GRIMANI, Girolamo
Nacque a Venezia nel 1496, quartogenito di Marino di Piero, detto Scipione, e di Andriana Cappello di Bernardo. Dal matrimonio, celebrato nel 1477, nacquero inoltre Bernardo e Andrea, scomparsi in tenera età, e Benetto.
Il 12 sett. 1514 il G. fu iscritto dal padre all'ufficio dell'avogaria di Comun, per l'estrazione della balla d'oro. Iniziò la sua carriera politica nel settembre 1515, con l'elezione tra i Cinque savi agli Ordini, carica che concluse nel marzo dell'anno seguente; il 13 sett. 1516 fu eletto ufficiale alla Camera degli imprestidi e il 16 ottobre si presentò come "plezo" (garante), per l'elezione di Francesco Grimani di Nicolò alla carica di podestà e provveditore a Martinengo. Nel 1519, come risulta dalla Cronaca matrimoniale dell'avogaria di Comun, ove compare con l'attributo di "gobbo" - e non nel 1529 come registrato dal genealogista M. Barbaro -, il G. contrasse matrimonio con Donata Pisani di Ermolao (Almorò), del ramo della nobile famiglia detto "dal banco", dalla quale ebbe due figli maschi, Marino, nato nel 1532, che fu doge dal 1595 al 1605, e Ermolao (Almorò: 1533-1611), cavaliere e procuratore di S. Marco de supra, e tre femmine, Maria, Agnesina e Andriana.
Tra il dicembre 1531 e il giugno 1532 il G. ricoprì la carica, delicata e politicamente importante, di savio di Terraferma, con competenze sulla Dominante e sullo Stato da Terra e con facoltà di entrare in Collegio; l'incarico gli fu riconfermato tra gennaio-giugno 1534 e aprile-settembre 1535. Il 14 ott. 1535 fu prescelto come uno dei venti savi del Collegio straordinario, antecedente l'istituzione stabile dei Correttori alle leggi, designato dal Maggior Consiglio per lo studio e le varianti da apportare agli statuti e alle competenze dei vari "consilia et officia". Ritornò poi a ricoprire la carica di savio di Terraferma, alla quale fu eletto e riconfermato nei periodi marzo-settembre 1536, giugno-dicembre 1537, giugno-dicembre 1538, giugno-dicembre 1539. Il 21 genn. 1540 fu chiamato fra i tre provveditori super pecuniis, ma da giugno a dicembre del 1540 tornò savio di Terraferma. Il 2 nov. 1540 fu eletto tra i tre savi incaricati al recupero delle somme spettanti alle casse statuali dai debitori insolventi, carica che non poté rifiutare (era prevista una pena di 500 ducati) e che lo obbligò a giornaliere sedute presso il palazzo dei Camerlenghi, a Rialto, e a una relazione settimanale, di concerto con i provveditori alle Vendite, in Senato. Ultimato il 29 settembre l'incarico, tornò savio di Terraferma tra il giugno-dicembre 1541 e il giugno-dicembre 1542, nel frattempo, il 14 o 19 genn. 1542 fu chiamato, in sostituzione di Francesco Longo, tra i cinque nobili super Napolitatios, un ristretto collegio voluto dal Senato per esaminare le richieste di ricompensa "secondo la promessa che li ha fatto la Signoria", avanzate dai profughi di fede cristiana provenienti dai territori perduti del Peloponneso, cioè le roccaforti di Napoli di Romania (Nauplia) e Malvasia, a seguito della pace con la Porta firmata a Costantinopoli il 2 ott. 1540, in cui i pubblici rappresentanti e i cittadini, "preservati indenni", avrebbero potuto scegliere liberamente di restare nelle proprie terre o di espatriare verso la Dominante.
Il 3 ott. 1543 il G. entrò a far parte del Collegio dei venticinque nobili sopra le fortificazioni, cui fu delegato il compito di rivedere l'intero apparato difensivo della Serenissima, nella Terraferma come nello Stato da Mar. Nei periodi marzo-giugno 1544, gennaio-giugno 1545, gennaio-giugno 1546, gennaio-giugno 1547, gennaio-giugno 1548, gennaio-marzo 1549, settembre 1549 - marzo 1550, fu eletto e riconfermato alla prestigiosa carica di savio del Consiglio (cioè tra i savi del Consiglio dei pregadi, ovvero savi grandi), una delle tre "mani", ovvero gruppi, di esperti che venivano a comporre il Collegio.
