MACCHIETTI, Girolamo
Figlio di Francesco di Mariotto e di Antonia, nacque a Firenze il 22 febbr. 1535 (cfr. Privitera, 1996, p. 202, opera alla quale si rimanda dove non diversamente indicato).
Il padre del M. risulta iscritto, il 28 giugno 1533, come "scultor e pictor" presso l'arte dei medici e degli speziali; si può ritenere che fosse specializzato nella produzione di effigi e arredi sacri destinati al culto e alla devozione, come indica l'epiteto "del Crocifissaio" riservato di frequente al M. dalle fonti contemporanee (p. 16).
Già nel corso dell'infanzia il M. avrebbe dunque acquisito attraverso il padre i primi rudimenti artistici. Ma, com'ebbe a segnalare la biografia assai affidabile tracciata da Borghini (che certo attinse le proprie dettagliate informazioni direttamente dal M.), il pittore fece il suo apprendistato artistico vero e proprio nella bottega di Michele Tosini, detto Michele Ghirlandaio, nella quale entrò all'età di dieci anni e dove "dimorò parecchi anni" (p. 604). Sempre nel 1545 il M. si iscrisse alla Compagnia di S. Luca, la congregazione religiosa alla quale aderivano gli artisti fiorentini.
Nell'atelier di Tosini (artista di notevole mestiere, accreditato di un sicuro prestigio nella Firenze di metà secolo) il M. strinse amicizia col pittore coetaneo Mirabello Cavalori, in collaborazione col quale quasi certamente tenne bottega nel settimo decennio e, giusta l'indicazione di Vasari, realizzò diverse opere, tutte da considerare perdute (p. 613).
L'ingresso effettivo del M. sulla scena artistica si lega alle imponenti nuove decorazioni pittoriche di palazzo Vecchio dirette da Giorgio Vasari, che ebbero inizio il 28 marzo 1555 dal quartiere degli Elementi e che negli anni avrebbero coinvolto, fra gli altri artisti, Cristofano Gherardi, Marco Marchetti da Faenza, Giovanni Stradano (Jan van der Straet) e lo stesso Tosini.
Dall'aprile del 1555 la sua attività in palazzo Vecchio è documentata dai libri contabili delle fabbriche medicee, che registrano con continuità i pagamenti al M. sino al 9 luglio 1558. Questi risultano crescenti nel tempo e più alti rispetto a quelli degli altri giovani artisti coinvolti nell'impresa come aiuti, indice di una superiore considerazione e forse anche di un incarico di maggiore responsabilità riservato al M.: di ciò è peraltro difficile trovare riscontro negli affreschi (caratterizzati dalla marcatissima omogeneità stilistica impressa da Vasari), nei quali non è dato distinguere brani riferibili con sicurezza al suo intervento. Fa eccezione, forse, il riquadro con Cosimo rivela a Santi Bentivoglio la sua origine nella sala di Cosimo il Vecchio (le cui decorazioni pittoriche, celebrative delle gesta e delle virtù del pater patriae, furono avviate al principio di giugno del 1558) che, senza tradire lo stilema vasariano, sembra presentare affinità stilistiche puntuali con altre opere giovanili del M. (pp. 91, 202; Privitera, 1989, pp. 82 s., 91). Dal 17 nov. 1557 i compensi al M. riguardano anche l'esecuzione di cartoni per arazzi destinati alle pareti delle sale di Giove e di Ercole, nel quartiere degli Elementi, che gli erano stati commissionati da Vasari: sette di essi costituivano il materiale preparatorio per una serie di Storie di Giove, altri sette per una serie di Storie di Ercole e altri due raffiguravano rispettivamente le imprese del capricorno e della testuggine. Il M. ultimò tale impegno entro il 1( dic. 1558, data in cui risulta la consegna da parte sua di tutto il lavoro e il suo credito dell'arazzeria medicea per una cifra complessiva di 124 lire e 8 soldi. L'unico arazzo ancora esistente fra quelli realizzati su disegno del M. è considerato l'Ercole vince i centauri alle nozze di Ippodamia, conservato nel Museo degli argenti di Firenze, che appare congruo rispetto alle testimonianze grafiche contemporanee dell'artista: nell'opera si combinano l'accentuato dinamismo delle posture, la distinzione e levità del tratto e una complessità e varietà della composizione ai limiti del compiacimento formalistico. In questo caso il M. sembra guardare soprattutto agli esiti più virtuosistici di Francesco Salviati (Francesco De Rossi) e solo in subordine a Vasari e al Bronzino (Angiolo Tori).
