TICCIATI, Girolamo Gasparo Maria
Nacque a Firenze il 20 febbraio 1679 da Pompilio di Girolamo e da Giulia d’Antonio Gonnelli, residenti nella parrocchia di S. Pier Maggiore. Sia il padre che il nonno erano medici a S. Maria Nuova (Roani, 2017, p. 112 nota 11), e il secondo di essi fu evocato da Francesco Redi (1726) in un suo consulto burlesco. Parallelamente a un poco noto apprendistato artistico, che si ricorda svolto presso Giovan Battista Foggini (F.M.N. Gabburri, in Lankheit, 1962, p. 230), Ticciati ebbe una buona formazione letteraria perché, a vent’anni, tenne una lezione pubblica «in lode dell’architettura» all’Accademia fiorentina, e, poco dopo, fu incaricato di redigere le biografie di alcuni membri della medesima Accademia (in Notizie letterarie, 1700). L’attività di storiografo lo occupò anche in seguito: nel 1733 con la Descrizione dell’insigne fabbrica di S. Maria del Fiore di Firenze detto il Duomo (Ticciati, 1733), nel 1739 con la Storia dell’Accademia del disegno (Ticciati, 1876), e con il Supplemento alla vita di Michelagnolo Buonarroti, edito postumo dal suo amico Anton Francesco Gori (Ticciati, 1746). Fu socio dell’Accademia della Colombaria dal dicembre 1737 con il nome di Sicuro (Giannotti, 1995, pp. 112-115). Inoltre, sebbene non vi sia una cronologia certa dei suoi componimenti in versi (pp. 112 s.; Roani, 2017, pp. 130-132), è possibile che egli sia stato presto apprezzato come poeta, se nel 1703, durante un soggiorno giovanile a Roma, «dove studiò dall’antico con gran fervore e profitto» (F.M.N. Gabburri, in Lankheit, 1962, p. 230), fu accolto, con il nome di Lesbio Isidio, nell’Accademia dell’Arcadia, della quale erano socie alcune delle personalità fiorentine connesse con le sue prime opere note: una serie di medaglie eseguite tra il 1701 e il 1704, raffiguranti Vincenzo Viviani, Antonio Magliabechi, Lorenzo Bellini, Anton Maria Salvini, Giulio Benedetto Lorenzini e Carlo Strozzi (Vannel - Toderi, 1987).
Del tempo della sua immatricolazione all’Accademia del disegno, il 27 agosto 1705 (www.aadfi.it/accademico/ticciati-girolamo/), si ha notizia solo di alcune sculture oggi disperse (un’Immacolata Concezione in marmo per il monastero di S. Maria di Candeli a Firenze, 1703; due statue in pietra per il giardino della villa medicea di Lappeggi, 1705; cfr. Meudec, 2000; Roani, 2017, p. 111). Il successivo impegno, sorprendente per rilevanza, fu la chiamata a Vienna da parte dell’imperatore Giuseppe I d’Asburgo nel 1708 (F.M.N. Gabburri, in Lankheit, 1962, p. 230). L’attività di Ticciati come scultore e architetto nella capitale imperiale è da ricostruire, ma si prefigura come decisiva per la sua carriera. Francesco Maria Niccolò Gabburri riferiva che «con suo disegno fu fabbricato allora il gran teatro presso alla porta d’Italia», ovvero il Kärntnertortheater, effettivamente edificato nel 1709, ma tradizionalmente riferito a un progetto dell’architetto Antonio Beduzzi (Rizzi, 2011; Trier, 1994). Non vi è dubbio che Ticciati a Vienna, avendovi l’opportunità di frequentare anche Francesco Galli Bibiena, si dedicasse a opere di architettura e ingegneria teatrale. Nel 1710 scrisse a Ludovico Antonio Muratori (con il quale era in relazione almeno dal 1704, cfr. Campori, 1866, pp. 549-551), chiedendo in prestito «qualche libro appartenente all’architettura, come il Serlio, Palladio, Scamozzi» (Roani, 2017, p. 114). Da Vienna spedì, nell’agosto 1711, il progetto per il santuario del SS. Crocifisso dei Miracoli a Borgo S. Lorenzo, realizzato tra il 1714 e il 1743 (Memorie storiche del Crocifisso, 1838).
