MANFREDI, Girolamo
Appartenente, secondo quanto scrisse nel frontespizio di due opere a stampa, a una nobile casata di origine ferrarese, nacque a Bologna intorno al 1526, forse da un Vincenzo ricordato in Pasquali Alidosi.
La data si ricava da una lettera apologetica, finora trascurata, con cui il M. accompagnò il libello Responsum pro patre ex iniusta causa querelato, carcerato et iniurato scritto dal figlio Dionigi e pubblicato nel 1596 per difendere il padre dall'accusa di avere infamato un uomo durante un processo civile. Non è chiaro se la famiglia avesse legami di parentela con quella dell'omonimo filosofo e medico vissuto nel XV secolo, ma è certo che deve essere scartata la notizia (riportata in alcune cronache già smentite da Fantuzzi) che ne colloca la nascita nel 1510, così come è privo di informazioni affidabili il profilo di Ughi, che ha ingenerato confusione tra la vita e l'opera del M. e quelle di Alberico Manfredi, entrambi giuristi.
Secondo Pasquali Alidosi, il M. si addottorò in utroque iure a Ferrara il 14 ott. 1550, ma è probabile che abbia studiato a Bologna, tanto più che nella dedica del II libro Super attentatis (1563) egli dichiara di avere avuto come maestro il canonista Agostino Berò, che negli anni Quaranta lesse diritto nell'Università felsinea.
La prolifica attività di estensore di testi giuridici e di funzionario dello Stato pontificio iniziò subito dopo la laurea e portò il M. a ricoprire alcune cariche e magistrature grazie anche all'appoggio di cardinali, governatori e prelati a cui dedicò le numerose edizioni e riedizioni delle sue opere.
Da un causa discussa alla Rota bolognese scaturì il Liber super attentatis appellatione pendente (Bologna, G. Rossi, 1562). L'opera è dedicata ad Alfonso II d'Este, duca di Ferrara, e a Pietro Donato Cesi, vescovo di Narni e legato a Bologna, lodato anche per avere gestito con efficienza la provvista annonaria della città. Il testo, costruito in forma di dialogo, è diviso in undici parti e si chiude con tre consulti sulla materia: di Antonio Gessi, di Antonio Galeazzo Malvezzi e del M. stesso. L'opera venne continuata l'anno seguente con un Liber secundus (Bologna, G. Rossi), più breve, dedicato al cardinale Ludovico d'Este e organizzato in oltre trecento secche conclusioni. Il primo libro, ripubblicato nel 1573, fu incluso più tardi nel Tractatus universi iuris (V, Venetiis 1584).
Nel 1564 il M. pubblicò la sua opera più celebre e la prima di una serie sul tema: il De cardinalibus Sanctae Romanae Ecclesiae liber (Bologna, G. Rossi).
Dedicata ai membri del Collegio cardinalizio, e soprattutto a Ippolito d'Este (un particolare che attesta i rapporti dell'autore con Ferrara), l'opera traccia in 35 capitoli una storia del cardinalato allo scopo di difendere l'istituto dai nemici della Chiesa e del Papato. Il cardinalato, sostiene il M., fu fondato da Cristo con la missione affidata agli apostoli, che erano anche sacerdoti e vescovi, ed era stato prefigurato nell'Antico Testamento con la figura dei levitici. Il Collegio cardinalizio, nella gerarchia della Chiesa, è secondo solo al papa come sua "pars corporis" (p. 15); e i suoi compiti sono "l'administratio totius Ecclesiae", la "tractatio omnium maiorum causarum Ecclesiae" e la risoluzione di tutte le controversie di fede. Il M., dunque, esalta il cardinalato a spese dei poteri del concilio e dell'autorità degli ordinari diocesani; pertanto è necessario che il papa elevi alla porpora, tra gli altri, uomini di grande fama letteraria, di santità e di cultura, e che doti ciascuno dei principi della Chiesa di rendite congrue, da usarsi comunque con parsimonia e con carità. Il M. si dilunga sui meccanismi di elezione del pontefice, condannando (ma blandamente) gli accordi per fazioni e per nazioni, ed elenca i poteri dei cardinali in caso di sede vacante o di gravi mancanze da parte del papa. Qualora incombano pericoli per la Chiesa e specialmente con il dilagare di eresie o in occasione di scismi, se il papa non interviene, sono i cardinali a dovere agire, così come a loro, più che ai sovrani, spetta la convocazione di un concilio. Ai capitoli seguono 392 decisioni, organizzate per argomenti: una minuta serie di autorità canonistiche e storiche che affronta anche argomenti spinosi, come il caso di imputazione di un cardinale eretico (CLXXXII) o l'eventualità di un papa eretico (CCCXXIX), la cui condanna spetterebbe comunque al concilio (CCCLXXX). Il M. riporta il parere di autori a lui precedenti, ma non cita il trattato di P. Cortesi, scritto circa sessant'anni prima, tracciando il profilo del cardinale come zelante funzionario e uomo di Chiesa e inaugurando così, insieme con Giovanni Gerolamo Albani e con Fabio Albergati, la serie dei trattati controriformistici sul tema. L'opera fu inclusa nel Tractatus universi iuris (XIII, 2, cit.).
