SICIOLANTE, Girolamo.
– Nacque a Sermoneta nel 1521, come si ricava dalla biografia di Giorgio Vasari (1550 e 1568, 1987, pp. 220 s.), il quale riferisce che a vent’anni avrebbe portato a termine la pala di Valvisciolo, datata 1541. Secondo Pietro Pantanelli (1766, 1972, p. 602), storico settecentesco di Sermoneta, Francesco Cristalli, padre di Girolamo, avrebbe cambiato il proprio cognome in Ciciolante o Siciolante, forma che compare indifferentemente nei primi documenti rogati dal pittore; non si conosce il nome della madre.
La formazione di Siciolante avvenne a Roma, prima presso Leonardo da Pistoia (Leonardo Grazia), allievo di Giovan Francesco Penni, e poi presso Perin del Vaga, detto Perino (Vasari, 1550 e 1568, 1987, p. 220; Baglione, 1642, 1975, p. 23). La sua prima opera nota è però legata alla sua città natale, nell’ambito di una serie di restauri promossi da Camillo Caetani, cugino di papa Paolo III Farnese, nel proprio feudo. Si tratta della Madonna col Bambino e s. Giovannino fra i ss. Pietro e Stefano (datata da una iscrizione al 1541) per l’abbazia dei Ss. Pietro e Stefano a Valvisciolo, oggi nel castello Caetani a Sermoneta. I volti e i panneggi voluminosi, la cromia raffinata e alcuni particolari decorativi mostrano che a quella data Siciolante si era già inserito nella bottega di Perino, così come starebbero a indicare anche la linea fluente e il chiaroscuro morbido del disegno preparatorio al dipinto, conservato al Louvre (Département des arts graphiques, inv. 10.074).
Nel 1543 Siciolante s’iscrisse all’Università dei pittori (dal 1577 Accademia di S. Luca) e fu l’unico, fra gli iscritti di quell’anno, a saldare velocemente la tassa d’iscrizione, il che porta a credere che a quella data, oltre a essere professionalmente indipendente, egli avesse già raggiunto un certo benessere economico; nello stesso anno, durante il consolato di Perino, dipinse un S. Luca, di cui si sono perse le tracce, per l’omonima chiesa all’Esquilino, demolita nel 1587 (Salvagni, 2012, p. 266). L’anno successivo compare tra i primi iscritti alla Congregazione dei Virtuosi al Pantheon, dove partecipò con regolarità alle adunanze fino a poche settimane prima della scomparsa (Tiberia, 2000, pp. 243-246).
Scrisse Vasari (1550 e 1568, 1984) che tra «i molti giovani» allievi di Perino, il più dotato era Siciolante, «di cui egli si servì più di tutti» (p. 161). I primi lavori di Siciolante si svolsero, dunque, sotto la supervisione del maestro, che negli anni Quaranta deteneva il monopolio delle prestigiose commissioni farnesiane. Data a questi anni la Pietà per la cappella Muti-Papazzurri ai Ss. Apostoli (oggi a Poznań, Museo nazionale), stando a Giovanni Baglione (1642, 1975, p. 23) eseguita su disegno di Perino, ma aggiornata sull’interpretazione di Michelangelo data da Sebastiano dal Piombo e Daniele da Volterra (Davidson, 1966, pp. 56-58).
È legata ancora al maestro la partecipazione alla decorazione dell’appartamento farnesiano a Castel S. Angelo. Infatti furono pagati a Siciolante 36 scudi tra il 29 giugno e il 22 agosto 1544 (ma forse egli cominciò a dipingere già alla fine del 1543) per l’esecuzione degli affreschi della loggia «verso i Prati» con Storie della vita di Adriano, stucchi e grottesche (Gli affreschi di Paolo III a Castel Sant’Angelo..., 1981, I, pp. 33 s., II, pp. 11 s.). La sua personale sensibilità s’inserì all’interno del progetto generale di Perino in direzione di una maggiore definizione volumetrica delle figure e di una calibrata costruzione dello spazio, al bivio tra Raffaello e desunzioni michelangiolesche.
