GUALDO, Girolamo
Nacque a Vicenza nel 1492, da Giovanni Battista, del ramo dei Gualdo detto "di Pusterla" dal nome della contrada cittadina di residenza, e da Margherita Braschi; ebbe sette tra fratelli e sorelle.
Il nonno Girolamo di Stefano (m. 1446) fu giureconsulto di fama, versato in ebraico, greco e latino e corrispondente di Guarino Veronese. Il padre Giovanni Battista (m. 1510 circa) ricoprì a Vicenza cariche di governo, fu matematico e amico del pittore Bartolomeo Montagna, suo teste testamentario nell'agosto 1509 (Mantese, pp. 810 s. n. 160).
Le fonti concordano sul trasferimento precoce del G. a Roma, senza però specificare la data. In città entrò nella colonia vicentina, legandosi in particolare a G.G. Trissino e all'orafo Valerio Belli; frequentò inoltre la cerchia dei Colonna, entrando al servizio del cardinale Pompeo. Nel 1526 vestì l'abito ecclesiastico e cedette al fratello Paolo il vicariato di Valdagno, unica carica civile coperta in patria. G. Gualdo jr. (Memorie…, cc. 59-60) e P. Calvi (Angiolgabriello di Santa Maria, p. IV), menzionano missioni in Francia e Germania affidate al G.: è probabile che si trattasse di incarichi commissionati dal Colonna. Raggiunta la dignità di protonotaro apostolico, il G. vide sfumare le possibilità di carriera nel 1532 con la morte del cardinale.
Lo stesso anno, insignito del titolo di canonico della cattedrale di Vicenza grazie ai buoni uffici del vescovo Niccolò Ridolfi, fece rientro in patria, dove, all'inizio di novembre, insieme con i maschi della famiglia, fu ordinato conte e cavaliere da Carlo V, ospite dei Gualdo di Montecchio Maggiore (Morsolin, 1884). Alla prebenda canonicale il G. sommò una serie cospicua di benefici ecclesiastici (fra i quali quelli parrocchiali di S. Orso e di Castelnuovo), che gli garantì un agiato tenore di vita e la facoltà di coltivare a tempo pieno ambiziosi progetti di natura culturale.
Pochi, nella vita pubblica del G., furono gli avvenimenti di rilievo. Tra il 1537 e il 1538, insieme con il fratello Paolo e gli esponenti delle maggiori famiglie vicentine, venne coinvolto nell'organizzazione del concilio - poi Tridentino - che Paolo III era intenzionato a indire in città. Il fratello apparteneva alla deputazione incaricata dell'alloggiamento dei prelati; al G., in qualità di canonico e intenditore d'arte, fu demandata dai commissari papali G.M. Giberti e U. Rangone la supervisione dei lavori architettonici nella tribuna della cattedrale, destinata alle riunioni conciliari. Nell'aprile del 1538, previo consulto con I. Sansovino, il G. presenziò alla stipula del contratto con i falegnami e l'architetto Giovanni da Porlezza (Morsolin, 1892). Sul procedere del cantiere relazionò per lettera al Trissino il 20 maggio 1538 (Due lettere…, lettera I). L'esatto ruolo del G. in questa prima fase conciliare non è ricostruibile; benché Puppi (1973, pp. 35, 43 s. n. 135) e Guthmüller (p. 35) gli attribuiscano specifiche tendenze antiluterane e responsabilità dirette nella scelta della città di Vicenza come sede, le sue incombenze andranno più prudentemente limitate a quelle di carattere tecnico sopra citate.