Il 4 febbr. 1567 Pio V nominò il M. auditore generale nelle cause civili a fianco di Annibale Grassi, vicelegato in Romagna. L'anno successivo lo promosse alla carica di governatore di Ravenna (23 giugno 1568), sostituito il 30 genn. 1569 da Monte Valenti, già presidente di Romagna. A Valenti e a Pio V il M. dedicò un testo rimasto manoscritto e conservato alla Biblioteca Classense di Ravenna (cod. 236): Ad foelicitatem Montis Vallentii prothonotarii apostolici almaeque Urbis praefecti, opusculum in quo gesta et mores officiorum eius copiose disseruntur. Databile al 1569, il testo ripercorre la carriera di Valenti fino alla presidenza di Romagna e ricorda che in quella carica beneficò Ravenna, di cui era in quel momento governatore, secondo "quae libro primo nostro scripsimus". Non si comprende a quale opera il M. faccia riferimento, ma è certo che negli anni successivi di lui ci è nota solo l'attività di consultore e di estensore di pareri giuridici a stampa.
È del 1575 il Responsum in quo species contraventionum centum explicantur, o Responsum pro uxore, in quo materia contraventionum copiose explicatur (Bologna, P. Bonardi). Parte di questo parere è quello dedicato a Fabio Mirto Frangipani, allora governatore di Bologna, e intitolato Responsum pro uxore in causa ardua, al quale, nella copia conservata alla Biblioteca universitaria di Bologna, è legato un Responsum pro filiis in causa ardua e un Responsum tertium in quo iurisdictio iudicis, quo ad alium iudicem sive maiorem sive minorem concessa copiose explicatur. L'ultimo dei pareri fu scritto poco dopo che il M. lasciò la carica di governatore di Ravenna, e vivo Pio V, e dunque precedette la stesura degli altri Responsa. Per di più tratta di una materia diversa - cioè dei poteri di governo delle magistrature di Romagna, e in particolare della carica di auditore - e corrisponde forse a un Responsum in quo de iurisdictione ac potestate legati sive praesidis in Flaminia, quo ad praefectos civitatum, quando privative, quando cumulative, in quibus casibus concessa, carptim explicantur, che, secondo Fantuzzi, fu edito nel 1586 a Cesena per i tipi di Raverio. Agli anni di Gregorio XIII, nei quali non risulta che il M. abbia ricoperto cariche di rilievo, risalgono anche un Consilium pro socero, uxore, et filiis (Bologna, P. Bonardi, 1582) e un Responsum de meo et tuo, senza data né luogo di stampa, conservato alla Biblioteca universitaria di Bologna. L'opuscolo tratta il tema della restituzione e del furto, ma si occupa anche di confessione sacramentale.
Negli ultimi anni del pontificato di Gregorio XIII il M. pubblicò opere di maggiore respiro, forse per facilitare l'assegnazione di nuovi incarichi nelle magistrature pontificie, e diede alle stampe il De Christiana religione principis summarium o Speculum Christiani principis (Bologna, P. Bonardi, 1581), dedicando l'opera (ben poco originale) al generale della Chiesa Giacomo Boncompagni. A Francesco Maria II Della Rovere, duca di Urbino, offrì invece un De maiestate S.R.E. et victoriis contra omnes mundi hereses summarium (s.n.t. [ma 1584]): un breve e confuso catalogo di eresie a cui fece seguire una seconda parte (Bologna 1584). Sempre nel 1584, con una dedica a Gregorio XIII e al Collegio cardinalizio, il M. diede alle stampe un De perfecto cardinali S.R.E. liber (Bologna, P. Bonardi). Il testo è una sorta di continuazione del trattato del 1564, anche se la struttura è di altro genere: all'analisi giuridica e storica, infatti, si sostituisce un'astratta riflessione morale, e l'opera - scritta in un ampolloso stile ciceroniano - si compone di 32 capitoli sulle virtù da coltivare e sui vizi da schivare per rendere onore alla prestigiosa veste dei principi della Chiesa.
