VERALLI, Girolamo
VERALLI (Verallo), Girolamo. – Nacque nel 1497 a Cori, primogenito di Giovan Battista e di Giulia Iacovacci.
Apparteneva a una famiglia che si era distinta nella località laziale sin dal XIV secolo: Pietro Veralli, nel 1327, aveva partecipato alla redazione dello Statuto del Comune. Il padre di Girolamo, Giovan Battista, era un valente medico e si era trasferito a Roma; a partire dal 1514, tenne la cattedra di medicina nello Studium Urbis, di cui era rettore il cognato, il cardinale Domenico Iacovacci. Entrato nel ceto dirigente cittadino, nel secondo quadrimestre del 1521, Giovan Battista aveva occupato la carica di conservatore. Nel contempo, aveva avuto modo di conoscere il cardinale Alessandro Farnese, vescovo della sede suburbicaria di Ostia e Velletri (nella cui giurisdizione Cori era compresa): quando quest’ultimo era stato eletto papa, ne era diventato il medico personale.
Girolamo studiò legge. Dopo aver esercitato l’incarico di governatore di Velletri, rientrò a Roma e fu nominato referendario di entrambe le Segnature. Seguì, il 26 novembre 1534, la nomina a uditore di Rota, cui aggiunse la carica di uditore del Sacro Palazzo apostolico. Non rimase, tuttavia, fermo agli uffici con funzioni giurisdizionali. Entrato nella diplomazia pontificia, egli si trovò innanzi tutto impegnato nella questione della successione al titolo ducale di Camerino.
Nel 1527 era morto il duca Giovan Maria Varano. Sua moglie, Caterina Cibo, aveva progettato di sposare la figlia Giulia, che non aveva ancora dodici anni, a Guidobaldo Della Rovere, figlio primogenito del duca di Urbino; il matrimonio era stato celebrato in segreto, quasi nelle stesse ore dell’elezione di Paolo III (il 12 ottobre 1534). Papa Farnese, però, avversava la soluzione avvenuta senza il suo consenso e convocò madre e figlia a Roma mediante due brevi del 21 ottobre 1534. A quella data, Guidobaldo Della Rovere aveva già preso possesso del ducato. Veralli fu incaricato appunto di convincere Caterina Cibo a sottomettersi al giudizio della giustizia pontificia, ma non poté nulla. Riuscì solo ad affiggere sulle porte della cattedrale camerte una copia dei citati atti pontifici.
La questione, affrontata giudizialmente a Roma (con l’assegnazione del ducato a Ercole Varano), era destinata a complicarsi per via dello scenario interstatuale. L’imperatore Carlo V, in particolare, temeva che l’azione di papa Farnese contro i Della Rovere preludesse a un suo aperto schieramento filofrancese. Per rassicurarlo, Veralli fu inviato in Spagna. La sua istruzione, datata 4 aprile 1535, esplicitamente ipotizzava un aiuto dello stesso imperatore nel convincere il duca di Urbino a desistere dall’impresa. Anche in questa occasione, però, Veralli non ottenne alcun risultato. Il papa dovette accettare di procrastinare la soluzione della controversia fino al ritorno di Carlo V dalla spedizione contro Tunisi.
Verso la fine del 1535, Veralli ebbe il primo incarico permanente di rilievo: la nunziatura di Venezia. Fece il suo ingresso nella città lagunare il 27 dicembre. Dal punto di vista politico, fu spettatore della conclusione dell’alleanza tra Venezia e l’imperatore (nel marzo 1536), e del suo allargamento alla S. Sede, seguito all’inizio di febbraio 1538. Per il resto, Veralli trovò un clima scosso dalle pretese giurisdizionalistiche del governo veneziano. La stessa questione della riscossione delle decime lo tenne a lungo occupato. Ma il suo nome, nel ricoprire la carica, resta legato soprattutto ai primissimi esordi della Compagnia di Gesù. Nel 1536, infatti, Ignazio di Loyola e i suoi primi compagni si trovavano a Venezia e fecero nelle mani del nunzio voto di povertà e castità. Quindi, per dispensa concessa da Veralli, in virtù delle promesse fatte e per merito della sufficiente dottrina dimostrata, chi non era ancora sacerdote poté essere ordinato. Nel contempo, il vicario Gaspare Dotti verificava l’ortodossia dottrinale di Ignazio, messa in dubbio da denunce giunte all’attenzione di Veralli, basate sui processi inquisitoriali affrontati in Spagna e in Francia dal fondatore della Compagnia. Ne scaturì, nell’ottobre del 1537, una completa assoluzione.
