GRASSALEONI, Girolamo
Di questo pittore ornatista ferrarese non è nota la data di nascita, che dovrebbe però situarsi poco oltre la metà del Cinquecento sulla base delle indicazioni offerte dalla prima attività documentata. Ignoti rimangono tempi e modi della sua formazione; e non si conosce effettivamente, secondo quanto suggeriva Niccolini (p. 193), se anche il G. fosse uscito dalla scuola di Girolamo da Carpi, come già Bartolomeo e, forse, Girolamo Faccini, accanto al quale il G., insieme con Ippolito Casoli, svolse gran parte della sua attività di decoratore specializzato in invenzioni di "arabeschi, fregi, grottesche" (Baruffaldi, I, p. 417).
All'inizio della carriera del G. sembra doversi porre la partecipazione al ciclo ad affresco dei Principi estensi nel cortile del castello di Ferrara, commissionato da Alfonso II d'Este a Bartolomeo Faccini, e proseguito alla morte di questo (1577), dal fratello Girolamo, dal G., e da Casoli, con una significativa collaborazione anche del ferrarese Ludovico Settevecchi (Lodi, 1987).
Dell'impegnativa decorazione, già gravemente danneggiata nell'Ottocento, rimangono, e in cattivo stato di conservazione, in deposito presso la Pinacoteca nazionale di Ferrara, solo tre riquadri in monocromo giallo marrone, raffiguranti Enrico (IX) e Obizzo (IV), Folco (III) e Bonifacio (IV), e altri due principi estensi non identificabili.
È forse possibile ipotizzare che il G. avesse partecipato ancora con Girolamo Faccini e "altri artisti compagni" all'esecuzione di quegli apparati effimeri, composti di "archi trionfali e altri ornamenti", allestiti a Ferrara nel 1598 per la venuta di Clemente VIII (L. Lodi, Faccini, Girolamo, in Diz. biogr. degli Italiani, XLIV, Roma 1994, pp. 50 s.).
Su base documentaria si può invece affermare che il G. fu perlomeno segnalato per svolgere una nuova impresa per la corte ferrarese, forse a causa del successo riscontrato nella precedente attività per gli Estensi: il 28 marzo 1608, in una lettera indirizzata dal duca al suo agente a Ferrara Giustiniano Masdoni, il G. veniva richiesto, insieme con i medesimi collaboratori Faccini e Casoli, per "dipingere e indorare" le stanze rinnovate del Castello Estense di Modena in occasione del matrimonio tra il principe Alfonso e Isabella di Savoia, qualora Giulio Belloni, già scelto per l'incarico, non fosse stato in grado di assolverlo. Dalla risposta di Masdoni del 29 marzo si apprende però che in luogo di Belloni furono inviati Casoli, Faccini, Giovanni Battista Magagnini e Stefano Rizollo, ma non il Grassaleoni.
Nel 1613 il G. subentrò a Magagnini, morto l'anno precedente, nel completamento della decorazione a fresco del presbiterio e della navata maggiore della chiesa ferrarese di S. Paolo, commissionata il 15 ott. 1608 a Faccini, Casoli e allo stesso Magagnini.
La decorazione, conclusa solo nel 1616, oggi in discreto stato di conservazione, è segnalata dalle fonti come opera di partecipazione del G. e degli altri due artisti "compagni" (Brisighella, p. 197; Coatti), con esplicita allusione a una collaborazione consolidata che doveva aver avuto origine nel castello ferrarese. Il complesso e ricco apparato a chiaroscuro e con lumeggiature dorate si compone, sulle volte, di riquadri con angeli e figure allegoriche inserite in una decorazione a racemi, e prosegue, sul fronte dei pilastri rivolto verso la navata maggiore, in forma di candelabre animate da vivaci variazioni sul motivo della grottesca.
Nella cappella del Crocifisso del catino absidale della medesima chiesa, il G. dipinse inoltre un S. Giorgio a cavallo (Brisighella, p. 94; Cittadella, 1782), perduto, prova di quella attività esperita anche nella pittura di figure, riferita dalle fonti (Cittadella, 1782; Ughi), ma della quale non sopravvivono testimonianze.
Successivamente, il G. prese parte alla decorazione della navata della chiesa ferrarese di S. Maria in Vado: con Casoli il 15 giugno 1616 firmò infatti con i monaci carmelitani di S. Giorgio, tra i quali era un erede del defunto Faccini già attivo nell'impresa, un contratto rogato da Leonardo Azzi, con il quale si impegnò a ultimare il lavoro "già eseguito in parte […] e per intero pagato", partendo "dal mezzo in giù dalle finestre con tutto il cornisone, friso, architrave, archi, sottarchi, lunette fra li detti archi da ogni parte della nave di mezzo" (Baruffaldi, II, p. 536).
