MERCURIALE, Girolamo
MERCURIALE, Girolamo. – Nacque a Forlì il 30 sett. 1530 da Giovanni e da Camilla Pungetti.
Dopo aver compiuto i primi studi nella città natale, conseguì il dottorato in filosofia e medicina il 17 apr. 1555 presso il Collegio dei medici fisici di Venezia. Che comunque il M. gravitasse intorno allo Studio padovano è confermato dal fatto che a Padova, ancora studente, nel 1552 egli pubblicò l’opuscolo Nomothelasmus seu Ratio lactandi infantes (stampato da G. Fabriano), dedicato a Francesco Paulucci, al quale da poco era nato il primo figlio. A Venezia e a Padova fu allievo del celebre medico umanista e filologo veneziano V. Trincavella, che si era guadagnato grande fama nella professione e dal 1551 fu autorevole professore di medicina pratica ordinaria in primo luogo nello Studio padovano, pur continuando a essere promotore nei dottorati veneziani. Degli insegnanti padovani il M. ricorda come praeceptor cui fu particolarmente legato il modenese G. Falloppia, che dal 1551 occupava le cattedre di chirurgia e anatomia e della lettura dei semplici.
Sembra che il M. abbia seguito soprattutto quest’ultimo insegnamento di Falloppia e, tornato dopo la laurea a Forlì, gli scrisse per chiedergli se a suo parere l’asparagus sylvestris descritto da Dioscoride fosse da identificare con l’asparagus sativus. Falloppia gli rispose con una lettera De asparagis, datata da Padova il 1° nov. 1557.
Al 1554 risale la conoscenza del M. con il botanico e viaggiatore tedesco M. Guilandino (Wieland), di Königsberg, molto amico di Falloppia, che lo ospitava nella propria casa a Padova.
Nel 1561 Guilandino fu nominato prefetto dell’orto botanico di Padova e il 20 febbr. 1564 fu chiamato a occupare per primo la nuova cattedra di ostensione dei semplici. Nella sua opera Papyrus (1572) è pubblicata una lettera che il M. gli aveva inviato da Roma il 15 marzo 1567, intitolata Repugnantia, qua pro Galeno strenue pugnatur, seguita da una replica di Guilandino, che con lui sostiene una polemica a proposito dell’unguento egiziano.
A Forlì il M. approfondì lo studio del greco ed esercitò la professione medica. Inviato a Roma nel 1562 come membro di un’ambasceria della città presso Pio IV, vi rimase fino al 1569 sotto la protezione del cardinale Alessandro Farnese, del quale divenne medico personale e che accompagnò nel 1568 in un viaggio a Napoli e in Sicilia. Alla casa Farnese il M. rimase profondamente legato per tutta la vita. Durante il soggiorno romano ebbe modo di studiare codici e antichi documenti, raccogliendo così materiale per l’opera De arte gymnastica. Il 13 genn. 1563 gli fu conferito il titolo ereditario di cittadino romano.
Grazie al suo autorevole protettore, il 6 ott. 1569 il M. fu chiamato a occupare la cattedra di medicina pratica ordinaria in primo luogo nello Studio di Padova, con lo stipendio annuo di 600 fiorini. Nella ducale di nomina si afferma genericamente di avere «ottima relatione del valor, et dottrina» del M. (Padova, Archivio antico dell’Università, Mss., 663, c. 47r), né si poteva dire di più, dato che l’unica opera fino a quel momento da lui pubblicata era il Nomothelasmus. Quindi subito dopo il suo arrivo a Padova si affrettò a dare alle stampe le opere elaborate durante il soggiorno romano, dalla frettolosa prima edizione, priva di illustrazioni, dei sei libri Artis gymnasticae apud antiquos celeberrimae, nostris temporibus ignoratae (Venezia, Giunti, 1569), dedicati al cardinale A. Farnese, all’edizione della lettera De lumbricis del medico bizantino Alessandro di Tralle (Venezia, P. e A. Meietti, 1570), dedicata ai tre riformatori dello Studio di Padova in carica al momento della sua nomina.