Veralli si dimostrò altresì acceso persecutore degli eretici: la protezione accordata dal governo veneziano al minore conventuale Girolamo Galateo, condannato per le sue opinioni eretiche senza che le sanzioni comminategli giungessero a esecuzione, suscitò la sua indignazione. Infine, riguardo al tema più scottante in quel torno di anni, cioè la verifica dell’ipotesi di aprire un concilio, Veralli, nel settembre del 1537, cercò di convincere i veneziani a permettere che Vicenza ne fosse la sede. Ebbe risposte incoraggianti, ma il contesto interstatuale vanificò poi il disegno.
Veralli sarebbe rimasto a Venezia fino al febbraio del 1540. Il 20 agosto dello stesso anno fu creato vescovo di Bertinoro, ma non rimase a lungo titolare della diocesi romagnola: il 14 novembre 1541 passò alla cattedra di Caserta.
Non abbandonò la carriera diplomatica a causa degli impegni pastorali. Alla metà del giugno 1541, fu nominato nunzio presso Ferdinando d’Asburgo. Partì il 7 luglio. Aveva con sé facoltà di poter assistere finanziariamente gli sforzi del re dei Romani contro i turchi per un massimo di 20.000 scudi (somma presto giudicata inadeguata a Vienna). Egli era stato anche informato sullo stato dello scontro confessionale in Germania. Veralli giunse il 21 luglio 1541 presso la Dieta imperiale riunita a Ratisbona, sede di un estremo tentativo di trovare una soluzione ai problemi innescati dalla riforma luterana. Nulla faceva presagire un esito positivo: il periodo di maggiore avvicinamento tra le posizioni, tra aprile e maggio, era rapidamente trascorso e il 29 luglio fu approvato un recesso nettamente favorevole ai protestanti, che non escludeva il ricorso a un concilio della Chiesa tedesca. Veralli non poté far altro che assistere il legato pontificio Gasparo Contarini e il nunzio straordinario Giovanni Morone nei loro colloqui con l’imperatore.
Accompagnò Morone anche alla Dieta di Spira, agli inizi del febbraio 1542. Nell’occasione, gli Stati protestanti dell’Impero ottennero la promessa dell’estensione della validità delle dichiarazioni di Ratisbona, loro favorevoli. Veralli, nei suoi dispacci, spiegò a Roma i motivi di tanta condiscendenza di Ferdinando nei confronti dei protestanti: aveva bisogno di aiuti militari e finanziari contro i turchi che avanzavano in Ungheria.
A Roma intanto si compivano passi decisivi verso la convocazione del concilio. Veralli, assistito dal gesuita Nicolás Bobadilla, si recò nell’agosto del 1542, insieme a Otto Truchsess von Waldburg, presso la Dieta di Norimberga. Qui, ancora una volta, i protestanti stavano ricevendo ampie rassicurazioni da Ferdinando d’Asburgo. Veralli aveva istruzioni di presentare agli Stati dell’Impero la bolla papale del 22 maggio 1542, che convocava il sinodo generale a Trento, per il 1° novembre successivo: insieme a Truchsess, Veralli tenne il suo discorso in assemblea il 13 agosto. La reazione parve positiva, almeno da parte dei rappresentanti cattolici. Anche fra questi, tuttavia, non mancò chi evidenziò, in colloqui di cui Veralli diede conto a Roma, che la situazione politica generale, in quel momento, lasciava prevedere un’ulteriore dilazione.
L’impasse, in effetti, fu quasi immediata, a causa del riaccendersi della guerra tra l’imperatore e il re di Francia. Allo stesso Veralli si rivolsero sia i legati pontifici arrivati a Trento il 22 novembre 1542 (cioè i cardinali Pietropaolo Parisio, Reginald Pole e Giovanni Morone), sia la Segreteria pontificia affinché premesse sul re dei Romani per impedire risoluzioni che nuocessero al concilio appena avviato. Veralli, di nuovo insieme a Truchsess, presenziò alla Dieta che si tenne a Norimberga fra il 30 gennaio e il 23 aprile 1543: egli non poté impedire che i protestanti si scagliassero contro l’iniziativa del papa; almeno, per il momento, non vide progredire l’ipotesi di un concilio nazionale tedesco.
