PRETI, Girolamo
PRETI, Girolamo. – Nacque a Bologna nel 1582 da Alessandro, cavaliere dell’Ordine di S. Stefano, di illustre ma decaduta famiglia cittadina; non si ha alcuna notizia sulla madre, come anche mancano tracce di qualsivoglia parentela.
Preti trascorse l’infanzia seguendo gli spostamenti del padre, che lo collocò come paggio nella corte ferrarese di Alfonso II d’Este, dove manifestò l’inclinazione per le lettere. Fu poi condotto a Genova, in casa del principe di Melfi, Giovanni Andrea Doria. Nel 1602 fece il suo ingresso nel collegio Borromeo di Pavia grazie a una segnalazione di Gabriele Paleotti al cardinale Federico Borromeo, avviandosi così agli studi legali. Iniziò a comporre i primi versi, testimoniati da un sonetto dedicato al pittore Federico Zuccari, che in quei mesi affrescava le sale del Collegio, pubblicato nel 1604 a Pavia tra i paratesti di una miscellanea di carattere artistico intitolata Origine et progresso dell’Accademia del Dissegno de’ pittori, scultori, et architetti di Roma. Tracce di questo apprendistato pavese si raccolgono anche dai rapporti con Filippo Massini, Giovan Battista Visconti e Francesco Ellio.
Il primo, poeta perugino allora professore di diritto a Pavia, fu tra gli autori della citata silloge e destinatario di un sonetto di Preti (Poesie, a cura di S. Barelli, 2006, p. 297); al secondo, compagno al collegio Borromeo, fu indirizzata il 10 settembre 1608 la dedicatoria della Salmace; con il terzo, infine, Preti corrispose per rime già dal 1614 (pp. 91 s.).
Tra il 7 giugno 1606 e il 28 marzo 1607, mentre componeva un non identificato Discorso sopra le bellezze della poesia toscana, Preti scrisse ripetutamente da Pavia ad Antonio Ferreri per ottenere informazioni sul dottorato a Bologna. Le sue Conclusioni dottorali, anch’esse perdute, furono dedicate e spedite da Bologna a Borromeo il 16 gennaio 1608 con la prima di ventiquattro lettere all’arcivescovo milanese.
È di quell’anno, a Bologna, l’uscita del fortunato idillio La Salmace (Poesie, cit., pp. 226-259), che rapidamente lo proiettò sul palcoscenico della poesia nazionale, inaugurando la fortuna di questo microgenere barocco. Il testo condivide il primato con l’Europa di Giovan Battista Marino, a stampa già l’anno prima a Lucca, ma ideato in stretto vincolo con La Salmace e gli altri idilli padani, composti da Claudio Achillini, Ridolfo Campeggi, Giovanni Capponi, tutti amici bolognesi di Preti. Nonostante il discredito poi addensatosi sul genere, Preti restò fedelissimo alla Salmace, confermandola nel percorso redazionale della sua raccolta poetica e dedicandole un attento labor limae. Con la città natale, in particolare con la locale Accademia dei Gelati (dove fu con il nome di Essercitato), stretta attorno a Cesare Rinaldi, il poeta mantenne forti legami anche dopo il trasferimento a Roma, pressoché definitivo e interrotto solo da sporadici ritorni.
Scampoli epistolari, specialmente con Campeggi, lo documentano a Roma dai primi di dicembre del 1609, quando è attestato il suo inserimento, con l’appellativo di Inquieto, nell’Accademia degli Umoristi, della quale fu poi, prima del 9 giugno 1610, eletto segretario, divenendo il tramite tra quel consesso e l’ambiente bolognese. Il 29 gennaio 1611 annunciò a Campeggi la morte del padre, evento che dovette compromettere la sua condizione economica; infatti, proprio a partire dalla primavera di quell’anno, Preti avviò la collaborazione con Borromeo, che lo assoldò per almeno un biennio come procacciatore di libri per la Biblioteca Ambrosiana.
