POGGI, Girolamo
POGGI, Girolamo. – Nato a Firenze l’11 agosto 1803 da Pietro, avvocato, e da Anna Mazzoni, fu fratello maggiore di Enrico, futuro ministro del governo provvisorio toscano.
Studiò lettere e filosofia nel collegio delle Scuole pie a Firenze. Si iscrisse quindi alla facoltà giuridica a Pisa nel 1819, per ottenere la laurea il 14 giugno 1823, avendo come relatore il canonista Giuseppe Cantini. A soli ventitré anni ebbe un primo attacco di emottisi, malattia che lo avrebbe periodicamente colpito nel resto della vita, causandone infine la morte.
Fin da giovane si dedicò agli studi con vasti interessi, fra cui la chimica, ma cimentandosi anche con lingue straniere come l’inglese; si diresse però con chiarezza verso la professione di giurista, superando l’esame per il notariato (1825) e a seguito quello per la procura legale (1826) e per l’avvocatura (1827). Molto precoce, già nel 1823 scriveva di aver intrapreso con l’amico Iacopo Mazzei lo studio completo di un piano di legislazione civile sulla base del codice napoleonico, mentre al 1825 risalgono i suoi primi scritti, che mostrarono immediatamente uno spiccato interesse in tema di diritto agrario. In particolare, nel Piano d’Istituzioni agrarie, Poggi, pur convinto che un eventuale codice di diritto rurale, di cui tracciava già l’architettura complessiva, non avrebbe potuto essere un corpo distinto dal codice civile, riteneva che tale materia costituisse un sistema unitario degno di trattazione scientifica.
Coltivò ampi contatti con un circolo di giovani avvocati influenzati da idee liberali, tra i quali Mazzei, Celso Marzucchi, Napoleone Pini e Ferdinando Andreucci, senza mai avere quel ruolo attivo che costò l’accusa di sovversione all’amico Vincenzo Salvagnoli, in seguito autore di un celebre elogio post mortem di Poggi.
Nel luglio del 1830 divenne socio dell’Accademia dei Georgofili, alla cui vita partecipò, anche come deputato, fino al 1834, quando gli impegni forensi e la malattia resero sempre più difficile una sua collaborazione attiva.
In seno all’Accademia Poggi pronunciò alcuni celebri discorsi, fra i quali spiccano il Discorso della necessità di diffondere universalmente l’istruzione economico legale per mezzo di libri elementari e il Discorso della necessità di applicarsi allo studio del diritto municipale.
Nel primo, letto il 5 giugno 1831, partendo dall’affermazione di una stretta connessione fra economia e diritto pubblico e dall’idea di una rifondazione della scienza economica su principi pratici e positivi, sviluppava la tesi della necessità di diffondere libri elementari che potenziassero in ogni fascia della popolazione l’istruzione legale e la conoscenza delle istituzioni patrie, con la stesura di manuali destinati ad artigiani, agricoltori e piccoli proprietari. L’impianto di tali manuali era concepito come una sapiente combinazione di nozioni storiche, trattazione lucida e compendiosa del regime vigente e analisi della ratio della legge, vista come deduzione dello specifico interesse legislativo all’intervento nella materia economica. Lungi dal concepirle come mera forma di educazione civica, Poggi era convinto che l’istruzione e la conoscenza veicolata dai manuali procurassero vantaggi pubblici e privati, ossia il risveglio dell’operosità individuale e del moto associativo, nonché una certa agevolazione dell’azione amministrativa attraverso il maggior rispetto delle regole. Il secondo, del 4 agosto 1833, doveva essere un’anticipazione di una più vasta opera sul diritto municipale, mai compiuta. Palesi erano gli influssi della giuspubblicistica di Romagnosi, dalla quale si traevano le categorie generali per l’inquadramento del diritto municipale come primo strato del «diritto naturale politico», una sorta di diritto amministrativo. Sempre riprendendo il lessico romagnosiano, Poggi parlava del governo municipale come estensione del governo di famiglia e tracciava le basi di un impianto gerarchico decentrato su tre gradi (Comune, Circondario e Provincia), della rappresentanza degli enti, di una legislazione municipale concepita come sussidiaria rispetto a quella generale. Lo stesso potere amministrativo locale, tutt’altro che compresso dalla tutela centralistica, era dotato di un insieme di competenze, tra cui non solo la gestione dei beni comuni, quanto anche la distribuzione ed esazione delle imposte, l’istruzione, l’assistenza, la polizia. Respingendo ogni antagonismo fra centro e periferia, Poggi fondava un regime di sussidiarietà guidato dal principio di distinzione degli interessi e di cooperazione e insisteva per lo studio teorico, ma soprattutto pratico del diritto municipale, diretto anche alla formazione dei quadri, degli impiegati e dell’intera popolazione. Tali suggestioni sarebbero state riprese dal pensiero moderato toscano e non a caso il discorso fu ristampato nel 1847.
