SPANZOTTI, Girolamo Giuseppe Vincenzo.
– Nacque a Torino il 17 marzo 1741, primogenito di Giovanni Pietro e di Laura Maria Costamagna.
Suo fratello fu Carlo Antonio Nicola, nato il 28 settembre 1742. La famiglia era di origine lombarda.
Dal 1760 al 1765 Girolamo frequentò i corsi della facoltà di giurisprudenza dell’Università di Torino, dove fu allievo di Carlo Sebastiano Berardi e del giurisdizionalista Giovanni Agostino Bono, che ebbe un ruolo cruciale nella formazione di numerosi giovani torinesi che aderirono in seguito al giansenismo. Ottenne la licenza di dottore in utroque iure il 27 giugno 1764 e la laurea il 30 aprile 1765. Nella speranza di ricevere una cattedra pubblicò in rapida successione gli Iuris ecclesiastici libri duo (Venetiis 1769) e lo Iuris civilis liber singularis (Venetiis 1770). Nella prima opera, giudicata «bella ed utile» e meritevole di «commendazione» dalle Novelle letterarie di Firenze (14 luglio 1769, p. 448), analizzava la dottrina della Chiesa, la disciplina ecclesiastica e il culto, rivolgendo alcune critiche al primato papale. Nello Iuris civilis liber manifestò invece la sua adesione di massima ai principi del giusnaturalismo. Le opere non gli valsero la desiderata cattedra, ma gli garantirono la cooptazione nel Collegio degli avvocati dell’Università (7 maggio 1772). Pubblicò più tardi anche le De reipublicae utilitate ac commodis dissertationes (Taurini 1777), in cui contestava la legittimità del diritto di resistenza e individuava la religione come uno dei fondamenti della vita politica.
Non sono noti i dettagli della sua carriera ecclesiastica, né del suo progressivo spostamento su posizioni gianseniste. Ricevette probabilmente l’ordinazione sacerdotale attorno al 1770. Al sinodo diocesano torinese convocato nel 1788 dall’arcivescovo Vittorio Gaetano Costa d’Arignano fu eletto esaminatore sinodale, con l’incarico di assistere l’arcivescovo nell’esame dei candidati ai benefici ecclesiastici. Nel complesso, il sinodo, pur accettando alcune tra le istanze espresse dal movimento riformatore del vescovo giansenista di Pistoia Scipione de’ Ricci, si mantenne su posizioni di lealtà alla sede papale.
Nei primi anni Novanta Spanzotti dovette essere tra gli entusiasti delle novità di Francia, e in particolare della costituzione civile del clero promulgata nel luglio del 1790. Nel 1794, per ordine del primo segretario degli Interni, conte Pietro Giuseppe Graneri, fu arrestato poco prima della scoperta della congiura repubblicana torinese.
Non è possibile stabilire con certezza se Spanzotti partecipasse alla congiura, ma è assai probabile che fosse almeno a conoscenza dei propositi dei gruppi filofrancesi. Dal 1793 alcuni patrioti si erano riuniti attorno al valdostano Guglielmo Cerise, mentre altri facevano capo al medico Ferdinando Barolo. I due gruppi si fusero nel corso del 1794 e iniziarono a pianificare la cattura della famiglia reale e la proclamazione della repubblica. Fu infine la delazione di Barolo a determinare il fallimento della congiura. Secondo la successiva testimonianza dello stesso Barolo, Spanzotti fu arrestato «ingiustamente» e «sul pretesto d’aderenza [...] al dogma francese» (Ai suoi concittadini ed ai patrioti del Piemonte, Torino 1800, p. 7); è plausibile, dunque, che le simpatie di Spanzotti per i provvedimenti in materia religiosa varati durante i primi anni della Rivoluzione fossero noti alle autorità sabaude, anche se ciò non implica che egli fosse parte attiva dei gruppi intenzionati a trasportare i nuovi ordinamenti francesi al di qua delle Alpi. In ogni caso, a testimonianza della sua vicinanza almeno ideale ai congiurati, lo stesso Spanzotti definì successivamente «nostri amici» Giovanni Chantel e Francesco Junod, condannati a morte e giustiziati nel 1794 (La tirannia dei re smascherata, 2ª ed., Torino 1801, p. 98; il passaggio è assente dal testo della prima edizione).