Tenne la sua prima lezione il 9 nov. 1569 e a Padova si inserì subito tra i frequentatori del circolo culturale di G.V. Pinelli, trasferitosi in quella città nel 1558. Nel 1597, ormai lontano da Padova da una decina di anni, il M. dedicò a Pinelli il trattatello De vino et aqua, contenente alcune lezioni svolte a Bologna (pubblicato nelle Praelectiones Pisanae, Venetiis, L. Giunti). Molto amico di Pinelli era P. Aicardi, nativo di Albenga, che – conseguito il dottorato in filosofia e medicina a Torino – nel 1570 si stabilì a Padova. Aicardi nel 1572 fu l’editore delle lezioni De morbis cutaneis dettate dal M. (Venezia, P. e A. Meietti); l’anno successivo a cura di Aicardi fu pubblicata a Padova la dissertazione di C. Varolio De nervis opticis, dedicata al Mercuriale.
Il secondo luogo di medicina pratica ordinaria era occupato dal padovano G. Capodivacca, le cui speranze di ricoprire la prima cattedra erano state bloccate dalla venuta del M., ma che nel 1585-86 ottenne la nomina non più «in concurrentia», ma «in paritate primi loci». Con G. Fabrici d’Acquapendente, che dal 1565 occupava la cattedra di chirurgia e di anatomia, il M. ebbe a lungo rapporti gelidi. I due collaborarono nel dicembre 1574, quando fecero assolvere dall’accusa di omicidio uno studente tedesco che in una rissa aveva ferito alla fronte un compagno, morto poi d’infezione. A parte la comune partecipazione a consulti, i contatti fra loro sembrano essere stati poco frequenti, anche perché soltanto il 12 maggio 1584 Fabrici fu ammesso al Collegio dei filosofi e medici.
È verosimile che i loro rapporti siano fortemente peggiorati nel 1573 in seguito alla pubblicazione del De nervis opticis di Varolio, indirizzato in forma epistolare al M. e contenente anche la risposta del M. che accoglieva favorevolmente l’opera, nella quale Varolio affermava di avere introdotto un nuovo metodo per sezionare l’encefalo, ovvero dopo averlo estratto dal cranio, potendosi così esaminare la base e vedere la formazione da lui chiamata ponte. Sembra che invece tale metodo fosse stato da Varolio appreso durante la sua frequenza a Padova fino al 1566, come allievo di Fabrici, e poi nel 1569. Un’altra fonte di dissapori con Fabrici fu data dai rapporti molto cordiali che si stabilirono tra il M. e G. Casseri, l’antico «servo anatomico» di Fabrici, che si laureò in arti e medicina il 21 luglio 1580 avendo tra i promotori il M., dal quale ricevette le insegne dottorali. In seguito, i rapporti con Fabrici migliorarono, tanto che il M. intervenne alle sue lezioni anatomiche, come risulta dagli appunti manoscritti redatti da un ignoto studente – ma verosimilmente G. Mancini, il futuro editore del De decoratione (Venetiis, P. Meietti, 1585) – dei corsi anatomici di Fabrici nel 1584-85.
Nell’agosto del 1573 il M. fu chiamato a Vienna per curare l’imperatore Massimiliano II, che lo ricompensò lautamente e lo insignì dei titoli di conte palatino e cavaliere. Sembra che il M. si sia avvalso con estrema moderazione delle prerogative derivantegli dal titolo di conte palatino: tre dottorati in arti e medicina nel 1583-84, il conferimento di un paio di licenze in chirurgia, un caso di legittimazione di figli naturali nel 1575. Il consulto da lui rilasciato all’imperatore fu poi pubblicato e il M. trattò nelle sue lezioni dei disturbi lamentati dal suo augusto paziente, in particolare della palpitazione cardiaca.
Della fama raggiunta dal M. si dà atto nella ducale con cui l’11 giugno 1575 fu ricondotto per altri sei anni con lo stipendio annuo portato a 900 fiorini, riconoscendo che egli aveva svolto il suo incarico «con molta sua laude, et universal satisfatione» (Padova, Arch. antico dell’Università, Mss., 663, c. 50r). Poco dopo, nel 1575-76, si diffuse l’epidemia di peste lungo gli itinerari fluviali mercantili del Danubio e dell’Adige, toccando successivamente Trento, Verona, Mantova e Venezia. Già nell’agosto del 1575 la peste aveva fatto le prime vittime a Venezia, mentre a Padova cominciò a manifestarsi nell’aprile 1576. Il 9 giugno 1576 il M. e Capodivacca furono convocati dal Senato a Venezia per esprimere il loro parere sull’epidemia. Il dibattito si svolse nel pomeriggio del giorno successivo nella sala del Maggior Consiglio, alla presenza del doge. Pur ammettendo la gravità dell’epidemia, il M. e Capodivacca – accompagnati da altri tre professori padovani, M. Stefanelli, N. Corte e B. Paterno – contro il parere dei medici veneziani esclusero che si trattasse di peste.