A quest’epoca sono riferiti anche gli affreschi del casino Olgiati a porta Pinciana, con grottesche e scene mitologiche. Conosciuto grazie alle incisioni settecentesche di Giovanni Volpato, il casino fu acquistato da Camillo Borghese nel 1831, i tre affreschi staccati e acquisiti alla Galleria Borghese, dove tuttora si trovano (Galleria Borghese, 1959). Fu Bernice Davidson (1966, p. 63) a identificare la mano di Siciolante nelle Nozze di Alessandro e Rossane e nell’Offerta a Vertumno e Pomona escludendo l’ovale con gli Arcieri, che John Hunter (1991, pp. 136-139) gli ha poi restituito, identificando in quell’occasione i modelli delle scene in Raffaello, in Michelangelo e in una contemporanea incisione firmata «I.F. Fiorétin».
Nel 1545 Siciolante si recò a Piacenza, presso Pier Luigi Farnese, figlio di Paolo III e duca di Parma e Piacenza, ma in una lettera del 3 novembre indirizzata a Bonifacio Caetani (Caetani, 1933, p. 56) scriveva di essere pentito di aver lasciato Roma, dove pensava di tornare a primavera, perché l’unico incarico ricevuto fino a quel momento era costituito da quella che è stata identificata da Hermann Voss (1920, p. 104) come la Sacra Famiglia con l’arcangelo Michele citata da Vasari, oggi nella Pinacoteca nazionale di Parma. Si tratta di uno dei dipinti più prossimi allo stile raffinato di Perino, ma vi compaiono scelte stilistiche che sarebbero diventate definitive, come il risalto dei volumi e l’attenzione alla resa fisionomica dei personaggi.
Stando a Vasari, dopo il soggiorno in «Lombardia» Siciolante sarebbe rientrato subito a Roma. Nonostante il silenzio delle fonti e dei documenti, la critica data al 1547 la sua partecipazione alla decorazione della sala Paolina in Castel S. Angelo, ideata da Perino, che morì nel settembre del medesimo anno lasciando i lavori incompiuti. Filippa Maria Aliberti Gaudioso ed Eraldo Gaudioso (Gli affreschi di Paolo III a Castel Sant’Angelo..., 1981, I, pp. 32-35), motivando l’affermazione di Vasari secondo la quale Perino «si servì più che di tutti gli altri» di Siciolante, hanno ipotizzato un’ampia partecipazione del pittore alla traduzione dei disegni preparatori del maestro e, accogliendo alcune proposte precedenti (Davidson, 1966, p. 59; Pugliatti, 1980, p. 13), hanno ampliato il suo intervento fino ad attribuirgli l’esecuzione delle sovrapporte con Speranza e Amore, l’Adriano della parete sud e le quattro figure allegoriche nelle finte nicchie, queste ultime per affinità stilistiche con quelle che avrebbe dipinto a breve a palazzo Capodiferro e a palazzo Orsini a Monterotondo (Bruno, 1974b, pp. 78 s.); per Hunter (1991, pp. 232-235), invece, Siciolante, da poco rientrato a Roma, avrebbe partecipato solo all’ultima fase dei lavori e la sua mano non può essere individuata con certezza.
Fu forse Ercole Malvezzi, governatore di Parma all’epoca di Pier Luigi Farnese, a segnalare il nome di Siciolante ai propri parenti di Bologna, che avevano provato invano ad avere da Michelangelo una pala di altare per la chiesa di S. Martino. Il dipinto con la Madonna col Bambino e i ss. Giovanni Battista, Caterina, Girolamo, Martino, Alberto siculo, firmato e datato al 1548, potrebbe essere stato commissionato da Matteo Malvezzi, ma terminato dopo la sua morte, avvenuta nel 1547. Nell’impostazione generale del dipinto si perde traccia di riferimenti alla pittura romana, per riandare invece alle eleganti simmetrie compositive della variante emiliana della pittura raffaellesca; ma per le forme scultoree delle figure sbalzate dalla luce chiara sul fondo scuro e l’intensità cromatica Siciolante s’ispira qui a Giulio Romano. Secondo Davidson (1966, p. 59) la pala potrebbe essere stata eseguita a Roma e inviata a Bologna.
