Girolamo Vitelli
Chi si è occupato finora di Girolamo Vitelli ha messo in luce dello studioso sannita la sua importanza di filologo, di grecista, di insegnante simbolo del Regio Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento in Firenze, nell’ultimo quarto dell’Ottocento, responsabile della formazione di altri insegnanti che avrebbero dovuto unificare la nuova Italia in cultura e tradizione. Per non parlare del suo lascito più importante: la nascita e lo sviluppo a livello internazionale della più nuova e agguerrita disciplina del mondo classico, la papirologia, che nel Vitelli ha un fondatore indiscusso. Ma Vitelli non è stato soltanto quello che i suoi scritti di filologia ci testimoniano. Egli ha esercitato dall’alto del suo magistero fiorentino un’influenza sulla cultura e la politica del momento storico che si è trovato a vivere, attraversando gli anni della guerra e della ‘ricostruzione’ fascista dello Stato e della cultura, che da liberale di destra si trovò a rappresentare.
Girolamo Vitelli nacque a Santa Croce del Sannio, allora Santa Croce di Morcone, in provincia di Benevento il 27 luglio 1849, da Serafino, sindaco del paese, e da Maria Vittoria Cassella, nipote dell’astronomo Giuseppe Cassella (1755-1808), costruttore della Meridiana nel salone della Biblioteca nazionale di Napoli.
Dopo un soggiorno presso gli zii paterni a Cusano Mutri, dove a undici anni fu segretario del Comitato rivoluzionario del paese, si recò a Napoli. Qui, il 2 novembre 1863, fu iscritto al liceo ginnasiale Vittorio Emanuele ed ebbe insegnante di greco Domenico Denicotti, ottenendo il 13 settembre 1867 il primo premio per il componimento latino tra i licenziati dei licei d’Italia. Da Napoli si trasferì alla Scuola Normale Superiore di Pisa dove, nel 1871, completò il corso di studi avendo tra i suoi maestri Domenico Comparetti, Emilio Teza e soprattutto Alessandro D’Ancona, per la cui scuola, pur non avendo intenzione di occuparsi di filologia moderna, avrà sempre riconoscenza profonda. Nel 1870, proprio su suo suggerimento, ne «Il Propugnatore, Studii filologici, storici e bibliografici» (in due puntate), dimostrò false per ragioni stilistiche e storiche le Carte di Arborea, grazie alle quali si presupponeva una poesia volgare sarda precedente alle esperienze delle scuole siciliana e toscana.
Dopo un anno di perfezionamento a Lipsia (1871-72), dove sviluppò il suo tema di studio sulle Charites, insegnò per un anno al Regio Liceo Spedalieri di Catania (1873-74), per approdare al Regio Istituto di studi superiori, pratici e di perfezionamento in Firenze, prima assistente (1874) e poi (1887) ordinario di lingua e letteratura greca, al posto del suo maestro Comparetti. Nel 1915, in anticipo e per sua volontà, venne collocato a riposo. Il 3 ottobre 1920, su proposta di Giustino Fortunato e Pompeo Molmenti risalente al 1917, fu nominato senatore del Regno e giurò come senatore il 13 dicembre 1920. Fino alla sua morte, avvenuta il 2 settembre 1935 a Spotorno in provincia di Savona, si occupò dei papiri greci e latini che, con il suo impegno di responsabile-fondatore della Società italiana per la ricerca dei papiri greci e latini in Egitto, sarebbero arrivati copiosi dall’Egitto a Firenze.
Volendo abbandonare i ritratti ormai confezionati, genericamente accettati e accolti con benevolenza e ammirazione da quanti vedono, giustamente, in Vitelli tra fine dell’Ottocento e inizi del Novecento «il solo filologo classico italiano di rinomanza veramente europea» (Pasquali 1936, p. 12), abbiamo la fortuna di disporre del suo carteggio, conservato e schedato alla Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, dove è arrivato in due riprese (1951 e 1963) per lascito del figlio più giovane, il notaio Vittorio Vitelli.
Vi si enucleano corrispondenti con i quali ebbe rapporti per l’intera vita e ai quali apre il suo animo, manifesta il suo pensiero senza ritrosie, pudori o formalità obbligate. Tra questi Pasquale Villari, la cui superstite corrispondenza con Vitelli, divisa tra la Biblioteca Vaticana e la Laurenziana (ora in corso di stampa per le cure di Francesco Pagnotta), va dal maggio del 1877 all’ottobre del 1917, pochi giorni prima della sua morte. Copre un periodo cruciale nella formazione e nella vita di Vitelli: il suo approdo, dopo gli studi alla Scuola Normale di Pisa, il perfezionamento nella Lipsia di Georg Curtius e Friedrich Wilhelm Ritschl, il brevissimo periodo come insegnante di scuola superiore a Catania, con la prospettiva del Liceo di Napoli, all’Istituto di studi superiori di Firenze, quale assistente di Comparetti, già suo maestro pisano. Villari dell’Istituto fiorentino, fondato con decreto del 22 dicembre 1859, ne era stato l’anima, riuscendo tra il 1867 e il 1868 a trasformare la sezione di filosofia e filologia in facoltà vera e propria.
