Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La prima metà del Seicento è per la musica strumentale momento di importanza decisiva nell’elaborazione di un vocabolario e di una grammatica autonoma dalla musica vocale. Partendo dalla tradizione strumentale del secolo precedente, vengono poste le fondamenta tecniche ed estetiche di quella progressiva affermazione della musica strumentale che attraversa il Seicento e il Settecento; culminata nel poderoso corpus compositivo del romanticismo, essa pervaderà della propria estetica gran parte della musica colta del nostro secolo. In questo processo, fondamentale è la figura di Girolamo Frescobaldi.
Per avere un’idea abbastanza precisa di quale fosse nel primo Seicento l’aspettativa degli ascoltatori verso la musica strumentale, sono interessanti le parole di un testimone d’eccezione, Galileo Galilei, tratte da una sua lettera del 1612 a Lodovico Cigoli: “quanto più i mezzi co’ quali si imita son lontani dalle cose da imitarsi, tanto più l’imitazione è maravigliosa (...). Non ammireremo noi un musico, il quale cantando e rappresentandoci le querele e le passioni d’un amante ci muovesse a compassione, molto più che se piangendo ciò facesse? e questo, per essere il canto un mezzo non solo diverso ma contrario ad esprimere i dolori, e le lagrime et il pianto similissimo. E molto più l’ammireremmo se tacendo, col solo strumento, con crudezze et accenti patetici musicali, ciò facesse, per esser le inanimate corde meno atte a risvegliare gli affetti occulti dell’anima nostra, che la voce raccontandole”.
Per l’estetica barocca quindi la musica strumentale rimane nel solco della teoria aristotelica dell’arte come imitazione: essa rappresenta e insieme risveglia le passioni dell’animo (anche le più “occulte”). E lo fa con strumenti espressivi derivati dalla lunga tradizione retorica del madrigale cinquecentesco, ma superati e sublimati in una nuova sintesi espressiva che spalanca le porte al concetto chiave di “maraviglia”. La biografia stessa di Frescobaldi è in un certo senso incarnazione di questo processo.
Girolamo Frescobaldi nasce e si forma nella città di Ferrara, che è nel secondo Cinquecento uno dei più brillanti e accreditati centri musicali d’Europa. Il suo apprendistato di organista e di compositore avviene sotto l’alto magistero del poliedrico Luzzasco Luzzaschi, ritenuto uno dei più grandi organisti del suo tempo, e stimato come raffinato compositore d’avanguardia (nei suoi confronti, ad esempio, professò una vera forma di venerazione Gesualdo da Venosa, protagonista di primo piano nella storia dell’ultimo madrigale). Luzzaschi era noto come il compositore per eccellenza di musiche per un trio di cantanti virtuose fortemente voluto e tenuto in grandissimo conto da Alfonso II duca di Ferrara, il Concerto delle dame principalissime.
Molteplici furono le influenze del maestro Luzzaschi su Frescobaldi; ed è lo stesso allievo a confermarci l’importanza di questo rapporto quando, nella dedica del suo secondo libro di Arie musicali (1630), lo menzionerà con ammirazione e affetto a più di vent’anni dalla sua scomparsa. Il giovane Girolamo costruisce alla scuola di Luzzaschi una solida e formidabile padronanza del contrappunto; ma allo stesso tempo apprende l’arte dell’ornamentazione, il gusto di una rigogliosa quanto armoniosa fioritura che Luzzaschi aveva fatto maturare dal virtuosismo e dalla raffinata sensibilità delle Dame cantatrici.
Frescobaldi elabora soprattutto, sull’esempio del suo maestro, la propria cifra personale, che consiste nella combinazione in un’unica personalità artistica del grande virtuoso dello strumento e del compositore polimorfo e sensitivo.
Egli appartiene così a una lunga genia di virtuosi-compositori (basta citare i nomi di Bach, Mozart, Beethoven, Brahms), progressivamente rarefattasi solo alla fine dell’Ottocento e definitivamente interrottasi nel nostro.
