IMPARATO (Imperato), Girolamo
Non si conosce la data di nascita di questo pittore napoletano. Si può supporre, però, che essa debba essere posta intorno alla metà del Cinquecento sulla base dei dati documentari raccolti nel regesto pubblicato da Leone De Castris, cui si rimanda dove non altrimenti indicato (1991, pp. 332 s.). Di non facile definizione risulta essere, inoltre, il percorso formativo dell'artista, sebbene sembri plausibile che egli ricevesse una preliminare educazione dal padre Francesco.
Francesco, nato intorno al 1530 e morto precocemente intorno al 1565 (Ticozzi), è ricordato sporadicamente dalle fonti sei-settecentesche (Lanzi, Celano) e in modo più dettagliato solo dal poco attendibile De Dominici (pp. 148 s.). Secondo questo, Francesco, compiuto il suo tirocinio presso Giovan Filippo Criscuolo insieme con Francesco Santafede, avrebbe intrapreso un viaggio a Venezia al fine di completare soddisfacentemente la propria istruzione nella bottega di Tiziano. Dell'esito favorevole di quell'esperienza sarebbe rimasta conferma nelle numerose commissioni pubbliche e private che salutarono il suo rientro in patria, riferibili purtroppo a opere non individuate o ascritte successivamente dalla critica al figlio.
In mancanza di riscontri documentari non è verificabile il resoconto degli anni giovanili dell'I. fornito da De Dominici (pp. 213 s.).
Questi ne ricordava sia la scoperta della vocazione artistica, dopo un fallimentare avvio allo studio delle lettere, sia l'educazione nell'arte pittorica, condotta sotto il magistero di Francesco Curia dopo i primi ammaestramenti paterni, e completata, grazie a un ignoto benefattore, attraverso il canonico viaggio di istruzione con tappe a Roma, Modena, Parma e Venezia, città in cui l'artista avrebbe stretto amicizia con Jacopo Palma il Giovane. Di fatto, mentre il parziale avvicinamento a Curia denunciato dall'I. nelle opere della maturità non dovrebbe presupporre necessariamente un rapporto di discepolato (Abbate - Previtali), rimangono aperte le ipotesi intorno a una sua esperienza giovanile sia presso Silvestro Buono, con il quale forse collaborò nel 1571 al completamento dell'Assunzione della Vergine nella chiesa napoletana di S. Pietro in Vinculis, sia nella bottega napoletana di Marco Pino, nella cui Circoncisione della chiesa del Gesù Vecchio di Napoli del 1573 veniva individuato un intervento del giovane I. (ibid.; Arte in Calabria…, p. 123), ritenuto anche l'autore della replica di quella stessa pala, già commissionata a Pino per la chiesa del Gesù di Nola nel 1579 (Abbate - Previtali; Barbone Pugliese, pp. 60-62).
Entro l'inizio dell'ottavo decennio si collocano i primi riferimenti documentari, relativi però a opere non rintracciate, attestanti un'attività dell'I. nel Napoletano.
Nel 1573 l'artista ricevette un modesto pagamento di 8 ducati da Ottavio Poderico per pitture da eseguirsi nella loggia del giardino della sua casa; mentre è del 26 ag. 1577 l'impegno con Colantonio Dulcetto per una "cona", destinata a Castelvetere, raffigurante i Ss. Nicola, Urbano e Biagio, nella predella Cristo e i dodici apostoli e nelle cimase Cristo, la Madonna e s. Giovanni. Essa doveva essere realizzata con Giovanni Angelo D'Amato, figura cui l'I. sarebbe rimasto legato per i successivi venti anni, anche se non in modo continuativo, da vincoli di società e compartecipazione.
A questa mal nota produzione iniziale dell'I., la critica ha ricondotto alcune opere, destinate ancora al contesto napoletano e scalabili per ragioni stilistiche tra i tardi anni Settanta e le prove documentate della fine del decennio seguente: i due dipinti per la chiesa di S. Patrizia con la Pietà con i ss. Nicola ed Eusebio (Napoli, Museo nazionale di S. Martino) e la Madonna con i ss. Scolastica, Andrea e Maddalena, ancora in situ, da datarsi sullo scadere dell'ottavo decennio, in cui marcata è la ripresa dagli accreditati prototipi di Silvestro Buono (Leone De Castris, 1991, p. 142); la più matura Madonna delle Grazie con i ss. Sebastiano e Giuseppe per la chiesa di S. Maria della Sapienza, da ritenersi eseguita intorno al 1585; e la probabilmente contemporanea grande pala con la Gloria della Vergine e santi (Napoli, Arciconfraternita dei Bianchi allo Spirito Santo).