Arroccati sulla definizione della scienza ufficiale, per cui la peste derivava dalla corruzione dell’aria e colpiva molte persone contemporaneamente, essi non ravvisarono a Venezia tali condizioni, essendo la mortalità in quel momento ancora bassa. Per di più, il M. negava la possibilità di diagnosticare la malattia in base a sintomi specifici, come i bubboni, i carboni e l’antrace (l’escara che si forma intorno alle punture delle pulci). Anche se aspramente contestata dai medici veneziani e dai provveditori alla Sanità, la loro tesi fu accolta con favore dal Senato veneziano, preoccupato che la Repubblica fosse relegata nel più completo isolamento commerciale e politico. Per sostenere la propria tesi sino in fondo, il M. e Capodivacca si offrirono di visitare essi stessi gli ammalati, imponendo in un memoriale indirizzato al Senato le loro condizioni e sconfessando le rigorose misure fino a quel momento adottate dal magistrato alla Sanità per prevenire il contagio. Essi non esitarono a entrare nelle case per visitare e curare gli ammalati più gravi, ma la loro ostentata sicurezza fu ben presto drammaticamente smentita dalla rapida diffusione dell’epidemia. Furono quindi costretti a battere in ritirata precipitosamente, anche perché si giunse addirittura ad attribuire al loro frenetico peregrinare di casa in casa la diffusione del contagio. L’epidemia si concluse con il terribile bilancio di 50.000 morti a Venezia su una popolazione di 180.000 abitanti, mentre a Padova si registrarono 12.388 decessi.
Nel gennaio 1577 il M. dedicò alla pestilenza un corso di lezioni, raccolte e pubblicate con il titolo De pestilentia (Venezia, P. Meietti) dal medico padovano G. Zacco, già suo allievo, in cui si avverte chiara, tra le complicate volute delle citazioni e interpretazioni delle autorità, l’eco dello smacco dell’anno precedente, con una definizione della peste del tutto generica e non compromettente. Alla scadenza del suo incarico fu ricondotto per la terza volta con ducale del 9 nov. 1581 e con un sostanzioso aumento di stipendio, portato a 1150 fiorini l’anno.
Il M. fu coinvolto negli interventi controriformistici compiuti a Padova dal vescovo Federico Corner. Nel tentativo di ridurre gli studenti protestanti nell’alveo dell’ortodossia cattolica, Corner si avvalse anche del M., il quale il 6 marzo 1579 convocò i rappresentanti degli studenti tedeschi, facendosi tramite delle pretese del vescovo. Ma gli studenti tedeschi si rivolsero al doge, Nicolò Da Ponte, e decisero di non frequentare le lezioni del M. fino a che egli non si fosse scusato per iscritto. Lo zelo del M. fu debitamente ricompensato: egli, che del vescovo Corner era anche il medico curante «diligente e fidel», fu da questo premiato il 25 apr. 1582 con la concessione di una casa situata alla periferia di Padova «con il brolo e strada aciò la goda senza pagar cosa veruna, con fruti, colombara et ogni entrata pertinente» (Archivio di Stato di Padova, Notarile, 3250, c. 473r).
Al periodo padovano risale la maggior parte delle sue opere di medicina pratica. Al M. è attribuita la creazione delle specialità mediche, per aver trattato per primo separatamente settori della medicina che in seguito assunsero una rilevanza specialistica. In realtà, queste sue opere ebbero in origine il carattere di cicli di lezioni svolte nell’ambito del suo insegnamento di medicina pratica, raccolte dagli studenti e pubblicate, almeno ufficialmente, a sua insaputa.