Rientrato in patria dopo la morte di Giuseppe I (1711), la sua esperienza di ingegnere teatrale venne subito riconosciuta: per sostituire Antonio Maria Ferri, appena scomparso, nel gennaio 1716 gli Accademici Immobili, proprietari del teatro della Pergola, lo nominarono loro architetto (E. Garbero Zorzi - L. Zangheri, in Lo «spettacolo maraviglioso», 2000, pp. 25, 36 nota 87). Tra il 1718 e il 1719 egli ammodernò il teatro, progettandone nuovi palchi, documentati da suoi disegni, che confermano la diretta conoscenza del repertorio architettonico e decorativo di Francesco Galli Bibiena (F. Farneti, ibid., pp. 158 s.). Nel 1719, in occasione dell’allestimento di due spettacoli, Il trionfo della Virtù e Il trionfo di Solimano, di cui Ticciati aveva curato le macchine sceniche, i libretti riportarono la sua qualifica di ingegnere dell’imperatore.
Nel contempo non aveva abbandonato la scultura. Tra il 1716 e il 1719 eseguì i ritratti di Virginia Corsini, Ulisse da Verrazzano e Ludovico da Verrazzano, per le loro sepolture nella chiesa fiorentina di S. Francesco di Sales; a questi si associano i busti di Chiaro da Verrazzano e di Giovanni da Verrazzano (Washington, National Gallery of Art; Giannotti, 1995, pp. 105-107). Nel corso degli anni Venti continuò ad alternare impegni d’architettura e di scenotecnica (la ristrutturazione del coro di S. Francesco a Castelfiorentino, 1719-21: Bartalucci, 2005; gli apparati per le esequie di Luigi I di Spagna in S. Maria Novella, 1724: Venuti, 1724; l’altare della cappella del SS. Sacramento nella cattedrale di Volterra, 1726: Gastone, 2018) a lavori di scultura. Nel 1721 collaborò con Foggini alla decorazione della grotta di palazzo Corsini a Firenze (Visonà, 1990, pp. 80, 124 nota 122); nel 1723 modellò gli angeli in bronzo dell’urna del beato Ugolino Zeffirini, ideata da Foggini per l’altar maggiore di S. Agostino a Cortona (Roani, 2017, p. 111). Nel 1724 eseguì una Pietà per gli apparati delle esequie del granduca Cosimo III in S. Lorenzo, progettate da Alessandro Galilei (S. Bellesi, in Bellesi - Visonà, 2008). Nello stesso anno prese parte alla rassegna di bronzi voluta dall’elettrice palatina Anna Maria Luisa, che radunò le eccellenze della scultura fiorentina del tempo. Ticciati, pur nel rispetto di una sostanziale omogeneità delle serie, con il suo Cristo e la samaritana al pozzo (Madrid, Palacio Real: S. Bellesi, in Plasmato dal fuoco, 2019, pp. 266-269), si distinse per una semplificazione degli eleganti sventagli di Foggini e fogginiani, e per la scelta di un registro asciutto e diretto, ispirato a una solenne moderazione. Della composizione si conoscono anche una terracotta preparatoria (collezione privata), una cera (Sesto Fiorentino, Museo Richard-Ginori) e la relativa versione in porcellana della manifattura di Doccia. Sulla stessa linea si trovano i bronzi dorati delle Quattro stagioni (1726-32), posti a coronamento del monumentale stipo di Henry Somerset-Scudamore, terzo duca di Beaufort, a Badminton House (ora Vienna, Liechtenstein Museum; González-Palacios, 1993).