Spanzotti prese parte attiva alla vita politica torinese dopo la fuga di Carlo Emanuele IV e l’instaurazione del governo repubblicano il 9 dicembre 1798. Nel Progetto di un fedele servitore di S.M. per estirpare i giacobini dal Piemonte, redatto nell’estate del 1799 da Felice Giuseppe Giaime, conte di Pralognan, risultava fra coloro che, in virtù del loro patriottismo, rivestirono incarichi pubblici (Sforza, 1908, p. 185). Alcune terre di cui era proprietario presso la Stura furono saccheggiate nel maggio del 1799 dalle bande controrivoluzionarie guidate da Branda Lucioni. Dopo il crollo del regime repubblicano (26 maggio 1799), Spanzotti fu oggetto delle attenzioni della Giunta speciale istituita per perseguire quelli che il linguaggio controrivoluzionario del tempo definiva «giacobini» e guidata dal marchese Carlo Francesco Thaon di Revel. Secondo quanto riferito da Angelo Pico, segretario del governo repubblicano in esilio, in una lettera del 22 giugno ai delegati del governo a Parigi, Carlo Botta e Giovanni Giulio Robert, Spanzotti era già stato arrestato insieme ad alcuni membri del disciolto governo provvisorio (Vaccarino, 1989, p. 378). Il 29 luglio fu rinchiuso nel Collegio dei nobili di Torino, e il 5 dicembre fu trasferito insieme ad altri preti repubblicani nella rocca di Verrua.
Tornato in libertà dopo Marengo, il 3 settembre 1800 Spanzotti fu nominato segretario dell’Università nazionale dal nuovo governo repubblicano. A seguito del riassetto imposto all’amministrazione civica torinese dal generale Jean-Baptiste Jourdan il 18 novembre 1800, Spanzotti entrò anche a far parte della municipalità, da cui fu poi esonerato il 23 febbraio 1801. Dal 5 settembre 1800 fu anche membro corrispondente per la città e la diocesi di Torino della commissione ecclesiastica, che era stata istituita il 31 luglio e aveva il compito di individuare gli ecclesiastici meritevoli di ricoprire le cariche che si fossero rese vacanti. La commissione, tuttavia, fu soppressa l’11 ottobre, prima che Spanzotti avesse avuto modo di contribuirvi significativamente.
Agli anni a cavallo tra i due secoli si datano le opere principali di Spanzotti, i Disordini morali e politici della corte di Roma, apparsi in una prima edizione anonima a Siena presso Luigi e Benedetto Bindi nel 1798 e successivamente in una seconda edizione, accresciuta in due volumi, pubblicata a Torino nel 1801 da Giacomo Fea, e la già citata Tirannia, apparsa a Torino per i tipi di Fea nel 1799 e ripubblicata dallo stesso Fea nel 1801. Alla luce della formazione giuridica di Spanzotti, entrambe le opere avevano carattere politico e istituzionale più che teologico. Nei Disordini, influenzati da Adalberto Radicati di Passerano e Febronio, Spanzotti criticava il potere temporale della Chiesa e la pretesa di infallibilità del papa a tutto vantaggio del potere dei vescovi; rimproverava inoltre gli abusi nell’uso della censura libraria, della scomunica e dell’inquisizione, per chiedere infine la convocazione di un concilio generale per la riforma della Chiesa. Il modello additato, in un’ottica esplicitamente anticoncordataria, era quello della costituzione civile del clero; Spanzotti propugnava in particolare l’elezione dei pastori e il controllo delle autorità politiche sulla disciplina della Chiesa. Nella Tirannia, invece, Spanzotti abbracciò le dottrine contrattualistiche, difese il diritto di resistenza ed esaltò la tolleranza religiosa.