Nel 1614 vide la luce a Venezia la prima raccolta autonoma, Idilli e Rime, nella cui dedicatoria, indirizzata ad Ascanio Pio di Savoia e firmata da tal Claudio Sorani, la cui identità resta oscura, Preti è detto al servizio del cardinale Emanuele Pio di Savoia. Nel frattempo era scoppiata la polemica, banale nei contenuti ma indicativa dello schierarsi del gusto, tra Marino e Ferrante Carli. Questi si trovò suo malgrado a istigare il partito dei mariniani bolognesi e volle inutilmente cercare l’appoggio di Preti, oltre che di Achillini e di Fulvio Testi. Ne resta traccia in una lettera del 26 novembre 1613, interessante perché vi si leggono le richieste di solidarietà di Carli poggiare su due presunti oltraggi mossi da Marino, ossia la taccia di furto per la Salmace e, meno decifrabile, un riferimento ad alcuni scritti letterari, forse in forma epistolare: «alcune lettere tratte dalli immortali poeti Ludovico Ariosto e Torquato Tasso» (C. Delcorno, Un avversario del Marino: Ferrante Carli, in Studi secenteschi, XVI (1975), p. 134).
Gli anni successivi vedono Preti calato nell’ambiente romano: il 22 ottobre 1617 indirizzò all’amico Antonio Lamberti la Lettera […] sopra il paragone del tempio moderno di S. Pietro di Roma colle fabriche antiche romane, inclusa nella raccolta poetica dal 1631, e soprattutto meditò l’importante Discorso intorno all’onestà della poesia, affine per ispirazione alle questioni circa l’istituto della poesia sacra, il tema che diverrà centrale, di lì a poco, nei circoli intellettuali gravitanti attorno a papa Barberini, già legato pontificio a Bologna dal 1611 al 1614. Premesso alla seconda edizione del poema sacro di Ridolfo Campeggi Le lagrime di Maria Vergine, edito a Bologna nel 1618, il testo andrà collocato in quello stretto giro d’anni e radicato nelle frequentazioni capitoline di Preti.
Dai retori gesuiti, per esempio da Famiano Strada, veniva formulata la poetica classicistica che Preti accolse con convinzione, perché coerente con l’indole «moderata» che lo connotò sin dagli esordi e che lo ha contraddistinto nella ricezione della critica (F. Croce, Il marinismo conservatore del Preti e del Bruni, in Id., Tre momenti del Barocco letterario italiano, Firenze 1966, pp. 29-40). La sua raccolta manifesta una discreta tipicità rispetto al panorama della lirica manierista, dal momento che, anziché adottare lo smembramento del canzoniere in un «casellario tematico», intese narrare la «storia di un’anima», come dimostra la sistemazione delle poesie, fissate alla quota di cento, numero dalla simbologia perlomeno antiquata (G. Preti, Poesie, cit., p. XVI). Della sua vena, stilisticamente lontana dalle punte ingegnose, fu sempre apprezzata la sensibilità ai colori e alle morbidezze della natura, certamente riferibili al tocco paesaggistico dell’arte bolognese.
Tra la fine del 1620 e l’inizio del 1621 entrò nella famiglia dei bolognesi Ludovisi, al servizio di Alessandro – che dal 12 febbraio 1621 fu papa Gregorio XV – come istitutore del fratello Niccolò. Gli Avvisi romani citano il suo intervento del 4 agosto 1621 come gentiluomo del cardinale nipote Ludovico all’Accademia dei virtuosi del Quirinale su temi di ragion di Stato. Segretario del medesimo Alessandro era stato del resto l’amico Achillini fino al 1616, e i due furono inclusi da Marino, desideroso di appoggi per il ritorno dopo la parentesi francese, entro i paratesti della princeps della sua Sampogna, pubblicata a Parigi nel 1620. Dopo l’edizione del 1620, leggermente accresciuta, Preti ristampò la sua raccolta, per la prima volta a Roma, nel 1622, per i tipi di Guglielmo Facciotti, e per la prima volta con il titolo definitivo, significativo perché controcorrente, di Poesie.