A parte le questioni amministrative e didattiche relative all’Istituto, al mondo accademico in genere, il carteggio con il giovane Vitelli è ricco di riferimenti storico-politici. Ne risulta anzitutto un’opposizione aperta, un’avversione esplicita, ai governi Depretis, e un iniziale, poi prontamente smentito, sostegno all’autoritario Crispi. «Andrà invece al banchetto di Torino? Ormai tutta Italia grida “Viva Crispi”: gridiamolo anche noi, e auguriamoci che non s’abbia a gridare il contrario fra qualche mese» (Vitelli a Villari da Santa Croce del Sannio il 26 settembre 1887). Villari il 5 ottobre risponde prontamente:
Io sono stato molto inquieto, perché mia sorella, la moglie di Morelli, è gravemente ammalata. L’altro ieri avevo fatto i bagagli per partire, poi un nuovo telegramma mi rassicurò e restai. Son qui solo con Gino. Mia moglie è sempre a Venezia, aspettando chi pare non abbia voglia di venire. Il 9, in ogni modo, debbo essere a Roma per un concorso. Poi ci sarà il Cons. Sup. e poi la Commissione per la istruzione popolare. Per tutte queste ragioni, sebbene avessi molta voglia di andare al pranzo, a gridar Viva Crispi, ho ricusato.
Preminente poi la partecipazione appassionata al dibattito sulla riforma della scuola e dell’università, che vede i più influenti classicisti, in particolare fiorentini e toscani, sostenuti da Villari, schierarsi contro i provvedimenti della Sinistra, volti a svilire la presenza e l’importanza delle lingue classiche, del greco in particolare, all’interno dei programmi delle scuole secondarie. Si parte da un’aspra opposizione all’operato del ministro Michele Coppino e del suo segretario Filippo Mariotti, del successore di Villari alla Minerva Ferdinando Martini, per arrivare a Giovanni Giolitti e Vittorio Emanuele Orlando, i quali, in vista di un’educazione scolastica più democratica e meno elitaria, erano favorevoli alla creazione della cosiddetta Scuola unica, con la conseguente eliminazione del greco, e di un liceo più aperto alla matematica e alle lingue straniere, relegando il greco negli ultimi anni a materia facoltativa.
Nel carteggio Vitelli alla Laurenziana (mss. Vitelli 9) si conserva la minuta di una proposta contro l’abolizione dell’insegnamento del greco nelle scuole secondarie classiche:
La Sezione di filosofia e di filologia dell’Istituto di studi superiori in Firenze,
considerando
1°. che, fino ad ora, negli ordinamenti di tutte le nazioni più civili di Europa e di America la scuola secondaria classica è tenuta come la preparazione migliore agli studi universitarii: né hanno avuto pratico effetto le opposizioni fattele;
2°. che per scuola classica si è intesa sempre e dappertutto la scuola dove l’insegnamento di ambedue le lingue e letterature greca e latina fosse obbligatorio e di primaria importanza;
3°. che la condizione degli studi classici in Italia, né di essi soltanto, non fu mai più misera di quando nelle nostre scuole pseudo-classiche il greco o mancò del tutto o venne considerato come insegnamento di lusso;
4°. che il progresso scientifico e letterario dell’Italia negli ultimi quaranta anni è stato grandissimo, e sarebbe stato anche maggiore se si fosse meno mutato e rimutato negli ordinamenti scolastici, né così spesso si fossero screditati gli studi classici, specialmente greci, con l’annunzio di future riforme, quali gli avversarii della scuola classica desiderano, e con agevolazioni infinite pel conseguimento de’ diplomi liceali e ginnasiali;
5°. che ogni riforma, per cui materie d’insegnamento ora obbligatorie diventino facoltative, nelle condizioni presenti delle nostre scuole non importerà per nulla affatto studio più intenso e più proficuo delle materie obbligatorie, ma aumenterà invece il numero degli inetti che col diploma di licenza liceale passeranno all’Università;
fa voto
che S.E. il Ministro della pubblica Istruzione receda dal divisamento di proporre al Parlamento l’abolizione dell’insegnamento obbligatorio del greco nelle scuole secondarie classiche.
Sono pregati i signori professori, di leggere, modificare, aggiungere, correggere liberamente etc. G. Vitelli.
