PANIGAROLA, Girolamo
PANIGAROLA, Girolamo (in religione Francesco). – Nacque il 6 gennaio 1548 a Milano dai nobili Gabriele ed Eleonora Casati.
Ultimo di quattro fratelli, fu battezzato con il nome di Girolamo. Appresi i rudimenti della cultura con Natale Conti e Aonio Paleario, a 13 anni fu mandato a studiare diritto a Pavia e poi, dopo il litigio con un rivale, a Bologna, dove condusse una vita sregolata e scrisse testi poetici in latino e in volgare. Alla morte del padre volle farsi frate minore e il 15 marzo 1567 vestì l’abito osservante nel convento di Ognissanti a Firenze, prendendo il nome Francesco in onore di uno zio già provinciale dell’Ordine a Milano. Professò il 15 marzo 1568 e fu inviato ad apprendere logica e matematica nel convento di Padova (dove ebbe per maestro Bernardino Tomitano) e filosofia a Pisa (dove ascoltò Andrea Cesalpino e Flaminio Nobili).
Fece le prime prove di predicatore nel 1570 a Sarzana e a Pisa. Ordinato sacerdote, Cosimo I lo invitò a tenere il ciclo quaresimale del 1571 in S. Maria del Fiore a Firenze. Per la Pentecoste predicò per il capitolo generale dell’Ordine a Roma (il sermone in latino è perduto) e Pio V ne apprezzò le qualità oratorie al punto da affidarlo al nipote, Michele Bonelli (il cardinale Alessandrino), in partenza come legato a latere, perché lo portasse a Parigi a perfezionare gli studi teologici.
Lungo il tragitto e al rientro predicò a Lione; nel 1572 per gli italiani di Anversa, per il duca d’Alba a Bruxelles e per il nunzio, Caterina de’ Medici e Carlo IX al Louvre, dove celebrò la strage di s. Bartolomeo in un discorso ricco di accenti neoplatonici (Predica di Dio Re e del Re di Francia, più tardi in Prediche fatte spezzatamente, Asti, V. Zangrandi, 1591). Si dedicò inoltre a convertire nobildonne e mercanti.
Fece poi rientro in Italia. Passò per Parma, Ferrara e Bologna e si stabilì a Firenze per insegnare teologia (1573-75).
Le lezioni in latino su Scoto, alcune conclusiones e un trattato in volgare sull’ateismo sono perduti; il progetto di pubblicare le lezioni fiorentine Sopra il catechismo ad parochos non ebbe seguito (1574).
Predicò a Genova (1574), Lucca e Pesaro (1575-76). Alienatosi Francesco I de’ Medici perché protetto dalla consorte Giovanna d’Asburgo e immischiato in intrighi di corte, si trasferì a Bologna per insegnare teologia (1575-78). Per il giubileo si recò a Roma passando per Perugia, Assisi e Narni, e predicò per la congregazione dell’Ordine (1575). Gregorio XIII gli affidò la predica per la Quaresima in S. Lorenzo in Damaso (1576) e negli anni seguenti recitò sermoni a Venezia, Mantova, Ancona e di nuovo a Roma, non trascurando il tema della peste.
Le Prediche quadragesimali in S. Pietro (1577) ebbero una versione francese e decine di edizioni dopo la prima postuma (Roma, appresso Stefano Paolini, 1596), talvolta con l’aggiunta dei Nove discorsi sopra le sette parole di Christo Pater Ignosce frutto dei sermoni tenuti nel 1577 a Bologna per ordine di Gabriele Paleotti (pubblicati a sé nel 1601). A Bologna compose pure una perduta cronologia biblica in latino e il Trattato della memoria locale, che circolò manoscritto e fu pubblicato nel 1599 (Padova, Bolzetta) come appendice al Modo di comporre una predica.
Nel 1578 si trasferì più stabilmente a Roma, fu nominato primo lettore di teologia in Aracœli e tenne altre prediche.