Il Riposo di Borghini, unica tra le fonti, reca testimonianza di un lungo soggiorno romano del M. (p. 604). Su tale permanenza, da situare al principio del settimo decennio, non sussiste alcun elemento documentario e nemmeno si conservano opere pittoriche o grafiche la cui esecuzione possa essere ricondotta con sicurezza a quel tempo. È noto, invece, che il M. lavorò a Urbino nel 1560 (con ogni probabilità subito prima del soggiorno romano), impegnato in un ciclo di affreschi con scene di battaglia e probabilmente grottesche nel distrutto palazzo Albanini (p. 202). Nel 1563 il M. era tornato certamente a Firenze, giacché il 23 maggio (a quanto risulta, per la prima volta) pagò la tassa di una lira all'Accademia del disegno, contribuzione che ripeté il 18 ottobre e che in seguito avrebbe rinnovato con un certo scrupolo sino alla fine dei suoi giorni. È ancora Borghini a segnalare una commissione ottenuta dal M. poco dopo il suo rientro in Firenze: il disperso dipinto raffigurante Cristo in gloria con i ss. Giovanni Battista e Caterina d'Alessandria eseguito per Francesco Lioni.
Per quanto si può evincere dal probabile disegno preparatorio, oggi in collezione privata (ripr., p. 94), l'impostazione compositiva della piccola pala, destinata alla cappella privata di una villa di campagna, risultava sin quasi schematica nella sua simmetria e chiarezza, richiamandosi in termini espliciti ai grandi modelli fiorentini del primo Cinquecento di fra Bartolomeo (Bartolomeo di Paolo) e Andrea del Sarto (Andrea d'Agnolo). Può essere invece valutato come un frutto diretto del periodo trascorso a Roma, e dello studio approfondito della plastica antica, l'olio su tavola raffigurante Gli abitanti di Andros (ubicazione sconosciuta: ripr., pp. 96 s.), di cui esiste un bel disegno preparatorio all'Ashmolean Museum di Oxford. Si tratta di una traduzione visiva, di raffinata e un poco estenuata calligrafia antiquariale, della descrizione dell'isola del vino presente nelle Imagines di Filostrato. In essa il M. fa ampio e puntuale ricorso alla memoria di alcune delle più celebrate statue classiche che si potevano ammirare nelle raccolte romane (p. 25), mostrando altresì una speciale attenzione nei confronti dell'aggraziato raffaellismo di Perin del Vaga (Pietro Buonaccorsi) e dell'eleganza sprezzata del Parmigianino (Francesco Mazzola). Tali caratteri possono essere riscontrati in altri dipinti che il M. dovrebbe avere eseguito tra la metà e la fine degli anni Sessanta: la Sacra Famiglia con s. Giovannino, in collezione privata (ripr., p. 99); il piccolo tondo con Venere e Adone della Galleria Palatina di Firenze; le due versioni in tutto analoghe di Adamo ed Eva, rispettivamente in collezione privata (ripr., p. 102) e nella collezione Berwick a Attingham Park, nello Shropshire (ripr., p. 103). Possono essere considerate come indici dell'aggiornamento del M., nel senso della variegata cultura figurativa romana postraffaellesca, anche la monumentale e sontuosa Proserpina del Museo della Ca' d'Oro di Venezia e la Madonna col Bambino e s. Anna del Museo di belle arti di Budapest, che guarda originalmente sia a Giulio Romano sia ad Andrea del Sarto.
Nel 1564 tanto il M. quanto l'amico Cavalori furono coinvolti nella prima grande impresa collettiva realizzata dall'Accademia del disegno di Firenze: i lavori di allestimento degli apparati celebrativi che dovevano accompagnare, nella chiesa di S. Lorenzo, i funerali di Michelangelo.
Il programma di glorificazione dell'artista, che si combinava con una sorta di trionfo mediceo, fu predisposto da Borghini. Punto culminante delle decorazioni era il catafalco progettato da Vasari, completamente adornato di statue allegoriche e istoriato con un ciclo di dipinti monocromi imperniati sulla vita di Michelangelo. L'esecuzione di uno dei monocromi fu affidata al M. e a Cavalori, i quali raffigurarono "il Magnifico Lorenzo vecchio de' Medici che riceveva nel suo giardino Michelagnolo fanciullo" (Vasari, p. 298).
