MOLIN, Girolamo
MOLIN, Girolamo. – Nacque in Friuli, nella Terra di San Vito (od. San Vito al Tagliamento), il 2 nov. 1778 dal nobile Paolo Andrea e da Antonia Polacco, figlia di un medico (Pietro).
Dalla sua formazione scolastica presso il seminario arcivescovile di Portogruaro, derivarono al M. una solida cultura letteraria, la padronanza della lingua latina e la passione per le arti figurative che lo accompagnarono per tutta la vita. Fu però il crescente interesse per la medicina degli uomini e degli animali (trasmessogli forse dal nonno paterno) nonché per le scienze naturali a indirizzare le sue scelte al termine degli studi secondari. Si iscrisse infatti all’Università di Padova, dove si laureò in medicina nel 1803 e in seguito anche in filosofia. Terminati gli studi universitari, soggiornò per due anni a Parigi, dove perfezionò la sua preparazione medica negli ospedali della città e presso la famosa École vétérinaire nella vicina Alfort, fondata nel 1765 da C. Bourgelat. A Parigi frequentò anche il Musée d'histoire naturelle per approfondire le sue conoscenze nel campo della botanica, della zoologia e dell'anatomia comparata. L'assiduità alle lezioni, la serietà del comportamento e le doti di ingegno gli valsero ben presto la stima dei maestri, tanto da essere aggregato alla Società medica d'emulazione e alla Società d'istruzione medica di quella città.
Fatto ritorno nella nativa San Vito, non solo continuò i suoi studi ma subito mise gratuitamente le sue conoscenze al servizio del bene pubblico. Casolare per casolare, il M. percorreva le campagne per educare i contadini alla cura del bestiame insegnando loro le norme igieniche da seguire per mantenerlo in salute e le pratiche terapeutiche da applicare in caso di malattia.
Risale a questo periodo la Memoria sopra le principali malattie proprie alla bovina specie del Cantone di S. Vito del Tagliamento, e particolarmente sopra una febbre sinoca data alle stampe nel 1810. Il M. vi distingue due aree idrogeologiche e climatiche: una superiore, più sterile, con bestiame più scarso e male accudito, e una inferiore, più avanzata per l'agricoltura, con pascoli di miglior qualità e un miglior governo degli animali. Per l’acutezza delle osservazioni e i mirati suggerimenti terapeutici, T. Bottani la riportò integralmente nella sezione XI della sua poderosa opera Delle epizoozie del Veneto domino in Italia (Venezia 1821, pp. 289-313).
Il Friuli, terra di frontiera, costituiva la porta orientale del Veneto attraverso cui transitava il bestiame importato dagli allevamenti dell’Est europeo ed era il più esposto tra i territori di Terraferma al contagio delle micidiali epizoozie che avevano in quegli allevamenti il loro bacino di insorgenza. Non fu quindi casuale che le prime istituzioni a sollecitare il Senato veneto a sottrarre la cura del bestiame all’imperizia dei contadini siano state le Accademie di agricoltura di Udine e Belluno. Fu infatti grazie al lungimirante e appassionato impegno di due eminenti associati, rispettivamente A. Zanon e G. Odoardi, che, sul modello delle scuole francesi, anche la Repubblica istituì in Padova nel 1773 il Collegium zooiatricum Patavinum, la seconda scuola veterinaria italiana dopo quella di Torino.
Nei cinque anni trascorsi a promuovere nelle campagne di San Vito la prevenzione e la cura delle malattie epidemiche del bestiame, il M. si guadagnò tale fama da essere chiamato nel 1811 a insegnare agricoltura e botanica nel liceo compartimentale di Treviso (istituito nel 1807), riscuotendo ben presto la stima dei colleghi e degli allievi nonché degli allevatori e degli agricoltori verso i quali era prodigo di consigli e insegnamenti. Qui restò fino al 1815, quando fu chiamato all’Università di Padova a ricoprire la cattedra di veterinaria teorica e pratica attivata nello stesso anno in seno alla facoltà medica (con notificazione dell’I.R. governo di Venezia in data 12 settembre).