Alla morte improvvisa di Perino, nell’ottobre del 1547, i pittori della sua cerchia furono chiamati per portare a termine i lavori da lui lasciati incompiuti. Come ricordano i documenti, la prosecuzione della decorazione della cappella di Nicolas Dupré, segretario di Enrico II, in S. Luigi de’ Francesi nel novembre del 1547 fu affidata a Jacopino dal Conte, poi affiancato da Pellegrino Tibaldi e da Siciolante. Quest’ultimo dipinse S. Remigio battezza re Clodoveo che, a differenza della complessità delle altre scene, rievoca le armoniose simmetrie e la monumentalità raffaellesche della Donazione di Costantino nelle Stanze Vaticane.
Una lettera di Siciolante indirizzata a Bonifacio Caetani il 5 giugno 1549, in cui spiegava di non poter andare a Sermoneta perché impegnato a dipingere per l’ambasciatore francese (Raggio, 1972), consente di datare le tele con scene del Vecchio e del Nuovo Testamento per la cappella e il contiguo oratorio del castello della Bastie d’Urfé, a Saint-Étienne-le-Molard, per Claude d’Urfé. La cronologia è ulteriormente avvalorata dall’impaginazione chiara e rigorosa, neoquattrocentesca, similmente alla pala di Bologna e al S. Remigio.
Per quanto riguarda la decorazione della cappella del cardinale Federico Cesi in S. Maria della Pace, dedicata alla memoria dei genitori, Vasari attribuisce a Siciolante «tutta la volta lavorata di stucchi in un partimento di quattro quadri» (1550 e 1568, 1987, p. 220) con Storie della vita di Cristo, all’interno di una fitta partitura fortemente sbalzata, secondo il gusto che s’impose a Roma alla metà del secolo: un modello decorativo complesso, di cui non si conoscono altri esempi nella carriera del pittore. Sempre per i Cesi Siciolante dipinse (1566-67) un Martirio di s. Caterina per la cappella familiare in S. Maria Maggiore.
Entro il 1550, gli stretti legami con Bonifacio Caetani lo portarono di nuovo a Sermoneta per affrescare la cappella familiare in S. Giuseppe (Pantanelli, 1766, 1972, pp. 70 s.). La decorazione costituiva la sintesi delle esperienze assimilate fino a quel momento: la ricchezza dell’impianto decorativo con erme, ignudi, grottesche, i colori raffinati e preziosi, all’antica, svelano ancora una volta la matrice perinesca della decorazione, ma tutto è racchiuso in una misura classica ispirata alla cappella Ponzetti di Baldassarre Peruzzi, ammirata in S. Maria della Pace.
La chiara formula raffaellesca, temperata dalle contemporanee novità michelangiolesche, assicurò in questi anni a Siciolante un’intensa attività per una sceltissima cerchia di committenti; ciò rese necessaria l’organizzazione di una bottega e di una rete di collaboratori che potessero sostenerlo nell’esecuzione del gran numero di opere richieste. Il 30 maggio 1550 Siciolante sottoscrisse con il cardinale Girolamo Capodiferro, nunzio pontificio presso la corte di Francia, il contratto per la decorazione della sala d’angolo al piano nobile del suo palazzo (Redín Michaus, 2007, p. 83), di discussa entità. Nel frattempo il pittore aveva sposato Lucrezia Stefanelli, nipote di Giovan Giacomo Lavezzoli, agente del cardinale Capodiferro (Masetti Zannini, 1974, p. 111), ma non è chiaro se la parentela influenzasse la scelta del pittore da parte del prelato. Citati dalle fonti, gli affreschi sono stati riportati alla luce in modo frammentario tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento. La decorazione è basata su un fregio con Storie di Scipione (Keaveney, 1984) che corre al di sopra di pilastri con erme femminili e figure allegoriche e presenta una qualità discontinua; Baglione (1642, 1975, p. 23), a questo proposito, attribuisce il fregio a Luzio Romano, attribuzione respinta dalla critica.
