MARINI, Girolamo
– Nacque a Casara, presso Montegibbio, oggi frazione di Sassuolo (Modena), alla fine del XV secolo, da Tommaso di Michele di Corsetto, membro del Consiglio comunale di Montegibbio. Molto probabilmente la sua fu una famiglia di proprietari terrieri trasferitasi a Bologna quando il M. era ancora bambino; da qui la denominazione di «bolognese» che mantenne per lungo tempo (Promis, p. 614). Sono molte le lacune sulle origini e la formazione del M., che le prime ricerche sulla sua vita, compiute da G. Livi agli inizi del secolo scorso, e gli studi successivi non hanno ancora colmato.
Il fratello Marino, dal quale deriva il nome dal M. scelto in età adulta, fu conestabile di Bologna durante la signoria di Giovanni Bentivoglio. Dopo la fine della signoria nel 1506, fu celebrato il processo conclusosi con la condanna all’esilio e alla confisca dei beni di Bentivoglio e dei suoi fedelissimi, tra i quali Marino e «Hieronymus frater Marini conestabilis» (Livi, p. 191). Nel 1507, per riconquistare il potere, i seguaci di Bentivoglio tentarono la presa della città, ma la spedizione fallì. A questa battaglia partecipò anche il M., come egli stesso ebbe a dichiarare in una lettera indirizzata anni dopo a Guido Bentivoglio, un successore di Giovanni Bentivoglio (Livi, p. 190). Nel 1516 il Senato di Bologna emanò una delibera, con cui riabilitò la fazione dei Bentivoglio, infliggendo solo una pena pecuniaria. Il M., tuttavia, fuoriuscito dalla città prima di essere condannato insieme con gli altri imputati, non tornò più a Bologna se non, probabilmente, per brevi periodi. Secondo alcune ipotesi, durante l’esilio il M. stabilì una collaborazione con Antonio da Sangallo il Giovane (Antonio Cordini) per la progettazione della fortificazione di Ancona, i cui lavori furono intrapresi sotto il pontificato di Clemente VII (De Marchi; Promis, p. 626). Si suppone inoltre una sua presenza a Roma, nel primo trentennio del XVI secolo, come ingegnere militare al servizio del papa (Promis, p. 625).
Nel 1536 era in Francia al servizio di Francesco I, ed è lì che probabilmente decise di chiamarsi Marini, scegliendo come simbolo araldico uno scudo trinciato, merlato con tre gigli di Francia nel capo. L’anno successivo il M. si trovava in Piemonte, in quella parte di territorio sotto il dominio francese, al seguito delle truppe del conte Guido Rangone che presidiavano Pinerolo in difesa della strada della Val Chiusone. Rangone, che era già stato al servizio di Leone X e che, durante le guerre contro Carlo V, era stato insignito da Francesco I del titolo di consigliere generale del re di Francia, proveniva come il M. dal Modenese ed è plausibile ipotizzare un suo diretto interessamento affinché il M. fosse aggregato agli ingegneri militari della Corona di Francia.
Applicando il modello del quadrilatero bastionato, nato in ambito sangallesco, il M. eseguì una serie di interventi di adeguamento della struttura difensiva di tre cittadelle militari di confine: Bene Vagienna, Centallo e Moncalieri. È probabile che il progetto del primo nucleo della cittadella di Pinerolo, che sotto la dominazione francese fu costruita nella forma di un rettangolo allungato provvisto di bastioni ai quattro vertici a protezione dell’antico castello, recuperato al nuovo ruolo «di maschio o rocchetta» al centro del recinto difensivo, sia stato sviluppato proprio dal M. (Promis, pp. 614 s.). Tale modello conobbe una larga diffusione in ragione della sua adattabilità ai siti più diversi, soprattutto se di piccole dimensioni, dell’esigua quantità di uomini necessari alla difesa della piazzaforte, dei tempi e costi di realizzazione contenuti.
Le opere realizzate dal M. in quel periodo – per lo più bastionature di cortine murarie esistenti, d’impianto medievale e quattrocentesco, e cannoniere inserite lungo i fianchi ritirati – non riuscirono a essere risolutive, né costituirono un valido esempio di fortificazione moderna. Ne è prova il giudizio negativo espresso nel Memoriale, il cui autore è da identificare in Cassiano Dal Pozzo, sullo stato delle fortificazioni sabaude inviato a Emanuele Filiberto nel 1560, un anno dopo, cioè, la riconsegna della regione piemontese ai Savoia, come effetto della pace di Cateau-Cambrésis (cit. in Comoli, pp. 60 s.).