In occasione della decorazione del soffitto del monastero di S. Maria Donnaromita, condotta tra il 1587 e il 1590 sotto l'abbadessato di Isabella Capece, l'I. ebbe modo di entrare in diretto contatto con Dirck Hendricksz (Teodoro D'Errico).
Realizzata su progetto dello scultore decoratore Giovanni Andrea Magliulo, l'impresa vide infatti la partecipazione a livello paritetico, come suggeriscono i documenti di pagamento, di Hendricksz, autore delle tre tavole centrali, e dell'I., responsabile tanto delle otto laterali con Storie e miracoli della Vergine e del Battista, per le quali ricevette un compenso di 160 ducati, quanto delle perdute pala d'altare e altre tavole della chiesa, di soggetti non specificati. Il contesto operativo offrì all'artista l'opportunità di aggiornarsi su quella particolare interpretazione del baroccismo, tradotta nella maniera "tenera" del fiammingo, che qui appare già in fieri negli ovati raffiguranti Cristo con il Battista fanciullo, l'Annuncio alla Vergine o il Miracolo con il setaccio (ibid., p. 412).
Dalla maggiore notorietà che l'impresa di Donnaromita dovette arrecare all'I., sembrò derivare un ampliamento degli orizzonti lavorativi dell'artista. Già nel 1588, infatti, l'I. eseguì una Natività per Lucrezia Caracciolo, un'Ascensione per Muzio Delle Pere e una Pietà per il vescovo di Massa Lubrense Giovan Battista Palma, destinata all'altare Cioffi, distrutto nel Settecento, in S. Maria delle Grazie a Massa Lubrense (tutte opere non rintracciate); mentre nel 1591 realizzò, forse in collaborazione con D'Amato (ibid., p. 170 n. 6), l'Annunciazione di S. Maria dell'Olmo a Castiglione Cosentino (proveniente dalla distrutta chiesa locale dell'Assunta), la più antica opera firmata e datata tra quelle note dell'Imparato.
L'ormai raggiunta piena affermazione professionale è attestata dalla nomina, il 7 genn. 1592, a "maestro" e "console" della corporazione dei pittori napoletani, confermatagli l'anno seguente, insieme con Hendricksz e altri. A questa stessa epoca dovrebbe ricondursi il Gesù tra i dottori, firmato, del retablo del monastero di S. Maria de la Vid presso Burgos, spedito in Spagna dal viceré don Juan de Zúñiga conte di Miranda, in cui, insieme con una replica della Visitazione di Federico Barocci della Chiesa Nuova a Roma, l'intervento dell'I. si accompagnava a quelli di Wenzel Cobergher, Fabrizio Santafede e Giovanni Battista Cavagna. Con gli stessi artisti, ma forse con responsabilità superiore, l'I. partecipò alla decorazione, perduta, del soffitto della chiesa napoletana dell'Annunziata. Il 25 febbr. 1594 i quattro ricevettero un acconto di 350 ducati per l'esecuzione dei quattro quadri maggiori con Storie della Vergine, delle quali l'I. si impegnava a eseguire la Presentazione al tempio; sarebbe stato ancora lui a giudicare dei quattro dipinti minori assegnati a D'Amato.
Ancora nel 1594 l'I. firmò e datò il polittico della chiesa del Carmine a Cagliari con la Madonna con Bambino e i ss. Bartolomeo, Francesco, Pietro e Giacomo e, nella predella, una Pietà con sei mezze figure di santi. In quest'opera si palesa la compiuta adesione al baroccismo, che sarebbe rimasta sua nota distintiva nella produzione dell'ultimo decennio del secolo, in una declinazione caratterizzata da vivaci contrasti cromatici di tonalità chiare e cangianti e da tipici panneggi a falde scheggiate (ibid., p. 148), cui afferiscono anche la Deposizione della chiesa napoletana dei Ss. Severino e Sossio, probabilmente coeva, e l'Annunciazione della chiesa del Gesù di Lecce, firmata e datata al 1596.