L’unica spiegazione plausibile di questo singolare comportamento, mantenuto anche in seguito, è che egli fosse così preso dall’insegnamento e dall’esercizio professionale da non potersi dedicare alla revisione degli appunti presi dagli studenti. D’altra parte è verosimile che il M. non ritenesse necessaria tale revisione, dato che anch’egli, come molti professori del tempo, dettava le proprie lezioni, i cui manoscritti quindi erano sostanzialmente attendibili, oltre che ampiamente disponibili.
Dopo il De morbis cutaneis, a Venezia furono pubblicati – entrambi per i tipi di P. Meietti – il De morbis puerorum (1583) e il De venenis, et morbis venenosis (1584) a cura di due polacchi, rispettivamente Ioannes Chrosczieyoioskij (Groscesius), di Poznań, che aveva ottenuto il dottorato in arti e medicina il 3 luglio 1582, e Albertus Sceliga (Scheligius), di Varsavia, laureato in arti e medicina il 21 giugno 1582. A Basilea nel 1586 furono pubblicate nel secondo volume dei Gynaeciorum… (K. Waldkirch) le De morbis muliebribus praelectiones a cura di Gaspard Bauhin, che era stato studente a Padova nel 1577-78 (opera ristampata come volume a parte l’anno successivo a Venezia presso F. Valgrisi). Le Praelectiones Patavinae videro la luce a Venezia presso Giunti nel 1603 – dopo due edizioni a Francoforte nel 1601 e 1602 con il titolo di Medicina practica – a opera del brussellese Guilhelmus a Thenis (Athenius), il quale si era laureato in medicina a Padova il 3 giugno 1599 e quindi non era stato suo allievo ma evidentemente aveva potuto disporre dei manoscritti delle lezioni.
All’inizio del 1587 il M. fu convinto ad abbandonare Padova e a passare all’Università di Bologna per occupare la cattedra «sopraordinaria» di medicina teorica, la più prestigiosa di tutte le letture di medicina, con il contratto più favorevole mai stipulato con un lettore dello Studio bolognese, che comportava la nomina per dodici anni con un salario di 1200 scudi d’oro all’anno, oltre all’anticipo di 2000 scudi d’oro da defalcare in dodici rate annue dal salario e a 300 scudi per il viaggio e per il trasporto delle sue cose da Padova; ebbe inoltre la cittadinanza onoraria di Bologna e la consueta esenzione da ogni tipo di tassa. A Padova tenne l’ultima lezione il 30 giugno 1587.
Non erano ancora trascorsi sei anni dei dodici concordati che il M. cominciò a manifestare segni di insofferenza e a ventilare l’idea di lasciare Bologna per trasferirsi altrove. Alcuni screzi, insorti nel 1591 e non bene chiariti, lo indussero a cercare una sistemazione migliore e più redditizia. Da tempo il M. era in stretti rapporti con il granduca di Toscana Ferdinando I de’ Medici, il quale gli offrì uno stipendio di 2000 scudi d’oro l’anno se fosse andato a insegnare nell’Università di Pisa. Il M. accettò l’offerta e nel novembre 1592 si trasferì a Pisa, adducendo alcuni pretesti per giustificare la rottura del contratto stipulato con l’Università di Bologna, come il clima inclemente che comprometteva la sua salute, o pretese – in realtà inesistenti – irregolarità nel pagamento dello stipendio. Il granduca di Toscana lo nominò anche medico suo e della propria famiglia e in Toscana il M. rimase fino al 1606, anno in cui si ritirò nella sua città natale. Ma nemmeno Pisa lo soddisfece pienamente, dato che nel 1599 – sulla soglia dei settant’anni – chiese ai riformatori dello Studio di Padova di essere nuovamente assunto come lettore nella cattedra di medicina pratica, rimasta vacante in seguito alla morte di A. Massaria, avvenuta nel novembre 1598. La sua richiesta non fu accolta, probabilmente in base a varie considerazioni, come l’età avanzata, il ricordo del suo abbandono dello Studio padovano dodici anni prima, forse anche quello del grossolano errore compiuto al tempo della peste del 1575-76, e soprattutto le esorbitanti richieste di denaro.
Dal matrimonio con Francesca di Bartolomeo Bici, sposata nel 1571, ebbe cinque figli: Giovanni, che morì nel 1597 a Salamanca, dove frequentava la facoltà di medicina; Massimiliano, che si dedicò alla giurisprudenza e morì nel 1638; Margherita; Camilla, che andò sposa al giureconsulto Andrea Facchinei, e Ottavia.