Il M. non si limitò a progettare ed eseguire opere di difesa ma, come molti ingegneri militari dell’epoca, sfruttò le proprie competenze anche nelle azioni offensive. Secondo le fonti il M. era all’assedio francese di Perpignac, nel 1542. Dal 1543 il M. fu impiegato alle fortificazioni per la difesa di Landrécy (Landrecies) nella Francia settentrionale, dove costruì tre nuovi bastioni a difesa dell’antica rocca, probabilmente agli ordini del principe di Melfi Giovanni Caracciolo. In quell’anno realizzò, sempre sul modello del quadrilatero bastionato, l’opera di rafforzamento della piazzaforte di Emery – voluta dal governatore della regione Martin Du Bellay e distrutta, subito dopo la sua realizzazione, per ordine del re, che la riteneva scarsamente difendibile dai pochi uomini a disposizione – e avviò i lavori per la città di Lussemburgo, riconquistata dopo breve tempo dalle truppe di Carlo V. Nel 1544 combatté per la difesa di Saint-Dizier, cittadina dell’Alta Marna posta tra Strasburgo e Parigi, attaccata dall’esercito spagnolo guidato da Carlo V e dal generale Ferrante Gonzaga, diretti alla conquista della capitale francese. In quella occasione fu incaricato, insieme con altri, di condurre le trattative per la resa. Nel corso dell’assedio furono eseguiti, sotto la direzione del M., diversi lavori tra cui l’apertura nei fianchi dei due bastioni esistenti di alcune cannoniere che, nascoste da terrapieni, consentivano dall’interno delle mura un fuoco convergente.
L’opera più prestigiosa compiuta dal M. al servizio di Francesco I fu sicuramente la fortificazione del territorio francese al confine con la Germania e le Fiandre, nell’ambito di quel vasto programma di ristrutturazione delle piazzeforti e di costruzione di nuovi fortilizi pensato per il rafforzamento della frontiera settentrionale, esposta agli attacchi dell’esercito imperiale. Nel 1545, mentre era impegnato nella progettazione di una piazzaforte lungo il fiume Boulogne, in Piccardia, fu incaricato di compiere, insieme con il governatore Martin Du Belloy, una ricognizione ispettiva di tutte le piazzeforti reali dislocate lungo la frontiera con i domini imperiali. Dal 1545 furono quindi realizzate sulla linea di confine diverse nuove cittadelle fortificate che diventarono i capisaldi della difesa francese in quell’area. Le più importanti furono Maubert-Fontaine, la prima a essere fondata, Mézières, Villefranche-sur-Meuse, Vitry-le-François, Chaumont, Coissy e Ligny. Sebbene sia difficile attribuire al M. l’ideazione di questi interventi, è tuttavia assai probabile che ove non sia riconoscibile una sua piena responsabilità progettuale, egli abbia comunque svolto un ruolo di supervisore.
A Vitry-le-François, alla cui sistemazione lavorò sin dal 1545, il M. applicò quei principî di architettura delle difese e militarizzazione delle città propagandati da Girolamo Bellarmati, attivo in quegli anni alla corte del re di Francia. L’opera di fortificazione fu affrontata in maniera globale, ponendo attenzione sia agli aspetti più squisitamente tecnico-militari, sia a quelli urbanistici. Le strade furono classificate in base alla dimensione e all’importanza militare: più larghe le vie primarie, idonee a smaltire il traffico di merci pesanti e voluminose e a facilitare il passaggio di truppe e macchinari bellici da un capo all’altro della città, più strette quelle secondarie, destinate al traffico di quartiere. La morfologia di Vitry-le-François, risulta basata su un reticolo ortogonale di strade sfalsato e ruotato rispetto al perimetro delle mura quadrilatere, alla posizione delle porte e ai tracciati delle strade extra-moenia, per impedire una facile penetrazione nella città da parte del nemico. La struttura urbanistica, imperniata su una piazza d’armi centrale in cui confluiscono le maggiori direttrici viarie, si compone di un’orditura primaria di sei assi tra loro ortogonali, tre con andamento est-ovest e tre con andamento nord-sud, alla quale si sovrappone una seconda, costituita dalla rete delle vie secondarie che, grazie all’andamento alternato est-ovest e nord-sud, dimezzano le confluenze sulle strade principali limitando al minimo i punti di ingorgo. La cortina difensiva esibiva possenti bastionature sui tre lati maggiormente esposti a possibili attacchi e, sul quarto braccio, la Porta del Ponte, rivolta verso la Francia.