I lavori che, in quegli anni, misero più in luce Ticciati furono gli incarichi dell’arte di Calimala per i «risarcimenti» del battistero fiorentino di S. Giovanni. Dal 1722 egli fu impegnato nella realizzazione dell’altare delle Reliquie, su disegno dell’architetto Pietro Paolo Giovannozzi (Archivio di Stato di Firenze, Arte di Calimala, 94, c. 501r). L’anno successivo procedette, sotto la supervisione del provveditore dell’arte Anton Francesco Pecori, al rifacimento del presbiterio, del coro e dell’altar maggiore. Raccolti pareri e progetti di vari architetti, tra cui Alessandro Galilei (18 settembre 1723, in Toesca, 1953), per la delicatezza dell’intervento, che non doveva «punto alterare né al di dentro né al di fuori l’architettura di sì insigne tempio», il 23 ottobre 1723 i consoli dell’arte autorizzarono i lavori (Archivio di Stato di Firenze, Arte di Calimala, 78, cc. 320v-323r). Il 21 giugno 1732 l’imponente nuova macchina dell’altare venne inaugurata, sollevando commenti discordi (Brunetti, 1976, p. 182). La tendenza a operare recuperi puristi di presunta filologia, crescente dal secondo Ottocento, indusse nel 1912 a smontare l’intero complesso e a ricoverarne le parti nel Museo dell’Opera del duomo, dove tuttora si trovano. Il presbiterio, ellittico, era delimitato da due bracci di balaustrata, nella quale erano inseriti quattro bassorilievi ovali con storie del Battista (Visitazione, Zaccaria benedice Giovanni, Ecce Agnus Dei, Giovanni dinanzi a Erode) e due aquile col torsello, insegne dell’arte di Calimala; sotto la mensa dell’altare, sorretta da altre due aquile di Calimala, stava un bassorilievo con il Banchetto d’Erode (una terracotta preparatoria fu di proprietà del suo estimatore e biografo Gabburri: D’Alburquerque, 2010-2011); sopra l’altare, due grandi angeli reggicandelabro fiancheggiavano un S. Giovanni Battista innalzato da altri due angeli in una gloria di nubi, che assecondava la curvatura della volta della scarsella. È stato osservato come in questa impresa, interamente progettata ed eseguita «di sua mano» (F.M.N. Gabburri, in Lankheit, 1962, p. 230), Ticciati abbia depurato al massimo grado il proprio linguaggio, specie nei rilievi, recuperando schemi narrativi quattro-cinquecenteschi, e soprattutto cercando rudezze espressive assonanti con le formelle più antiche, ‘primitive’, del Dossale d’argento di S. Giovanni, prestigioso monumento della devozione cittadina (Brunetti, 1976, pp. 186 s.; Giannotti, 1995, pp. 119-121).
Nell’ottobre 1734 egli succedette al defunto Giovannozzi nella carica di ingegnere dell’arte di Calimala (Brunetti, 1974, p. 22), e in quella veste rinnovò i due altari minori del battistero, quello della Maddalena, dove nel 1735 venne ricollocata la statua lignea della santa penitente di Donatello, ed entro il 1741 quello del Crocifisso, ornato da una sua Madonna col Bambino in marmo (oggi in S. Maria del Fiore; ibid.).
Gli anni Trenta segnarono l’apice della carriera di Ticciati. Nella raccolta di scultura tosco-romana riunita dal re Giovanni V del Portogallo nella basilica di Nostra Signora e S. Antonio a Mafra, Girolamo fu presente, nel 1732, con un S. Andrea e un S. Giacomo Maggiore (Vale, 2002). Un ridimensionamento delle esuberanze barocche si coglie appieno nei marmi della chiesa dei Ss. Vincenzo e Caterina de’ Ricci a Prato, del 1734 (la pala d’altare ad altorilievo con S. Caterina che abbraccia il Cristo crocifisso, e quattro rilievi minori con Storie della santa; Bardazzi - Castellani, 1982), e nelle successive opere fiorentine: il Beato Giovanni da Salerno (1735, Museo di S. Maria Novella; M. Visonà, in Bellesi - Visonà, 2008, I, pp. 121, 131 nota 30), l’Architettura (1736, palazzo Rinuccini), la Geometria (1737, S. Croce, sepolcro di Galileo Galilei), le due Allegorie dei sepolcri di Alessandro Galilei (1739, S. Croce) e di Giacomo Conti (1739, S. Felicita; per queste e altre opere di Ticciati cfr. S. Blasio, in Repertorio, 1993). Cronologicamente prossimo a queste figure può situarsi il gruppo di sei piccole terrecotte, recentemente ritrovate, con Apostoli e una Crocifissione (Giannotti, 2016, pp. 119 s.).
