POLLINI, Girolamo
POLLINI, Girolamo. – Nacque a Firenze, presumibilmente nel 1544, da «parenti nobilissimi» (Ghilini, II, 1647, p. 154).
La tradizionale opera sugli scrittori domenicani riferisce come data di morte di Pollini il 1601 (Quetif - Echard, II, 1721, p. 346), tuttavia essa è invece da collocarsi al 1611, quando Girolamo aveva «67 anni d’età» (Ricozzi, 1980, p. 278).
Prese l’abito domenicano presso il convento di S. Maria Novella a Firenze. Nel 1596 divenne priore del convento della Ss. Annunziata a San Gimignano, non è noto con certezza fino a quale data, benché le fonti del convento affermino che per il 1600 Pollini avrebbe avuto altri due successori (San Gimignano, Biblioteca e archivio comunale, Convento della Ss. Annunziata di San Gimignano, Memorie e Ricordi, 82: Catalogo di tutti i Priori del Convento di San Gimignano, cc. 155r-191v, in partic. c. 174v).
Pollini fu, dunque, di nobili natali, ma fu anche uomo di singolari doti morali e intellettuali. Si applicò allo studio delle belle lettere, facendo «meraviglioso profitto» sia nella filosofia sia nella teologia. Tuttavia, fu per la storia che avrebbe mostrato particolare attitudine (Ghilini, II, 1647, p. 154; Negri, 1722, pp. 303-304), e fu proprio una sua opera storica sullo scisma dell’Inghilterra dalla Chiesa di Roma (1534) che lo pose al centro di una vicenda censoria alimentata dalla regina Elisabetta I Tudor.
La fama di Pollini, infatti, si deve principalmente alla redazione di un testo in lingua volgare che narra delle condizioni dei cattolici inglesi durante il primo ventennio del regno di Elisabetta I, dunque dopo che quest’ultima aveva abbracciato una soluzione religiosa dichiaratamente protestante. Divisa in cinque libri, l’opera si intitolava eloquentemente Historia Ecclesiastica della Rivoluzione d’Inghilterra… Raccolta da diversi e gravissimi Scrittori, non meno di quella Nazione, che dell’altre… (Bologna 1591).
Pollini è il piú significativo autore italiano che scrisse in lingua volgare una storia dello scisma d’Inghilterra, in cui sono descritti fatti e persone viventi all’epoca della composizione dell’opera (anni Ottanta del Cinquecento). Girolamo Tiraboschi, autore di una popolare Storia della letteratura italiana, cita due sole storie dello scisma d’Inghilterra (e avvenimenti a esso successivi), quella di Bernardo Davanzati e quella di padre Pollini, definendo quest’ultima «assai più diffusa» (VII, parte prima, Modena 1777, p. 368). In effetti, diversamente da Davanzati, il quale scrisse una breve Storia dello Scisma d’Inghilterra, cautamente conclusa con il regno della regina Maria Tudor (1553-1558) «per non entrare nei fatti della vivente» (Roma 1602, Dedica), Pollini ebbe il coraggio di comporre un’opera che poteva considerarsi in primo luogo propagandistica e apologetica, benché perfettamente rigorosa dal punto di vista storico.
La Historia di Pollini deriva essenzialmente da un’opera apologetica del famoso controversista cattolico inglese Nicholas Sanders, intitolata De Origine ac Progressu Schismatis Anglicani (Coloniae Agrippinae, 1585). Il racconto di Sanders, che sarebbe stato di ispirazione a numerosi autori cattolici, si interrompe tuttavia all’anno 1558. Il sacerdote inglese Edward Rishton lo avrebbe integrato e ne avrebbe portato avanti la narrativa fino agli avvenimenti relativi al 1585, data in cui fu pubblicato con il falso luogo di stampa di Colonia (in realtà, Reims). La Historia di Pollini copre anch’essa il periodo che va dal regno di Enrico VIII (1509-47) fino al 1584.