Spiccano quelle su Geremia, edite in forma di parafrasi con commento (Dichiaratione delle Lamentationi, 1586, a cui si aggiunse postumo il Gieremia dolente, 1626, in cui confluirono le lezioni in S. Lorenzo in Damaso). Inoltre lavorò come consultore dell’Indice stilando un parere latino (forse perduto) sulle Constitutiones Parisienses di Charles Du Moulin. Alla fine degli anni Settanta risalgono inoltre il citato Modo di comporre una predica (o Prattica) (Cremona, Milano, Roma e Brescia 1584), stampato più volte e tradotto in latino in una raccolta del 1693 che incluse il Modus concionandi di Diego de Estella, e Il predicatore o Intorno al libro dell’Elocuzione di Demetrio Falereo (1609), ristampato con il Modo nella miscellanea Dell’eloquenzaecclesiastica (1643) e compendiato nel 1730. Una parte del trattato (la seconda) interveniva anche nel dibattito sulla lingua volgare.
Tali opere consolidarono la fama di maestro della retorica ecclesiastica e dell’ars predicandi postridentina che il frate si guadagnò sul campo davanti alle folle e soprattutto alle élites di molte città in nome del docere delectando. Ispirandosi a Cornelio Musso, attingendo alla Scrittura e dotandosi di formulari e compendi, seppe sfruttare la sua memoria e i vantaggi della stampa, privilegiò l’uso di una lingua piana tratta dalla prosa fiorentina (come voleva Pietro Bembo) ma anche dal lessico parlato in riva all’Arno, e contribuì all’inclusione della predica nei generi letterari riconosciuti e alla diffusione dell’italiano colto. Inoltre, abusando di metafore, allegorie, arguzie e iperboli, di soluzioni alessandrine e di paratassi, egli aprì la strada al gusto barocco che trionfò pochi anni dopo e fu esaltato da Giovan Battista Marino nelle Dicerie sacre (1614).
Nel 1579 fu eletto custode della provincia di Milano e predicò a Venezia. Ma il successo gli attirò rancori e dovette difendersi dal sospetto di meditare la fuga a Ginevra scrivendo un’Apologia (Milano, Bibl. Ambrosiana, S. 79 sup.). A Parigi, per la congregazione dell’Ordine, si contese la carica di ministro generale con Francesco Gonzaga, ma vinse quest’ultimo e Panigarola fu definitore generale; inoltre predicò e stilò alcune Conclusiones teologiche (perdute) e le Theses generales ex universa SS. Theologia (Ingolstadt, Eder, 1584): un’esposizione del simbolo niceno con un elenco di 695 proposizioni. Rientrato in Italia pronunciò il sermone per la traslazione in Vaticano delle reliquie di Gregorio di Nazianze (Prediche fatte spezzatamente, 1591, cc. 263r-276v) e predicò a Napoli, Cremona e Modena (1580). I sermoni in Aracœli (spiccano quelli in Assumptione e in Nativitate B. Mariæ) furono pubblicati in un volume postumo di Homiliæ (1600). Nel 1581 fu a Mantova e a Roma, dove lavorò al Tractatus de sensibus Scripturarum e all’incompiuta Selva di tutti i libri sapienzali per formare un’ethica, un’economica e una politica christiana (entrambi perduti). All’inizio del 1582 si recò in Piemonte, inviato dal papa per sorvegliare i piani matrimoniali di Carlo Emanuele I, e dove tornò in settembre, quando si sparse voce che il duca (al quale si legò in cerca di una promozione episcopale) stesse per morire e che il partito filofrancese cercasse di danneggiare gli interessi spagnoli.
Stilò allora le Lettioni sopra dogmi o Calviniche (Milano, G. Pontio, 1582), più volte pubblicate, tradotte in francese (1587) e in altre lingue e in parte confutate nell’Antipanigarole di Georges Pacard (Niort, T. Portau, 1597).
Scritto in un contesto che conobbe la diffusione della Riforma a corte, il libro si rivolgeva ai mercanti a rischio di ‘infezione’; avvisava il duca che il «nervo della obbedienza è la religione» cattolica; lo ammoniva a non tollerare libri proibiti e a favorire i giudici della fede; accusava Calvino di incoerenza per la scomunica di Bernardino Ochino e la condanna di Miguel Servet (ed. 1582, cc. 232r, 11r, 237r) e sconsigliava al clero l’uso di testi di controversia comprensibili agli indotti. Lo scritto ebbe problemi proprio perché Carlo Borromeo non gradiva la diffusione di teologia in volgare e in base alla VI regola dell’Indice del 1564 ne proibì la circolazione, pur se approvato dall’inquisitore dopo il vaglio di Pietro Galesini. La decisione fu avallata dal S. Uffizio (che chiese di riscriverne delle parti) e dall’Indice (1597) e si vietarono le licenze di lettura favorendo così la diffusione della versione latina rivista del 1594 (Fragnito, 2005, pp. 108-110, 179 s.). Panigarola si difese con Borromeo il 2 dicembre del 1582 (Sevesi, 1947, pp. 178-181) e mostrò di mal tollerare il controllo del volgare nelle materie scritturali.