Il 9 febbr. 1550 divenne capitano a Verona, come da "parte" del Maggior Consiglio del 25 nov. 1549. Il Senato, poco prima della sua partenza, gli affidò il 20 maggio 1550 l'incarico di inviare un elenco dettagliato delle milizie a disposizione nel territorio del suo rettorato, non impartendogli ulteriori ordini e assegnandogli la cospicua somma di 16.000 ducati per provvedere ai fabbisogni più urgenti delle truppe e delle fortificazioni. Ritornato a Venezia alla fine del settembre 1551, il 1° ottobre fu chiamato a far parte dei 15 componenti la zonta del Consiglio dei dieci, incarico che il 26 dicembre fu trasformato in quello di membro effettivo dei Dieci. Il 21 dicembre fu designato consigliere per il sestiere di Castello, carica che ricoprì dal febbraio 1552 al gennaio 1553. Il 1° ott. 1552 fu riconfermato alla zonta del Consiglio dei dieci, passando poi, il 6 ag. 1553, tra i membri dello stesso Consiglio, incarico che lasciò anzitempo perché eletto savio del Consiglio tra il marzo-settembre 1553. Il 3 nov. 1553 fu chiamato tra i Tre Conservatori ed esecutori alle leggi, con Tommaso Contarini e Nicolò Da Ponte, come stabilito dal Maggior Consiglio il 29 ottobre. Il 29 marzo 1554 fu nuovamente savio del Consiglio, riconfermato della zonta del Consiglio dei dieci l'8 aprile e il 2 ottobre rieletto tra i Conservatori alle leggi (sino al 14 maggio 1555). Il 15 apr. 1555 ebbe la carica di consigliere per il sestiere di S. Marco, ma il 19 aprile il Senato lo designò, con Matteo Dandolo, Francesco Contarini e Carlo Morosini, quale componente dell'ambasciata d'obbedienza al neoeletto pontefice Marcello II. Morto il papa dopo soli 21 giorni di pontificato e subentrato al suo posto il napoletano Giovanni Pietro Carafa con il nome di Paolo IV, il Senato riconfermò la commissione agli stessi ambasciatori il 30 maggio.
Al ritorno in patria il G. ricoprì, tra il settembre 1555 e il marzo 1556, la carica di savio del Consiglio, che gli fu riconfermata dal settembre 1556 al marzo 1557. Il 30 giugno 1556 fu inoltre eletto sovraprovveditore alla Sanità, cui fu riconfermato il 29 aprile dell'anno seguente, carica istituita dal Senato il precedente 2 giugno per coadiuvare i già esistenti provveditori nel non facile compito di amministrare la salute e la pubblica igiene nel difficile momento di pestilenza.
Il 5 apr. 1557 (sino al marzo 1559) il G. fu chiamato quale membro della commissione di 15 membri istituita "sopra la fabbrica della scala del palazzo", ovvero a sovrintendere, come organo politico, ai lavori previsti per l'erezione di una nuova scala nel palazzo ducale che "si debba continuar et finire quanto più presto che si possa" e che fu, per la maestosità del progetto, chiamata "scala d'oro". Il 25 settembre fu eletto savio del Consiglio (sino al marzo 1558), il 21 dicembre ancora consigliere per il sestiere di S. Marco (1° febbr. 1558 - 31 genn. 1559) e dal giugno al dicembre 1559 ancora savio del Consiglio. Dal 20 febbr. 1559 al 19 febbr. 1560 ricoprì anche la carica di conservatore ed esecutore alle Leggi. Alla morte del doge Lorenzo Priuli fu eletto, il 19 ag. 1559, tra i cinque correttori alla promissione dogale, magistratura temporanea eletta allo scopo di revisionare e aggiornare le norme statuali che venivano a regolare i poteri dogali, e fu pure tra i quarantuno elettori del nuovo doge Gerolamo Priuli (1° sett. 1559).
Il 5 genn. 1560 fu designato ancora ambasciatore d'obbedienza a Roma presso il neoeletto Pio IV, insieme con Marco Michiel, Alvise Renier (morto prima della partenza e sostituito da Gerolamo Zane), Bernardo Navagero e Nicolò Da Ponte per portare le dovute congratulazioni della Repubblica al nuovo pontefice Pio IV. Il 3 aprile furono loro impartiti dal Senato ordini adeguati, con obbligo di partire entro il 22 aprile, un appannaggio di 8000 ducati ciascuno e la facoltà di elargire "doni e cortesie" tra i 200 e 600 ducati a carico della cassa delle Rason vecchie. Il 15 aprile il G. avanzò la propria candidatura a una delle massime cariche a vita della Serenissima, quella di procuratore di S. Marco de citra, in sostituzione di Alvise Renier, che gli fu accordata dal Maggior Consiglio con 983 voti a favore e 459 contrari.