L'anno successivo l'Accademia del disegno fu ancora coinvolta massicciamente in un grandioso impegno decorativo legato a un evento pubblico particolarmente spettacolare: le nozze di Francesco I de' Medici con Giovanna d'Asburgo.
Fu nuovamente Borghini, in quegli anni vero deus ex machina della politica culturale medicea, a elaborare la sceneggiatura e a coordinare la regia iconologica dell'articolatissimo cerimoniale, suddiviso in una lunga serie di manifestazioni della durata complessiva di oltre due mesi. Da varie lettere che inviò a Cosimo I e al soprintendente ai lavori Giovanni Caccini, si coglie come Borghini promovesse con discrezione ma convintamente il M. e Cavalori, spendendosi a più riprese affinché venissero coinvolti nell'impresa. Le principali descrizioni contemporanee degli apparati nuziali indicano che il M. eseguì un dipinto monocromo raffigurante la Fondazione del monastero di Monte Oliveto per uno dei tredici archi trionfali predisposti lungo le strade di Firenze, in occasione della solenne accoglienza di Giovanna d'Austria (tutte le opere realizzate nella circostanza sono andate perdute).
Nella seconda metà degli anni Sessanta il M. e Cavalori poterono giovarsi anche dell'appoggio autorevole di Benvenuto Cellini. Nel testamento da lui dettato nel 1565, infatti, questi espresse la volontà che Cavalori dipingesse una pala destinata al proprio monumento funebre. Pochi anni dopo, fu sempre Cellini a intercedere col senatore Pandolfo Della Stufa affinché commissionasse al M. gli arredi pittorici della cappella di cui era titolare, situata nel transetto destro della chiesa fiorentina di S. Lorenzo.
L'Adorazione dei magi fu il primo dipinto di soggetto religioso con una destinazione ecclesiastica pubblica cui il M. si trovò ad attendere. La prestigiosa commissione fu definita il 31 ag. 1567 e l'accordo comprendeva sia la tavola d'altare sia gli affreschi della volta e delle pareti della cappella per una cifra complessiva di 250 scudi. La pala era già ultimata nel marzo del 1568, quando, a seguito della morte di Della Stufa, i parenti si rivolsero a Cellini perché stimasse il valore del dipinto, rinunciando alla realizzazione degli affreschi. Il 16 settembre successivo lo scultore espresse la sua valutazione del lavoro compiuto dal M., quantificandone il compenso nella somma di 80 scudi d'oro. Da quest'ultimo atto (pp. 210 s.) si ricava come da principio il dipinto d'altare dovesse raffigurare un'Orazione nell'orto, soggetto per il quale il pittore ebbe anche a predisporre alcuni disegni preparatori perduti. L'Adorazione dei magi si presenta come un esito, piuttosto inconsueto nel corpus di opere del M., di sostanziale ortodossia vasariana appena temperata dell'influsso del Parmigianino e di Francesco Salviati.
Infine, dall'inventario dei beni di Cellini redatto nel febbraio 1571 subito dopo la sua morte, risulta che il M. aveva da anni la propria bottega in un ambiente preso in affitto dallo scultore, per una cifra di poco superiore ai 31 scudi annui (p. 204), dove ancora si trovava nel maggio del 1578 (p. 206). Il 26 ott. 1568 il M. s'iscrisse all'arte dei medici e degli speziali; mentre all'incirca un anno più tardi fu console dell'Accademia del disegno, carica della durata di sei mesi che gli fu rinnovata in altre circostanze. D'accordo con la sequenza delle opere indicata da Borghini, l'esecuzione della Madonna della cintola e santi, per la chiesa fiorentina di S. Agata, dovrebbe situarsi subito dopo la pala di S. Lorenzo, tra la fine del settimo e l'inizio dell'ottavo decennio.
Di impianto compositivo solidamente centralizzato e decisamente tradizionale, la Madonna della cintola è caratterizzata da una speciale ricercatezza luministica ed esibisce una fluidità di disegno e un'intensità di espressioni che trovano il loro ideale punto di riferimento nel modello pontormesco, sin qui rimasto piuttosto latente nell'arte del Macchietti.