Evento decisivo nella vita artistica di Frescobaldi è la morte senza eredi di Alfonso II d’Este nel 1597, che significò il rientro di Ferrara sotto il diretto dominio politico e culturale della Roma pontificia, e il trasferimento della corte estense a Modena. Inizialmente sia Luzzaschi che Frescobaldi restano a Ferrara, organisti dell’importante Accademia della morte; ma già nel 1601 Luzzaschi è a Roma con il cardinale Pietro Aldobrandini. Forse già in quell’anno Frescobaldi si reca anch’egli a Roma, al seguito del suo maestro; sicuramente nel 1604 egli compare nei registri della romana Accademia di Santa Cecilia, ed è sotto l’illuminata protezione ecclesiastica di Guido Bentivoglio.
All’inizio del 1607 viene nominato, sempre a Roma, organista nella chiesa di Santa Maria in Trastevere.
Al seguito di Guido Bentivoglio, nominato nunzio pontificio nelle Fiandre, Frescobaldi si reca nel giugno 1607 a Bruxelles, dove si fermerà fino alla metà dell’anno successivo. Questo soggiorno fiammingo, comparabile al viaggio alle terme di Spa compiuto da Claudio Monteverdi nel 1599, ha una grande importanza nell’evoluzione artistica del venticinquenne Girolamo, perché lo mette a confronto con una realtà musicale estremamente ricca, vivace e con caratteri tecnici ed estetici diversi da quella ferrarese e romana (riscontrabili anche nella diversa concezione costruttiva degli organi). Nella vicina Amsterdam vive il grande Jan Pieterszoon Sweelinck, e nella stessa Bruxelles altri due rinomati organisti e compositori, che Frescobaldi deve sicuramente aver incontrato, Peeter Cornet e il più anziano e famoso Peter Philips.
Il 1608 è un anno estremamente importante per Frescobaldi.
Ancora nelle Fiandre, ad Anversa, pubblica la sua prima stampa monografica, il Primo libro de madrigali a cinque voci, dedicata al cardinale Bentivoglio, che resterà isolata nel complesso della sua produzione successiva. Sebbene le caratteristiche intrinseche di questo libro non siano particolarmente rilevanti, esso è però significativo come evento perché segnala come, ancora nel 1608, un giovane compositore deciso ad affacciarsi nel “theatro del mondo” sentisse l’obbligo di cimentarsi appunto con un libro di madrigali. In questa scelta devono comunque aver pesato almeno due fattori: l’ancora vivissimo esempio di Luzzaschi, campione del madrigale di fine secolo; e lo straordinario favore goduto dal madrigale nelle Fiandre, e specialmente ad Anversa, dove Pierre Phalèse (editore anche del libro di Frescobaldi) dà alle stampe fortunate selezioni di madrigali e canzonette italiane.
Rientrato in Italia, Frescobaldi prende servizio nell’ottobre del 1608 come organista in San Pietro a Roma; un posto di riguardo, segno della grande stima di cui già gode. Cosa che comunque non gli impedisce di esercitare allo stesso tempo la propria arte di strumentista in altri contesti non ufficiali.
Pochi giorni dopo, gli editori Tini e Lomazzo di Milano danno alle stampe il suo Primo libro delle fantasie a quattro, primo saggio articolato della creatività strumentale frescobaldiana.
Nel 1613 Frescobaldi sposa Orsola del Pino, la donna che gli aveva dato un figlio l’anno precedente, e che gliene darà successivamente altri quattro. Pochi sono i documenti sulla personalità e il carattere del musicista; e l’iniziale irregolarità di questa unione contribuisce, insieme ad altri indizi sparsi, a suggerire l’immagine di un Frescobaldi piuttosto passionale e vagamente libertino.
La popolarità di Frescobaldi si è intanto estesa a tutta la penisola, tanto che il futuro duca di Mantova, Ferdinando Gonzaga, cerca già dall’ottobre 1614 di assumerlo alla propria corte.
Allettato da favorevoli promesse, Frescobaldi vi si reca effettivamente nel febbraio 1615, ma senza la famiglia al seguito, ed evidentemente con intenti esplorativi. In questo equilibrio di contrattazione si inserisce la dedica a Ferdinando Gonzaga del primo libro di Toccate e partite, stampato a Roma all’inizio del 1615 e seguito pochi mesi dopo da una seconda edizione accresciuta. Ma Frescobaldi trova a Mantova un’atmosfera di sostanziale incomprensione, oltre alla poca attendibilità degli impegni di pagamento di cui già Monteverdi si era ripetutamente lagnato; decide quindi d’interrompere l’avventura mantovana, rientrando a Roma e riprendendo il suo posto di organista.
