SORANZO, Girolamo
– Nacque a Venezia il 2 febbraio 1569, figlio terzogenito del patrizio Giovanni (1520-1603), che fu procuratore di S. Marco, e di Marietta di Girolamo Zane.
Seguendo le orme del padre, dello zio Giacomo e del fratello maggiore Francesco (1557-1608), anche Girolamo intraprese una carriera al servizio della Repubblica che lo portò a ricoprire le maggiori cariche pubbliche (fino al saviato di Consiglio) e importanti incarichi diplomatici. Il 25 gennaio 1606 il Senato lo designò a succedere a Francesco Priuli nell’ambasceria ordinaria in Spagna. Ricevette le commissioni l’8 giugno 1607 e assunse ufficialmente le sue funzioni a Madrid il 30 gennaio 1608. Nella primavera del 1610 dovette rassicurare il governo spagnolo sulla neutralità di Venezia nell’eventualità di una guerra promossa da Enrico IV e dal duca di Savoia (Seneca, 1957, pp. 38 s.). Rientrò in patria nell’autunno del 1610 e nel gennaio del 1611 presentò al Senato la sua relazione, dove, analizzando la politica asburgica, insistette sui pericoli della Riforma protestante, considerata come causa di sedizione e di ribellione.
Soranzo fu poi eletto ambasciatore ordinario all’imperatore nell’ottobre del 1611 e raggiunse la sua nuova sede nel dicembre dello stesso anno. Fu testimone della morte di Rodolfo II e della successione di Mattia, con il quale condusse a Vienna le trattative sulla questione degli Uscocchi, che sfociarono nel 1613 in un accordo per l’espulsione da Segna di quanti fossero dediti ad azioni corsare. La pace di Vienna fu però poco e mal applicata da parte asburgica: nella sua relazione finale, presentata al Senato l’11 settembre 1614, Soranzo distinse al riguardo l’atteggiamento più conciliante dell’imperatore e quello più rigido di Ferdinando arciduca di Stiria e dei suoi ministri, che, fomentando gli Uscocchi, miravano a riaprire la disputa sulla libertà di navigazione nell’Adriatico. Soranzo dovette anche occuparsi della propaganda antiveneziana: ebbe infatti a segnalare agli inquisitori di Stato, nel novembre-dicembre del 1612, la pubblicazione del celebre Squitinio della libertà veneta, che fu da lui attribuito a Marco Welser di Augusta.
Il 15 ottobre 1616 fu eletto ambasciatore ordinario a Roma. Risedette presso la corte di Paolo V dal maggio del 1617 fino alla morte del pontefice, avvenuta il 28 gennaio 1621. Durante la guerra degli Uscocchi e in occasione delle manovre della flotta del viceré Pedro Téllez-Girón, duca di Osuna nell’Adriatico Soranzo dovette difendere davanti al pontefice la sovranità veneziana sul golfo. Il suo giudizio negativo su Paolo V si evince dai dispacci, in cui ebbe a dichiarare che il pontefice «non può [...] nasconder la grande inclinatione agl’interessi di Spagna; il bene et la libertà di questa provincia fa nel suo animo poco riflesso» (Seneca, 1957, p. 169). Accusando Paolo V di nepotismo, volle tuttavia precisare che l’obiettivo del pontefice era sempre stato quello di rendere i parenti «ricchissimi», ma non di procurare loro uno Stato.
Soranzo rimase a Roma fino al giugno del 1621 per unirsi alla delegazione degli ambasciatori straordinari che portarono le congratulazioni della Repubblica al nuovo pontefice Gregorio XV. Poi, dall’ottobre del 1621 al luglio del 1622 fu ambasciatore straordinario in Spagna, assieme con Simone Contarini, per l’assunzione al trono di Filippo IV.
Nel 1623 fu creato procuratore di S. Marco e venne incaricato dal Senato di un’ambasceria straordinaria a Gregorio XV, nell’ambito di una complessa manovra volta a screditare l’ambasciatore ordinario Renier Zeno (Cozzi, 1958, p. 236). Di nuovo ambasciatore straordinario a Urbano VIII dal settembre del 1623 al gennaio del 1625, assieme con Girolamo Corner, Francesco Erizzo e Renier Zeno, dibatté con il pontefice la questione della Valtellina, occupata da una forza di interposizione di tremila soldati pontifici, e la nomina di un nuovo coadiutore per il patriarcato di Aquileia.
Nel corso della seconda guerra di Mantova e del Monferrato, nel marzo del 1629, Soranzo fu eletto dal Senato ambasciatore straordinario a Luigi XIII, che raggiunse in aprile presso Susa, dopo la rapida vittoria francese su Carlo Emanuele I di Savoia; in tale occasione cercò inutilmente di convincere il cardinale di Richelieu a continuare l’azione militare contro la Spagna per garantire la difesa di Casale. Prima di rientrare a Venezia, partecipò anche alle trattative del dicembre del 1630 per lo sgombero dei francesi da Casale in esecuzione della pace di Ratisbona.
Per il suo prestigio, Soranzo era un naturale candidato al dogato; ma nelle elezioni dogali del 1624, del 1630 e del 1631 dovette soccombere a fronte di Giovanni Corner, Nicolò Contarini ed Erizzo. Ebbe ancora incarichi di prestigio: nel 1632 fu riformatore dello Studio di Padova e nel 1633 venne deputato a comporre i contrasti tra Venezia e Stato pontificio in materia di confini, presso Loreo e Ariano nel Polesine. Fu anche deputato alla fabbrica della chiesa della Salute, e in tale veste poté conoscere ed apprezzare Baldassarre Longhena, cui manifestò la propria ammirazione anche nelle disposizioni testamentarie (Hopkins, 2006, p. 106).
Il nunzio pontificio a Venezia Giovanni Battista Agucchi lo aveva accusato nel 1624 di sostenere posizioni anticuriali; ma si era rallegrato nel 1628 nel trovarlo assai più conciliante nel trattare la questione della successione al patriarcato di Aquileia (Cozzi, 1958, pp. 238, 282). Certamente la lezione sarpiana non aveva influito sulla religiosità tradizionale di Soranzo, che nel testamento chiese di essere sepolto in abito di cappuccino, ordinando al tempo stesso un solenne funerale e la celebrazione di un gran numero di messe. Come opere di carità, lasciò 1000 ducati agli ospedali dei Ss. Giovanni e Paolo, degli Incurabili, della Pietà, dei Mendicanti e alle Convertite. Dispose inoltre il rifacimento della facciata della chiesa di S. Giustina, che fu affidato dagli eredi a Longhena.
Morì a Venezia il 26 agosto 1635.
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