Nel 1582 si trasferì a Milano per volere di Carlo Borromeo, che due anni dopo lo portò con sé nei Grigioni insieme con il gesuita Achille Gagliardi; nel 1583 recitò i sermoni quaresimali a Genova. Completò inoltre la prima parte dei Cento ragionamenti sopra la Passione (Genova, A. Orero, 1585; Venezia, Rampazetti, 1585, con molte edizioni successive), il cui piano prevedeva altre tre sezioni mai ultimate. Chiamato a predicare a Roma, relazionò al papa sulla missione retica e il 13 aprile 1584, da commissario degli studi, fece stampare una Riforma de gli studii de frati Minori Osservanti in Italia in cui dettò norme severe per istruire i religiosi in materia biblica, propose l’istituzione di quattro studi generali (Venezia, Bologna, Perugia e Napoli) e una ratio studiorum con l’elenco dei testi indispensabili nelle biblioteche conventuali per apprendere le varie discipline umane e religiose. Dopo aver seguito il cardinale di Verona Agostino Valier in visita a Vicenza, cercò inutilmente di ottenere un episcopato puntando su Novara. Del resto, Borromeo non lo favorì giudicandolo affetto alle cose mondane (lettera del 6 ottobre 1584, in Sevesi, 1947, p. 206). Fu poi la volta della stessa Milano, quando in novembre, morto Borromeo, stilò il discorso funebre in suo onore (Orazione … fatta nel Duomo di Milano nelle essequie…, o In morte e sopra il corpo…, Roma, eredi di A. Blado, 1584 e altrove), a cui fece seguire mesi dopo una seconda orazione (Ragionamento... in occasione di essequie..., Roma, Milano e Bologna 1585) per le esequie fatte celebrare da Visconti, il nuovo arcivescovo scelto da Roma.
Completò allora la Dichiaratione de i Salmi di David (Firenze, D. Manzani, 1585, con decine di edizioni), una parafrasi-volgarizzamento in cui ogni preghiera (riportata ai margini in latino) è preceduta da una didascalia. Morto l’autore lo scritto, come le lezioni su Geremia, fu oggetto dell’attenzione di vescovi e inquisitori che, alle prese con la IV regola dell’Indice che bandiva i volgarizzamenti biblici (1596), si domandavano che fare con i testi che ne riportavano brani tradotti o parafrasati. L’opera sfuggì alla censura perché accompagnata dal commento (decreti dell’Indice del 9 e 22 novembre 1596), anche se la sua lettura richiese il permesso del vescovo o del giudice di fede (Fragnito 2005, pp. 109, 227). Nel 1588 dalla Dichiaratione il frate estrapolò I sette salmi penitentiali (Venezia, B. Giunti); un’edizione dei Sette salmi della misericordia circolò con l’opera di Agostino Agostini che mise in rima quelli penitenziali (I sette salmi penitenziali imitati in rima…,Venezia, G. Porro 1592 e Anversa 1595, con incisioni).
Nel 1585, lasciata Milano (dove si era dedicato alla formazione dei confessori in S. Maria al Giardino, dando inizio a un’incompiuta e perduta Vita di David, riducendo in volgare le opere di Luis de Granada – manoscritto ora perduto – e stilando una Medicina spirituale stampata nel 1621), tenne sermoni a Bologna e, salutata l’elezione di Sisto V (un francescano), si recò a Fermo per incarico del papa e predicò l’Avvento in Aracœli. Restò a Roma per qualche mese, cominciò a stilare l’incompiuta e perduta Dichiaratione letterale in Giobbe e il 4 luglio 1586 fu consacrato vescovo in partibus di Chrysopolis e suffraganeo di Ferrara, dove si trasferì il 23 luglio per volere di Alfonso II d’Este. Accusato di brigare contro il cardinale Luigi d’Este per avere scritto segretamente a Ferdinando de’ Medici una lettera intercettata, il 6 novembre fu costretto a lasciare la città per ordine del segretario Giovan Battista Laderchi.