Stilisticamente affine alle pitture realizzate per Capodiferro, il ciclo delle Storie di Adone fu commissionato da Ottavio Orsini per il palazzo di Monterotondo e fu pubblicato da Federico Zeri (1957, p. 37) con l’attribuzione a Siciolante. Il nitore e la misura raffaellesca sono felicemente coniugati con un ritmo fluido e sinuoso, e per questo Hunter (1991, p. 56) propone una datazione al 1558-60, anni marcati da un maggior naturalismo, in parallelo con l’evoluzione in questo senso della pittura romana, che vedeva protagonisti Taddeo Zuccari e Girolamo Muziano. Sempre Hunter (p. 58) data a questi anni il dipinto eseguito a olio su muro in S. Maria sopra Minerva, con le Ss. Lucia e Agata entro un tabernacolo marmoreo, eretto per Onesta Marsiliana e Alfonso Almerico.
Il prestigioso incarico di decorare la cappella Fugger in S. Maria dell’Anima, in cui era esposta la celeberrima Sacra Famiglia di Giulio Romano, giunse dal banchiere tedesco Hans Jakob Fugger. Di discussa datazione, gli affreschi con Storie della Vergine costituiscono un esempio dello stile maturo di Siciolante e possono collocarsi tra il 1560 e il 1563 (Hunter, 1991, pp. 158-162) per le suggestioni michelangiolesche mediate da Tibaldi e da Daniele da Volterra, analogamente agli affreschi dello stesso soggetto dipinti per Valerio Cenci in S. Tommaso ai Cenci, e inseriti in una fitta decorazione all’antica, a stucco e grottesche dipinte.
La commissione Fugger dimostra il successo raggiunto da Siciolante in questi anni, confermato dalle cariche ricoperte all’interno dell’Accademia di S. Luca: fu eletto più volte console (dal 1553 al 1555 e di nuovo nel 1563) e due volte sindaco (nel 1558 e nel 1562); nel 1570 s’impegnò a donare 5 scudi l’anno per la ricostruzione della chiesa dell’istituzione all’Esquilino (Salvagni, 2012, p. 322). Come si desume dai documenti, visto il credito ricevuto, egli era spesso chiamato a dare il proprio giudizio o a stimare il lavoro dei colleghi: nel 1561 gli venne chiesto un parere sul pittore spagnolo Juan Moraga davanti al tribunale del governatore (Bertolotti, 1885); nel 1568, insieme a Bartolomeo Casale, valutò gli stucchi di Ferrante Moreschi (Bertolotti, 1882); nel 1572 stimò i dipinti di Taddeo Zuccari nel cortile della biblioteca, in Vaticano (Bertolotti, 1881); nel 1574 stimò gli stendardi dipinti da Michelangelo di S. Fiora (Hunter, 1991, pp. 310-313). Nel 1565 abitava in piazza Farnese con la famiglia (Masetti Zannini, 1974, pp. 101 s.).
Nel 1563, insieme a un folto gruppo di pittori, Siciolante fu partecipe della ripresa della decorazione della Sala Regia in Vaticano, sospesa alla morte di Perino. Incaricato di dipingere due scene (Smith, 1976), riuscì a portare a termine solo La donazione di Pipino re dei Franchi alla Chiesa, per il sopraggiungere della morte di Pio IV nel dicembre del 1565. L’affresco s’inserisce all’interno di un complesso programma iconografico, e la sua impaginazione, pur rifacendosi agli affreschi Fugger, si rivela una delle più complesse della sua carriera pittorica.