Il M. morì a Forlì l’8 nov. 1606 e fu sepolto nella cappella di famiglia della chiesa di S. Mercuriale.
All’abbazia di S. Mercuriale lasciò per testamento la sua biblioteca, di cui è noto l’inventario, compilato da lui stesso nel 1587 alla vigilia della sua partenza per Bologna, che comprende 1170 volumi, 420 dei quali di argomento medico.
Medico umanista e filologo, profondo conoscitore delle lingue latina e greca e della letteratura medica antica, il M. studiò l’autenticità degli scritti ippocratici (Censura et dispositio operum Hippocratis, Venetiis, L. Giunti, 1583) e pubblicò il testo greco e la traduzione latina delle opere di Ippocrate collazionate sui codici (Hippocratis Coi Opera quae extant Graece et Latine veterum codicum collatione restituta, ibid., L. Giunti, 1588). Curò la quinta edizione giuntina delle opere di Galeno (1576). Nei quattro libri Variae lectiones (Venezia, P. e A. Meietti, 1571) egli pubblicò una esegesi critica di numerosi passi oscuri o controversi dei medici greci e latini, da lui emendati dove erano corrotti o illustrati quando erano di difficile comprensione. Il M. pubblicò per la prima volta (1570) il testo greco e la traduzione latina della lettera De lumbricis di Alessandro di Tralle, da lui ritrovata nella Biblioteca Vaticana (Vat. gr., 299); la stessa edizione fu aggiunta alle Variae lectiones e fu ripubblicata in appendice alla seconda edizione (1584) del De morbis puerorum. I sei libri Artis gymnasticae, privi di illustrazioni nella prima edizione (1569), nella seconda edizione (1573) assunsero il titolo definitivo De arte gymnastica e furono illustrati con ventisei xilografie, ventuno delle quali tratte da disegni di P. Ligorio ricavati da medaglie e statue antiche, di cui undici sono conservati nell’Archivio Borromeo (Isola Bella, Stresa). Il De arte gymnastica è la sua opera più nota e più originale, frutto di quasi sette anni di studi e di ricerche nei musei e nelle biblioteche di Roma. L’opera è il primo trattato completo di ginnastica medica, nel quale la ginnastica degli antichi è collegata con quella moderna, di cui il M. è il vero precursore. La ginnastica è esaminata dal punto di vista sia storico, sia medico propriamente detto, sia più generalmente igienico. Sono rievocati gli esercizi di agilità, di forza e di destrezza in uso presso gli antichi greci e romani; sono presentati i vari esercizi ginnici e il modo di eseguirli, affinché possano riuscire di utilità per la salute; sono discussi gli effetti che essi producono, sia sull’individuo sano sia su quello malato. Il M. avvalora la ginnastica quale mezzo terapeutico; tratta anche di balneoterapia e di idrologia medica, un argomento su cui tornò in seguito nel De balneis Pisanis, pubblicato nelle Praelectiones Pisanae edite dal suo allievo M. Cornacchini (Venezia, L. Giunti, 1597).
Resta particolarmente apprezzabile il suo sforzo di trattare organicamente le malattie secondo i vari apparati o sistemi colpiti, tanto a scopo didattico quanto a scopo pratico. Fu tra i primi a interessarsi specificatamente di puericoltura e di pediatria: nell’opuscolo Nomothelasmus seu ratio lactandi infantes sono esposte le norme da seguire nell’allattamento e inoltre sono dati suggerimenti igienici e dietetici per l’allevamento e per lo svezzamento del bambino. Nel Nomothelasmus, il più antico trattato rimasto sull’allattamento, il M. sostiene la necessità dell’allattamento materno, ammettendo il ricorso a una nutrice soltanto nel caso di agalattia materna; sconsiglia la somministrazione alla madre di farmaci creduti lattagoghi nel timore che agiscano sul bambino tramite il latte. Alle malattie del bambino è dedicato il trattato De morbis puerorum, diviso in tre libri, il terzo dei quali è interamente dedicato ai vermi intestinali. L’opera è ricca di osservazioni precise e acute, tra le quali la distinzione tra il morbillo e il vaiolo, lo studio della sifilide congenita, la descrizione dei disturbi di nutrizione del bambino, il riconoscimento – in accordo con l’opinione di Rhazes (ar-Razi) – che l’idrocefalo a volte è provocato da un accumulo intraventricolare di liquido, superando quindi la vecchia classificazione che considerava il caput succedaneum come idrocefalo esterno. Interessanti sono anche le sue osservazioni sulla balbuzie. Inoltre, egli sostenne la contagiosità della pertosse e raccomandò l’asportazione chirurgica completa della ranula, allo scopo di evitarne la recidiva. Queste due opere sono considerate il punto di partenza della moderna pediatria.