In questi primi decenni del Seicento arriva a piena maturazione la personalità artistica di Frescobaldi, che manifesta la fertile duplicità del suo pensiero compositivo. Se infatti le Fantasie del 1608 e i Recercari et canzoni franzese fatte sopra diversi oblighi del 1615 sono floride manifestazioni di un pensiero contrappuntistico (cioè di una concezione strutturalmente polifonica della musica) diversa è l’ispirazione fondamentale delle Toccate e partite, 1614-1616, dedicate al duca di Mantova. Qui Frescobaldi dà vita a uno stile fiorito, rapsodico, che articola una sensibilità squisitamente accordale (verticale) in linee orizzontali a carattere ornamentale, stratificate con una specie di trasfigurato e semplificato contrappunto.
Nelle Toccate e partite l’esito è nuovo e originale; tanto che l’autore sente il bisogno di anteporre alla musica un’ampia e articolata prefazione, nella quale spiega come debba essere interpretato il suo nuovo stile.
Questa “maniera di sonare con affetti cantabili e con diversità di passi” è modellata sulla flessibilità dei “madrigali moderni, i quali quantunque difficili si agevolano per mezzo della battuta portandola hor languida, hor veloce, e sostenendola etiandio in aria (cioè ritardandone o accelerandone il tempo) secondo i loro affetti, o senso delle parole”. Similmente il “modo di sonare le toccate non dee (...) stare soggetto à battuta”, ma adeguarsi all’affetto, cioè al contenuto emozionale espresso dalla musica. E ogni singolo brano è composto da più “affetti”.
“Nelle toccate” spiega Frescobaldi “ho avuta consideratione non solo che siano copiose di passi diversi et di affetti, ma che anche si possa ciascuno di essi passi sonar separato l’uno dall’altro onde il sonatore senza obligo di finirle tutte potrà terminarle ovunque più li sarà gusto”. Così le Toccate e partite rivelano un ulteriore motivo di straordinario interesse e di sorprendente modernità nell’affermazione di una sorta di “opera aperta”: una riserva di materiali espressivi che l’esecutore può suddividere e articolare a proprio piacimento.
E gli stessi rifacimenti successivi del libro denotano una straordinaria flessibilità di questa musica anche a livello compositivo; come una materia che vive e si evolve in sintonia con il respiro creativo del suo autore.
Le Toccate sono le prime composizioni esplicitamente pensate per tastiera, e scritte su due righi corrispondenti alle due mani dell’esecutore, cioè scritte in “intavolatura”. In esse compare un elemento che ritornerà nelle raccolte successive, cioè la scelta di schemi armonici molto popolari come base per la composizione dei singoli pezzi: la Romanesca, la Monica, il Ruggiero, la Follia.
Viene così ulteriormente chiarita una cifra fondamentale dell’arte frescobaldiana: il genio della variazione.
Il periodo che va fino al 1628 è abbastanza povero di avvenimenti rilevanti nella biografia di Frescobaldi. Nel 1620 egli affianca il ruolo di organista in Santa Maria in Sassia all’impegno principale in San Pietro, a prestazioni occasionali presso altre istituzioni, all’insegnamento e all’attività di virtuoso presso il cardinale Pietro Aldobrandini.
Ma all’asciuttezza di dati biografici corrisponde un felice progresso compositivo, che si manifesta principalmente nelle due raccolte del Primo libro di Capricci fatti sopra diversi soggetti et arie in partitura (1624) e Il secondo libro di Toccate, Canzone, Versi di Hinni, Magnificat, Gagliarde, Correnti et altre partite (1627).
Nei Capricci del 1624, Frescobaldi ritorna a uno stile prevalentemente contrappuntistico, segnalato dalla scrittura in partitura (cioè su quattro pentagrammi); ma se il rigore della tecnica è il medesimo dei precedenti Ricercari, l’inventiva è straordinariamente ricca, dal momento che ingloba il clima rapsodico delle Toccate e partite. Ai brani costruiti sulla tradizionale solmisazione (ut re mi fa sol la), vengono accostati altri pezzi su soggetti singolari.
