SORANZO, Girolamo
– Nacque nel 1499 a Venezia da famiglia patrizia. Il padre, Alvise, aveva sposato nel 1495 Paolina Trevisan, di Tommaso di Stefano, e aveva avuto da lei quattro figli maschi; era morto nel 1504, all’età di circa quarant’anni.
Tra i fratelli di Girolamo, Tommaso (1500-1562) fu nel 1538 governatore di galera; Giovan Francesco (1501-1559) fu il solo a sposarsi, unendosi in matrimonio nel 1529 con Paolina Gritti, di Francesco di Luca; un altro fratello, Niccolò morì di peste nel 1518 ad Alessandria d’Egitto, dove si era recato a curare i traffici della famiglia.
Le notizie del diarista Marino Sanuto sulla giovinezza di Soranzo ci presentano un giovane ben inserito nella vita sociale veneziana (fu nel 1524 membro di una nuova Compagnia della Calza, quella dei Valorosi, capace di spendere oltre 1000 ducati per una delle sue feste). Nel contempo, la scomparsa del padre impose a Soranzo l’obbligo di gestire gli interessi economici della famiglia. Perciò nel giugno del 1529 appaltò per 500 ducati una delle galere che si recavano ad Alessandra d’Egitto e fu confermato dal Senato come ‘patrono’; ma la galera naufragò presso Corfù.
Questo evento particolarmente sfavorevole si inserì in una fase di generale crisi delle forme più tradizionali della mercatura veneziana, indebolite dalla concorrenza straniera, soprattutto portoghese. Naturale a questo punto, per Soranzo, il ripiegamento sulle cariche pubbliche, cui però egli arrivò con cinque-dieci anni di ritardo rispetto al più consueto cursus honorum dei giovani patrizi.
L’occasione propizia per segnalarsi gli fu offerta dalla guerra combattuta da Venezia tra il 1537 e il 1540 contro gli Ottomani: mentre il fratello Tommaso entrò nella flotta veneziana, egli si distinse per un’offerta volontaria alla Repubblica di 500 ducati. Le sue prime cariche furono però di rilievo modesto, anche se lo portarono ripetutamente in Senato: fu provveditore sopra i Dazi nel 1540 e provveditore alla Sanità nel 1546; nel 1547 fu eletto ai Dieci savi alle decime. Prima del 1550 fu provveditore alle Biave; nel 1550 e nel 1552 fu tra i savi alle Acque. La svolta della sua carriera fu rappresentata dall’ingresso nel 1554 fra i savi di Terraferma, funzione cui fu rieletto nel 1555, ma che dovette lasciare perché scelto nello stesso anno per uno dei più importanti rettorati di Terraferma, la podesteria di Verona. Nel 1556 entrò a far parte del potente Consiglio dei dieci. Fu rieletto tra i savi di Terraferma nel 1557 e nel 1558, e coronò questa fase della sua carriera con l’elezione a savio di Consiglio, funzione da lui ricoperta tra il giugno e il dicembre del 1559.
Il 22 settembre 1560, Soranzo fu eletto ambasciatore a Roma, essendo insorti gravi contrasti tra il Senato e l’ambasciatore in carica, Marcantonio Da Mula, sospettato di aver brigato per ottenere la designazione a vescovo di Verona. Soranzo non partì però subito, perché l’incidente fu temporaneamente ricomposto. Il dissidio riesplose in modo più clamoroso allorquando, nel Concistoro del 26 febbraio 1561, Da Mula fu creato cardinale e accettò la porpora, contro le leggi della Repubblica. Per questo motivo fu ordinato dai Dieci a Soranzo di accelerare la sua partenza. Nel maggio del 1561 raggiunse la corte di Roma per risiedervi come ambasciatore ordinario presso papa Pio IV, evitando accuratamente qualsiasi contatto con Da Mula.