Al M. si deve la prima trattazione sistematica delle malattie della pelle (De morbis cutaneis), che sono da lui classificate secondo un criterio morfologico. D’altra parte, la natura sintomatica della maggior parte delle affezioni dermatologiche impediva ai medici di dare a esse una nuova interpretazione complessiva. Le lezioni sulle malattie dell’occhio e dell’orecchio (De compositione medicamentorum… de morbis oculorum et aurium, Venetiis, L. Giunti, 1590) costituiscono il primo manuale clinico di otoiatria; in esse si accenna chiaramente ai vizi oculari di rifrazione e alla possibilità di correggerli; al M. deve essere attribuita l’indicazione delle lenti concave nei miopi. Si interessò anche di ostetricia e di ginecologia, lasciando un trattato, De morbis muliebribus, in cui la trattazione è tradizionale, anche se la disposizione della materia è razionale. Il M. trattò anche di epidemiologia e di igiene. Descrisse con esattezza la sintomatologia, il decorso, le complicazioni e i postumi della pandemia influenzale del 1580, ammettendo la contagiosità della malattia. Egli scrisse anche sull’idrofobia (De maculis pestiferis et de hydrofobia – pubblicata come seconda parte dell’edizione del 1580 del De pestilentia – Patavii, P. Meietti, 1580), portando un contributo di proprie osservazioni e localizzando la sede anatomica della malattia nella parte anteriore del cervello, dove riteneva che avesse sede l’immaginazione, di cui la rabbia sarebbe stata una forma morbosa; degno di menzione è anche quanto scrisse a proposito della profilassi individuale e sociale della malattia e della sintomatologia della rabbia nel cane.
Il M. è anche considerato uno dei più importanti tossicologi del Cinquecento per il suo trattato De venenis et morbis venenosis; particolare rilievo merita il suo concetto che tra tossico e farmaco non vi è differenza che di dose. Si occupò di farmacologia e della composizione dei farmaci; infine, nelle Praelectiones Patavinae particolare attenzione riservò alle malattie mentali, che tentò di classificare secondo la loro eziologia. Delle altre sue numerose opere, il De decoratione merita una speciale menzione. Nella prima edizione, pubblicata a Venezia nel 1585, il M. riferisce del metodo di G. Tagliacozzi di ricostruzione plastica del naso. In seguito a ciò, Tagliacozzi diede una descrizione del suo metodo in una lettera inviata al M. da Bologna in data 22 febbr. 1586, successivamente incorporata nella seconda edizione del De decoratione apparsa a Francoforte nel 1587, cioè dieci anni prima che il De curtorum chirurgia per insitionem di Tagliacozzi fosse pubblicato a Venezia.
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Il numero monografico della rivista Medicina & storia (VI [2006], pp. 5-119) contiene cinque studi sul Mercuriale. Infine, è stata pubblicata l’edizione critica del De arte gymnastica, a cura di C. Pennuto, con traduzione inglese di V. Nutton, integrata da un robusto apparato critico e da un saggio di J.-M. Agasse (Firenze 2008). Per l’elenco completo delle opere e per le varie edizioni, cfr. G. Cerasoli - B. Garavini, La bibliografia delle opere a stampa di G. M., in Medicina & storia, VI (2006), pp. 85-119; G. Cerasoli - A. Imolesi Pozzi, Bibliografia delle opere a stampa di G. M., in G. Mercuriale, De arte gymnastica, Firenze 2008, pp. 809-860; per una bibliografia più estesa, si veda G. Cerasoli, Nota bibliografica, ibid., pp. 801-807, 1112-1118.
G. Ongaro