Nella prefazione egli afferma che la sua opera si basa sui rendiconti di «gravissimi» scrittori «sia inglesi che d’altra nazionalità» dunque a fatti oggettivi, storicamente riscontrabili; malgrado ciò, il suo testo fu condannato, perché considerato di parte, e dunque offensivo.
L’opera fu condannata come opera parziale e faziosa e offensiva per la nazione inglese e la dinastia Tudor: una effigie del suo autore fu arsa pubblicamente a Londra per volontà della regina.
Questa particolare informazione riguardo l’abbruciamento ‘in effigie’ di Pollini viene dalle opere di due autori, anche’ssi domenicani: Alonso Fernandez (Concertatio praedicatoria pro Ecclesia catholica…, Salamanticae, 1618, p. 371) e Vincenzo Fontana (De Romana Provincia Ordinis Pradicatorum, Romae, 1637, p. 361). Nella sua raccolta di biografie di uomini illustri pubblicata nel 1647. Girolamo Ghilini conferma la stessa versione dei fatti, ma aggiunge il particolare per cui la regina avrebbe imposto l’abbruciamento di una ‘statua’ del frate, attraverso una cerimonia pubblica che ne rendesse la punizione in qualche modo esemplare (Ghilini, 1647, II, p. 154).
La corrispondenza di Elisabetta, o di personaggi direttamente o indirettamente coinvolti nella vicenda, tace su questo particolare dettaglio. Tuttavia, la regina intervenne certamente, e personalmente, presso il granduca di Toscana, onde ottenere una serie di provvedimenti censori ai danni del frate domenicano. Elisabetta aveva ricevuto notizia dell’opera direttamente da lord Thomas Darcy, informatore e intermediario tra il Regno inglese e il Granducato di Toscana, il quale lo definì «the most mis;chievous and spiteful libel that ever Devil in Hell did write» («il libello più malefico e astioso che mai demone infernale avesse concepito», Rebora, 1935, p. 237). La prima edizione dell’Historia di Pollini fu pubblicata a Firenze nel 1591, ma quasi ogni copia ne fu in effetti soppressa, in primo luogo dai superiori domenicani. Non ne sarebbero rimasti che pochi esemplari, uno dei quali a suo tempo conservato nella biblioteca personale del famoso bibliofilo Antonio Magliabechi e oggi confluito nell’omonimo fondo della Biblioteca nazionale di Firenze; un altro, circostanza ovviamente non casuale, è oggi posseduto dalla British Library di Londra.
Esiste certamente un’altra edizione dello stesso anno (1591), ma pubblicata in Bologna a istanza dei Giunti di Firenze, evidentemente per aggirare la censura imposta all’opera nel Granducato di Toscana. Una seconda edizione, in quattro libri (invece dei cinque del 1591), apparve nel 1594 per i tipi di Gugliemo Facciotti, stampata sotto il patronato del libraio di Clemente VII, Angelo Ruffinelli, e dedicata al cameriere segreto del papa, Diego di Campo. Entrambe le edizioni sono dedicate allo ‘Illustrissimo e Reverendissimo’ William Allen, cardinale d’Inghilterra e fondatore del famoso seminario di Reims-Douai, creato allo scopo preciso di formare sacerdoti atti a partecipare all’opera missionaria in terra inglese. Certamente, agli occhi del governo inglese Allen era il direttore di un centro di addestramento per nemici della Corona, dediti al progetto di restaurazione del cattolicesimo in Inghilterra. Pollini, comunque, affermava la Historia essere «parto dell’intelletto mio» (1591, p. 3r), dunque non stupisce che egli fosse considerato responsabile, in prima persona, dei danni prodotti dalla sua penna.