Con l'elezione di Sisto V, il M. ottenne nuovi incarichi, forse grazie a un precedente legame di clientela che non è facile ricostruire. L'8 luglio 1585, pochi mesi dopo l'ascesa al trono di Pietro, il pontefice lo nominò governatore di Cesena "pro tua virtute doctrina et integritate" (Arch. segreto Vaticano, Segreteria dei brevi, reg. 113, c. 340v) e il 12 luglio 1586 governatore della città di Faenza. Per ringraziare il papa, il M. dedicò al cardinal nipote Alessandro Peretti un trattato sulla gestione del pauperismo, il Responsum pro pauperibus et egenis (Bologna, V. Benacci, s.d.) e a Sisto V stesso, ma anche ai cardinali Michele Bonelli e Girolamo Rusticucci, un De summo Romano pontifice summarium (Cesena, B. Raverio, 1586). Pur senza farsi sostenitore della tesi della potestas absoluta, il M. vi esaltò le prerogative papali nelle materie spirituali e temporali, tracciando una storia del potere politico da Adamo in poi, con molti riferimenti ai classici antichi. Come un esplicito omaggio a Sisto V è da intendersi anche la Vita Pii V pontificis maximi (Cesena, B. Raverio, 1586), in cui il M. celebrò la vicinanza ideologica tra il pontificato di Ghislieri e quello di Peretti, impegnati entrambi nella lotta al nepotismo e ai nemici di Roma, senza però trattare della politica inquisitoriale. Sempre a Sisto V, e ai cardinali Rusticucci e Decio Azzolini, il M. dedicò nello stesso anno il De perfecto praelato in Ecclesia Dei summarium (Cesena, B. Raverio). L'opera, la terza sul tema del cardinalato, è divisa in due parti, che trattano rispettivamente dei doveri del prelato nella vita attiva e di quelli nella vita contemplativa e religiosa. Il cardinale, non più concepito come membro di un Collegio, vi appare come un funzionario pontificio a cui non è più richiesto alcun attributo principesco, tanto meno una vasta cultura, concepita quasi come un pericolo. Il testo si conclude con una dedica a F.M. Frangipani e a Giampiero Ghislieri, entrambi legati a Lucerna. Pochi mesi dopo, il 1 ag. 1587, il M. inviò in dono al cardinale Enrico Caetani un'altra opera. Si trattava, forse, dell'Epistolarum liber (Cesena, B. Raverio).
Il testo, dedicato ancora una volta a Sisto V, metteva insieme una serie di lettere prive di bersagli controversistici diretti, ma tutte stilate per affrontare, con mediocri argomenti teologici, la materia dell'eresia e la dottrina del libero arbitrio (del resto, Gabriele Paleotti aveva benevolmente rimproverato la superficialità dottrinale del M. quando questi gli aveva inviato il De cardinalibus nel 1564). In appendice segue il vero e proprio Sermo in hereticos, de libero hominis arbitrio, rivolto a un fantomatico eretico reo di attaccare il libero arbitrio. L'opera circolò a sé con il titolo di Opusculum in hereticos. De libero hominis arbitrio. Pars prima (Cesena, B. Raverio, 1587). Non risulta invece che sia mai stata stampata la terza parte dell'opera, un arido catalogo delle discordanze dottrinali che il M. aveva riscontrato negli scritti dei protestanti, soprattutto in tema di battesimo e di eucaristia, che è conservato manoscritto nella Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 5498, con il titolo, fuorviante, di Tractatus contra ugonottos pars tertia (cc. 80).