Così il capriccio “sopra il Cucco” (cioè sul canto del cucù) viene sintetizzato in una terza minore ripetuta a mo’ di ostinato dalla voce superiore e ripresa variata dalle altre.
Particolarmente singolari sono tre capricci: l’ottavo “cromatico di ligature al contrario, che è uno studio sulla risoluzione irregolare dei ritardi; il nono di durezze che è a sua volta uno studio integrale d’armonia dissonante”; il decimo con “obligo di cantare la quinta parte, senza tocarla” (cioè senza suonarla).(Gallico 1986).
E che le dissonanze (le “durezze” appunto) siano qui elemento strutturale e discorsivo, è chiarito dallo stesso Frescobaldi: i Capricci contengono, infatti una prefazione che guida il lettore all’originalità dell’opera e alle sue difficoltà; qui l’autore spiega come convenga “in alcune durezze fermarvi con arpeggiarle accio che riesca più spiritoso il seguente passo”.
La prefazione dei Capricci è veramente illuminante per comprendere l’intreccio fra la figura del compositore e del virtuoso: “In questi componimenti intitolati Capricci, non ho tenuto stile così facile come ne miei Ricercari. Ma non si deve però giudicare la difficoltà loro prima di mettergli bene in prattica nell’istromento, dove si conoscerà con lo studio l’effetto che deve tenere. Come anche havendo atteso insieme la facilità, studio e vaghezza, parendomi cosa assai convenevole a chi suona che se l’opere paressero di fatiche il cominciar da principio sino al fine si potrà pigliar, dove più piacerà di detti passi et finire in quelli che termineranno del suo tuono”.
Dunque l’atto compositivo, lungi dall’essere isolato dall’esecuzione, è al contrario l’apoteosi della tecnica strumentale e dell’interpretazione; ed è un coinvolgimento totale della musicalità di chi suona, a cui è richiesto anche di cantare una parte supplementare nel decimo capriccio, quasi a sottolineare il ruolo di guida della voce umana che Frescobaldi non ha mai dimenticato. Vedendo “che da molti sia dismessa la pratica di detto studio della partitura”, dice Frescobaldi, “ho voluto avvertire che in quelle cose, che (nei Capricci) non paressero regolate, con l’uso del contrapunto, si debba primieramente cercar l’affetto di quel passo e il fine dell’Autore circa la dilettatione dell’udito e il modo che si ricerca nel sonare”.
Rigore del contrappunto, fioritura della tecnica, espressione degli affetti, sublimazione del canto, diletto per gli uditori: sono tutti aspetti che si fondono inquesta raccolta matura, capolavoro della musica strumentale del primo barocco.
Il Secondo libro di Toccate, Canzone, Versi d’Hinni, Magnificat, Gagliarde, Correnti et altre partite d’intavolatura di cimbalo et organo (1627) è la prima raccolta di Frescobaldi a contenere musiche esplicitamente composte per l’organo, due delle quali prevedono lo specifico utilizzo della pedaliera. È quindi una sorta di antologia del magistero frescobaldiano: brani organistici legati ai momenti della liturgia; studi armonici; schemi di danze e arie; partite (cioè serie di variazioni) sopra famosi schemi armonici (ciaccona e passacaglio). Sebbene la struttura e l’esecuzione dei brani siano molto complesse, il tono generale della raccolta è di ariosa maturità.
Nel 1628, a 45 anni, Frescobaldi impone una svolta alla propria carriera, trasferendosi a Firenze come “Organista del Serenissimo Granduca di Toscana”.
Non conosciamo nel dettaglio quali fossero i suoi compiti in una corte in cui la musica aveva molto spazio, come quella dei Medici; ma è certo che egli vi risulta come il musicista meglio pagato, in virtù della fama internazionale ormai saldamente conquistata.
Frescobaldi comunque si adopera certamente come organista presso il Battistero di Firenze, come insegnante, come compositore di corte, e come virtuoso; un documento del 1630 ci dice che egli suona in presenza dell’ambasciatore di Francia alla Santa Sede in visita a Firenze, accompagnando due cantori di corte. Essendo Firenze una delle principali culle europee della monodia vocale, Frescobaldi deve cimentarsi con la musica vocale, fino a quel momento trattata occasionalmente in brani isolati e di secondario valore artistico.