Benché il pregio dell’opera risieda nelle sue qualità apologetiche e letterarie, essa si rivela uno strumento utile anche alla moderna storiografia. Infatti, le vicende censorie legate a questo testo mostrano l’esistenza sul territorio italiano di una rete di circolazione di opere a carattere polemico antiprotestante e anti-inglese abbastanza vasta e dal potenziale evidentemente persuasivo. Inoltre, la seconda edizione dell’opera contiene toni di condanna del ‘regime elisabettiano’ ben più duri di quelli usati nella precedente edizione, confermati da prove documentali a oggi assai preziose dato che gli originali sarebbero andati perduti.
Un esempio è costituto dalla trascrizione di quella che Pollini ritiene la lettera originale indirizzata nell’agosto 1533 dall’erede al trono inglese lady Jane Gray alla regina Maria Tudor. Nella lettera, lady Gray dichiara di esser stata vittima di ben due tentativi di avvelenamento, di cui sarebbero prova le testimonianze certe e attendibili e una subitanea e inspiegabile alopecia (quella da avvelenamento da arsenico è ben nota alla medicina moderna): «[...] due volte in questo tempo m’è stato dato il veleno, la prima fu in Casa de la Duchessa di Nortumberland, e di poi quì in Torre, si come io n’ho ottimi e certissimi testimoni, oltreche, da quel tempo in qua, mi son caduti tutti i peli d’addosso» (Historia, III, 1594, p. 358).
La richiesta da parte di Elisabetta I al granduca di Toscana di adottare misure punitive ai danni di Pollini è testimoniata dalla presenza di due missive: l’una in latino del 10 febbraio 1592, l’altra in italiano del 6 aprile dello stesso anno, quest’ultima dettata probabilmente dalla stessa regina, che aveva una buona conoscenza della lingua italiana (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, filza 4183, cc. 29-31).
Con la prima lettera la sovrana ringraziava anticipatamente il granduca per quanto avrebbe potuto fare a proposito dell’opera incriminata. Nella seconda, redatta a distanza di un paio di mesi dalla prima, la regina definiva l’opera di Pollini «infame scandalo» e il suo contenuto «falsità più che manifesta» (Rebora, 1935, p. 249). L’opera era accusata di denigrare non solo la «gloriosa memoria» di re Enrico VIII, ma anche la stessa Elisabetta, contro cui si scrivevano «tutte le maggiori calunnie et buggie» (p. 249). Tali affermazioni secondo la regina non potevano essere che false, dato il favore evidente che Dio mostrava alla nazione inglese. La regina poneva a condizione del mantenimento dell’amicizia tra il suo Stato e quello del granduca la soppressione dell’opera di Pollini e la sua punizione, per aver pubblicato «horribili calomnie et menzogne contro così grandi Prencipi passati et presenti» (p. 250).
Certo, la Storia della Riforma della Chiesa d’Inghilterra (1820) del vescovo anglicano Gilbert Burnet attribuisce alla Historia di Pollini il potere di aver fatto cambiare opinione ai francesi riguardo al protestantesimo inglese (I, p. X). All’epoca della pubblicazione dell’opera di Pollini, la propaganda letteraria da parte degli esuli cattolici inglesi faceva il giro dell’Europa, e nella stessa Inghilterra esistevano stamperie segrete per la pubblicazione di materiale controversistico che il governo invariabilmente bollava come sovversivo.
L’Historia conteneva, altresì, elementi che la rendevano particolarmente invisa alla regina, fra cui la esplicita condanna del governo femminile, specie nelle cose spirituali. Secondo Pollini, il titolo di capo della Chiesa spetta solo al pontefice romano, e né Enrico VIII né Edoardo VI poterono mai legittimamente attribuirselo. L’autoinvestitura da parte di una donna è vieppiù illecita, come sostenuto dall’apostolo Paolo e da s. Giovanni Crisostomo, i quali sempre esclusero la donna dal governo della Chiesa. Inoltre, la prima edizione della Historia comprendeva un Discorso sopra l’ingiusta morte dell’Innocentissima Reina di Scozia e una ‘conclusione’ in cui era contenuta esplicita denuncia del raggiro di cui sarebbe stata vittima la cattolica regina di Scozia, Maria Stuarda, legittima erede al trono inglese, a opera di Elisabetta. Pollini metteva chiaramente in evidenza il vincolo di parentela che legava la regina scozzese al granduca di Toscana tramite la moglie Cristina di Lorena, della Casa di Guisa come la Stuarda. Forse tale informazione avrebbe voluto servire da monito al Medici, affinché non oltraggiasse la memoria di una tanto illustre parente, ma avrebbe forse potuto far sorgere il dubbio alla regina che, in nome dell’augusta parente, il granduca non avrebbe avuto poi tanto interesse a estirpare l’opera del domenicano. Nelle pagine di Pollini la regina-martire, Maria Stuarda, rappresenta il sangue innocente dei cattolici che in Inghilterra subivano barbare persecuzioni religionis causa.