Proprio al principio degli anni Settanta il M. fu coinvolto in quella che deve essere considerata l'impresa collettiva più significativa della pittura fiorentina nella seconda metà del secolo: lo studiolo di Francesco I in palazzo Vecchio. A tale cimento il M. contribuì con due opere, destinate a rimanere tra le sue più riuscite e celebrate: lo sportello con Medea che ringiovanisce Esone e l'olio su lavagna raffigurante le Terme di Pozzuoli.
Fu sempre Borghini il responsabile della minuziosa e concettosissima elaborazione programmatica della decorazione dell'ambiente, mentre ancora una volta fu Vasari a dirigere i lavori. Non è dunque sorprendente che, dei ventitré pittori chiamati a compiere il raffinato progetto, il M. sia stato tra quelli cui venne assegnata l'esecuzione di più di un'opera. Tutti gli artisti impegnati espressero il massimo delle loro possibilità nello studiolo del principe, cercando di dimostrare appieno la completezza del proprio repertorio tecnico ed espressivo, d'accordo sia con i canoni estetici fiorentini sia col gusto sofisticato e composito di Francesco I. Nella Medea che ringiovanisce Esone, soggetto tratto dalle Metamorfosi di Ovidio, il M. diede prova tangibile della sicurezza e precisione, ma anche della grazia e scioltezza, della sua linea disegnativa, della sua profonda cultura antiquariale, della sua equilibrata verve compositiva e delle sue virtù di paesaggista. Rispetto a questo dipinto, nel riquadro con le Terme di Pozzuoli risaltano ancor più la padronanza anatomica (esaltata dalle variegate rappresentazioni di nudo maschile), la sofisticata calibratura dell'invenzione, l'accuratezza prospettica, la fantasia architettonica, il senso scenografico astratto e quasi metafisico. Si ritrovano qui, pienamente metabolizzati, i referenti cruciali della pittura del M.: Andrea del Sarto, il Pontormo (Iacopo Carucci), il Parmigianino e anche il Rosso Fiorentino (Giovanni Battista di Iacopo).
Appena successiva alle opere per lo studiolo fu la realizzazione dell'altro vertice riconosciuto della produzione del M., il Martirio di s. Lorenzo in S. Maria Novella (seconda cappella della navata destra), di cui Borghini ebbe a dire "non solo è questa opera la migliore che habbia fatto Girolamo; ma delle migliori pitture etiandio che da' moderni fatte si veggano" (p. 605).
Una prima lettera di Borghini a Vasari, datata 9 genn. 1573, consente di desumere che in quei giorni il M. era alacremente al lavoro per il dipinto di S. Maria Novella; una seconda, del 23 maggio seguente, rende noto che la pala era stata inaugurata da pochi giorni (p. 55). Titolare della cappella era Girolamo Giuochi, del quale nel dipinto si può apprezzare il ritratto insieme con la consorte, giusto al di sopra del santo disteso sulla graticola. Il Martirio di s. Lorenzo aggiunge alcune importanti note al repertorio del M.: in primo luogo, è in esso chiaramente percepibile la suggestione compositiva e coloristica di modelli veneziani (soprattutto Tiziano e Paolo Veronese), forse studiati direttamente nel corso di un possibile recente soggiorno in laguna; inoltre, nelle fisionomie e nelle espressioni di molti dei volti che occupano i piani principali dell'affollata composizione si affaccia un nuovo gusto più immediatamente realistico di impronta nordica.
Da una nota contenuta in un registro dell'Accademia del disegno risulta che nel giugno del 1573, subito dopo aver ultimato la pala per S. Maria Novella, il M. si trasferì per quindici mesi a Parigi (Hall, p. 74). Nulla è noto delle ragioni di tale permanenza, né di qualsivoglia attività svolta dal pittore in quel periodo. Di certo, nel 1575 egli era di nuovo attivo a Firenze per alcune commesse di rilievo.
Innanzi tutto, con ogni probabilità entro il 1576 fu impegnato, per conto della locale Confraternita di S. Michele, a realizzare la parte pittorica del monumentale tabernacolo della chiesa di S. Michele in Pontorme, presso Empoli. L'opera prevedeva ai lati del grande ciborio due pannelli raffiguranti S. Michele Arcangelo e S. Giovanni Battista, nonché la predella, la cui esecuzione fu largamente demandata alla bottega. Tutta la struttura si rifaceva esplicitamente all'illustre precedente del Tabernacolo del Sacramento realizzato da Francesco e Raffaello Botticini sul finire del XV secolo per l'altare maggiore della collegiata di Empoli.