La cronaca di Filippo Rodi afferma che il bando gli fu dato «per altre cause aromatiche et da non mettere in carta» (forse la sua sussurrata omosessualità); e il frate accennò alle accuse che lo colpirono in una lettera in cui chiese perdono al duca. Da quel che si comprende, egli aveva provato a ottenere una carica più prestigiosa tentando di scavalcare i candidati favoriti dagli Este.
Dopo un soggiorno a Bologna, pubblicò la predica delle Ceneri in S. Sabina (De Sacrarum Stationum veteri instituto a Xisto Quinto… revocato, Roma e Milano 1587); lavorò al I libro della perduta Teologia Davidica e stilò la censura latina (probabilmente anch’essa perduta) della Bibliotheca Sanctorum Patrum di Marguerin de La Bigne (1575), che accoglieva testi ereticali (nell’Indice romano del 1596).
Per l’ambita promozione trovò un patrono affidabile nel duca di Savoia, che lo voleva per confessore e lo propose per una sede piemontese giudicando sin dal primo soggiorno a Torino che non avesse «niente del frate» (il nunzio Vincenzo Lauro, 14 giugno 1582, Arch. Segreto Vaticano, Segr. di Stato, Savoia, 14, c. 26). La Curia resistette, ma il 28 settembre 1587 Panigarola divenne vescovo di Asti.
Giunto in città convocò il sinodo il 30 agosto 1588 e ne promulgò in volgare i dodici decreti, ispirati agli atti provinciali milanesi, che si aggiunsero a quelli del defunto vescovo Domenico Della Rovere (Decreti della prima sinodo… aggiuntevi tutte le lettere pastorali, Asti, G. e V. Giangrandi, 1589). Seguirono i sinodi del 7 novembre 1591 e del 18 novembre 1593. Inoltre come vescovo-conte emanò un editto contro i banditi (1587), predicò, si occupò di confessori e del locale S. Uffizio, visitò la diocesi e i frati minori (1588), stilò le Tabulæ vigintiquatuor ex variis conciliis et apostolicis visitationibus (Asti, V. de Zangrandis, 1594; Pavia, A. Vianus, 1594) tratte dalle norme di Borromeo nonché le perdute Instructiones per le visite pastorali.
Nel febbraio del 1589 Sisto V lo chiamò a Roma per questioni giurisdizionali: compose allora l’Espositione letterale e mistica della Cantica di Salomone (edita postuma con il Memoriale della vita christiana e l’Oratorio di medicina o di essercitii spirituali, 1621), mandò in stampa IlCompendiode gli Annali ecclesiastici del padre Cesare Baronio (Roma, G. Gigliotto, 1590), che continuò a epitomare fino alla morte, arrestandosi al III tomo, e predicò in S. Pietro e S. Lorenzo in Damaso. Si recò poi in Francia con Roberto Bellarmino al seguito di Enrico Caetani, legato a latere, partito il 2 ottobre dopo l’uccisione di Enrico III. A Lione e a Digione e poi in una Parigi piegata da Enrico di Navarra e ostile ai nunzi, incapaci di dare aiuto materiale alla città, predicò con scarso frutto, incoraggiò la Lega a resistere e chiuse le porte alle ipotesi di accordo con gli ‘eretici’ non incontrando il pieno favore di Sisto V, che non gradì tanta parzialità della legazione per la Spagna e tanta ostilità per il Bourbon, che aveva promesso di convertirsi.
Parte dei sermoni fu pubblicata in Tre prediche … fatte da lui in Parigi (Asti, V.G. Grandi, 1592; Bologna, G. Rossi, 1592, che inclusero la Predica contra la pace e la Lettera pastorale scritta da Parigi dopo la liberatione dall’assedio il 4 settembre 1590, stampate anche in forma autonoma) e fu riassunta nei 49 capitoli dei Malheurs et inconventiens qui adviendront aux Catholiques faisant paix avec l’héretique (Paris, N. Nivelle-R. Thierry, 1590). Panigarola si dichiarava contro la libertà di coscienza, le tesi dei politiques e il giuramento di fedeltà a Enrico IV; confutava le Vindiciæ contra tyrannos e negava che nell’era cristiana fosse lecita la pluralità di fedi come tra i pagani; anche se con il tempo affinò i giudizi meritando la diffidenza malevola dei più intransigenti. Lo conferma la relazione sui fatti d’Oltralpe finita in mano di Enrico IV, ma inviata al duca di Savoia, che avanzava pretese sul trono (Paris, Bibliothèque Nationale, Mss. Français, Ancien Fonds, 4766). In Francia ebbe comunque agio di comporre una grammatica francese e degli annali delle guerre civili (entrambi perduti) e di cominciare una Vita in terza persona tramandata in sei manoscritti usati già dai suoi primi biografi (Vita scritta da lui medesimo, a cura di F. Giunta, Bologna 2008).