Poggi si cimentò nello studio di alcuni settori dell’ordinamento toscano oggetto di riforme, che si sarebbero concretizzate di lì a poco. Nelle Osservazioni sugl’incidenti nella procedura delle cause civili, proponeva alcuni rimedi per le lentezze della giustizia civile, intervenendo sul numero e la celerità della trattazione delle questioni incidentali; non erano, però, solo espedienti circostanziati, giacché Poggi vi palesava l’esigenza della fissazione di un criterio di competenza generale che abolisse ogni specialità dipendente dalla materia civile e commerciale, dalla qualità privilegiata delle persone o dal valore dell’oggetto del contendere. Il Dell’ufficio della civile legislazione nell’istituire il sistema delle garanzie reali e dei correlativi titoli di prelazione doveva costituire nella mens di Poggi l’introduzione a un commentario teorico-pratico (che mai riuscì a scrivere) sulla legge ipotecaria toscana del 2 maggio 1836. A partire dai materiali preparatori della legge, con vasto uso della comparazione, ma sempre con intento sistematico, egli disegnava un sistema di garanzie reali contenuto entro i limiti della necessità, sicuro, rapido e non dispendioso nell’attivazione.
Tutti questi saggi minori, uniti a una selezione di documenti dell’attività professionale di Poggi, come avvocato e poi come giudice, furono raccolti ed editi postumi a Firenze nel 1844 dal fratello Enrico con il titolo Consultazioni, decisioni e opuscoli inediti.
Fra il 1829 e il 1832 pubblicò, in quattro tomi, la sua opera più celebre, in cui affinò la sua naturale vena sistematica, ossia il Saggio di un trattato teorico-pratico sul sistema livellare secondo la legislazione e la giurisprudenza toscana, per il quale avrebbe ottenuto una privativa di stampa, grazie a un giudizio encomiastico del presidente del buon governo Aurelio Puccini, condiviso anche da Romagnosi. Il Saggio avrebbe avuto una nuova edizione postuma, in due volumi, nel 1842, con appendici e note del fratello Enrico. Esso costituisce l’espressione più compiuta di quel «canone eclettico» (Lacchè, 2010) ottocentesco in campo giuridico, di cui Poggi fu uno dei principali rappresentanti.
La suddivisione in tre parti (storica, giurisprudenziale ed economica) evidenziava le componenti da fondere nella stesura di ogni trattato giuridico, come più in generale nella formazione del giurista. Storia, diritto positivo e riflessione filosofica de iure condendo erano qui applicate per l’analisi di un istituto – l’enfiteusi – non concepito come mero contratto privato, quanto nella sua dimensione di fonte di pubblica ricchezza per la società. Non certo distante da posizioni storicistiche, veicolate soprattutto dalla familiarità con Giambattista Vico, Ludovico Antonio Muratori e Charles-Louis de Montesquieu, Poggi esaltava il ruolo della storia come scienza universale non solo nell’introduzione di tutte le conoscenze umane, ma anche come parte intrinseca (e quindi utile nella pratica) di ogni disciplina; tuttavia, non mancava di distaccarsi dalla scuola savignyana nel sottolineare l’esigenza di combinare strettamente dimensione storica e analisi delle teorie del diritto universale, secondo la lezione di Romagnosi. L’evoluzione storica dell’enfiteusi era delineata a partire dal diritto romano, per passare alle alterazioni da essa subite nel cosiddetto ‘sistema feudale’ e finire profondendosi con dovizia di particolari sulle riforme leopoldine. Queste restaurarono un diritto pieno, integrale ed esclusivo di proprietà, attraverso la rimozione di ogni vincolo al godimento e alla disponibilità della medesima, il frazionamento dei grandi possedimenti e la creazione di un nucleo di tutele e garanzie in capo al titolare. Poggi contribuiva ad alimentare il mito leopoldino, esaltando la creazione di un vero e proprio sistema livellare toscano, complemento necessario alla realizzazione degli obiettivi suddetti e alla promozione della libertà per agricoltura e commercio, vere fonti di ricchezza del Paese. Il livello, che Poggi definiva come una specie di proprietà, veniva ad assumere nel disegno leopoldino il significato non solo di un volano per ridare vitalità all’economia agricola, ma anche di uno