In contemporanea coi lavori per Pontorme, il M. attese alla realizzazione di un importante complesso che lo vide all'opera anche nelle vesti di architetto: la cappella appena ottenuta in concessione dalla famiglia Risaliti nella chiesa di S. Croce, comprensiva della perduta pala d'altare raffigurante la Trinità.
La cappella Risaliti fu smantellata nel 1869; ma già dal 1592 la pala del M. era stata sostituita sull'altare dai frati francescani con una di analogo soggetto dipinta dal Cigoli (Lodovico Cardi). La commissione al M. era stata decisa da Tommaso Risaliti, il quale, pur fiorentino di natali, risiedeva a Napoli (donde, di lì a pochi anni, avrebbe avuto nuovamente occasione di richiedere al pittore i suoi servigi). Del lavoro del M. resta la testimonianza di un disegno a penna (oggi al Gabinetto dei disegni e stampe degli Uffizi) che illustra con una certa cura anche il raffinato progetto architettonico.
Nel corso del 1576 il M. ricevette la commissione di un'altra pala d'altare per la chiesa del Carmine, che doveva rappresentare l'Assunzione della Vergine.
A ordinare il dipinto fu il notaio Matteo Bruneschi, il quale nel gennaio di quell'anno aveva ottenuto il patronato di una cappella della chiesa. L'opera del M., stimata assai favorevolmente dai contemporanei, andò distrutta nell'incendio subito dalla chiesa nel 1771.
Nei mesi di maggio e settembre dello stesso 1576, e di nuovo il 23 settembre dell'anno successivo, il M. ricevette tre acconti relativi a una pala da collocare sull'altare della cappella battesimale del duomo di Pisa (pp. 205 s.).
I documenti non esplicitano quale fosse il soggetto del dipinto e nemmeno chiariscono se la pala sia stata effettivamente ultimata e consegnata, ovvero se sia andata perduta successivamente, per esempio nell'incendio del 1595. Di essa, in ogni modo, non si trova traccia nella letteratura dell'epoca.
Furono certamente concluse poco prima di un lungo trasferimento del M. a Napoli, avvenuto nel 1578, altre due opere di destinazione ecclesiastica.
D'accordo con la sequenza cronologica indicata da Borghini (pp. 605 s.), la prima di esse fu la Gloria di s. Lorenzo per la collegiata di S. Andrea a Empoli, commissionata dalla locale Confraternita di S. Lorenzo e posta in opera sull'altare della cappella dedicata al santo il 2 nov. 1577. Due confratelli, evidentemente i principali committenti dell'opera, sono ritratti dal M. inginocchiati ai piedi del santo, a grandezza naturale e in modo spiccatamente realistico. Ma il dipinto, che presenta un'impaginazione decisamente essenziale, è tutto imperniato sulla figura monumentale del santo martire, circondato da un vortice di angeli che lo incoronano e lo sospingono verso il cielo. Ancora più a ridosso del viaggio napoletano, fra la fine del 1577 e l'inizio del 1578, si dovrebbe situare l'esecuzione della Crocifissione con la Vergine e santi per la chiesa del Carmine a Pisa, nella quale il M. optò per una composizione sorprendentemente elementare, pianamente simmetrica, che sembra il frutto di una presa di distanze esplicita dalla cultura figurativa manieristica e di un impulso montante in favore di un registro espressivo più naturale, castigato e raccolto.
Fra l'estate del 1578 e quella del 1583 il M. visse e fu attivo a Napoli, forse chiamato da Tommaso Risaliti che fu dapprima il probabile committente della perduta pala con Cristo e la samaritana al pozzo per la chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini e poi, nel 1580, gli fece eseguire l'Incredulità di s. Tommaso nella chiesa di S. Chiara.
La pala d'altare, oggi gravemente deperita, trovò posto nella cappella dei Regi Depositi, dove Risaliti aveva fissato il proprio sepolcro e dove essa è posta tuttora. Fu consegnata e saldata entro l'inizio di settembre del 1580 (p. 211). Pur risultando che il periodo trascorso dal M. in Meridione non fu povero di realizzazioni, è questa l'unica opera certamente autografa che di lui si è conservata. Altre sette pale d'altare dipinte dal M. per chiese di Napoli, Benevento, Buonalbergo e Messina, tutte puntualmente registrate da Borghini (pp. 606 s.), sono infatti andate distrutte, rendendo impossibile un bilancio artistico di tale lungo passaggio della sua attività.