Nessuna delle fonti di cui si servì Pollini lascia dubbi circa la paternità dei loro autori o la loro nazionalità; molti di essi facevano parte del cosiddetto partito dei ‘Louvanisti’ – da alcuni definito il partito ‘spagnolo’ o ‘dei gesuiti’ –, i cui membri, tutti esuli cattolici inglesi, condividevano una visione politica, oltreché spirituale, votata alla necessità di ripristinare in Inghilterra l’antica fede. Il gesuita Robert Persons, autorevole controversista e prolifico scrittore, da alcuni definito il più zelante sostenitore di un’invasione spagnola dell’Inghilterra, è tra le fonti principali di Pollini. Le sue opere vennero stampate in Italia a partire dagli anni Ottanta del Cinquecento: la famosa De persecutione anglicana epistola conobbe ben tre edizioni italiane (bolognese, romana e bresciana). L’opera veniva citata espressamente da Pollini soprattutto per rendere noto al mondo l’inasprimento che dal 1581 subì la legislazione inglese nei confronti dei sudditi cattolici che rifiutavano di conformarsi al culto prescritto dalla Chiesa d’Inghilterra.
Quando Pollini cominciò a lavorare alla sua ‘Rivoluzione d’Inghilterra’ nell’ultimo scorcio degli anni Ottanta del Cinquecento, in Italia circolavano una serie di testi e lettere riguardanti le vicende dei cattolici inglesi che si sarebbero dimostrati preziosi per la composizione dell’opera. Gli Avisi intorno al Progresso della Religione Catholica, estratti da lettere del 1579 e provenienti in parte dal seminario di Douai parte da cattolici d’Inghilterra, tra il 1582 e il 1590 conobbero numerose edizioni italiane alle quali Pollini ebbe certamente accesso. Le Lettere venute d’Inghilterra… dove si hanno alcuni avisi della crudel persecutione de quel Regno verso i Cattolici (Brescia, appresso Vincenzo Sabbio), apparvero nel 1582. Il testo cui Pollini si richiama più frequentemente è la Concertatio Ecclesiae Catholicae in Anglia (Augustae Trevirorum, 1583), una raccolta di documenti in latino relativi alla persecuzione dei cattolici inglesi. I documenti riguardano, in particolare, il periodo successivo all’esecuzione del gesuita Edmund Campion (1580), la cui opera – Rationes Decem, in cui spiegava le ragioni per cui sceglieva di vivere e morire nella religione cattolica, – fu un testo ad alto impatto emotivo e propagandistico. Con il martirio di Campion, e di altri sacerdoti cattolici, cominciarono a circolare vari rendiconti in lingua italiana, di esecuzioni di sacerdoti e laici cattolici, dei quali tutti Pollini si dimostra a conoscenza. Nello stesso periodo apparvero i testi con le incisioni di Giovanni Battista Cavalieri, presto divenuti famosi in tutta Europa, che descrivevano gli orrori perpetrati dai governi protestanti ai danni dei cattolici e dai quali certamente Pollini attinse. Thomas Stapleton, il famoso teologo professore a Lovanio e Douai, autore dei Tres Thomae sulla vita e il martirio di sir Thomas More, è anch’egli una fonte prediletta da Pollini.
