GASTALDI, Girolamo
Figlio di Pietro Giovanni, facoltoso giureconsulto, e di Nicolosa Calvo, nacque a Taggia, nella Riviera di Ponente, nel 1616. Ammalatosi di vaiolo in età infantile, rimase con il volto deturpato e cieco da un occhio. La famiglia fu ascritta nel 1655 alla nobiltà di Genova nella persona di Benedetto, marchese di Serra Nuova e di Carovigno, fratello del Gastaldi.
Si addottorò in giurisprudenza nello Studio pisano il 21 marzo 1638, quindi si recò a Roma per intraprendere la carriera ecclesiastica; qui entrò al servizio dei marchesi Costaguti, nobile famiglia ligure, tra i cui componenti si annoverava Vincenzo, eletto cardinale nel 1643, per conto del quale il G. si recò in Spagna per una missione di carattere finanziario.
Grazie all'appoggio dei Costaguti poté ottenere la prelatura e, all'elezione di Alessandro VII, nell'aprile 1655, fu aggregato ai referendari delle due Segnature, poi nominato commissario generale dei Lazzaretti (1656-57). Al primo sospetto che la peste, già diffusa a Napoli, stesse per contagiare Roma, il pontefice Alessandro VII delegò la congregazione sopra la Sanità alla sorveglianza e custodia di Roma e affidò al G., commissario generale di Sanità per lo Stato della Chiesa, la direzione dei provvedimenti necessari alla difesa della città.
I provvedimenti adottati per contenere e vincere l'epidemia sono riportati nel Tractatus de avertenda et profliganda peste politico-legalis (Bononiae 1684), iniziato dal G. mentre era arcivescovo di Benevento e stampato allorché Gorizia fu colpita dalla peste, per essere utilizzato come manuale igienico-sanitario.
Il G., che non aveva esperienze medico-sanitarie, si avvalse dello studio degli scritti sulle pestilenze di Alessandro Massaria, Gian Filippo Ingrassia e Ludovico Settala. Accreditato fra le migliori opere di medicina del tempo (Haller), nella prima parte il Tractatus spiega i metodi usati per contenere la diffusione della peste: proibizione di accesso in città a quanti provenivano dai paesi infetti o sospetti; istituzione e obbligo di presentazione delle patenti di sanità; sorveglianza delle porte di Roma - ne erano rimaste aperte solo otto - e delle vie d'accesso; ispezione delle mercanzie e delle vettovaglie; istituzione di luoghi di isolamento dei sospetti (case contumaciali) e di luoghi di disinfezione dei nuovi arrivati; istituzione dei lazzaretti e reclutamento forzato del personale medico e di servizio. Il trattato descrive inoltre il ritorno alla normalità, dalla riapertura delle comunicazioni con i paesi e le città limitrofe alla chiusura graduale dei lazzaretti e delle case contumaciali, fino alla decisione di permettere la partecipazione del popolo alle feste civili. Queste notizie sono corredate da una completa raccolta dei bandi, grida ed editti del biennio dell'epidemia.
La seconda parte del Tractatus, di tema più strettamente clinico, descrive la fenomenologia della peste bubbonica, le sue vires contagii, i singoli segni del morbo. Circa le origini del contagio il G., pur rifiutando le influenze astrali, non si sottrae alla suggestione della letteratura medica del tempo, che poneva tra le cause della malattia le azioni magiche di demoni, streghe e untori; descrive i presagi che allora si riteneva precedessero l'epidemia e lo stile di vita e, addirittura, gli amuleti ritenuti utili per allontanare il morbo.
L'opera è corredata di tavole rappresentanti piante di ospedali, lazzaretti e case contumaciali, le difese utilizzate nelle diverse parti della città, lo sbarramento del Tevere e dei suoi sbocchi al mare, i mezzi per sterilizzare e disinfettare lettere e panni infetti.