Villefranche-sur-Meuse, l’impresa urbanistica forse più impegnativa e importante dal punto di vista strategico, si affidava a un tracciato di assi radiali confluenti in una piazza d’armi centrale di forma quadrata; dalla mezzeria di ciascuno dei quattro lati e dagli angoli si snodavano otto strade che, sviluppandosi in linea retta dal centro verso la periferia, si interrompevano sulla linea delle cortine bastionate perimetrali, a debita distanza, per ovvie ragioni di sicurezza, dalle porte urbiche. Per favorire il popolamento del nuovo sito, furono offerte agevolazioni fiscali agli abitanti, secondo una prassi largamente adottata al tempo in molte città di nuova fondazione. Di questo impianto, assurto a modello sia per le soluzioni difensive, sia per i caratteri morfologici, Carlo V ordinò a Donato Bono, l’ingegnere che stava studiando la risposta imperiale a Villefranche-sur-Meuse, la realizzazione di una «copia» a Marienbourg, sull’altro versante della frontiera.
Non si conoscono esattamente le ragioni per le quali, nel 1553 il M. fu incarcerato a Parigi, ma ben presto riprese il suo posto nei ranghi dell’esercito francese.
Incerto il luogo e la data della sua morte. Diversi studiosi (Promis, pp. 625; Livi, pp. 188 e 193) sostengono che il M. morì in battaglia proprio nel 1553, durante la presa di Thérouanne, una delle città di frontiera con le Fiandre, anche se nella nota dei morti e dei feriti di quella battaglia, il nome del M. non compare (Marinelli, p. 160). Da quella data, però, non si riscontrano altre notizie relative alla sua vita o alla sua attività.
Camillo Marini, con ogni probabilità il fratello minore del M., fu anch’egli un ingegnere militare. Inizialmente al servizio di Sampiero d’Ornano, noto guerriero corso, si unì successivamente alle file dell’esercito francese. Le testimonianze sulla sua vita e sul suo operato sono scarse. È noto un suo coinvolgimento nella realizzazione delle fortificazioni di Vieilleville e un suo contributo alla progettazione delle difese di Metz nel 1552, per le quali costruì alcuni bastioni e la sopraelevazione della cortina principale. Morì nel 1553, nel corso dell’assedio portato a questa città dall’esercito imperiale, mentre era impegnato in un sopralluogo per la verifica dei danni prodotti da un attacco nemico.
Fonti e Bibl.: F. De Marchi, Architettura militare, III, Roma 1810, p. 6; C. Promis, Gl’ingegneri e gli scrittori militari bolognesi del XV e XVI secolo, in Miscellanea di storia italiana, IV (1863), pp. 614-632; G. Livi, La patria e la famiglia di G. M. ingegnere militare del secolo XVI, in Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna, s. 3, XIX (1901), pp. 188-203; L. Marinelli, G. e Camillo Marini ingegneri militari del sec. XVI, ibid., s. 4, XVII (1927), pp. 155-162; P. Lavedan, Histoire de l’urbanisme, II, Paris 1959, pp. 76-84; H. De la Croix, Military architecture and the radial city plan in sixteenth century Italy, in The Art Bulletin, XLII (1960), p. 276; P. Marconi, Una chiave per l’interpretazione dell’urbanistica rinascimentale…, in Quaderni dell’Ist. di storia dell’architettura, s. 15, 1968, nn. 85-90, p. 89; Architettura militare nell’Europa del XVI secolo. Atti del Convegno di studi, Firenze… 1986, a cura di C. Cresti - A. Fara - D. Lamberini, Siena 1988, p. 436; A. Fara, La città da guerra nell’Europa moderna, Torino 1993, pp. 66-68; Architetti e ingegneri militari italiani all’estero dal XV al XVIII secolo, a cura di M. Viganò, Roma 1994, pp. 12, 14, 16, 19; S. Pepper - N. Adams, Armi da fuoco e fortificazioni. Architettura militare e guerre d’assedio nella Siena del XVI secolo, Siena 1995, pp. 189, 221, 250 n. 10; R. Sconfienza, Fortezze e piazzeforti militari in Piemonte modelli ed esempi tra XVI e XVII secolo, in Storia e architettura militare. Atti del Congresso internazionale di archeologia… 1998, a cura di G. Amoretti - P. Petitti, Torino 2000, p. 410; C. Van den Heuvel - B. Roosens, Los Países Bajos. Las fortificaciones y la coronación de la defensa del imperio de Carlos V, in Las fortificaciones de Carlo V, a cura di C.J.H. Sánchez, s.l. [ma Madrid] 2000, p. 584; Id., Administration, engineers and communication under Charles V, in Fortezze d’Europa. Forme, professioni e mestieri dell’architettura difensiva in Europa e nel Mediterraneo spagnolo. Atti del Convegno internazionale, L’Aquila… 2002, a cura di A. Marino, Roma 2003, p. 419; V. Comoli, La fortificazione «alla moderna» negli Stati sabaudi come sistema territoriale, ibid., pp. 60 s.; Enc. biografica e bibliografica «Italiana», C. Argegni, Condottieri, capitani e tribuni, II, p. 210; Enc. universale dell’arte, XIV, col. 575 (s.v. Urbanistica).