TARTAGLIONE, Girolamo
TARTAGLIONE, Girolamo. – Nacque a Napoli il 27 settembre 1913, figlio di Alessandro e di Enrichetta Vigilante, fratello maggiore di Maria Assunta.
Dopo la maturità classica si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Napoli, dove nel 1935 si laureò. Nel maggio del 1939 entrò in magistratura e venne inizialmente assegnato, quale vicepretore reggente, alla sede di Rionero in Vulture (Potenza). Tra il 1940 e il 1941 esercitò invece il ruolo di giudice aggiunto presso il tribunale di Cassino. Passato alla carriera inquirente fu sostituto procuratore a Santa Maria Capua Vetere (1942-50) e a Napoli (1950-55). Promosso al ruolo di magistrato di corte d’appello, nel febbraio del 1956 fu inviato a dirigere la procura di Sant’Angelo dei Lombardi (Avellino). Nell’ottobre dello stesso anno venne però chiamato a Roma: riconoscendone l’autorevolezza nelle materie penitenziarie e criminologiche, il ministro Aldo Moro lo volle infatti alla guida dell’Ufficio terzo della direzione generale per gli Istituti di prevenzione e di pena.
Come amministratore si adoperò, riorganizzando l’intera struttura di assistenza, per ridurre le sofferenze dei detenuti e delle loro famiglie. A questo fine non solo fu incentivata l’apertura di scuole, di biblioteche e di aule per i corsi di formazione professionale, oltre che di sezioni riservate ai giovani adulti e alla preosservazione psichiatrica, ma venne anche promossa la trasformazione dei consigli di patronato in strutture realmente in grado di facilitare il reinserimento nella società degli ex carcerati. Parallelamente, chiamato nel 1957 a fare parte della commissione ministeriale per la riforma dell’ordinamento penitenziario, contribuì a organizzare le idee e i principi del testo che, dopo un lungo e complesso iter legislativo durato quasi vent’anni, il Parlamento avrebbe alla fine approvato.
Per tutti questi motivi, sia per la qualità del lavoro dispiegato in quanto amministratore, sia per il livello dell’attività di studioso, il magistrato napoletano fu un imprescindibile punto di riferimento per quella parte del mondo del diritto che intendeva rinnovare le discipline giuridiche attraverso il confronto con le scienze sociali.
Probabilmente ispirato dalla profonda fede cristiana, da terziario francescano il magistrato trascorreva infatti gran parte del tempo libero nel silenzio del convento, Tartaglione si dedicò anche all’impegno educativo, non limitandosi a programmare corsi di aggiornamento per i direttori dei penitenziari (1958-59), estesi nel 1961 ai sottufficiali del corpo degli agenti di custodia, ma prestando servizio, tra il 1961 e il 1962, come insegnante della scuola militare di Portici. La sua prima esperienza come amministratore si concluse nel 1960, anno in cui rientrò nella giurisdizione quale consigliere della corte d’appello di Bari. Nel febbraio del 1963, essendo stato promosso a consigliere di Corte di cassazione, tornò però a Roma. Aggregato per alcuni anni alla quarta sezione e poi passato alla prima, all’interno della massima magistratura si dedicò soprattutto alla preparazione dei processi aventi come oggetto i delitti colposi, facendosi estensore di importanti sentenze riguardanti il nodo giuridico del nesso e della causalità, del concetto di colpa e dei diritti della parte civile; anche per questo interesse, esplicitato in numerosi scritti su riviste specializzate, fu nominato vicepresidente della commissione giuridica dell’Automobile Club d’Italia.
Sempre molto preoccupato per le condizioni di salute della madre, anziana e paralitica, alla metà degli anni Settanta chiese il trasferimento a Napoli, che venne concesso subito, e nel novembre del 1975 assunse le funzioni di avvocato generale presso la corte d’appello del capoluogo campano. Nell’estate del 1976 sostituì infine Gennaro Guadagno quale procuratore generale della Repubblica. Nonostante l’età avanzata e la possibilità di ritirarsi a vita privata, rispondendo all’invito direttamente rivoltogli dal ministro Francesco Paolo Bonifacio, nel novembre del 1976 accettò di assumere l’incarico di direttore generale degli Affari penali del ministero della Giustizia, impegnandosi con la solita meticolosità nell’istruzione delle pratiche di grazia e nella messa a punto dello schema del progetto di amnistia e di depenalizzazione che il ministro di lì a poco avrebbe presentato in Parlamento.