La stima conquistata nel biennio 1656-57 valse al G. importanti riconoscimenti e incarichi: il pontefice Alessandro VII lo nominò chierico di Camera (1662); con Clemente IX fu commissario generale delle Armi (1668-69) e tesoriere generale, carica che gli fu rinnovata nel 1670 sotto Clemente X.
Il 12 giugno 1673 fu creato cardinale da Clemente X e il 17 luglio gli fu assegnato il titolo di S. Pudenziana, titolo che il successore, Innocenzo XI, mutò in S. Anastasia (13 sett. 1677).
Lo stesso pontefice lo nominò nel maggio 1678 legato a latere a Bologna e due anni dopo, il 19 febbr. 1680, arcivescovo di Benevento, ove il G. però non poté risiedere per la carica che contemporaneamente lo tratteneva a Bologna (l'arcivescovado fu amministrato da un vicario, il vescovo di Ischia Girolamo Rocca). Nel 1684, prima dello scadere della legazione, dinanzi all'inasprirsi dei contrasti tra il G. e settori dell'aristocrazia bolognese, Innocenzo XI lo richiamò a Roma e lo fece camerario del S. Collegio con nomina 15 genn. 1685.
A Roma il G., che aveva in animo di ritirarsi nella sua arcidiocesi, fu trattenuto da una grave malattia, che lo portò alla morte l'8 apr. 1685.
Fu sepolto nella chiesa di S. Maria dei Miracoli, alla cui erezione, iniziata da C. Rainaldi e compiuta da G.L. Bernini, aveva contribuito (parallelamente al finanziamento della chiesa gemella di S. Maria in Monte Santo) allorché, dopo la morte di Alessandro VII, erano stati interrotti i lavori di costruzione. Due monumenti funebri, opera di A. Raggi, ricordano il G. e il fratello Benedetto. Lasciò il suo patrimonio all'Ospizio apostolico dei convertendi.
Fonti e Bibl.: Roma, Biblioteca dell'Accademia nazionale dei Lincei e Corsiniana, Corsiniano 171, cc. 157-161 (Discorso di monsignor G.); Arch. segreto Vaticano, Ospizio de' convertendi, bb. 42-149 (Eredità del card. G.); M. Giustiniani, Gli scrittori liguri, I, Roma 1667, pp. 436 s.; A. Oldoino, Athenaeum Ligusticum, seu Syllabus scriptorum Ligurum, Perusiae 1680, p. 245; P.P. Arrighi, Memorie istoriche della vita del venerabile servo di Dio Pierfrancesco Scarampi, Roma 1746, p. 129; A. von Haller, Bibliotheca medicinae practicae, III, Basileae 1779, p. 617; P.S. Pallavicino, Della vita di Alessandro VII, II, Prato 1840, p. 99; G.P. Pescetto, Biografia medica ligure, I, Genova 1846, p. 286; S. Fraschetti, Il Bernini la sua vita, la sua opera, il suo tempo, Milano 1900, pp. 399-401; L. von Pastor, Storia dei papi, XIV, 2, Roma 1932, pp. 4, 6, 26; P. Capparoni, La difesa di Roma contro la peste del 1656-57 come risulta dall'opera del cardinale G. "Tractatus de avertenda et profliganda peste", in Atti e memorie dell'Accademia di storia dell'arte sanitaria, XXXIV (1935), 3, pp. 1-12; M. Nicora, La nobiltà genovese dal 1528 al 1700, in Miscellanea storica ligure, II (1961), pp. 301 s.; G. Cosmacini, Storia della medicina e della sanità in Italia dalla peste europea alla guerra mondiale, 1348-1918, Roma-Bari 1987, p. 178; Legati e governatori dello Stato pontificio (1550-1809), a cura di C. Weber, Roma 1994, p. 690; G. Moroni, Diz. di erudizione storico-ecclesiastica, XII, p. 147; XXVIII, pp. 184 s.; R. Ritzler - P. Sefrin, Hierarchia catholica…, V, Patavii 1952, pp. 8, 43, 51, 59, 118.