Nei mesi dei preparativi il G. riservò a più d'uno, fra prelati e gentiluomini, splendida accoglienza nell'abitazione paterna di borgo Pusterla, ubicata presso la chiesa di S. Girolamo e l'ospedale della Misericordia, che ampliò e abbellì, collocandovi una prestigiosa collezione d'arte e dotandola di un vasto giardino, con l'intenzione (dichiarata in una lettera del 1538 al Trissino: Puppi, 1972, p. XIX) di farne un circolo intellettuale sul modello della trissiniana Cricoli. Dell'ospitalità del G. godettero personaggi eccellenti: lo stesso Giberti, il vescovo Ridolfi, suo nuovo protettore, G.B. Castagna, poi papa Urbano VII (Gualdo jr., Memorie…, cc. 31-33, 59; Magrini, pp. 8 s.).
Alla scomparsa dell'orafo Belli, nel luglio 1546, il G., pur nella sua veste di esecutore testamentario, non riuscì né ad aggiudicarsi il famoso studio dell'artista, né a impedirne la vendita al cardinale Cristoforo Madruzzo (1547); ancora nel novembre 1552, in una lettera al vescovo di Antivari Ludovico Chiericati, il G. lamentava la perdita delle opere, grave per sé e la città tutta (Zorzi, pp. 256 s., doc. IV). Di fatto, nei decenni successivi al rientro a Vicenza, il G. fu assorbito dal perfezionamento della sua abitazione-museo e dalla realizzazione del suo programma di promozione culturale. La notizia secondo cui il pittore G.A. Fasolo fu allevato ed educato a casa Gualdo (Gualdo jr., 1972, p. 54; Marconi) accredita la volontà di qualificare la residenza di Pusterla come attiva fucina di talenti. Dal 1556 la villa divenne sede dell'Accademia dei Costanti, fondata dal G. insieme con Giovanni Alvise Valmarana e Giovanni Da Porto.
L'Accademia, nata contemporaneamente a quella degli Olimpici, se ne discostò per composizione sociale (esclusivamente aristocratica) e scopi: pratica delle lettere, delle arti ma pure delle armi, secondo l'ideale formativo cavalleresco; degli Olimpici - e più tardi dei Secreti, orientati alle scienze esoteriche - il G. fu comunque protettore. È presumibile che in contesto accademico nascesse la maggior parte delle Rime del reverendo monsignor Girolamo Gualdo vicentino, edite postume nel 1569 a Venezia presso Andrea Arrivabene, mentre sono andati perduti, poiché rimasti allo stadio manoscritto, i componimenti in lingua greca e latina menzionati da Gualdo jr. (Memorie…, c. 63). L'Accademia dei Costanti si sciolse alla morte del G., che ne aveva lamentato la precoce decadenza in alcune delle Rime.
Letterato e buon conoscitore della tradizione volgare (avrebbe persino composto, secondo Mazzuchelli, dialoghi su Dante), mecenate e collezionista, il G. fu una delle figure più rappresentative e celebrate della Vicenza cinquecentesca. Il suo nome rimane legato al famoso museo di Pusterla (ampliato dai successori ma smembrato e disperso già nel XVIII secolo), che doveva rispecchiare fedelmente, sezione per sezione, gli interessi e le competenze del fondatore. A fronte delle dettagliate descrizioni del pittore N. Basilio e di Gualdo jr., che illustrano la situazione secentesca, la difficoltà consiste nel ricostruire l'aspetto primitivo delle strutture e il nucleo originario della raccolta. In linea di principio, si possono attribuire al G. scelte dettate dal gusto antiquario diffuso a metà Cinquecento, complicatosi nei discendenti con quello per i naturalia e i mirabilia.