Entro l'estate del 1583 il M. doveva aver fatto ritorno a Firenze, poiché il 14 agosto fu presente a un'assemblea dell'Accademia del disegno. Nel 1584 partecipò alla realizzazione di un ciclo di ritratti, voluto da Francesco I e ispirato da un chiaro intento di celebrazione dinastica, da collocare nel corridoio di levante della Galleria degli Uffizi.
Il ciclo si compose di ventidue ritratti di membri prestigiosi della famiglia dei Medici. Nella sua esecuzione vennero coinvolti dodici pittori, tra i quali Alessandro Allori, Giovanni Battista Naldini, il Poppi (Francesco Morandini) e Santi di Tito. Il M. collaborò con due ritratti, calligrafici nella fattura e convenzionali nelle pose e nelle espressioni, che consegnò alla Guardaroba medicea l'11 febbr. 1585: quello di Alessandro de' Medici - per il quale s'ispirò a un ritrattino eseguito dal Pontormo, oggi all'Art Institute di Chicago - e quello di Lorenzo il Magnifico (entrambi sono conservati nel Deposito delle Gallerie fiorentine).
Sul finire del 1586 il M. si trasferì a Madrid, dove, grazie a una lettera di presentazione di Francesco I, al principio dell'anno successivo fu ricevuto da Filippo II.
Come riferisce una missiva scritta dal M. al granduca il 7 marzo 1587 (p. 211), egli recò in dono al re di Spagna alcuni ritratti di uomini illustri, nonché "alcuni ingegni che io li mostrai in modelli partoriti dalla mia fantasia".
L'11 sett. 1588 il M. era certamente rientrato a Firenze. Al 1589 risale il suo ultimo impegno pittorico documentato, in collaborazione con l'aiuto Bernardino Monaldi.
Si tratta di una tela raffigurante la Battaglia di Lepanto, parte degli apparati decorativi che il 30 aprile accompagnarono il matrimonio fra Ferdinando I, granduca di Toscana, e Cristina di Lorena. Del dipinto, perduto, rimane la testimonianza di un'incisione contenuta nella Descrizione del regale apparato scritta da Raffaello Gualterotti e data alle stampe nello stesso 1589 (p. 176).
Non andò invece a buon fine la candidatura che il M. avanzò, pure nel 1589, per il progetto della nuova facciata del duomo di Firenze (indice di un interesse per l'architettura di cui si trova qualche segno nell'attività matura dell'artista); e nemmeno, nel novembre del 1591, quella per far parte della squadra di tre pittori incaricati di decorare un soffitto dell'Accademia del disegno.
Com'è riportato dai registri della stessa istituzione, il M. morì a Firenze il 3 genn. 1592 e fu sepolto nella cappella dei pittori della chiesa dell'Annunziata.
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite( (1568), a cura di G. Milanesi, Firenze 1906, VII, pp. 298, 613; VIII, p. 619; R. Borghini, Il riposo, Fiorenza 1584, pp. 604-607; F. Baldinucci, Notizie de' professori del disegno (1681-1728), a cura di F. Ranalli, III, Firenze 1974-75, pp. 37 s., 507-510; H. Voss, M., G., in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, Leipzig 1929, pp. 506 s.; L. Marcucci, G. M. disegnatore, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, VII (1955), pp. 121-132; M. Hall, Renovation and Counter-Reformation, Oxford 1979, pp. 72-75, 95-97, 134-136; J. Spalding, Two Florentine altarpieces by G. M., in Pantheon (München), XLII (1984), pp. 367-369; M. Privitera, G. M. tra palazzo Vecchio e S. Lorenzo, in Paragone, XL (1989), 467, pp. 79-94; Id., G. M. a Napoli, in Arte. Documento, 1990, n. 4, pp. 112-119; Id., G. M.: un pittore dello studiolo di Francesco I, Roma 1996; R.C. Proto Pisani, Per G. M.: il restauro della "Gloria di san Lorenzo" della collegiata di S. Andrea a Empoli, in Arte, collezionismo, conservazione, a cura di M. Chappell, Firenze 2004, pp. 421-426.