Negli anni in cui papa Peretti attuava la riforma delle congregazioni della Curia pontificia, il M. tornò sul tema del cardinalato abbreviando il testo del 1564 (Bologna, F. Bonardi, 1588), e stilando un breve Responsum in quo nomina, quae a iure divino, pontificio, caesareoque dd. cardinalibus S.R.E. imposita sunt, carptim explicantur (Cesena, B. Raverio, 1587), dedicato a Rusticucci e al decano del Collegio cardinalizio Alessandro Farnese. L'operetta, in cui è citato il De cardinalatu di Albani, attacca una prammatica spagnola che aveva definito i cardinali iberici vassalli della Corona, esaltando la libertà dei principi della Chiesa, soggetti solo all'autorità del pontefice. Lasciata la carica di governatore di Faenza, il M. fu in quegli anni auditore della Rota di Bologna.
Con la morte di Sisto V la fortuna del M. declinò. Negli ultimi anni di vita a impegnarlo furono solo alcune cause patrimoniali affrontate nei tribunali ecclesiastici e civili di Bologna.
A esse sono da ricondurre la Decisio in causa d. Bartholomei Cathanei contra r.dum d. Bernardinum illius fratrem (Bologna, F. Bonardi, 1591) e il farraginoso Dialogus in causa Evangelicae denunciationis mota per m. d. Paulum Guidalottum contra m. d. Plinium Thomasellum (ibid., G. Rossi, 1595), cui seguì un Novum iuris responsum in causa Evangelicae denunciationis pro mag. d. Paulo Guidalotto, contra olim mag. d. Plinium Thomasellum (ibid., G.B. Bellagamba, 1596). Fu forse nel corso del processo per cui vennero stilati i due testi che fu mossa l'accusa di infamia che nel 1596 portò l'anziano giurista in prigione per ordine del tribunale del Torrone. La vicenda è narrata in un Responsum (Bologna, V. Benacci, 1596), che contiene la menzionata lettera apologetica del M. (che accenna anche a passati onori e incarichi "in Lombardia" e "in Marcha Trevisana") e il Responsum pro patre stilato dal figlio Dionigi.
Il M. morì a Bologna il 14 maggio 1598 e fu sepolto nella chiesa di S. Benedetto.
Fonti e Bibl.: Arch. segreto Vaticano, Arm. LII, vol. 5, "Registro dei brevi di Pio V", cc. 49r-50r; Segreteria dei brevi, regg. 113, c. 340v; 120, c. 417r; Fondo Confalonieri, 50, c. 24r (minuta di una lettera del cardinale A. Peretti, 6 febbr. 1588); G.N. Pasquali Alidosi, Li dottori bolognesi di legge canonica e civile, dal principio di essi per tutto l'anno 1619, Bologna 1620, p. 131; P.S. Dolfi, Cronologia delle famiglie nobili di Bologna, Bologna 1670, p. 212; A. Fontana, Amphitheatrum legale seu Bibliotheca legalis amplissima, I, Parmae 1688, coll. 609 s.; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, V, Bologna 1786, pp. 198-200; L. Ughi, Diz. storico degli uomini illustri ferraresi, II, Ferrara 1804, p. 52; L. Rossi, Gli scrittori politici bolognesi. Contributo alla storia universale della scienza politica, Bologna 1888, pp. 118-123; T. Bozza, Scrittori politici italiani dal 1550 al 1650, Roma 1949, p. 55; L. von Pastor, Storia dei papi, X, Roma 1955, p. 415 n.; P. Prodi, Il cardinale Gabriele Paleotti (1522-1597), I, Roma 1967, pp. 214 s. e n.; A. Gardi, Lo Stato in provincia. L'amministrazione della Legazione di Bologna durante il regno di Sisto V (1585-1590), Bologna 1984, p. 280; N. Pellegrino, Nascita di una "burocrazia": il cardinale nella trattatistica del XVI secolo, in "Familia" del principe e famiglia aristocratica, a cura di C. Mozzarelli, II, Roma 1988, pp. 646-651; M. Firpo, Il cardinale, in L'uomo del Rinascimento, a cura di E. Garin, Roma-Bari 1991, p. 129; G. Fragnito, Cardinal's courts in sixteenth-century Rome, in Journal of modern history, LXV (1993), p. 36 n.; Legati e governatori dello Stato pontificio (1550-1809), a cura di Chr. Weber, Roma 1994, p. 754.