Allo scadere del secolo si possono ancora ricondurre, tra le opere documentate e reperite, la Madonna del Carmine e i ss. Francesco di Assisi e Francesco di Paola, completata nel giugno del 1598 per la cappella De Gallis nella chiesa napoletana dello Spirito Santo; la Madonna del Rosario con i misteri nella chiesa della Madonna del Lauro a Meta di Sorrento, attribuita all'I. e bottega (identificata con quella retribuita nel marzo del 1599 all'I. e a D'Amato); il Battesimo di Cristo della cattedrale di Massa Lubrense, probabilmente da ricondurre al documento di pagamento del 5 apr. 1599 da parte di Giacomo Liparulo per conto di Simone Perrella.
La piacevole traduzione didattica dei concetti teologici da parte dell'I. dovette anche contribuire, insieme con il consolidamento del prestigio professionale, a farne uno degli artisti privilegiati dalla Compagnia di Gesù, come sembra doversi dedurre ancora dai documenti. Il 22 genn. 1601 l'I. ricevette il saldo di 300 ducati da parte di Pietro Antonio Spinello, preposto della casa professa del Gesù, per una "cona" eseguita per la cappella Carafa al Gesù Nuovo di Napoli e identificata con l'Estasi di s. Ignazio; mentre, ancora per la stessa chiesa, il 5 genn. 1602 il pittore ricevette un acconto da parte del procuratore della casa Alessandro Ferraro per una Natività destinata alla cappella Fornaro (entrambe le opere sono ancora in situ). In questi ultimi dipinti il linguaggio dell'I. lascia trasparire un graduale irrigidimento della gioiosa "verve ideativa" e delle accese estroversioni cromatiche degli anni Novanta, che lo indirizza verso soluzioni più convenzionali, allineate su un generale, coevo ridimensionamento della produzione sacra napoletana sotto la "crescente pressione normativa della richiesta devozionale" e di quel "pragmatismo" facente capo al cantiere della certosa di S. Martino (ibid., p. 148). Così, mentre forse è ancora dei primissimi anni del nuovo secolo, se non della fine del precedente, la tela con l'Allegoria dei sette sacramenti della chiesa di S. Elia a Pianisi nei pressi di Campobasso, sono ormai del primo decennio del Seicento le ultime opere documentate: l'Assunzione della Vergine, già commissionata a Ippolito Borghese e affidatagli nel marzo del 1603 dai protettori del Monte di pietà per il soffitto della chiesa napoletana di S. Maria la Nova, per la quale l'I. avrebbe realizzato, quattro anni dopo, i tre quadri degli altaroli della navata sinistra (Vargas, 1988, pp. 147 n. 28, 150 n. 40); la Circoncisione, commissionata e consegnata nel 1603 ma saldata l'8 ag. 1606 da Nicolò Radolovich (identificata ipoteticamente con il dipinto di analogo soggetto delle raccolte del Banco di Napoli al Museo di Capodimonte); e l'Immacolata, firmata e datata 1607, per la chiesa di S. Raffaele a Vibo Valentia.
A queste opere se ne dovrebbero aggiungere altre, non documentate ma a esse accostabili cronologicamente per ragioni stilistiche e di contesto: il S. Girolamo della chiesa del Gesù di Lecce, le cui componenti, segnatamente il gruppo di edifici collocato sullo sfondo, tornano senza variazioni nel probabilmente coevo Compianto sul Cristo morto della Confraternita del Carmine di Gallipoli; e la Trinità terrestre della chiesa napoletana di S. Giuseppe dei Ruffi, assegnata all'I. da Leone De Castris (1991, p. 149), cui è stato collegato un disegno preparatorio conservato al Gabinetto di disegni e stampe di Copenaghen, eloquente dell'ultima maniera dell'I. (Causa).
Il 9 giugno del 1607 l'I. ricevette da Giovan Lorenzo Pisano il saldo per un quadro per la chiesa napoletana di S. Pietro Martire, identificato con il Martirio del santo sull'altare del transetto destro: ultima opera nota dell'I., che De Dominici (p. 149), seguito da Lanzi, Ceci, Ticozzi, riconosceva erroneamente come una delle prove migliori del padre Francesco. Niente altro è noto dell'artista, che dovette morire poco dopo l'assolvimento di quest'ultimo incarico, poiché il 27 ag. 1607 i protettori del Monte di pietà affidarono a Fabrizio Santafede la tela con la Resurrezione per S. Maria la Nova, già commissionata all'I. quattro anni prima.
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