Quali esattamente furono le sanzioni in cui incorse Pollini non è dato sapere. Rebora già negli anni Trenta del Novecento affermava che lo spoglio dei minutari medicei dell’Archivio di Stato fiorentino non offrono maggior chiarezza su questo punto. Certamente Pollini fu rimosso dal convento di S. Maria Novella per divenire sottopriore e priore di San Gimignano, come confermato da tutte le cronache, il che sembra rispondere al classico adagio del promoveatur ut amoveatur: il granduca volle così porre rimedio a un incidente diplomatico che avrebbe potuto costargli l’amicizia dell’Inghilterra. Come ovvio, nel catalogo dei priori di San Gimignano sono destinate poche righe alla biografia di ciascuno. In considerazione di ciò, appare significativo che Pollini sia identificato con le vicende censorie cui andò incontro a causa della sua storia dei cattolici inglesi (benché mai il granduca sia menzionato in proposito): «Il Padre G. Pollini Fiorentino […] fece molte cose degne di ricordanza […]. Compose L’istoria d’Inghilterra e per la verità della medesima fu molto perseguitato da quella natione» (San Gimignano, Biblioteca e archivio Comunale, Memorie e Ricordi, 82, c. 174v).
Pollini fu anche lettore ‘di casi di coscienza’ presso il convento domenicano di Città di Castello in Umbria, il che spiega la redazione di una biografia della Beata Margherita, terziaria dell’Ordine di S. Domenico, lì morta nel 1301 (Perugia, per Vincentio Colombara, 1601).
Secondo il necrologio di S. Maria Novella, Pollini fu chiamato da Giovanni Battista del Tufo, vescovo di Acerra, a collaborare alla stesura di una storia dei chierici regolari, l’Ordine al quale egli stesso apparteneva (Ricozzi, 1980, p. 278). Non è chiaro quale esattamente sia stato il contributo di Pollini, tuttavia l’opera esiste e fu pubblicata nel 1609 (Historia della religione de’ padri chierici regolari in cui si contiene la fondazione ed il progresso di lei fino a quest’anno 1609…, in Roma, appresso Giuglielmo Facciotto e Stefano Paolini).
Nell’Avvertenza al lettore, monsignor Del Tufo sosteneva di non possedere «quell’intera cognitione e certezza che richiede la verità dell’Historia» e nella Dedica (ai padri chierici regolari) diceva di aver voluto seguire lo stile degli scrittori domenicani, autori di storie del loro Ordine. Dunque, Pollini potrebbe aver contribuito alla redazione dell’opera attraverso la sua esperienza e capacità di storico.
Divenuto vicario dell’Incisa, Pollini vi morì il 1° marzo 1611.
Fonti e Bibl.: G. Ghilini, Teatro d’Huomini Letterati, I-II, In Venetia 1647, p. 154; J. Quetif - J. Echard, Scriptores Ordinis Paedicatorum, II, Lutetiae Parisorum 1721, p. 346; G. Negri, Istoria degli Scrittori Fiorentini, In Ferrara, 1722, pp. 303-304; P. Rebora, L’opera d’uno scrittore toscano sullo scisma d’Inghilterra ed una lettera della Regina Elisabetta, in Archivio storico italiano, XCIII (1935), 354, pp. 233-254; Id., La Storia d’Inghilterra di G. P., in Interpretazioni Anglo-Italiane. Saggi e Ricerche, Bari 1961, pp. 90-111; P. Ricozzi, O. P.: necrologio di Santa Maria Novella (1505-1665), in Memorie Domenicane, XI (1980), pp. 219-324; G. Crosignani, In merito alla rivisitazione di un ‘caso’ anglo-toscano: G. P., la Rivoluzione d’Inghilterra e la letteratura apologetica ‘italiana’ dei cattolici inglesi, in Scritti in Ricordo di Armando Saitta, Milano 2002, pp. 102-125.