Della decorazione, che in origine rivestiva gran parte della chiesa e ora è per lo più perduta, sussistono solo pochi e mal conservati brani a grottesche sulla parete di facciata e intorno al primo, secondo e terzo altare di destra, che non consentono di formulare valutazioni estetiche di rilievo.
Nel 1618 il pittore prese parte alla decorazione del teatro Farnese di Parma, voluto da Ranuccio I e ricavato nell'ala occidentale del palazzo della Pilotta, con la trasformazione della precedente sala d'arme, i cui lavori architettonici furono diretti prima da Giovan Battista Aleotti, e successivamente da Enzo Bentivoglio e Giovan Battista Magnani.
L'articolato programma decorativo concepito dal conte Alfonso Pozzo, volto a celebrare le glorie della famiglia Farnese e le qualità morali e politiche del principe, fu realizzato celermente a partire dall'inizio dell'anno procedendo dal proscenio al soffitto, al salone e alle logge con la partecipazione di un eterogeneo gruppo di artisti ferraresi, parmensi e piacentini. Il G. fu presente nel cantiere accanto ai ferraresi Giovanni Andrea Ghirardoni, Luigi Anguillara, il Farina (Giovan Battista Magnanini) e Casoli, solo per un breve periodo, dovendo far ritorno a Ferrara per assolvere l'impegno contratto con i monaci carmelitani e non ancora condotto a termine: in una lettera del 17 febbraio indirizzata da Aleotti a Ranuccio, l'architetto dichiarava infatti la possibilità per l'artista di offrire i suoi servizi solo per il periodo del carnevale; a ogni modo il nome del G. compariva ancora in un mandato di Ranuccio del 3 maggio in cui si concedeva licenza agli artisti nominati di accedere nel salone del teatro per lo svolgimento dei lavori (Lombardi). Se ne ricava inoltre che l'impegno del G. dovette concentrarsi, insieme con quello degli altri ferraresi, nel proscenio, andato distrutto, ma del quale esiste un riflesso nella parete di controfacciata concepita in funzione di "specchio" (Fornari): includeva un ricco ornato sui pilastri agli spigoli delle ali laterali con grottesche terminanti con figure recanti cornucopie, assimilabili ai partiti decorativi adottati nella chiesa ferrarese di S. Paolo.
Più vicino all'ultimo periodo di attività del G. dovrebbe collocarsi la decorazione del refettorio "grande" delle monache di S. Antonio a Ferrara, firmata e datata 1620 (Cittadella, 1782, p. 240), perduta e non ricordata concordemente dalle fonti. L'impresa, composta di un fregio con festoni e immagini a mezzo busto di Santi e monache dell'Ordine benedettino, pare comunque essere stata la più impegnativa affrontata dal G., perché condotta, sembrerebbe, senza l'ausilio dei consueti collaboratori ed estesa anche al repertorio figurativo.
È probabile, come dichiarava Cittadella sulla base di testimonianze orali, che il pittore l'avesse eseguita come dote per una sua figlia che doveva entrare in quel convento; è molto verosimile comunque in quegli anni la presenza del G. a Ferrara, se Guarini (p. 294) attestava che la chiesa sconsacrata della confraternita veniva utilizzata dal pittore come cantina della sua casa, accanto a quella de' Savonari posseduta da Francesco Ferrieri.
Il G. morì a Ferrara il 29 marzo 1629 e venne sepolto nella chiesa di S. Maria in Vado.
Dei suoi figli, Giovanni Battista fu pittore anche lui, definito però "assai inferiore al padre" (Baruffaldi, II, p. 391).
A conferma di un'estesa attività del G. in patria, devono ricordarsi altre opere ferraresi citate dalle fonti, non sempre unanimemente, e andate perdute: ancora in collaborazione con Faccini e Casoli, la decorazione dei soffitti delle chiese di S. Rocco, dei minori osservanti (Cittadella, 1782), e della Confraternita di S. Giovanni Battista, escluso il quadro centrale (Coatti, p. 59); la più impegnativa impresa nella chiesa di S. Andrea, dove il G. dipinse non solo il soffitto "con misteriose croci, emblemi ed insegne del santo dottore Agostino in mezzo a un cielo nuvoloso e folgoreggiante" (Avventi, p. 145), ma anche le cantorie e "molte ancone d'altare" (Cittadella, 1782, p. 80).