strumento schiettamente politico, consentendo al suo titolare l’ammissione agli uffici comunitativi a scapito dei proprietari. La successiva esposizione risentiva di una sistematica concepita secondo canoni leibniziani, centrati su un ordine logico e rigoroso nella definizione, nella partizione della materia in base ai suoi caratteri universali e comuni e nella gradualità nell’analisi dell’istituto (dal generale e astratto allo speciale e concreto), che terminava con un compendio concettoso in succinti articoli, finalizzato in primis a didattica e pratica forense, ma non a torto visto come esercizio preliminare alla codificazione, verso la quale Poggi non mostrava diffidenza, se intesa come rielaborazione ordinata e rispettosa del diritto nazionale e in continuità con la giurisprudenza consolidata. Una posizione mediana che sosteneva anche in tema di interpretazione: se essa doveva avere per oggetto la determinazione della volontà del legislatore e quindi prender le mosse dal senso naturale e grammaticale della norma, non si estrometteva affatto l’indagine sulla ratio della disposizione, purché desunta dal diritto positivo e dalle circostanze di fatto (e non da precetti astratti) e in rapporto sistemico con il complesso delle regole relative alla medesima materia. L’opera era nel complesso ricca di riferimenti giurisprudenziali e assai attenta alla tradizione di diritto comune, prediligendo i pratici di maggior spessore (Giovanni Battista De Luca e il toscano Gregorio Fierli) e i trattati degli umanisti.
Tale fu il prestigio acquisito durante questi anni, che la consulta, su spinta di Puccini, che voleva reclutare ai vertici della giustizia toscana dei giuristi di spicco, non provenienti dai ranghi della magistratura e di tendenza riformatrice, lo propose al posto di auditore del Magistrato supremo civile di prima istanza di Firenze. Nonostante il parere contrario del Consiglio di Stato, che evidenziava l’insufficiente esperienza di Poggi, il granduca lo nominò a tale carica il 23 gennaio del 1834.
Nel 1836 Poggi fu costretto a chiedere un periodo di riposo di tre mesi, prorogato più avanti per un egual tempo: lo trascorse a Roma, onde ristabilirsi dalla malattia attraverso un cambiamento climatico.
Morì a Firenze l’11 dicembre 1837.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Segreteria di Stato 1814-1849, b. 432, 1/24, f. 1767; Magistrato civile di prima istanza, ff. 1041-1042; Firenze, Biblioteca nazionale centrale, Gino Capponi, 11, n. 13; Vieusseux, 81, n. 109; Firenze, Biblioteca Moreniana, Palagi Libri, 433, ins. 60; Firenze, Archivio dell’Accademia dei Georgofili, bb. 27, 173; Siena, Biblioteca degli Intronati, Fondo Marzucchi, A.I.41, ins. 91; V. Salvagnoli, Elogio di G. P., Firenze 1838; E. Poggi, Storia d’Italia dal 1814 al dì 8 agosto 1846, II, Firenze 1883, pp. 126, 449; P. Grossi, Stile fiorentino. Gli studi giuridici nella Firenze italiana. 1859-1950, Milano 1986; F. Toni di Cigoli, Ragionamenti sul sistema del diritto agrario nella Toscana della prima metà dell’Ottocento, in Rivista di diritto agrario, 1991, n. 70, pp. 338-357; G. Luseroni, Giuseppe Montanelli e il Risorgimento: la formazione e l’impegno civile e politico prima del ’48, Milano 1996, pp. 92-96; F. Colao, Progetti di codificazione civile nella Toscana della Restaurazione, Bologna 1999; Ead., Avvocati del Risorgimento nella Toscana della Restaurazione, Bologna 2006; L. Mannori, Un’‘istessa legge’ per un’‘istessa sovranità’: la costruzione di una identità giuridica regionale nella Toscana asburgo-lorenese, in Il diritto patrio tra diritto comune e codificazione (secoli XVI-XIX), a cura di I. Birocchi - A. Mattone, Roma 2006, pp. 373 s.; E. Spagnesi, G. P. e il modello ideale d’un trattato di giurisprudenza, in Sapere accademico e pratica legale fra Antico Regime ed unificazione nazionale, a cura di V. Piergiovanni, Genova 2009, pp. 183-219; L. Lacchè, Il canone eclettico. Alla ricerca di uno strato profondo della cultura giuridica italiana dell’Ottocento, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, XXXIX (2010), pp. 189 s., 192, 204; M. Montorzi, P., G., in Dizionario biografico dei giuristi italiani, II, Bologna 2013, pp. 1607 s.