Tornato nella diocesi alla fine della missione (24 settembre 1590), vergò una Lettera pastorale … in occasione di essere entrate forze di nemici heretici in Piemonte (Milano, P. Pontio, 1592), intrattenne stretti rapporti con il duca, riformò con la stampa di nuove regole le Compagnie del Ss. Sacramento (1592) e si dedicò all’opera pastorale, pubblicando altri libri: le citate Prediche fatte spezzatamente, i B. Petri … gesta (Asti, V. de Zangrandis, 1591), e alcune opere mariane: una Oratio de Maria Virgine (Asti, V. de Zangrandis, 1591), la Predica de i miracoli della natività … (Asti, V. de Zangrandis, 1592; Bologna, G. Rossi, 1592), e il componimento La Santa Casa di Loreto, edito con i 46 sonetti sulla Quaresima da Pier Girolamo Gentili in Della corona di Apollo (Venezia 1605, pp. 119-182) e da Cesare Franciotti in Viaggio alla Santa Casa di Loreto (Venezia 1616, pp. 251-257), nonché in latino nel 1606. Degli ultimi anni di vita è pure lo Specchio di guerra (Bergamo, C. Ventura, 1595) in cui per fornire un’alternativa alle arti militari ispirate ai classici parafrasò in volgare 260 passi dell’Antico Testamento, riportati in latino, per educare i soldati con le Scritture.
Morì ad Asti il 31 maggio 1594 e fu seppellito nella cattedrale.
Paiono senza riscontro le dicerie seicentesche che raccontano di una fine violenta (pugnale o veleno) per mano di un nobile offeso da una predica. Nel 1596 la sua raccolta di libri (665 volumi per 480 titoli) fu donata dal duca di Savoia alla biblioteca dei cappuccini di Torino, dove in larga parte è ancora presente.
Giorgio Mangano e Giovanni Dall’Armi ne scrissero le orazioni funebri (Asti e Torino 1594) e Bonagrazia da Varenna una Vita (Milano 1617), che attinse all’autobiografia e fu ristampata con l’Espositione nel 1621. Amico di Torquato Tasso, con il quale corrispose invitandolo a non rinnegare la Liberata (il poeta gli dedicò sei sonetti, lo lodò nei Dialoghi e trasse ispirazione da lui per le Rime spirituali), elogiato da Federico Borromeo nel De sacris oratoribus (1632), Panigarola, a cui Leonardo Salviati dedicò gli Avvertimenti della lingua sopra il Decamerone (1586), fu ricordato da Bellarmino come uomo vanitoso e Marc-Antoine Muret ne biasimò lo stile ‘asiano’. Di certo fu il più noto predicatore del tempo e le opere stampate dopo la morte contribuirono a consacrarlo.
Opere: oltre a quelle citate, apparvero postumi i Ragionamenti fatti al clero d’Asti, Venezia, F. Prati, 1597 (ripresa in parte dalle Lettere pastorali); i Prologhi sopra del’Evangelij di Quaresima, Vercelli 1601; il Nuovo volume di prediche Quadragesimali, Milano 1608; i Sacri concetti sopra diversi luoghi della Scrittura, Milano 1625; le Lettere, Milano 1629 (raccolte dal nipote Alessandro, che includevano le epistole pastorali pubblicate e La malattia fatta in Vercelli di Carlo Emanuele, risalente al 1583, pp. 113-125). La Vitae i repertori accennano all’esistenza di opere inedite, perdute con la distruzione dei fondi del convento di S. Angelo a Milano (1746): il compendio del manuale per confessori di Martin Azpilcueta, una collezione incompiuta di frasi di Francesco Petrarca, una parafrasi latina dei primi libri della Fisica di Aristotele, un libretto in volgare su Lepanto e delle note sopra Tacito.
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