Le porte a una regolazione dello scontro confessionale tutta interna all’Impero, invece, furono aperte dalla Dieta di Spira, convocata per il 30 novembre 1543 e iniziata il 20 febbraio 1544. Fu proprio Veralli a comunicare preoccupato a Roma i termini del recesso approvato il 10 giugno dello stesso anno, il quale prevedeva il mantenimento delle concessioni fatte ai protestanti dal 1541 in poi e la convocazione di un’altra Dieta concentrata sui temi della riforma religiosa. La notizia fu accolta a Roma molto negativamente. Nondimeno, nella convulsa fase successiva – coincidente con le manovre per la presentazione a Carlo V di un breve di protesta pontificio, datato 24 agosto 1544 – Veralli rimase piuttosto in disparte, limitandosi alle sue funzioni di nunzio presso Ferdinando fino alla fine dello stesso anno. Il 14 novembre 1544, era stato eletto arcivescovo di Rossano.
Nella primavera del 1545, infine, fu accreditato nunzio presso Carlo V. In maggio, si recò a Worms, dove si trovavano anche gli Stati imperiali tedeschi, riuniti in Dieta. Qui incontrò Fabio Mignanelli, suo successore presso Ferdinando. I due lavorarono insieme, ma certo era Veralli a condurre la maggior parte dei negoziati con Nicolas Perrenot de Granvelle, consigliere imperiale. Primo obiettivo, in quel momento: l’effettiva apertura del Concilio di Trento, sospeso il 6 aprile 1543 e di nuovo convocato il 19 novembre 1544 per il successivo 15 marzo. Stavolta Veralli raccolse il successo sperato: il 26 luglio, in udienza, Carlo V gli comunicò che era favorevole all’apertura, anche se avrebbe preferito procrastinarla al 15 agosto o all’8 settembre 1545. Nel contempo, il clima tra papa e imperatore si stava rasserenando: a Worms era presente anche il cardinale Alessandro Farnese, che portò avanti i negoziati per la conclusione di un’alleanza militare contro i protestanti. Ma Veralli toccava nei suoi colloqui con Carlo V anche questioni della famiglia del pontefice: l’investitura imperiale di Parma e Piacenza a vantaggio di Pier Luigi Farnese, innanzi tutto.
Quando l’imperatore rientrò nei Paesi Bassi, Veralli lo seguì. A Bruxelles fu raggiunto da Girolamo Dandini, nunzio straordinario (oggetto della missione: cosa fare del concilio durante i preparativi per la guerra ai protestanti; preferibilmente spostare la sua sede). I due diplomatici operavano congiuntamente e insieme, di solito, scrivevano a Roma. Ma Dandini sapeva meglio destreggiarsi nell’entourage di Carlo V. Anche stavolta i risultati furono scarsi: come Veralli e Dandini ripetevano nei loro dispacci a Roma, l’imperatore non voleva la traslazione del concilio. Effettivamente, esso fu aperto a Trento il 13 dicembre 1545.
Quando a inizio febbraio del 1546 Dandini si allontanò dalla corte, Veralli rimase l’unico nunzio presso l’imperatore: incline a percorrere la via della mediazione, poco prima della metà di giugno del 1546, cercò invano di ottenere dai legati conciliari (Marcello Cervini, Giovanni Maria Del Monte, Reginald Pole) che la trattazione delle questioni dogmatiche più scottanti fosse rinviata.
Quindi, entrando nel vivo le trattative per l’alleanza militare tra papa e imperatore, Veralli si trovò in difficoltà. Non riuscì a superare gli ostacoli che Carlo V frappose alla firma del trattato per gran parte della primavera 1546. Così, egli fu estromesso dai negoziati, presi in mano da Truchsess e dal cardinale Cristoforo Madruzzo. Solo quando si ebbe assicurato l’appoggio del duca Guglielmo di Baviera, alla presenza di Veralli, Carlo V procedette alla firma del patto di unione con il papa, il 6 giugno 1546.
All’inizio del successivo settembre, Veralli affrontò di nuovo con Granvelle il tema della traslazione del concilio (al posto del legato Alessandro Farnese, caduto infermo). Era materia scottante. Ebbe duri scontri verbali sia con lo stesso Granvelle, sia con l’imperatore in ottobre e in novembre. I rapporti tra Paolo III e Carlo V, del resto, si stavano deteriorando seriamente. Così, per i trattati con i protestanti conclusi dall’imperatore all’inizio del 1547 non fu chiesto il suo assenso, come previsto dalla dignità legatizia che rivestiva. Ma Veralli non protestò troppo.