Nascono così i due libri di Arie musicali da cantarsi sul Gravicimbalo e Tiorba. A una, a dua, e a tre voci, entrambi dati alle stampe nel 1630.
Anche essi fanno mostra di grande varietà formale e di multiforme articolazione nelle combinazioni delle voci.
Evidente è l’influsso di ClaudioMonteverdi, principe della musica vocale nel primo Seicento, specialmente nei primi pezzi di entrambi i libri, esplicitamente definiti “in stile rappresentativo”. Essi sono pensati per essere interpretati non solo vocalmente ma anche con misurati gesti del corpo; quasi scene drammatiche, benché senza la cornice di una vicenda articolata in eventi e personaggi.
Gli altri pezzi che compongono le raccolte delle Arie sono formalmente più strutturati rispetto al fluido e affettuoso recitativo di quelli in stile rappresentativo. Denominati Sonetti, Arie, Madrigali, essi sono pensati per voce sola, per duo, per trio. Così ad esempio l’aria a voce sola A miei pianti al fine un dì, dal secondo libro, nell’efficace brevità di poche battute descrive suggestivi percorsi cromatici sulle parole che trattano di lacrime. Gli esiti artisticamente elevati delle Arie musicali fanno rimpiangere che Frescobaldi non abbia fornito prove di musica teatrale, e che comunque così poco ci abbia lasciato composto per la voce.
Il soggiorno fiorentino di Frescobaldi è gravato dalla tremenda pestilenza che colpisce la città e l’Italia nel 1630, e che arriva a falciare un decimo della popolazione; un colpo molto grave dal quale il Granducato riesce a riprendersi lentamente e a fatica. Così Girolamo, attirato da allettanti prospettive economiche, rientra a Roma nel 1634.
Il decennio che lo attende sarà una sorta di apoteosi della sua fama internazionale di virtuoso, didatta e compositore. Ripreso il proprio posto come organista a San Pietro, Frescobaldi si pone sotto la protezione dei cardinali Antonio e Francesco Barberini, potenti e illuminati nipoti del papa Urbano VIII. E presto allarga la propria presenza di virtuoso anche al campo dell’oratorio, in particolare presso l’Arciconfraternita del SS. Crocifisso di San Marcello.
Nel 1635, un anno dopo il suo rientro, Frescobaldi dà alle stampe i Fiori musicali di diverse compositioni, Toccate, Kirie, Canzoni, Capricci, e Recercari in partitura a quattro utili personatori. Questa è certo la più ambiziosa stampa frescobaldiana, nata con l’intento di “giovare alli organisti havendo fatto tale compositione di tal stile di sonare, che potranno rispondere à Messe e à Vespri”. I Fiori musicali, più di qualsiasi altra raccolta, sono una sorta di fedele registrazione del formidabile mestiere quotidiano di Frescobaldi organista.
La raccolta dei Fiori musicali si articola in tre cicli di musiche per altrettante messe, ciascuno costruito su un materiale melodico della tradizione del canto gregoriano, Messa della Domenica, Messa degli Apostoli, Messa della Madonna. Frescobaldi propone agli organisti materiale strumentale da alternare (“rispondere”) con l’esecuzione vocale da parte del coro delle parti cantate della messa, divisa nell’ordinarium (con testo fisso) e nel proprium (con testo che varia con le festività). “Per le parti dell’ordinarium sono proposti brani da eseguire all’organo alternativamente – alternatim – in risposta ai versetti del canto corrispondente: alcuni sono dati scritti; l’esecuzione facoltativa degli altri è devoluta all’improvvisazione sulla tastiera. Per le parti del proprium, più Elevazione e Deo gratias, sono proposti brani sostitutivi, o meglio pezzi da sonare durante o a chiusura del rispettivo atto liturgico, e della lettura del testo eseguita dai celebranti” (Gallico 1986, p. 141).
I Fiori musicali sono costruiti secondo le direttive del Caeremoniale ecclesiastico romano che stabiliva il posto della musica nella liturgia e l’uso dell’organo.