Per l’importanza del ruolo ricoperto all’interno delle strutture del ministero, oltre che per la relativa notorietà acquisita nelle convulse settimane del rapimento Moro, quando il magistrato si era pubblicamente espresso contro l’ipotesi di scarcerazione della brigatista Paola Besuschio, nell’autunno del 1978 venne scelto dalla colonna romana delle Brigate rosse quale obiettivo. Tempo dopo, in sede giudiziaria, il brigatista pentito Antonio Savasta affermò che la decisione di colpire il magistrato napoletano, il cui nome era stato inizialmente fatto da Giovanni Senzani, fu alla fine presa dal capocolonna Prospero Gallinari.
Girolamo Tartaglione fu ucciso a Roma il 10 ottobre 1978.
L’attentato fu realizzato da un gruppo di fuoco formato da Alessio Casimirri e Alvaro Lojacono, con Adriana Faranda, Rita Algranati e Massimo Cianfanelli in attesa, come copertura e per facilitare la fuga degli assassini, all’esterno dell’immobile ex INCIS (Istituto Nazionale per le Case degli Impiegati dello Stato) di viale delle Milizie 76. Al suo arrivo Casimirri e Lojacono, appostati nell’androne del palazzo, si avvicinarono e spararono due colpi alla nuca del magistrato. Pur consapevole del pericolo che correva, Tartaglione non aveva alcuna scorta: «È come viaggiare a 150 all’ora in autostrada e se scoppia una gomma sei morto, non c’è niente che si possa fare», aveva confidato a un amico qualche tempo prima» (la Repubblica, 26 aprile 2011).
Essendo un personaggio schivo, pressoché sconosciuto al grande pubblico, in un primo tempo si pensò che l’attentato fosse stato realizzato sfruttando le informazioni fornite da una ‘talpa’ nel ministero; a dare maggior corpo alla pista giunsero poi le dichiarazioni dei familiari del magistrato, che riferirono di avere notato in lui un forte turbamento all’indomani di un incontro milanese con il sostituto procuratore Ferdinando Enrico Pomarici. Alcuni giornali ipotizzarono apertamente che Tartaglione avesse scoperto il nome della spia e per questo fosse stato giustiziato. Seguendo un’ipotesi di lavoro parallela nel novembre del 1979 gli investigatori arrestarono una funzionaria del ministero, ma furono sufficienti pochi controlli per scagionare completamente la donna da ogni accusa. Quanto all’esecutore materiale dell’omicidio, Casimirri sfuggì al carcere e riparò in Nicaragua, dove vive tuttora protetto dalla cittadinanza di quel Paese acquisita per matrimonio.
Opere. Una raccolta esaustiva degli scritti e degli interventi di Girolamo Tartaglione, accompagnata da una discussione dell’opera da lui compiuta in diversi campi, è proposta in Rassegna penitenziaria e criminologica, 1990, n. 1-3, monografico: Gli scritti di G. T. Atti della Giornata di studio, Roma... 1989.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio del Consiglio superiore della magistratura, fascicolo personale; Archivio generale del ministero di Grazia e Giustizia, fascicolo personale.
Tra le cronache giudiziarie: L. Irdi, Dall’estradizione di Petra Krause al no per la grazia alla BR Besuschio, in Corriere della sera, 11 ottobre 1978; Ucciso un magistrato, in l’Avanti!, 11 ottobre 1978; A. Purgatori, T. stava smascherando la spia dei brigatisti al ministero, in Corriere della sera, 13 ottobre 1978; S. Acciari, Savasta: «Senzani indicò tre giudici da uccidere», in Corriere della sera, 11 maggio 1982; C. Vecchio, L’assassino di T. “impegnato contro i proletari”, in la Repubblica, 26 aprile 2011. Tra i ricordi, le memorie, le ricostruzioni dei protagonisti di quegli anni: G. Vassalli, discorso introduttivo alla giornata di studio Gli scritti di G. T., in Documenti Giustizia, 1989, nn. 10-11; L. Violante, Le nuove frontiere del diritto penale e della criminologia, intervento al Forum in memoria di Girolamo Tartaglione promosso dall’Associazione Girolamo Tartaglione, Roma, 1998, http://www. lucianoviolante.it/index.php?option=com_content&task=view&id=1009&Itemid=30 (25 marzo 2019); Per le vittime del terrorismo nell’Italia repubblicana, Roma 2008, ad nomen; C.G. De Vito, Camosci e girachiavi. Storia del carcere in Italia, Roma-Bari 2009, pp. 43, 96; Nel loro segno. In memoria dei magistrati uccisi dal terrorismo e dalle mafie, Roma 2011, ad nomen; M. Clementi - P. Persichetti - E. Santelena, Brigate rosse. Dalle fabbriche alla campagna di primavera, Roma 2017, p. 479 e nota 479.