Il M. venne reclutato il 14 ott. 1815 con la qualifica di professore provvisorio, modificata nel 1821 in quella di professore stabile. Il suo insegnamento si limitava alle epizoozie e alla polizia veterinaria ed era impartito agli studenti del quarto anno dei corsi sia di chirurgia sia di medicina umana.
La cattedra costituiva il risultato della turbolenta storia del Collegium zooiatricum. Fondato da G. Orus, allievo ad Alfort di Bourgelat, sotto l’egida e alle dipendenze del Magistrato ai beni inculti e deputazione all’agricoltura, il collegio, dopo un lusinghiero inizio, già nel 1779 era stato accorpato all'Univesità per ragioni economiche e posto pertanto alle dipendenze dei riformatori dello Studio. Tale passaggio fu assai traumatico per l'istituzione: Orus fu costretto a ridurre la durata del corso da quattro a due anni, ad accorpare le materie di insegnamento e a organizzare i corsi in modo da permettere anche agli studenti di chirurgia di seguire le sue lezioni. Mentre le lezioni teoriche si tenevano nel palazzo del Bo, sede dell'Università, l’attività pratica degli studenti continuò a svolgersi nei locali dell’ex convento delle Maddalene, già sede del collegio, dove si trovavano anche le stalle per ospitare gli animali infermi e la ricca raccolta di preparati anatomici che Orus, coadiuvato dagli allievi, aveva ordinato in un vero e proprio museo. Con la improvvisa morte di Orus nel 1792, i suoi successori si trovarono a operare nel clima di incertezza politica seguito alla campagna napoleonica. Le varie riforme universitarie che si susseguirono in questo periodo – Padova, retta dapprima da un governo democratico, passò con la dominazione francese a far parte del Regno d’Italia, confluendo nel 1813 nel Lombardo-Veneto alle dipendenze degli Austriaci – penalizzarono la veterinaria, riducendola al solo insegnamento ricoperto dal Molin.
Anche in questa nuova veste, il M. si distinse per dottrina e capacità organizzative, riuscendo a ottenere una dotazione per l’ospedale veterinario e per le dimostrazioni pratiche che continuavano a essere impartite presso l’ex collegio di veterinaria. Riguardo al museo, proseguì il riordino dei preparati iniziato dal suo predecessore, G.V. Malacarne, approntando un nuovo inventario che, alla data del 1817, annoverava ben 1060 preparati. Sotto la sua direzione, nel 1827 il gabinetto zootomico veterinario fu trasferito dalle Maddalene all’ex convento di S. Francesco, non lontano dalla sede universitaria del Bo, e i preparati del museo, acquisiti dalla facoltà di scienze, confluirono nel museo di zoologia e di anatomia comparata. L'infermeria, soppressa dallo statuto della facoltà, vi rimase di «ragione privata del professore» (Vegetti - Cozzi, p. 138), il quale molto si adoperò per riorganizzare i servizi di polizia veterinaria attivando anche un laboratorio chimico-farmaceutico e convertendo l’annesso giardino in un orto botanico per coltivare a scopo sperimentale varie qualità di foraggi, oltre a piante medicinali.
Oltremodo sensibile ai problemi della sanità pubblica, per garantire una solida preparazione di base anche ai maniscalchi e ai semplici boari, riuscì a ottenere l’istituzione sia pure provvisoria di un corso biennale teorico-pratico per la veterinaria minore o bassa veterinaria. Sempre in tema di sanità pubblica, nel 1820 diede alle stampe la memoria Sul modo di soccorrere gli animali domestici in tempi di carestia dei foraggi (Padova), in cui forniva dettagliate indicazioni sulle modalità della raccolta, conservazione e somministrazione al bestiame di alimenti solitamente trascurati.