Ancora per il feudo di Bonifacio Caetani, tra il 1565 e il 1570 Siciolante restaurò e affrescò il palazzo di Cisterna (distrutto durante la seconda guerra mondiale), in cui diede vita a una ricchissima decorazione (Waterhouse, 1970) con scene mitologiche e ampie porzioni dipinte a grottesche, in cui riprese e intensificò i modelli all’antica esperiti nella cappella Cenci in S. Tommaso ai Cenci. Per Cisterna, infine, nel 1572 portò a termine la pala con la Vergine, il Bambino e santi per l’altare maggiore di S. Antonio Abate, opera cominciata dal figlio Tullio (Accrocca, 1999), scomparso appena ventenne, dalla materia pittorica nitida e levigata e dai lievissimi trapassi cromatici nel fondo.
L’ultima opera documentata di Siciolante fu il soffitto per l’Aracoeli, commissionato nel 1574 dal Senato romano per commemorare la vittoria di Lepanto a Flaminio Boulanger in collaborazione con Cesare e Gregorio Trapassi e Giovanni Satarelli, ai quali si aggiunse in seguito Siciolante; secondo gli accordi il lavoro doveva compiersi entro il mese di febbraio del 1575 e sarebbe stato pagato dopo il giudizio di una commissione (Caroselli, s.d. [1818], pp. 37-39). Siciolante morì a Roma nell’estate del 1575.
L’improvvisa morte costrinse la vedova a sollecitare ripetutamente il pagamento del lavoro capitolino (Hunter, 1991, pp. 322 s.). Il 6 settembre Lucrezia Stefanelli, nominata esecutrice testamentaria e tutrice dei quattro figli (Virginia, Paola, Cesare, Antonio), fece stilare l’inventario dei beni del marito (Masetti Zannini, 1974, pp. 102-109).
Intensa fu l’attività di Siciolante come pittore di pale di altare, in particolare nel suo ultimo decennio. La solennità di tali opere avrebbe contribuito alla formazione dell’iconografia controriformata. Si ricordano la Madonna col Bambino, s. Eligio, s. Martino e s. Giacomo in S. Eligio dei Ferrari, Roma (1563-65); la Crocifissione in S. Maria di Monserrato, Roma, già in S. Giacomo degli Spagnoli (1565); l’Incoronazione della Vergine in S. Maria Assunta, Sermoneta, già in S. Michele (1567-70); la Crocifissione con la Vergine, s. Giovanni Evangelista, Maria Maddalena in S. Giovanni in Laterano, Roma, per Orazio Massimo (firmata e datata al 1573); la cosiddetta Madonna Pini, per Muzio Pini, Museo Diocesano, Osimo, già in S. Lucia (firmata e datata al 1561); Madonna e santi, in S. Maria Assunta, Calcinate (Bergamo), già in S. Bartolomeo, Ancona (firmata e datata al 1570); Trasfigurazione in S. Maria in Aracoeli, Roma, per Livia Muti (1573-75); Madonna col Bambino, s. Bonifacio, s. Francesco e papa Bonifacio VIII, in S. Tommaso in Formis, Roma, già nella cappella Caetani nella primitiva basilica di S. Pietro (1574).
Meno conosciuta è l’attività ritrattistica di Siciolante, lodata da Baglione, che Raffaele Bruno (1973) ha tentato di ricostruire, e di cui oggi l’unico esemplare che può essergli attribuito con certezza è il Francesco II Colonna, firmato e datato 1561, nella Galleria nazionale d’arte antica di palazzo Barberini. Scarsamente messa in risalto dalla critica è la vena decorativa del pittore che si dispiega nelle fantasiose partiture derivate dall’antico, qualità che dovette essere alla base della commissione per la pittura di alcuni corami «con grottesche e otto ovati e altrettante raffigurazioni di città» per conto degli orpellai Simone Scortia e Giovan Domenico Bonasone nel febbraio del 1557, da inviare al re di Francia Enrico II (Cannatà, 1991).
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