D’altro canto, toccò a lui, alla fine di gennaio del 1547, dare conto a Carlo V del disimpegno delle truppe pontificie dal teatro di guerra tedesco. L’imperatore ebbe una reazione furiosa, ma Veralli insistette nel difendere l’operato di papa Farnese. Colse risultati solo limitati: se sembrava che Carlo V fosse disposto ad ammorbidire la propria posizione era solo perché puntava a ottenere l’intero ammontare dei sussidi promessigli da Roma. Quando poi l’11 marzo 1547, in udienza a Nördlingen, comunicò per conto del papa la richiesta che l’imperatore approfittasse della morte di Enrico VIII per far tornare l’Inghilterra sotto l’obbedienza romana, Veralli ebbe in risposta soltanto parole sprezzanti. Analoga scena di reazioni veementi da parte di Carlo V anche nell’udienza concessagli il 14 aprile 1547: Veralli comunicò all’imperatore la necessità dell’avvenuta traslazione del concilio a Bologna e quegli rispose con durezza, ricordando che la sua autorità si estendeva anche alla materia conciliare, se necessario. Nei mesi successivi, Veralli si limitò a seguire Carlo V e il suo esercito, in campagna contro la Lega di Smalcalda. I suoi dispacci riferiscono dell’andamento del conflitto e di un progressivo (momentaneo) miglioramento dei rapporti fra papa e imperatore.
Tornò a Roma agli inizi di settembre del 1547. Gli fu così risparmiata la fase peggiore dei rapporti tra Carlo V e Paolo III, dopo l’assassinio di Pier Luigi Farnese a Piacenza (10 settembre 1547).
L’8 aprile 1549 fu creato cardinale: ebbe il titolo di S. Martino ai Monti, per passare poi (alla fine del novembre 1553) a quello di S. Marcello. La nomina si inquadrava nel disegno di papa Farnese di scongiurare in futuro l’elezione a pontefice di un cardinale filoimperiale. In effetti, defunto Paolo III, il tentativo di far eleggere nei primi giorni dopo la chiusura del conclave Reginald Pole, fortemente appoggiato da Carlo V, fallì «per fraude di doi romani, Verallo et Crispo» (Niccolò Secchi a Granvelle, Roma 12 dicembre 1549, cit. in Bertomeu Masiá, 2009, p. 351).
Eletto Giulio III, Veralli partecipò ai lavori della commissione cardinalizia deputata a trattare del negozio del concilio. Entrò in questo periodo nella congregazione del S. Uffizio, ma più di un segnale mostra che non ne fosse uno dei membri più intransigenti.
La guerra di Parma di papa Del Monte iniziata nel giugno del 1551 contro Ottavio Farnese determinò il ritorno di Veralli agli incarichi diplomatici. Infatti, l’irruzione in Piemonte dei francesi, alleati di Farnese, scoraggiò Giulio III dal proseguire l’iniziativa militare, alla quale del resto si era risolto malvolentieri. L’8 settembre 1551 Veralli fu nominato legato presso il re di Francia Enrico II per trattare la pace.
La sua istruzione era datata 3 ottobre 1551. Veralli avrebbe dovuto innanzi tutto chiarire al re che il papa aveva compiuto ogni passo per evitare lo scontro con Ottavio Farnese; ricordare che i primi atti ostili contro il territorio dello Stato della Chiesa erano stati proprio del sedicente duca di Parma; rinfacciare al re di non aver detto «mai una buona parola, ma esser stato su le minaccie et bravarie». Anzi peggio: Enrico II aveva fatto partire da Roma cardinali e prelati francesi anche prima che iniziassero le ostilità, facendo leggere al papa una protesta ufficiale «degna da esser letta ad un concilio di scuola Greca» e dimostrando di non tenere la sua persona più in conto «d’una statua e pittura» (Beiträge zur Reichsgeschichte, 1873, p. 759). Ma vie particolari per uscire dalla crisi nell’istruzione non venivano dettagliate. Difficile dunque dire che cosa, di quanto operato da Veralli nell’occasione, promanasse da sua iniziativa oppure da istruzioni a voce della Segreteria pontificia.
Quel che è certo, egli fu ricevuto verso la metà del dicembre 1551 a Fontainebleau ed ebbe un’accoglienza solo genericamente benigna. In un successivo colloquio, a Clery, il 7 gennaio 1552, egli offrì di dare Camerino a Ottavio in cambio di Parma, che sarebbe tornata definitivamente alla Chiesa. Veralli chiedeva però l’aiuto anche militare del re al papa in caso Ottavio si fosse rifiutato. Enrico II non giudicò congrua l’offerta e, soprattutto, si rifiutò di prendere le armi contro Farnese, chiedendo invece al papa di collegarsi con lui per impedire i progressi degli imperiali nella pianura Padana. Era lo stallo. Il solo risultato ottenuto, o meglio, la sola evidenza rilevata da Veralli fu il tramonto definitivo di uno scisma gallicano, che invece agli inizi della crisi sembrava imminente. Solo grazie alla missione romana del cardinale François de Tournon, tra il febbraio e l’aprile del 1552, si pervenne all’armistizio.