Per la sua fama di studioso, fu associato non solo alla Société de médecine de Paris, ma anche all’Accademia patavina di scienze, lettere ed arti, al Regio Istituto di incoraggiamento delle scienze naturali nel Regno delle Due Sicilie, all’Università di Treviso e all’Accademia agraria di Udine. Per l’alta considerazione in cui era tenuto nell’ambiente accademico, dal 1831 al 1832 ricoprì la carica di rettore.
Nel 1838 lasciò l’insegnamento della veterinaria per assumere la direzione della facoltà medico-chirurgico-farmaceutica, incarico che tenne fino al pensionamento, nel 1842, quando fu nominato professore emerito.
Il M. morì a Padova il 7 marzo 1851.
Nel corso delle esequie, che si tennero nella chiesa di S. Gaetano, il collega docente di medicina legale e polizia medica A. Stefani lesse un accorato elogio funebre che i nipoti F. Molin, G. Molin e G. Pancotti fecero stampare dalla tipografia di B. Castion di Portogruaro.
Gli interessi culturali del M. non si limitarono al campo medico ma spaziarono a quello delle scienze naturali, dell’arte e della filologia classica. Come naturalista coltivò non solo la botanica ma fu particolarmente attratto dalle ricerche del suo concittadino A.L. Moro (1687-1764), famoso geologo e paleontologo, che sostenne la natura organica dei fossili. Sull’opera principale di questo studioso (De’ crostacei e degli altri marini corpi che si trovano su’ monti, Venezia 1740) il M. diede alle stampe un inedito interessante carteggio (Dell’origine dei Crostacei di A.L. Moro, dissertazione epistolare, Padova 1838). Appassionato di pittura, fu un perspicace collezionista attento anche alla conservazione del patrimonio della comunità. Fece eseguire a proprie spese il restauro di una tela del Veronese (Paolo Caliari) conservata nella chiesa di S. Francesco, di cui era curatore. Si ritiene appartenesse a lui il quadro di F. Guardi Il solenne trasporto delle scuole dell’Università da San Biaggio al Bò, che i suoi eredi donarono all’Università di Padova e che ora si trova nello studio del rettore.
Frutto della sua non comune erudizione filologica sono altresì due memorie: una sull’opera di mascalcia di G. Ruffo (Jordani Ruffi Calabriensis Hippyatria, Padova 1818), l'altra sugli scritti di argomento veterinario di Pelagonio (Sopra la veterinaria di Pelagonio pubblicata in Firenze nel 1826 qual opera originalmente latina, ibid. 1828). Nella prima rese per primo di pubblico dominio il codice inedito dell’Hippyatria di Ruffo, corredandolo di una prefazione latina che «per il forbito stile in cui è vergata e per le critiche osservazioni di che risulta doviziosamente adorna non si saprebbe dire se prevalgono in quella e nel merito le grazie delle amene lettere o la forza delle scientifiche discipline» (Stefani, p. 17). Nell'altra dimostrò come l’opera di Pelagonio rinvenuta a Firenze nel 1826 «fra polverosi monumenti di antichità» (Stefani, p. 16) fosse una traduzione dal greco e non uno scritto originariamente steso in latino come sostenevano alcuni eruditi dell’epoca. La sua tesi, che poggiava su rigorose considerazioni filologiche, ebbe tra gli altri la condivisione dell’illustre lessicografo G. Furlanetto.
Fonti e Bibl.: Pordenone, Arch. storico diocesano, Baptizatorum Liber 1762-1791, c. 139r; A. Stefani, Elogio funebre del dottor G. M. … letto nella chiesa di S. Gaetano di Padova il giorno 10 marzo 1861, Portogruaro 1851; A. Veggetti - B. Cozzi, La Scuola di medicina veterinaria dell’Università di Padova (1773-1873), Padova 2010, pp. 131-138.