Al centro dell’ambasceria furono i maneggi che accompagnarono la riapertura e lo svolgimento del Concilio di Trento. Ma l’oligarchia veneziana di governo attribuiva un’importanza non minore alle trattative condotte presso la corte papale per purgare definitivamente il patriarca Giovanni Grimani dai sospetti di eresia e per spianargli così la strada al cardinalato. Soranzo si trovò di fronte a un pontefice, Pio IV, ben disposto verso il patriarca, ma fermamente deciso a non sottrarre la sua causa alla congregazione del S. Uffizio: così, se da un lato lo stesso Pio IV espresse a Soranzo il desiderio che gli inquisitori trattassero le questioni «con buone maniere, da gentiluomini e non da frati» (Rurale, 2000, p. 154), d’altra parte gli disse che «la qualità dei presenti tempi ne mostra ad aver gran rispetto a quest’officio» dell’Inquisizione (Carcereri, 1907, p. 33). Sulla base di questa esperienza, Soranzo nella sua relazione finale delineò il quadro dei rapporti fra Pio IV e il S. Uffizio osservando che «non ha Sua Santità studiato in teologia, onde ne viene che non vuole mai propria auctoritate pigliar in sé alcuna delle cause commesse all’uffizio dell’Inquisizione» (Le relazioni degli ambasciatori veneti..., 1857, p. 74).
Nella questione di Grimani, Soranzo si mosse con abilità, svolgendo trattative con lo stesso patriarca, con il pontefice e con la congregazione del S. Uffizio, con la quale concordò l’8 luglio 1561 una soluzione di compromesso: Grimani avrebbe risposto per iscritto circa i dubbi suscitati da una sua lettera sulla predestinazione del 1549, evitando un vero e proprio processo formale davanti all’Inquisizione. Tuttavia la scrittura stesa da Grimani il 19 agosto per purgarsi dei sospetti sulla propria ortodossia fu valutata negativamente da una commissione di teologi, il che parve aprire la strada all’interrogatorio dello stesso patriarca. In tali circostanze Soranzo, dando esecuzione a un ordine dei Dieci, dovette suggerire al patriarca di rientrare precipitosamente a Venezia. L’anno seguente, la riapertura del Concilio di Trento parve offrire alla diplomazia veneta lo spazio per invocare il trasferimento della causa Grimani ai padri del Concilio, meno ostili a Grimani rispetto al S. Uffizio romano: soluzione dapprima respinta da Pio IV, ma finalmente accolta nel marzo del 1563, sulla base di un compromesso diplomatico. In questo modo Grimani fu assolto dal Concilio il 5 settembre 1563. Tuttavia le ultime fasi della trattativa, dopo l’arrivo di Grimani a Trento, non riguardarono più Soranzo, ma il suo successore, Giacomo Soranzo (che non era un suo stretto congiunto).
Fin dalla tarda primavera Soranzo era rientrato a Venezia, dove il 14 giugno lesse davanti al Senato la citata celebre relazione. Vi delineò brillantemente la politica di Pio IV nei confronti del Concilio e la sua diffidenza verso i maggiori sovrani europei. Particolarmente notevoli le pagine sul giovane cardinal nipote Carlo Borromeo, che, se da un lato appariva legato alle tradizioni nepotistiche rinascimentali per il cumulo delle rendite e delle abbazie in commenda di cui era stato investito, si mostrava però sempre più attratto da una profonda e austera religiosità controriformistica.
Dopo l’ambasceria romana, Soranzo fu eletto nel 1563 consigliere ducale per il sestiere di Castello. Ricoperse poi un altro importante incarico nella Terraferma, come capitano di Padova dal luglio del 1563 al gennaio del 1565. Le ultime sue elezioni furono quelle a savio di Terraferma nel 1565 e nel 1566; e la seconda elezione a consigliere ducale nel 1567.
Nel settembre del 1568 depositò il suo testamento, indicando come esecutori i nipoti Alvise, Giovanni e Marco, figli del fratello Giovan Francesco, fra i quali doveva essere suddivisa la sua eredità. Espresse la volontà di essere sepolto nella tomba di famiglia alla Madonna dei Miracoli e dispose che il funerale fosse accompagnato dal clero di S. Marina. Chiese ai nipoti di far celebrare centocinquanta messe per la sua anima; dispose un lascito di 20 ducati da distribuire fra una decina di poveri sacerdoti, donò 25 ducati all’ospedale della Pietà, altrettanti agli Incurabili e alle monache della Madonna dei miracoli.
