VITELLI, Girolamo
VITELLI, Girolamo. – Nacque il 27 luglio 1849 a Santa Croce di Morcone (poi del Sannio) in provincia di Benevento, da Serafino, sindaco del paese, e da Maria Vittoria Cassella, nipote dell’astronomo Giuseppe, autore tra l’altro di dotte osservazioni sulle eclissi di stelle.
Grazie all’educazione ricevuta privatamente da un sacerdote che frequentava la famiglia, Vitelli era in grado, già nel 1857, all’età di otto anni, di leggere e intendere il latino di Cicerone, pur nella scelta antologica degli Scripta selecta. Continuò la sua formazione-educazione presso gli zii paterni a Cusano Mutri nel Matese, nell’Appennino sannita, dove fu giovanissimo segretario del Comitato rivoluzionario del paese, grazie alla bella scrittura, nitida e chiara, che avrebbe accompagnato la documentazione manoscritta fino agli ultimi anni della sua vita.
All’età di tredici anni leggeva Orazio e il Primato morale e civile degli italiani, che da poco (1843) Vincenzo Gioberti aveva pubblicato a Bruxelles. Dopo un rocambolesco ritorno a Santa Croce, ottenne dai suoi il permesso di recarsi a Napoli, dove il 2 novembre 1863, quattordicenne, venne ammesso al liceo ginnasiale Vittorio Emanuele, dove ebbe non solo la fortuna di frequentare Francesco ed Enrico D’Ovidio, ma il privilegio di avere come insegnante di greco, di cui era completamente digiuno, Domenico Denicotti, che aveva studiato a Vienna e che si fece promotore, per i suoi fortunati scolari, dell’acquisto di copie della grammatica greca di Georg Curtius tradotta da Emilio Teza proprio a Vienna nella primavera del 1855.
Il 13 settembre 1867 tra i licenziati dei licei d’Italia Vitelli ebbe il primo premio per il componimento latino, ricevendo, nel giudizio di Giovanni Battista Gandino e Carlo Tamagni, il riconoscimento di una conoscenza non comune della lingua greca e della filologia tedesca.
Destinazione naturale, quindi, la Scuola normale superiore di Pisa, dove era stato preceduto da Francesco D’Ovidio, che in sapide lettere lo introdusse alla vita di una «cittaduzza» come Pisa e ai privilegi di una Scuola che ancora, pur nelle naturali mutazioni dei tempi, costituiscono la cifra di un’istituzione scolastica di prim’ordine. Alla Scuola pisana Vitelli ebbe maestri eccellenti: Domenico Comparetti, Emilio Teza, ma soprattutto fu attratto nell’orbita degli studi di filologia moderna condotti da Alessandro D’Ancona, sotto la cui guida affrontò la questione culturale, ma anche storica e politica, dell’autenticità delle Carte di Arborea e delle poesie volgari in esse contenute, che trovò rinomanza pubblica, non soltanto italiana, grazie all’edizione in due parti nel terzo volume, uscito nel 1870, dell’opera Il Propugnatore.
Nel luglio del 1871 Vitelli concluse gli studi alla Normale e nel 1872, sotto la guida di Friedrich Ritschl e Curtius, trascorse un anno a Lipsia, determinante, quasi uno spartiacque, per la sua formazione di filologo o di «tedescante», come la libellistica politica antiprussiana prima e poi antiaustriaca lo avrebbe bollato.
Dopo il rientro in Italia, un concorso per il liceo Umberto di Napoli dal quale fu escluso in quanto «pianta universitaria» e un anno trascorso come insegnante al liceo di Catania, venne chiamato nel 1874 alla cattedra di grammatica greca e latina all’Istituto di studi superiori, pratici e di perfezionamento di Firenze, dove per qualche tempo insegnò anche lingua e letteratura tedesca. Il 9 ottobre del 1875 Vitelli si unì in matrimonio a Marianna Tappari (1856-1934), di Saluzzo, ballerina di cabaret conosciuta presumibilmente a Catania, dalla quale ebbe sei figli, due femmine (Teresa, sposata al medico Dante Pacchioni, e Maria, che andò in sposa al paleografo Luigi Schiapparelli) e quattro maschi (Vittorio, notaio, che donò le carte del padre alla Laurenziana; Camillo, morto suicida nel 1902 a Gottinga; Serafino, che intraprese la carriera militare, sottotenente nella Grande Guerra, poi colonnello, e che finì la sua vita negli Stati Uniti, e Lorenzo, morto ancora bambino nel 1882).
Dopo il ritiro accademico di Comparetti ne ricoprì la cattedra di letteratura greca, che tenne fino al 1915, quando spontaneamente lasciò l’insegnamento ufficiale, dieci anni prima del raggiungimento dei limiti d’età.
Fu direttore di Atene e Roma. Bullettino della Società italiana per la diffusione e l’incoraggiamento degli studi classici dal 1898 al 1900, e fondatore nel 1893 di una nuova rivista, Studi italiani di filologia classica, particolarmente attiva, nei suoi primi anni, nella schedatura dei manoscritti greci e latini delle biblioteche italiane, di cui fu direttore fino al 1915, quando si dedicò per gli ultimi due decenni della sua lunga vita allo studio dei nuovi materiali che, proprio grazie al suo impegno, arrivavano dall’Egitto copiosi a Firenze e in Italia: i papiri greci e latini.