L'abitazione-museo, oggi distrutta, si componeva di due edifici speculari con porticati e logge (uno eretto dal padre Giovanni Battista), affrescati all'esterno e all'interno e prospicienti un cortile scoperto che immetteva nel giardino. Tra gli affreschi esterni, Giovanni Battista commissionò con ogni probabilità quelli di B. Montagna sull'edificio più antico (figure sacre, allegoriche e mitiche, tra le quali un S. Giovanni Battista penitente). Spettano invece al G. le Storie di Dionigi Siracusano e Cincinnato eseguite da B. Zelotti sull'edificio più recente, ove G.A. Fasolo realizzò pure, à pendant con il Battista del Montagna, un S. Girolamo penitente. Al gusto romanista del G. va imputata la decisione di affidare a maestranze locali un Corteo bacchico e una Favola di Psiche su disegni di Maturino e Polidoro da Caravaggio (Puppi, 1972, pp. 25 s. n. 3; ne ignoriamo l'ubicazione). Negli interni, con modalità sconosciute, erano raccolti ed esposti manoscritti, libri a stampa, dipinti, incisioni, disegni, medaglie, monete, gemme, bronzi, bassorilievi, modelli in gesso. Con il G., committente documentato di una Natività di I. Bassano, ebbe inizio la ricca collezione di dipinti di scuola veneta descritta da Gualdo jr. a metà Seicento (Gualdo jr., 1972, p. 33). Riferibile al G. è la serie dei ritratti di famiglia e di uomini illustri, incrementata dai discendenti. Gli appartennero con ogni probabilità i rilievi di Donatello ricordati da Gualdo jr. (ibid., p. 10; forse pezzi di bottega acquistati sul mercato padovano), nonché la preziosa collezione di opere del Belli: incisioni in oro, cristallo, madreperla e pietre, fra cui le paci con l'Adorazione dei magi e la Presentazione al tempio, due prove per il cofanetto di Clemente VII conservato al Museo degli argenti di Palazzo Pitti (Puppi, 1972, p. 36 n. 2).
All'interno del giardino, arricchito con gabbie e voliere, il G. collocò capitelli e colonne sottratti al teatro romano di Berga, iscrizioni latine e greche, statue antiche (tra cui un Bacco tradotto da Roma) e moderne: nel gruppo delle commissioni da lui dirette va annoverata una Venere che sferza Amore di I. Sansovino, che il canonico frequentò a Vicenza nel 1538 (Puppi, 1972, p. 52 n. 2). L'attrazione principale del giardino era la fontana monumentale progettata da Bartolomeo Ammannati (ma realizzata dalla bottega del Porlezza), in via di compimento sul finire del 1545, quando il G. sollecitò il padovano Marco Mantova Benavides, committente e ospite dell'Ammannati, affinché permettesse all'architetto di controllare i lavori a Pusterla (ibid., p. 40 n. 1; Puppi, 1995). La fontana, alta circa 13 m e dedicata al genio del luogo e alle Camene, si componeva di una finta grotta praticabile, all'interno della quale divinità marine in pietra spruzzavano acqua, e di una loggia sovrapposta, con finestre sormontate da mascheroni. Dipinta sulla volta e scolpita nel pavimento della grotta era l'impresa personale del G.: un delfino intrecciato a una testuggine con il motto "inter utrumque". Sulla fontana di Pusterla il G. imperniò dieci componimenti delle Rime.
Per l'organizzazione del museo il G. si ispirò al celebrato viridario del cardinale Giuliano Cesarini che aveva visitato a Roma, di esempio e stimolo gli furono le raccolte degli amici Trissino e Belli, quelle della Vicenza nobile (Porto, Valmarana, Chiericati) e, fuori città, la collezione di Marco Mantova Benavides, con il quale è probabile avesse scambi fecondi e una qualche comunità di intenti, come mostra il comune ricorso all'Ammannati.
Per tempo, rimasti privi i fratelli di discendenza maschile, il G. adottò Giuseppe, figlio della sorella Laura e di Vincenzo Brogliani, a condizione che assumesse il cognome Gualdo. Ne favorì gli studi di diritto a Padova, presso il Mantova Benavides, e poi a Roma; nella cedola testamentaria dettata poco prima della morte lo nominò erede universale, obbligandolo a mantenere integra e inalienabile la proprietà di Pusterla.
Il G. si spense a Vicenza il 13 nov. 1566; a un altro nipote, il canonico Giovanni Battista, venne demandata la cura della sua sepoltura nella cattedrale.