La difficoltà di ricostruire il catalogo, pure singolarmente ampio, del G. deriva a ben vedere non soltanto dalla mancanza di una più puntuale documentazione e dalla perdita di gran parte dei suoi lavori, ma anche da una parallela e conseguente sfortuna critica i cui primi segnali possono individuarsi nelle fonti settecentesche. Le citazioni laconiche e i succinti commenti delle fonti lasciano supporre infatti che, a dispetto dell'intensa attività svolta, il pittore ornatista non fosse riuscito a distinguersi tra i più affermati collaboratori e a elevarsi al rango di artista di merito nell'attività in proprio: è ciò cui sembra alludere, tra gli altri, il sintetico giudizio di Cittadella che mentre ne segnalava la "somma facilità nel dipingere", ne ridimensionava nel contempo la statura di artista "autonomo", sottolineando i limiti delle prove esperite senza la direzione di Faccini (Cittadella, 1782, p. 80).
Fonti e Bibl.: M.A. Guarini, Compendio historico dell'origine, accrescimento, e prerogative delle chiese, e luoghi pij della città e diocesi di Ferrara, Ferrara 1621, pp. 294, 304; G. Baruffaldi, Vite de' pittori e scultori ferraresi, Ferrara 1844, I, p. 417; II, pp. 391, 536, 589; C. Brisighella, Descrizione delle pitture e sculture della città di Ferrara (sec. XVIII), a cura di M.A. Novelli, Ferrara 1991, pp. 94, 97, 98 n. 16, 197, 198 n. 4, 204 n. 70, 387, 393 n. 57, 475, 480 n. 77; C. Barotti, Pitture e scolture che si trovano nelle chiese, luoghi pubblici, e sobborghi della città di Ferrara, Ferrara 1770, pp. 87, 90, 176; C. Coatti, Memorie istoriche delle chiese di Ferrara e de' suoi borghi, Ferrara 1773, pp. 32, 59, 319 s.; L.N. Cittadella, Catalogo istorico de' pittori e scultori ferraresi, II, Ferrara 1782, pp. 79 s., 240; Id., Notizie relative a Ferrara, Ferrara 1864, pp. 31, 35-37; L. Lanzi, Storia pittorica dell'Italia (1789), a cura di M. Capucci, V, Firenze 1974, p. 162; L. Ughi, Diz. storico degli uomini illustri ferraresi, II, Ferrara 1804, p. 21; F. Avventi, Il servitore di piazza, Ferrara 1838, pp. 136, 145; C. Laderchi, La pittura ferrarese, Ferrara 1856, p. 155; A. Venturi, La R. Galleria Estense in Modena, Modena 1882, p. 141; G. Gruyer, L'art ferrarais à l'époque des princes d'Este, Paris 1897, I, pp. 339, 409; II, pp. 391 s.; A. Solerti, Ferrara e la corte estense nella seconda metà del secolo decimosesto, Città del Castello 1900, p. IX n. 1; G. Lombardi, Il teatro farnesiano di Parma, in Arch. stor. per le provincie parmensi, IX (1909), pp. 8, 29, 32; G. Medri, La chiesa di S. Paolo in Ferrara, Ferrara 1924, pp. 20, 24; P. Niccolini, Ferrara. Nuova guida e scritti illustrativi, Ferrara 1930, pp. 29, 48, 106, 193; Mostra di opere d'arte restaurate, a cura di A. Mezzetti, Ferrara 1964, p. 82; A. Mezzetti - E. Mattaliano, Indice ragionato delle "Vite de' pittori e scultori ferraresi" di Gerolamo Baruffaldi, Ferrara 1983, p. 42; J. Bentini, La grande decorazione del palazzo ducale, in Il palazzo ducale di Modena. Sette secoli di uno spazio cittadino, a cura di A. Biondi, Modena 1987, p. 123; R. Ciancarelli, Il progetto di una festa barocca. Alle origini del teatro Farnese di Parma (1618-1629), Roma 1987, pp. 163, 178, 183; L. Lodi, Immagini della genealogia estense, in L'impresa di Alfonso II. Saggi e documenti nella produzione artistica a Ferrara nel secondo Cinquecento, a cura di J. Bentini - L. Spezzaferro, Bologna 1987, p. 159; G. Capelli, Il teatro Farnese di Parma, architettura, scene, spettacoli, Parma 1990, pp. 82 s.; P. Massarenti, Breve guida alle immagini di s. Giorgio, in S. Giorgio tra Ferrara e Praga (catal.), Ferrara 1991, p. 298; M. Fornari, Il teatro Farnese: decorazione e spazio barocco, in La pittura in Emilia e in Romagna. Il Seicento, II, Milano 1993, p. 92; K. Murmann D'Amico, Deckendekorationen emilianischer Sakralbauten von 1530 bis 1630, Frankfurt a.M. 1997, pp. 55, 77, 107, 115, 171, 198, 200, 202 s., 206-208; O. Baracchi, Arte alla corte di Cesare d'Este, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le antiche provincie modenesi, IX (1996), p. 170; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, p. 529.