SPINELLI, Girolamo
– Nacque a Padova intorno al 1578, secondogenito di Ilario, giureconsulto; non si hanno notizie della madre.
Gli Spinelli di Padova erano un ramo degli Spinelli di Giovinazzo e si erano insediati nella città veneta nel corso del XIV secolo. Qui avevano prosperato soprattutto esercitando il mestiere di giureconsulti e insegnanti di diritto. Al figlio maggiore di Ilario, Belforte, spettò l’onore di proseguire la tradizione di famiglia, mentre Girolamo e l’altro fratello minore Andronico furono avviati alla carriera ecclesiastica.
Nel 1594, Spinelli si accasò nel monastero benedettino di S. Giustina a Padova e l’anno seguente entrò ufficialmente a far parte dell’Ordine cassinese. In questo periodo iniziò a frequentare i vivaci circoli intellettuali padovani che si riunivano intorno all’Accademia dei Ricovrati e alle figure di Gian Vincenzo Pinelli e Antonio Querenghi. Durante questi incontri conobbe Galileo Galilei, il quale teneva la cattedra di matematica nello Studio cittadino sin dal 1592, e insieme al confratello bresciano Benedetto Castelli, che come lui soggiornava a S. Giustina, ne divenne scolaro e amico, maturando nei suoi confronti un affetto che sarebbe durato anche negli anni a venire.
La fama di Spinelli è in larga parte dovuta proprio al rapporto con Galilei e all’aver preso parte ad alcune delle controversie che coinvolsero lo scienziato pisano nel suo periodo a Padova. Egli ebbe infatti una parte determinante nella stesura del Dialogo de Cecco di Ronchitti da Bruzene in perpuosito della stella nuova (Padova 1605). Si tratta di un’operetta in lingua pavana pubblicata in risposta al Discorso intorno alla nuova stella del peripatetico Antonio Lorenzini da Montepulciano (edita sempre a Padova nel gennaio di quello stesso anno). In quest’ultimo testo, infatti, venivano prese di mira, pur senza nominarne mai l’autore, le tesi galileiane a proposito della stella nuova apparsa nel 1604 nella costellazione di Ofiuco, alla quale Galilei, in qualità di lettore di matematica, aveva dedicato un ciclo di tre lezioni sul finire del 1604.
Sulla base dei calcoli trigonometrici, Galilei sostenne in quelle lezioni che il fenomeno fosse localizzabile al di là dell’ultima sfera planetaria, e quindi ben oltre la Luna, in una regione del cielo nella quale, secondo il dettato aristotelico, non potevano verificarsi fenomeni di generazione e corruzione. Nel mettere in scena un confronto in dialetto tra due contadini, il Dialogo ambiva, con il suo conformarsi allo stile comico e scherzoso allora in voga, a mettere in ridicolo Lorenzini e, più in generale, a ribadire la centralità dell’esperienza, del calcolo e della misura nella formulazione di tesi riguardanti la filosofia naturale. Sin dai primi studi di Antonio Favaro (1881 e 1887) vi fu riconosciuta una chiara ispirazione galileiana, e oggi l’opera è riconosciuta essere frutto di un lavoro di gruppo che vide Galilei nel ruolo di ispiratore/supervisore e Spinelli in quello di redattore. Al lavoro probabilmente non fu estraneo neanche Antonio Querenghi, dedicatario dell’opera. Che il principale estensore del Dialogo, celato sotto il nome di Cecco di Ronchitti, sia stato proprio Spinelli è peraltro indirettamente confermato in diversi luoghi della corrispondenza galileiana (lettera di Galilei a Paolo Gualdo, 16 agosto 1614, in Edizione nazionale delle Opere di Galileo Galilei a cura di A. Favaro, XII, Firenze 1902, pp. 94 s., e lettera di Lorenzo Pignoria a Galilei, 27 dicembre 1619, ibid., p. 502).
Due anni dopo la pubblicazione del Dialogo, Spinelli intervenne in sostegno di Galilei nella causa intentata nei confronti di Baldassarre Capra, il quale rivendicava l’invenzione del compasso geometrico e militare, strumento ideato invece da Galilei nel 1597. Spinelli inviò ai Riformatori dello Studio di Venezia una Lettera apologetica (ibid., II, 1891, p. 601) in sostegno delle tesi accusatorie di Galilei, e con ciò contribuì alla risoluzione della controversia in senso favorevole allo scienziato pisano.