Vitelli fu papirologo nel significato più concreto del termine, interprete geniale di testi di letteratura, che le sabbie d’Egitto e i cassetti dei mercanti riversavano abbondantemente nelle valigie e nelle casse di quanti avevano intuito che il forziere Egitto apriva i suoi tesori. Testi letterari di prim’ordine, da Saffo a Corinna, da Callimaco a Menandro, ma anche le ricevute più banali e le lettere private più sgrammaticate, gli archivi che dall’età dei primi Tolemei (III sec. a.C.) arrivavano agli anni della conquista araba dell’Egitto (VII sec. d.C.): un tesoro di informazioni, di dati di prima mano, che fanno dell’ultimo millennio della civiltà egizia il più documentato periodo storico dell’antichità.
Vitelli si mosse da padrone in questa documentazione, ne intese la lingua, una koinè ellenistico-orientale nelle sue sfumature più sottili (conosceva a menadito Polibio e Diodoro, i Settanta e il Nuovo Testamento), riportò in vita una società nella quale la scrittura passava sempre più rapidamente di mano: dalle classi grecofone privilegiate, nell’Alessandria da poco fondata, al greco coptizzante di un cristianesimo che in Egitto ricevette spinta e linfa vitale per la sua espansione universale.
Frammenti di rotoli, di codici, con opere che non erano sopravvissute al vaglio del bizantinismo continentale, al passaggio dalla ‘maiuscola alla minuscola’, al collo di bottiglia che i nuovi formati costituivano: il codice che sostituiva il rotolo non solo nei testi evangelici, ma nei più laici romanzi, nella letteratura di consumo.
Vitelli fu papirologo non solo per la professione di editore di testi su papiro, di ogni tipo ed età, ma anche per l’attenzione alla parte archeologica che sottende ogni frammento della documentazione scritta egizia. Nel gennaio del 1908, grazie all’intuizione e al sostegno di Angiolo Orvieto, partecipò alla fondazione della Società italiana per la ricerca dei papiri greci e latini in Egitto, che avrebbe permesso acquisti, ma soprattutto scavi archeologici alla ricerca dei papiri in varie località di quel Paese, i cui nomi rappresentano miti per gli addetti ai lavori: Tebtunis, Ossirinco, Ermopoli, Antinoupolis.
Intuizione questa che, influenzata dall’attività di Bernhard Pyne Grenfell e Arthur Surridge Hunt, che dall’Arsinoite (Fayum) terminò nelle rovine intatte di Ossirinco, continuò ancora tra le rovine di Antinoupolis, grazie all’impegno di un Istituto, poi dell’Università degli studi di Firenze, che del papirologo sannita porta ancora il nome.
Ma più che i tre volumi dei Papiri fiorentini (P. Flor.), degli undici dei Papiri della società italiana (PSI), che dal 1908 al 1935 scandirono l’impegno di Vitelli sul terreno della lettura e dell’interpretazione dei testi, e per i quali la riconoscenza degli studiosi non ha remore, ancor più degno di lode è il lavoro di équipe, di scuola che Vitelli ha realizzato. La scuola papirologica italiana, oserei dire fiorentina, ha in lui la sua guida, il suo corifeo. Nei suoi scolari l’eco più nobile. Bastino i nomi di Medea Norsa e di Vittorio Bartoletti a suggello di un’eredità di intenti e di ideali che ancora sussiste.
Fu senatore del Regno di Italia dal 3 ottobre 1920 alla morte. Fu inoltre commendatore dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro, e dell’Ordine della Corona d’Italia.
Da liberale rifiutò di prestare il giuramento al regime fascista nell’ottobre del 1934.
Morì nell’affetto dei suoi cari, nel rimpianto inconsolabile dei discepoli, il 2 settembre 1935 a Spotorno in provincia di Savona, nel cui cimitero è sepolto.
Fonti e Bibl.: Tra i riferimenti imprescindibili si veda In memoria di G. V., Firenze 1936, con ricordi di Giorgio Pasquali, Medea Norsa e una bibliografia a cura di Teresa Lodi; Cinquant’anni di papirologia in Italia. Carteggi Breccia-Comparetti-Norsa-V., a cura di D. Morelli - R. Pintaudi, Napoli 1983; Domenico Comparetti e G. V. Storia di un’amicizia e di un dissidio, a cura di R. Pintaudi, Messina 2002; G. V., a cura di R. Pintaudi, in Enciclopedia Italiana, Roma 2003, pp. 460-464; D. Debernardi, Ritratto bibliografico di G. V., in Analecta Papyrologica, XXVI (2014), pp. 441-490; D. Minutoli, «Il Marzocco» e la nascita della Società italiana per la ricerca dei papiri greci e latini in Egitto nella corrispondenza di G. V. con Adolfo e Angiolo Orvieto (1896-1934), Firenze 2017. Il suo carteggio è conservato presso la Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze; i suoi libri ed estratti nella biblioteca dell’Istituto papirologico G. Vitelli dell’Università degli studi di Firenze.