Muzio, Girolamo
Nacque il 12 marzo 1496 a Padova; la famiglia, originaria di Capodistria, tornò in patria nel 1504. Dopo gli studi che lo portarono di nuovo a Padova e a Venezia, Muzio si impiegò dapprima in varie corti religiose del dominio veneto e imperiale, quindi seguì Guido Rangone in Francia (1530); dal 1531 al 1535 fu alla Mirandola presso Galeotto Pico, per trasferirsi successivamente nella Ferrara di Ercole II d’Este. Chiamato a Milano da Alfonso d’Avalos, marchese del Vasto (1540), vi rimase anche sotto Ferrante Gonzaga finché non si impiegò con il duca d’Urbino, Guidubaldo II Della Rovere. L’ultima stagione lo vide prima a Roma, protetto da Pio V, e poi, alla morte del papa (1572), ospite di Lodovico Capponi nella villa della Paneretta, nelle campagne di Barberino Val d’Elsa, dove morì nel 1576.
Esperto di materia cavalleresca (Il duello [...], 1550; Le risposte cavalleresche, 1550; Il gentilhuomo, 1571), polemista e controversista (Le vergeriane [...], 1550; Le mentite ochiniane, 1551; Le malitie bettine [...], 1565), pubblicò, tra l’altro, importanti sillogi epistolari (Lettere, 1551; Lettere catholiche [...], 1571) e trattazioni di argomento etico (Operette morali [...], 1550) e linguistico (queste ultime confluite nelle Battaglie per diffesa dell’italica lingua [...], postume, 1582).
La sua prima presa di posizione su M. fu di natura linguistica e stilistica. A stare alla Varchina (edita postuma nelle Battaglie; cfr. l’ed. a cura di R. Sodano, 1994, p. 111) risalirebbe al 1536, quando egli indirizzò a Gabriele Cesano e a Bartolomeo Cavalcanti una lettera (edita senza data nel 1551; cfr. Lettere (Venezia, Giolito, 1551), a cura di A.M. Negri, 2000, pp. 239-47) e riproposta poi ancora nelle Battaglie (pp. 5-13) nella quale respingeva con forza la tesi della superiorità di M. rispetto a Boccaccio. Più tardi, insieme alla lingua avrebbe combattuto il pensiero politico e l’indagine storiografica: nel 1550, mentre nelle Operette proponeva un suo trattatello politico (La orecchia del prencipe) tutto all’insegna della convenzione, sollevò il ‘caso’ M. presso il commissario generale dell’Inquisizione. Le riserve personali di lettori anche autorevoli (Reginald Pole, Juan Ginés de Sepúlveda, Jerónimo Osório, Ambrogio Catarino), con Muzio si trasformavano così in capi d’accusa. Della parola di M., in particolare di quella dei Discorsi, diceva che «senza rispetto alcuno insegna a non servar né fede, né charità, né religione»; l’autore ne risultava compreso tra gli infedeli e le sue idee dannate perché «peggio che heretica dottrina» (Lettere catholiche, p. 100).
Eppure fu proprio a Muzio, tanto esplicitamente e precocemente schierato tra i censori di M., che subito dopo la promulgazione ufficiale dell’Indice di papa Paolo IV (1559) toccò di provarsi per primo nel recupero della sua parola. Il duca d’Urbino, infatti, impegnato nell’approfondimento di dibattiti tecnici (di tecnica militare) e politici ai quali era quanto mai funzionale il ricorso a M., chiese al suo cortigiano di farsi carico della revisione dell’Arte della guerra e dei Discorsi. L’interesse della corte urbinate e l’impegno del revisore, insieme ai tempi stretti nei quali l’operazione venne condotta (fortunatamente documentati da un manipolo di lettere superstiti; cfr. Lettere inedite di Girolamo Muzio Giustinopolitano, pubblicate nel IV centenario della sua nascita a cura di A. Zenatti, 1896), sono riprova del rilievo dell’iniziativa e della sua – almeno al momento – piena praticabilità. L’ipotesi di un recupero editoriale di quelle opere parve infatti realistica per tutto il decennio che seguì al 1561 e oltre, e non a caso dopo Muzio e il duca d’Urbino in quella stessa iniziativa si provarono il duca di Firenze Cosimo I de’ Medici e i nipoti di Machiavelli.
L’ipotesi era connessa agli sviluppi del dibattito in corso, prima a Roma e poi a Trento, in materia di censura libraria e di espurgazione. Tra l’11 e il 18 aprile del 1562 Muzio era in condizione di inviare prima al duca d’Urbino e poi ai padri conciliari i Discorsi e l’Arte della guerra rivisti. Del duplice lavoro non rimane traccia, ma la sola notizia documenta come a una fase iniziale di chiusura totale fosse seguita una seconda segnata da una maggiore disponibilità. Impossibile non cogliere in questa apertura e nell’avvicendamento delle prese di posizione, più che il perseguimento di una linea ideale, l’acquiescenza al verbo di volta in volta legittimato, che fu prima quello rigidissimo di Paolo IV e poi quello meno intransigente di Pio IV.
Bibliografia: P. Paschini, Note alle prime edizioni del Machiavelli, «Atti dell’Accademia degli Arcadi e scritti dei soci», n. s., 1930, 6-7, pp. 67-77 (poi, rifuso all’interno del più ampio Letterati ed Indice nella Riforma cattolica in Italia, in Id., Cinquecento romano e Riforma cattolica: scritti raccolti in occasione dell’ottantesimo compleanno dell’autore, Roma 1958, pp. 237-73); S. Bertelli, introduzione a S. Bertelli, P. Innocenti, Bibliografia machiavelliana, Verona 1979; G. Procacci, Machiavelli nella cultura europea dell’età moderna, Roma-Bari 1995; P. Godman, Machiavelli, the Inquisition, and the Index, in Id., From Poliziano to Machiavelli. Florentine humanism in the high Renaissance, Princeton (N.J.) 1998, pp. 303-33 (trad. it. parz. in L’apertura degli archivi del Sant’Uffizio Romano, Giornata di studio dell’Accademia dei Lincei, 22 gennaio, Roma 1998, pp. 47-72); voci Machiavelli Niccolò (V. Frajese), Machiavellismo (V. Frajese) e Muzio Girolamo (M. Faini) in Dizionario storico dell’Inquisizione, diretto da A. Prosperi, con la collab. di V. Lavenia, J. Tedeschi, 2° vol., Pisa 2010, ad voces; M. Faini, Muzio Girolamo, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 77° vol., Roma 2012, ad vocem.