A differenza di Castelli, Spinelli non seguì Galilei in Toscana quando, nel settembre del 1610, questi si stabilì a Firenze per ricoprire la carica di matematico e filosofo granducale, ma preferì proseguire il cursus honorum nella Congregazione cassinese, anche se continuò a mantenere rapporti epistolari con entrambi. Nel 1612 fu nominato decano di S. Giustina, quindi, nel 1619, priore claustrale; fu poi inviato ad amministrare il collegio Montalto, situato nel Pistoiese e dipendente dalla badia di S. Procolo di Bologna (1622).
Nel 1628 fu finalmente nominato abate di S. Giustina, e fece quindi ritorno a Padova, dove si dedicò soprattutto al completamento dei lavori di sistemazione della chiesa e della sagrestia avviati dal suo predecessore Modesto Santacroce. Nel 1631 si trovò a fronteggiare la pestilenza che colpì la città e causò la morte del fratello Andronico, nel frattempo diventato scrittore ecclesiastico e bibliotecario apostolico. Per preservare la propria comunità, Spinelli chiamò a S. Giustina il giovane medico Sebastiano Scarabizzi, la cui premura e perizia furono efficaci nell’impedire che il morbo si diffondesse anche all’interno del monastero.
Nel 1632 fu chiamato a Venezia per ricoprire la carica di abate di S. Giorgio Maggiore, ufficio che accettò con riluttanza. A questa seguirono poi le nomine ad abate di S. Nicolò del Lido a Venezia (1633), di S. Giovanni Evangelista a Parma (1634) e infine dei Ss. Felice e Fortunato a Vicenza, dove morì nel 1647.
Fonti e Bibl.: A. Favaro, Galileo Galilei ed il “Dialogo de Cecco di Ronchitti da Bruzene in perpuosito de la stella nuova”: studi e ricerche, Venezia 1881; G. Govi, Intorno ad un opuscolo del prof. Antonio Favaro intitolato “Galileo Galilei ed il ‘Dialogo de Cecco di Ronchitti da Bruzene in perpuosito de la stella nuova’”, in Rendiconti dell’Accademia delle scienze fisiche e matematiche, XX (1881), 4, pp. 89-93; A. Favaro, Serie seconda di scampoli galileiani. VI. Ancora della lingua pavana in relazione con Galileo, in Atti e memorie della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Padova, n.s., III (1887), pp. 12-14; E. Lovarini, Galileo scrittore pavano?, ibid., XLIV (1927-1928), pp. 1-2, 41-55; L. Gaudenzio, Il Dialogo de Cecco di Ronchitti da Bruzene e il canonico Antonio Querengo, in Scritti e discorsi nel IV centenario della nascita di Galileo Galilei, Padova 1966, pp. 159-165; M.L. Soppelsa, Un dimenticato scolaro galileiano: il padre G. S., in Bollettino del Museo civico di Padova, LX (1971), 2, pp. 97-114; P. Galluzzi, La rinascita della scienza, in Firenze e la Toscana dei Medici nell’Europa del Cinquecento, Firenze 1980, pp. 123-243 (in partic. pp. 193 s.); T. Tomba, L’osservazione della stella nuova del 1604 nell’ambito filosofico e scientifico padovano, in Cesare Cremonini (1550-1631): il suo pensiero e il suo tempo. Convegno di studi... 1984, Cento 1990, pp. 83-95; F.L. Maschietto, G. S. e Benedetto Castelli, benedettini di Santa Giustina, discepoli e amici di Galileo Galilei, in Galileo e la cultura padovana. Convegno di studi... 1992, a cura di G. Santinello, Padova 1992, pp. 431-444; Id., G. S., discepolo di Galilei e abate di S. Giustina, in Padova e il suo territorio, VII (1992), pp. 45-47; M. Milani, Galileo Galilei e la letteratura pavana, in Galileo e la cultura padovana, cit., pp. 179-202; Ead., Il Dialogo in perpuosito de la stella nuova di Cecco di Ronchitti da Brugine, in Giornale storico della letteratura italiana, CX (1993), 170, pp. 66-86; U. Motta, Antonio Querenghi (1546-1633): un letterato padovano nella Roma del tardo Rinascimento, Milano 1997, pp. 169-179, 215.