Svolta a Roma la missione celebrativa con piena soddisfazione della Serenissima, il Senato ritenne opportuno concedere al G. e agli altri ambasciatori, a riconoscimento del buon servizio, facoltà di trattenere come beni personali i doni ricevuti dal pontefice, consistenti in una catenella con croce d'oro contenente una reliquia della croce di Cristo e un anello. Tra il settembre 1560 - marzo 1561 e il gennaio-giugno 1562 il G. fu ancora savio del Consiglio, contemporaneamente assolvendo l'incarico di provveditore all'Arsenale (8 apr. 1561 - marzo 1562). Rispettivamente il 9 marzo 1563, il 28 marzo 1564, il 28 marzo 1565 il Senato lo elesse ancora savio del Consiglio. Il 19 genn. 1566 fu tra i quattro oratori, con Gerolamo Zane, Marino Cavalli, Nicolò Da Ponte (quest'ultimo inviso dalla corte papale e pertanto costretto a una diplomatica "infermità"), inviati al neoeletto pontefice Pio V per porgere i dovuti omaggi e pure per dirimere alcuni problemi di giurisdizione tra il patriarca e la Serenissima. Al ritorno in patria il G. fu nuovamente designato conservatore ed esecutore alle Leggi (14 maggio 1566 - 13 maggio 1567); tra il giugno-dicembre 1566, settembre 1567 - marzo 1568, settembre 1569 - marzo 1569, gennaio-giugno 1570 fu riconfermato savio del Consiglio. Nel 1567 fu tra i quarantuno elettori del doge Pietro Loredan.
Il 30 apr. 1570, dopo breve malattia, il G. spirò a Venezia "de febre et per esserli sta cavà sangue".
Nel suo testamento, redatto il 4 dic. 1568, il G. designò la "honoratissima consorte" unica commissaria dei suoi beni e, alla di lei morte, eredi universali i due figli Almorò e Marino; a quest'ultimo, e dopo di esso alla primogenitura in linea maschile, lasciò lo splendido palazzo a S. Luca, opera dell'architetto Michele Sanmicheli (oggi sede della corte d'appello). Raccomandò inoltre alle cure dei fratelli la figlia Agnesina, definita "mal gagiarda", affinché fosse mantenuta nel modo "più conveniente alla sua condition". Alle nipoti femmine ancora in tenera età (tre di Marino e quattro di Almorò) destinò 1000 ducati a quelle si fossero monacate e ben 5000 ducati d'oro a quelle che si fossero sposate.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, reg. 107, Cronaca matrimoniale, cc. 150v-151r; G. Giomo, Indice per nome di donna dei matrimoni dei patrizi veneti, I, c. 195; II, c. 229; Avogaria di Comun, reg. 165, Balla d'oro, IV, c. 213v; Misc. codd., I, St. veneta, 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, IV, c. 134; Segretario alle Voci, Elezioni in Senato, reg. 1/a (anni 1503-29), c. 28; reg. 2/b (1530-59), cc. 33v, 36, 39r, 59r, 62v, 75v; Misti, regg. 7, c. 49r; 8, c. 59; 11, cc. 82v, 96v; 12, cc. 1-2; Elezioni in Maggior Consiglio, regg. 2, cc. 3v-4r, 135v-136r; 3, cc. 1, 2r, 68v, 233; Elezioni in Pregadi, regg. 1, cc. 7v, 8, 9v, 10v, 11, 17v-18, 19r, 32v, 60v, 61v-62r, 74r, 84r; 2, cc. 6v-7r, 18v, 55v-56r, 58r, 73v; 3, cc. 1r-2v, 3v, 4v, 5v, 21v, 38r, 52, 70v-71r; 4, c. 1; Senato, Terra, regg. 31, cc. 63v-64v, 98; 37, c. 21v; 41, c. 13; 42, cc. 111, 134v-135r, 148v-149r; Secreti, reg. 71, cc. 132v-133r; Senato, Dispacci ambasciatori, Archivio proprio Roma, f. +, dispaccio n. 3, 8 maggio 1560 (come ambasciatore straordinario con M. Michiel e G. Zane); Dispacci ambasciatori, Roma, f. 1, dispacci nn. 9, 29-33, 17 marzo - 17 maggio 1566 (come ambasciatore straordinario con G. Zane e M. Cavalli); Dieci savi alle decime in Rialto, bb. 87, n. 585 (15 maggio 1531); 88, n. 975 (21 ott. 1534); 91, n. 801 (12 luglio 1536); Notarile, Testamenti, Notaio Marcantonio Cavanis, bb. 194, n. 506 (testamento del 4 dic. 1568); 197, cc. 286v-287v (copia in protocollo); Provveditori alla Sanità, Necrologi, reg. 805, alla data 30 apr. 1570; F. Corner, Ecclesiae Venetae illustratae, XIII, Venetiis 1749, p. 360; I Libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, VI, Venezia 1903, pp. 306-308.