Nel successivo autunno, Veralli fu attivo nella commissione di cardinali che trattava con il pontefice dei mezzi per arrivare a una pace tra Francia e Spagna, minacciata dalla ribellione della città di Siena contro il presidio spagnolo e la sua richiesta di protezione al re Enrico II. Nel contempo, egli partecipava saltuariamente ai lavori della commissione per la riforma della Chiesa insediata nell’ottobre del 1552 dallo stesso papa Del Monte. Defunto quest’ultimo, nell’aprile del 1555, in occasione delle manovre per l’elezione di Marcello II restò piuttosto in disparte. Scomparso anche papa Cervini, al rientro in conclave, egli parve inizialmente ben disposto verso il nome di Juan Álvarez de Toledo. Addirittura, venne considerato papabile, qualora l’elezione fosse andata per le lunghe. L’eventualità non si prospettò: il 23 maggio, infatti, fu eletto – anche con il sostegno di Veralli – un altro collega cardinale inquisitore, Gian Pietro Carafa.
Veralli morì a Roma l’11 ottobre 1555, per febbri sopraggiunte a una malattia alle vie urinarie.
I suoi benefici li aveva già fatti trasferire ai prelati consanguinei (in primis al fratello Paolo Emilio, vescovo di Capaccio). Secondo l’ambasciatore veneziano a Roma, Bernardo Navagero, lasciò anche 15.000 scudi di debiti. Fu seppellito nella chiesa di S. Agostino. Il suo monumento funebre, sul terzo pilastro destro della chiesa, fu eseguito più tardi, nel terzo decennio del Seicento. Comprende il busto scultoreo del defunto, opera di Egidio Moretti.
Nel settembre del 1551 gli era stato concesso di dimorare, a vita, in un palazzo facente parte del titolo della chiesa di S. Apollinare. Egli possedeva anche una ‘vigna’ sull’Esquilino, comprendente il sito della torre di Mecenate e il monte della Giustizia (alta collina formata dall’accumulo di terra di riporto, in età imperiale). Essa fu venduta dagli eredi a Fabrizio Naro che a sua volta la cedette nel 1585 a Camilla Peretti. La sorella di papa Sisto V ne fece un’espansione della grandiosa villa Montalto, oggi scomparsa.
Fonti e Bibl.: Legazioni di Averardo Serristori ambasciatore di Cosimo I a Carlo V e in corte di Roma, 1537-1568 [...] con note politiche e storiche di Giuseppe Canestrini, Firenze 1853, pp. 222, 354; Nuntiaturberichte aus Deutschland 1533-1559, VII, a cura di L. Cardauns, Berlin 1912, VIII-IX, a cura di W. Friedensburg, Gotha 1898-1899, X, a cura di W. Friedensburg, Berlin 1907, ad indices; Nunziature di Venezia, II, 9 gennaio 1536-9 giugno 1542, a cura di F. Gaeta, Roma 1960, pp. 29-257.
Beiträge zur Reichsgeschichte. 1546-1551, a cura di A. von Druffel, München 1873, p. 759; G. van Gulik - C. Eubel, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, III, Monasterii 1923, p. 30; L. von Pastor, Storia dei papi dalla fine del Medioevo, VI-VII, Roma 1927-1928, ad ind.; L. de Diego, La opción sacerdotal de Ignacio de Loyola y sus compañeros (1515-1540), [Roma] 1975, pp. 184 s.; Reichstage und Kirche, a cura di E. Meuthen, Göttingen 1991, ad ind.; M. D’Amelia, Orgoglio baronale e giustizia. Castel Viscardo alla fine del Cinquecento, Roma 1996, ad ind.; M.B. Guerrieri Borsoi, I restauri romani promossi dal cardinale Fabrizio Veralli in Sant’Agnese e Santa Costanza e la cappella in Sant’Agostino, in Bollettino d’arte, XCI (2006), 137-138, pp. 77, 88 s.; M.J. Bertomeu Masiá, La guerra secreta de Carlos V contra el Papa: la cuestión de Parma y Piacenza en la correspondencia del cardenal Granvela, Valencia 2009, ad ind.; M. Firpo - G. Maifreda, L’eretico che salvò la Chiesa. Il cardinale Giovanni Morone e le origini della Controriforma, Torino 2019, ad indicem.