Fonti e Bibl.: Vicenza, Biblioteca Bertoliana, Mss., G.5.3.28 (=1907): G. Gualdo jr., Memorie della casa Gualda (1638), cc. 59-63; Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 9278: G.M. Mazzuchelli, Notizie intorno ai Gualdi vicentini, c. 106r; Due lettere del canonico G. G., a cura di A. Biego - L. Biego, Vicenza 1881; N. Basilio, Il Museo Gualdo di Vicenza nei secoli XVI-XVII (1644), Vicenza 1854; G. Gualdo jr., 1650. Giardino di chà Gualdo, a cura di L. Puppi, Firenze 1972, pp. XVIII-XX e ad indicem; G. Marzari, La historia di Vicenza, Vicenza 1604, p. 179; G.M. Crescimbeni, Dell'historia della volgar poesia, IV, Venezia 1730, p. 95 n. 63; P. Calvi (Angiolgabriello di Santa Maria), Biblioteca e storia di quei scrittori così della città come del territorio di Vicenza…, VI, Vicenza 1782, pp. IV-VII; A. Magrini, Notizie di G. G. canonico e fondatore del Museo Gualdo in Vicenza nel secolo XVI, Vicenza 1856; B. Morsolin, Le collezioni di cose d'arte nel secolo decimo sesto in Vicenza, Vicenza 1881, pp. 10-15; F. Lampertico, Scritti storici e letterari, I, Firenze 1882, pp. 159-167; B. Morsolin, Un episodio della vita di Carlo V, in Archivio veneto, XXVII (1884), pp. 306-310; Id., Il concilio di Vicenza. Episodio della storia del concilio di Trento (1537-38), in Atti del R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, s. 6, VII (1888-89), pp. 555, 564, 575-577; Id., G. G., in Arte e storia, VIII (1889), pp. 257 s.; Id., Nuovi particolari sul concilio di Vicenza (1537-38), Venezia 1892, pp. 14 s.; Id., Gian Giorgio Trissino. Monografia d'un gentiluomo letterato del secolo XVI, Firenze 1894, pp. 182-184; Id., Il museo Gualdo in Vicenza, in Nuovo Archivio veneto, VIII (1894), pp. 173-220, 373-440; G.G. Zorzi, Come lo "studio" di Valerio Belli trasmigrò a Trento, in L'Arte, XVIII (1915), pp. 253-257; G. Mantese, Contributo a una storia artistica della cattedrale, in Studi in onore di A. Bardella, Vicenza 1964, pp. 262-264; Id., Il baldacchino dei cardinali legati al concilio indetto a Vicenza…, in Riv. di storia della Chiesa, XVIII (1964), pp. 86 s.; Id., Memorie storiche della Chiesa vicentina (dal 1404 al 1563), III, 2, Vicenza 1964, pp. 810 s.; F. Barbieri, Belli, Valerio, in Diz. biogr. degli Italiani, VII, Roma 1965, pp. 683 s.; L. Puppi, Scrittori vicentini d'architettura del secolo XVI (G.G. Trissino, O. Belli, V. Scamozzi, P. Gualdo), Vicenza 1973, pp. 43 s. e ad indicem; L. Franzoni, Antiquari e collezionisti nel Cinquecento, in Storia della cultura veneta, 3, Dal primo Quattrocento al concilio di Trento, III, Vicenza 1981, pp. 255-259; I. Favaretto, Arte antica e cultura antiquaria nelle collezioni venete al tempo della Serenissima, Roma 1990, pp. 118-121; S. Marconi, Fasolo, Giovan Antonio, in Diz. biogr. degli Italiani, XLV, Roma 1995, pp. 259-262; L. Puppi, Bartolomeo Ammannati a Vicenza, in Bartolomeo Ammannati scultore e architetto 1511-1592, a cura di N. Rosselli del Turco - F. Salvi, Firenze 1995, pp. 79-83; B. Guthmüller, Il movimento delle accademie nel Cinquecento. Il caso di Vicenza, in Quaderni veneti, XXV (1997), passim.