La ricerca di astrazione e la presa di distanza da un’enfasi espressiva, tipiche di Ticciati, sono particolarmente apprezzabili nella sua vasta produzione ritrattistica, a tutto tondo o a rilievo. Dal medaglione del monumento di Anton Domenico Gabbiani del 1727 (Firenze, S. Felice in Piazza), e per tutto il decennio successivo, lo scultore sparse in vari luoghi della città effigi celebrative (Clemente XII Corsini, 1731, S. Spirito: Medici, 1875, pp. 37-40; Francesco Stefano di Lorena, 1741, Biblioteca nazionale centrale: Roani, 2017, pp. 127-130) o memoriali (Lazzaro Marmi, 1733, chiesa del Carmine, perduto; Antonio Magliabechi e Anton Francesco Marmi, 1737, Biblioteca Magliabechiana degli Uffizi: S. Bellesi, in Bellesi - Visonà, 2008, I, pp. 143, 151 nota 25; Giuseppe Averani, 1738, convento di S. Marco: Giannotti, 1995, p. 109; Pier Antonio Micheli, 1738-39, S. Croce: Roani, 1984; Giovan Francesco Feroni, 1742, ospedale Vecchio di S. Giovanni di Dio).
Dopo aver partecipato alla decorazione dell’arco di porta S. Gallo per l’ingresso dei Lorena a Firenze (1738-40; Roani Villani, 1986), insieme ad altri scultori, tra cui il suo allievo Gaspero Bruschi, nei suoi ultimi anni Ticciati ebbe impegni non meno rilevanti. Nel 1741-42 intervenne su uno dei candelieri michelangioleschi dell’altare della sagrestia nuova, in una misura ancora discussa, non potendosi accertare se si sia trattato di un completamento o di un rifacimento (Campigli, 2006). In S. Lorenzo, nel 1743, per l’elettrice palatina, lavorò alla cappella dei Principi (M. Bietti, in La principessa saggia, 2006). Nel 1744 progettò la nuova sistemazione dell’atrio dell’ospedale Vecchio di S. Giovanni di Dio, dove aveva già collocato il suo gruppo di S. Giovanni di Dio con l’arcangelo Raffaele e un povero, datato 1738 (Visonà, 1990, p. 110); sempre nel 1744 incassò il saldo per una serie di medaglioni con ritratti medicei, tuttora nel palazzo Rinuccini di via di S. Spirito (pp. 61, 119 nota 45), ultimo esempio della sua strenua ricerca di nobile semplicità (Giannotti, 1995, pp. 109 s., nota 19).
Il 4 marzo 1745 dettò il suo testamento, lasciando al figlio Pompilio quanto si trovava nel suo studio, posto nella loggia dei Rucellai in via della Vigna Nuova, che era stato del suo maestro Foggini.
Morì a Firenze l’11 marzo 1745 e fu sepolto nella chiesa di S. Giuseppe (ibid., p. 115 e nota 48).
Notizie letterarie ed istoriche intorno agli uomini illustri dell’Accademia fiorentina. Parte prima, Firenze 1700, pp. 8-16, 72-74, 87-115, 182-190, 258-262, 297-302; N.M. Venuti, Esequie di Luigi I Cattolico re delle Spagne…, Firenze 1724, p. VI; F. Redi, Consulti medici..., Firenze 1726, p. 231; [G. T.,] Descrizione dell’insigne fabbrica di S. Maria del Fiore di Firenze detto il Duomo, in B.S. Sgrilli, Descrizione e studj dell’insigne fabbrica di S. Maria del Fiore, metropolitana fiorentina..., Firenze 1733, pp. III-XXXVIII; G. T., Supplemento alla vita di Michelagnolo Buonarroti, in A. Condivi, Vita di Michelagnolo Buonarroti..., Firenze 1746, pp. 59-63; Memorie storiche del Crocifisso de’ miracoli del Borgo San Lorenzo, Firenze 1838, p. 24; U. Medici, La Cappella dei Principi Corsini in S. Spirito e un quadro di Raffaello De Carli? Memoria storico artistica, Firenze 1875, pp. 37-40; G. Campori, Lettere artistiche inedite, Modena 1866, pp. 150 s., 549-551; G. T., Storia dell’Accademia del disegno, in P. Fanfani, Spigolatura michelangiolesca, Pistoia 1876, pp. 191-307; I. Toesca, Un parere