La sua produzione letteraria gli guadagnò la stima degli ambienti giansenisti di Italia e di Francia, oltre che di numerosi patrioti piemontesi. Gaspare Morardo lo definì «rispettabile uomo di legge» (Lettera a Carlo Luigi detto Buronzo del Signore, vescovo di Torino, Grenoble 1800, p. 15) ed «egregio cittadino» (Memoria ragionata di fatti memorandi relativi all’Ateneo di Torino, Torino 1804, pp. 51 s.). Gli Annali ecclesiastici di Eustachio Degola lo qualificarono come «canonista dottissimo» (8 giugno 1799, p. 89), mentre Henri Grégoire, che aveva elogiato le sue opere di fronte al concilio nazionale francese del 1801 (Actes du second concile national de France, III, Paris 1801, p. 318), lo avrebbe ricordato ancora nell’Essai historique sur les libertés de l’Église gallicane (Paris 1818, p. 422).
Nel 1807 Spanzotti fu rimosso dalla carica di segretario dell’università a vantaggio dell’ex teatino Gaetano Donaudi, avvocato collegiato e membro dell’Accademia di giurisprudenza. Proprio contro Donaudi, che in un Elogio di S. Francesco di Sales (Torino 1807) aveva criticato le dottrine agostiniane, Spanzotti polemizzò con la Lettera a suo amico Gaetano Donaudi (Torino 1808), in cui difendeva il rigorismo. Donaudi replicò a sua volta con una Risposta amichevole (Torino 1808).
Morì a Torino il 20 marzo 1812 all’età di 71 anni.
Dopo la sua morte, la Tirannia fu ripubblicata due volte in spagnolo come Defensa de los pueblos contra la tiranía de los reyes (New York 1827 e Barcelona 1836), mentre i Disordini furono riediti a Torino nel 1852, nel clima di anticlericalismo che fece seguito al fallimento della prima guerra di indipendenza e all’approvazione delle leggi Siccardi.
Fonti e Bibl.: N. Bianchi, Storia della monarchia piemontese dal 1773 sino al 1861, III, Torino 1879, pp. 517-519; G. Sforza, L’indennità ai giacobini piemontesi perseguitati e danneggiati (1800-1802), Torino 1908; M Gorino, G. V. S. Contributo alla storia del giansenismo piemontese, Torino 1931 (che include un’appendice di documenti archivistici); E. Codignola, Carteggi di giansenisti liguri, III, Firenze 1941-1942, p. 486; P. Stella, Giurisdizionalismo e giansenismo all’Università di Torino nel secolo XVIII, in Salesianum, XX (1958), p. 213; Id., Il giansenismo in Italia, I, 3, Piemonte, Zürich 1974, ad ind.; G. Vaccarino, I giacobini piemontesi (1794-1814), Roma 1989, ad ind.; O. Favaro, Consistenza del clero giacobino nella diocesi di Torino ed opera riformatrice degli arcivescovi Rorà e Costa negli anni precedenti alla Rivoluzione francese, in Bollettino storico-bibliografico subalpino, 1991, vol. 89, 1, pp. 196 s., 202, 257; R. Roccia, La municipalità di Torino nell’età repubblicana, in Dal trono all’albero della libertà. Trasformazioni e continuità istituzionali nei territori del Regno di Sardegna dall’antico regime all’età rivoluzionaria, I, Roma 1991, pp. 298, 302; O. Favaro, Vittorio Gaetano Costa d’Arignano (1737-1796). Pastore ‘illuminato’ della chiesa di Torino al tramonto dell’ancien régime, Casale Monferrato 1997, ad ind.; Storia di Torino. La città nel Risorgimento (1798-1864), a cura di U. Levra, Torino 2000, ad ind.; Lettere di Alberto Fortis (1741-1803) a Giovanni Fabbroni (1752-1822), a cura di L. Ciancio, Chioggia 2010, pp. 168-173; G. Schettini, Venti lettere inedite dal carteggio Scipione de’ Ricci – Henri Grégoire, in Rivista di storia e letteratura religiosa, LII (2016), 2, p. 300.