“L’organista era difatti autorizzato dal Caeremoniale a intervenire alcune volte nella celebrazione come solista. Egli s’alternava al coro (...) e inoltre poteva sonare un brano libero, anche improvvisando dopo l’Epistola, dopo il Credo, durante l’Offertorio, durante l’Elevazione – a questo punto con grande dolcezza e gravità – e dopo la Comunione. Doveva inoltre eseguire brani appropriati all’inizio e alla fine del rito”.
In quest’ultima funzione si inquadrano i due pezzi finali della raccolta: Bergamasca e Capriccio sopra la Girolmeta. Essi ricavano il loro materiale musicale da melodie e schemi di danza popolari di origine cinquecentesca, estremamente diffusi nell’Italia (e nell’Europa) della prima modernità. Non stupisca l’inserzione di materiale profano in contesto liturgico; nonostante il dichiarato purismo della Controriforma, la festosità e la popolarità di queste musiche le rendono perfettamente adatte alla positiva conclusione della liturgia, nel segno della rinnovata unione con il Cristo.
Il panorama compositivo frescobaldiano dell’ultimo decennio comprende le Canzoni da sonare a una due tre et quattro edite nel 1634, che riprendono materiale da due precedenti e analoghe raccolte del 1628, completate da diversi nuovi pezzi; sono composizioni pensate per quattro esecutori e basso continuo, nel solco della tradizione cinquecentesca della canzone polifonica.
L’ultima edizione del primo libro di Toccate (1637) comprende nuove partite sopra noti schemi che abbiamo già incontrato (Romanesca, Monica, Ruggiero, Follia, e altre Correnti, Passacaglie, Ciaccone).
Particolarmente impressionante è la serie delle Partite cento sopra il Passachagli, vero monumento (e testamento) dell’arte frescobaldiana della variazione.
“Questa composizione muove da un modulo di base articolato in tempi distesi talora in due, talora in quattro battute. E l’intera elaborazione allinea molte più di cento repliche consecutive variate del modulo (...). Quello che impressiona nelle Partite cento, al di là delle segrete sottigliezze del progetto, è il rinnovamento incessante delle immagini, pur congiunte con il motto di base. Repliche continuate, e metamorfosi” (Gallico1986, p. 165).
Negli ultimi anni della vita di Frescobaldi decade quell’ambiente ecclesiastico-aristocratico che lo aveva fin là sostenuto; lo stesso Urbano VIII è costretto nel 1642 a subire una sconfitta militare in una prova di forza sostenuta con il duca di Parma, e a rinchiudersi in Vaticano.
Ma la fama del musicista non viene intaccata; così Johann Jacob Froberger, organista della corte imperiale di Vienna e protagonista musicale di primo piano del secondo Seicento, ottiene nel 1637 il permesso di recarsi a Roma per studiare con lui, rimanendovi fino al 1641. Tutti gli organisti italiani resteranno fortemente influenzati dalle sue opere e dal contatto diretto con il suo insegnamento o con quello dei suoi allievi. E lo stesso Johann Sebastian Bach manifesterà il suo grande interesse per la musica di Frescobaldi, trascrivendo di proprio pugno nel 1714, a scopo di studio, i Fiori musicali.
La notte del primo marzo 1643, Girolamo Frescobaldi si spegne a Roma, alla messa per il suo funerale partecipano cantando i più importanti musicisti della città.
La sua fama sarebbe rimasta viva per tutto il secolo.
Efficacissimo sunto dell’originale grandezza di Frescobaldi è nelle seguenti parole dedicategli da André Maugars, un musicista francese che nel 1639 pubblica il resoconto di un suo soggiorno in Italia: “Non è senza motivo che questo famoso organista di San Pietro ha acquistato tanta reputazione in Europa; perché, nonostante le sue opere a stampa rendano sufficiente testimonianza delle sue qualità, tuttavia per ben giudicare della sua profonda scienza, bisogna ascoltarlo improvvisare toccate piene di ammirevoli ricerche ed invenzioni. È perciò che merita pienamente di essere proposto come modello a tutti i nostri organisti, per infondere loro la voglia di venirlo ad ascoltare a Roma”.