di Alessandro Galilei, in Paragone, IV (1953), 39, pp. 53-55; K. Lankheit, Florentinische Barockplastik. Die Kunst an Hofe der letzten Medici, 1670-1743, München 1962, pp. 178-181, 230; G. Brunetti, Una Madonnina dimenticata di G. T. per il Battistero, in Antichità viva, XIII (1974), 3, pp. 22-24; Ead., I bassorilievi di G. T. per il coro e per l’altare maggiore del Battistero, in Kunst des Barock in der Toskana. Studien zur Kunst unter den letzten Medici, München 1976, pp. 182-187; S. Bardazzi - E. Castellani, Il monastero di S. Vincenzo a Prato, Prato 1982, pp. 47 s., 65-68, 79-82, 165-191; R. Roani, Per Girolamo Ticciati, in Paragone, XXXV (1984), 409, pp. 70-74; R. Roani Villani, La decorazione plastica dell’arco di porta S. Gallo a Firenze, in Paragone, XXXVII (1986), 437, pp. 53-67; F. Vannel - G. Toderi, La medaglia barocca in Toscana, Firenze 1987, pp. 110-113; M. Visonà, Carlo Marcellini Accademico «Spiantato» nella cultura fiorentina tardo-barocca, Pisa 1990, pp. 80, 110, 124 nota 122; S. Blasio, in Repertorio della scultura fiorentina del Seicento e Settecento, a cura di G. Pratesi, I, Torino 1993, pp. 62 s., 107 s.; A. González-Palacios, Il gusto dei principi. Arte di corte del XVII e del XVIII secolo, Milano 1993, I, pp. 419-431, e II, pp. 386-391; D. Trier, Beduzzi, Antonio, in Saur Allgemeines Künstlerlexikon, VIII, München-Leipzig 1994, p. 224; A. Giannotti, «Fisso nel punto, che m’avea vinto». G. T., scultore ‘sicuro’ nella Firenze del Settecento, in Atti e memorie dell’Accademia toscana di scienze e lettere La Colombaria, LX (1995), pp. 103-122; Lo «spettacolo maraviglioso». Il teatro della Pergola: l’opera a Firenze (catal.), Firenze 2000, pp. 25, 36 nota 87, 158 s.; J. Meudec, Un jardin baroque à Florence: le ‘nouveau jardin’ de la villa de Lappeggi, in Histoire de l’art, XLVI (2000), pp. 81, 87 nota 33; T.L.M. Vale, A escultura italiana de Mafra, Lisboa 2002, pp. 71, 78, 99 nota 74, 133-142; S. Bartalucci, La chiesa di San Francesco e le sue vicende artistiche, in La chiesa di San Francesco a Castelfiorentino, a cura di M.D. Viola, Firenze 2005, pp. 56 s.; M. Campigli, Silvio Cosini e Michelangelo, in Nuovi studi, XII (2006), pp. 102 s., 116 note 105-113; La principessa saggia. L’eredità di Anna Maria Luisa de’ Medici elettrice palatina (catal., Firenze), a cura di S. Casciu, Livorno 2006, pp. 353 s.; S. Bellesi - M. Visonà, Giovacchino Fortini..., Firenze 2008, I, pp. 121, 131 nota 30, 143, 151 nota 25, e II, p. 294; K. d’Alburquerque, Sculture e scultori tardo-barocchi fiorentini: disegni della collezione Gabburri e di altre collezioni settecentesche, in Proporzioni, n.s., 2010-2011 nn. 11-12, p. 135 nota 108; W.G. Rizzi, Ein Theaterprojekt für den Kaiserlichen Hof von Antonio Beduzzi, in Österreichische Zeitschrift für Kunst und Denkmalpflege, LXVI (2011), pp. 390-398; A. Giannotti, Nuove opere del «celebre scultore» G. T., in Nuovi studi, XXII (2016), pp. 119-124; R. Roani, Nota per G. T. «bravissimo poeta, architetto e scultore eccellente», in Bollettino della Accademia degli Euteleti, 2017, n. 84, pp. 111-137 (con ulteriore bibl.); D. Gastone, Il corredo d’altare della ‘cappella dei Miracoli’ nella cattedrale di Volterra e la committenza della Compagnia del Santissimo Sacramento nel XVIII secolo, in OADI, 2018, n. 18 (in rete); Plasmato dal fuoco. La scultura in bronzo nella Firenze degli ultimi Medici (catal.), a cura di E.D. Schmidt - S. Bellesi - R. Gennaioli, Firenze 2019, pp. 266-269, 356 s., 625 s.