Dal 1623 fu a servizio dai Barberini, come maestro di camera del cardinale Antonio e poi presso il fratello di questi, il cardinale Francesco, con la mansione di segretario delle lettere latine. Già cagionevole di salute, dovette allora ammalarsi gravemente, tanto da far circolare la voce della morte, e tanto da indursi a stilare un testamento, datato 4 ottobre 1623. Celato dietro il nome del tipografo Brugiotti, nel corso del 1624 fu Preti, quasi sicuramente, ad approntare la dedicatoria ad Antonio Barberini premessa alla Secchia rapita di Alesandro Tassoni, tra gli amici romani a lui più vicini, insieme con Antonio Bruni, Testi, Francesco Della Valle e Gasparo Salviani. Vi affiora di nuovo l’umanistico equilibrio di Preti, che guarda con favore ai nuovi generi e insieme ribadisce la grandezza degli antichi, in sintonia con la lettera a Lamberti e con il Discorso sull’onestà della poesia.
I tre scritti costituiscono l’esigua produzione a stampa di Preti, Poesie escluse. Sempre nel 1624 Agazio di Somma lo indusse a esprimere involontariamente riserve circa la superiorità dell’Adone, uscito nel 1623, sulla Liberata di Tasso. Marino se ne risentì; Preti, nell’edizione definitiva delle sue Poesie, mantenne intatti i due sonetti dedicati all’amico, dai quali si ricavano decisive informazioni. I testi sono prova «della convivenza lungo tutto l’arco della produzione del bolognese» di «un senso di incondizionata – almeno a livello di dichiarazione – adesione stilistica» nei confronti del fuoriclasse Marino, e al contempo della «presa di distanza dai contenuti sensuali» (Poesie, cit., p. XIII) che avevano reso problematico l’estro anticonformista di Marino nella cultura di primo Seicento. Altrettanto significativo il fatto che Preti, tra i barberiniani più ‘ortodossi’, volle adoperarsi, insieme agli Umoristi, per ricucire il duraturo strappo tra Marino e gli organi di censura ecclesiastica e quindi, dopo la morte del napoletano, per reintegrarne la memoria. Anche le mosse di questi ultimi tre anni di vita, oltre a ratificare la fedeltà ad amicizie di lunga data, confermano il suo ruolo centrale entro il complesso panorama culturale romano.
Al seguito di Francesco Barberini, che si recava nella primavera del 1626 in missione diplomatica da Filippo III, Preti si imbarcò per la Spagna trovando la morte per le conseguenze di una tempesta subita nel golfo del Leone. Prima del viaggio fatale ebbe modo di pubblicare l’ultima e definitiva edizione dell’opera di una vita, le Poesie, uscite a Roma presso Facciotti nel 1625.
Morì a Barcellona il 6 aprile 1626. Nessuna memoria è rimasta della sua tomba.
Fonti e Bibl.: Fino al 2006 si faccia riferimento a G. Preti, Poesie, a cura di S. Barelli, Roma-Padova 2006. In seguito: R. Ferro, Ritrovamenti per la biografia di G. P., in Studi di letteratura italiana in onore di Claudio Scarpati, a cura di E. Bellini - M.T. Girardi - U. Motta, Milano 2010, pp. 417-441; E. Selmi, P., Guarini, Marino e dintorni: questioni di poesia e storia culturale nelle accademie del primo Seicento, in L’Ellisse, V (2010), pp. 77-119; C. Carminati, Vita e morte del Cavalier Marino. Edizione e commento della Vita di Giovan Battista Baiacca, 1625, e della Relazione della pompa funerale fatta dall’Accademia degli Umoristi di Roma, 1626, Bologna 2011, pp. 21 s., 67-72; P.G. Riga, Un esempio secentesco di moralità letteraria: il “Discorso intorno all’onestà della poesia” di G. P., in Il discorso morale nella letteratura italiana. Tipologie e funzioni, a cura di V. Guarna - F. Lucioli - P.G. Riga, in Studi (e testi) italiani, XXVII (2011), pp. 75-93; R. Ferro, G. P. a Roma: le lettere a Federico Borromeo (1611-1612), in Aevum, LXXXVI (2012), pp. 1031-1070.