Soranzo morì a Venezia il 7 aprile 1569.
Non richiamò su di sé l’attenzione dei contemporanei: la pubblica storiografia veneziana (Paolo Paruta, Andrea Morosini) non lo nomina nemmeno; «ottimo senatore» lo definisce Agostino Valier (1798), ma in un contesto volto a celebrare il cardinale veneziano Bernardo Navagero, con il quale Soranzo aveva intrattenuto rapporti durante l’ambasceria romana. Fu solo nel secolo XIX, nel quadro della riscoperta delle relazioni degli ambasciatori veneti, che gli studiosi impararono ad apprezzare l’acuta e ben informata relazione di Soranzo sulla corte romana. Da Leopold von Ranke a Ludwig von Pastor e fino ai nostri giorni è universale tra gli storici del papato l’apprezzamento per le sue capacità diplomatiche e di introspezione psicologica.
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L. Moscardo, Historia di Verona, Verona 1668, pp. 418 s.; A. Valier, Vita di Bernardo Navagero, in Orazioni elogi e vite scritte da letterati veneti patrizi, II, Venezia 1798, p. 97; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, VI, Venezia 1853, pp. 613, 615 s.; Le relazioni degli ambasciatori veneti al Senato durante il secolo decimosesto, a cura di E. Alberi, s. 2, IV, Firenze 1857, pp. 65-120; B. Cecchetti, La Repubblica di Venezia e la corte di Roma nei rapporti della religione, I, Venezia 1874, pp. 329-333, II, pp. 28, 50-53; M. Sanuto, I diari, a cura di R. Fulin et al., Venezia 1879-1903, XXXV, coll. 283, 458, IL, col. 407, L, coll. 413, 477, 487, LII, coll. 346, 366; G. De Leva, Giovanni Grimani, patriarca di Aquileia, in Atti dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, s. 5, VII (1881), pp. 407-454; L. Carcereri, Giovanni Grimani patriarca d’Aquileia imputato di eresia e assolto dal Concilio di Trento, Roma 1907, pp. 12, 14, 18, 22, 24 s., 27, 30-35, 37 s., 44-47; L. von Pastor, Storia dei papi, VII, Roma 1950, pp. 70, 74, 85, 93, 95, 99, 489, 491 s., 528, 532, 543, 566; P. Paschini, Tre illustri prelati del Rinascimento. Ermolao Barbaro, Adriano Castellesi, Giovanni Grimani, Roma 1957, pp. 168, 172-174, 177 s., 183, 186; J. Delumeau, Vie économique et sociale de Rome dans la seconde moitié du XVI siècle, I, Paris 1957, pp. 449, 457, 464, II, 1959, pp. 771 s., 840 s.; Archivio di Stato di Venezia, Dispacci degli ambasciatori al Senato. Indice, Roma 1959, p. 216; L. von Ranke, Storia dei papi, Firenze 1965, pp. 238, 240, 248; H. Jedin, Carlo Borromeo, Roma, 1971, pp. 7 s.; Id., Storia del Concilio di Trento, IV, 2, Brescia 1981, p. 20; N.S. Davidson, Il Sant’Uffizio e la tutela del culto a Venezia nel ’500, in Studi veneziani, n. s., 1982, vol. 6, p. 89; F. Rurale, Pio IV, in Enciclopedia dei papi, III, Roma 2000, pp. 148-151, 154; M. Firpo, Le ambiguità della porpora e i ‘diavoli’ del Sant’Ufficio, in Rivista storica italiana, CXVII (2005), pp. 845-847; A. Del Col, Le vicende inquisitoriali di Giovanni Grimani patriarca di Aquileia, in Metodi e ricerche. Rivista di studi regionali, n.s., XXVII (2008), 2, pp. 88 s.