baden e presenziò insieme con il Rosin alla Dieta annuale. Esortò i rappresentanti dei Cantoni a partecipare al concilio nuovamente convocato per settembre, assicurò che il papa non aveva licenziato alcun membro della guardia e chiese se sarebbe stato assicurato aiuto al pontefice in caso di particolare bisogno.
In Svizzera alcuni pensavano che il F. fosse venuto a reclutare i soldati per la guerra di Parma e di Mirandola e si offrirono volontari. In effetti l'invio del F. era legato anche alla guerra: il nunzio doveva tenere d'occhio eventuali reclutamenti in Svizzera da parte dei Francesi e assicurarsi che l'impiego di truppe svizzere contro il papa venisse vietato. I suoi rapporti in proposito furono dapprima rassicuranti, ma il 1º luglio osservava che sarebbe stato illusorio pensare che i comandanti francesi si sarebbero attenuti a questa clausola del contratto di reclutamento. Per quanto riguarda i reclutamenti da parte del papa, il F. riteneva che a causa della minaccia turca non sarebbe stato impossibile portare gli effettivi della guardia a 4.000 o 5.000 uomini.
L'atteggiamento verso il concilio divenne invece particolarmente negativo da quando l'ex vescovo di Capodistria Pietro Paolo Vergerio iniziò la diffusione dai Grigioni dei suoi pamphlets. I Cantoni protestanti non risposero affatto ai nuovi inviti; i cattolici in una Dieta a Baden il 30 settembre dichiararono che avrebbero mandato i loro prelati a Trento, ma dietro l'influenza francese ritirarono la loro adesione.
Non fu questo insuccesso, bensì la decisione di Giulio III di porre fine alla guerra di Parma a determinare l'anno successivo il richiamo del Franco. Il papa, convertitosi a una rigida neutralità, non considerava più necessaria la nunziatura presso la Confederazione. Il 4 luglio 1552, il F. dovette abbandonare la Dieta di Baden; era così poco convinto della definitività del suo richiamo che si trattenne a Coira aspettando un nuovo incarico. In ottobre da Baden dichiarava, tramite il Rosin, di essere disposto a occuparsi delle vicende svizzere anche da Roma. Ma da Giulio III non ricevette più alcun incarico.
Dal suo epitaffio risulta però che Marcello II lo nominò nunzio, ma su quest'ultimo ufficio non si hanno notizie più precise. Il nome del F. appare per l'ultima volta in relazione alla guardia svizzera durante la vacanza della sede pontificia nel 1559. Il comandante della guardia Kaspar von Silenen, allora in licenza, scrisse poi riconoscente che il F. aveva contribuito a evitare che l'avvicendamento al vertice della Chiesa nuocesse o fosse sfavorevole alla guardia. Durante questi mesi il F. ebbe l'ufficio di cancellarius custodiae utriusque.
Morì il 31 ag. 1561 a Roma e fu sepolto in S. Onofrio. La moglie Domenica Bonelli pose la lapide.
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