In una lettera sempre da Santa Croce del Sannio, luogo di vacanza e suo paese natale, il 24 luglio 1892 Vitelli a Villari:
Fra le altre cose non leggo giornali, e provo voluttà nell’ignorare tutto quello che fanno e disfanno a Roma ed altrove. Solo ho saputo da’ miei figlioli di non so che circolare del Martini, con la quale annunzia di voler rendere facoltativo il greco nelle scuole secondarie etc. Nella mia qualità di studioso di antichità classica dovrei rallegrarmene, perché così a poco a poco finiremmo per avere nelle nostre Università solo quegli studenti che avessero veramente voglia di studiare il greco; ma temo sarà un colpo molto grave alla cultura generale del nostro paese. Il classicismo rappresenta anche esso una idealità; e poiché non sembra che molti vogliano farsi apostoli di religione e di morale, non è opportuno rinunziare a quel più modesto ideale che rappresenta la cultura classica. Ma disgraziatamente predomina il desiderio malsano di popolarità, e a questa si sacrifica con incredibile leggerezza l’avvenire di un paese!
Credo che Ella possa far qualche cosa per arrestare o almeno moderare questa corrente pericolosa, e farebbe male a non far sentire la Sua voce. Noi altri, anche quando abbiamo attitudine ed autorità per farlo bene, siamo sospetti al grosso pubblico; né pensano che io per conto mio non sarei meno addolorato se vedessi minacciata la cultura matematica della nostra gioventù.
Speranze ben riposte (come dimostra la lettera scritta da Vitelli a Villari da Firenze il 23 novembre 1899):
Il d’Ovidio mi scrive della discussione in Consiglio sulla Scuola unica. Fra il resto mi dice che Ella parlò con tanta vivacità ed efficacia e con tanto calore, che udendola “gli si inumidirono gli occhi”. Io mi figuro benissimo quel che deve aver provato lui, giudicando da quello che avrei provato io. Mi permetta dunque di ringraziarla anche per conto mio. A Lei ed al Cremona si dovrà se il Ministro non farà una grossa corbelleria – e noi della nostra generazione pensiamo con terrore cosa avverrebbe se non ci fossero conservati a lungo vegeti ed arditi i valorosi della generazione precedente.
In una lettera, sempre a Villari, di poco posteriore all’11 gennaio 1905 si legge: «Mi contento di augurarmi che l’Orlando vada presto al diavolo, e il successore non trovi neppure il fatto interamente compiuto, sicché gli sia agevole tornare indietro».
Intensa e costruttiva era stata la collaborazione di Vitelli con Villari ministro della Pubblica istruzione: come membro del Consiglio superiore aveva partecipato di fatto alle inchieste sui professori di varie facoltà, sui disordini del mondo accademico, alla stesura di disegni di legge per l’università, persino considerando necessario varare disposizioni dure, draconiane, anche a costo di usare la violenza, pur di vedere rispettata la legge e garantito l’ordine pubblico contro le azioni eversive degli studenti. Il 26 dicembre 1891 Villari ministro scriveva a Vitelli: «Mi faccia il favore di telegrafarmi domani se e quando potrebbe venire qui per alcuni giorni. Vorrei vedere se con lei e col Cerruti si può mettere assieme un disegno di legge per le Università».
Dopo i disordini del marzo 1891 all’Università di Bologna, con la contestazione degli studenti a Giosue Carducci, per punirlo e della sua conversione alla monarchia e della sua fede in Crispi, l’onorevole Martini aveva interpellato il ministro Villari. Questi, spinto dalla forte onda emotiva che i tumulti universitari avevano suscitato nel Paese, affidò all’onorevole Augusto Barazzuoli, al rettore dell’Università di Roma, Valentino Cerruti, e a Vitelli, l’incarico di una inchiesta sulle università di Bologna, Napoli e Torino.
Il 30 gennaio del 1892 alla Camera l’onorevole Ruggiero Bonghi presentò una mozione per il riordinamento disciplinare nelle Università; seguirono il 13 febbraio a Roma tumulti universitari a seguito della punizione degli studenti autori di precedenti disordini. Il Consiglio accademico deliberò la sospensione dei corsi, con la conseguente diffusione dei disordini nelle Università di Napoli e di Palermo. Il 29 gennaio Vitelli scriveva a Villari:
Molto probabilmente, dopo ciò che si è detto in parlamento, le agitazioni studentesche si calmeranno, si riapriranno le Università etc. – ma non si faccia illusioni, fra non molto ricominceranno, e l’impunità dei tumulti precedenti li incoraggerà a tumultuare di nuovo. Senza violenze, questa sequela di tumulti non si elimina. Sia pure che dipenda ora da cattive leggi e regolamenti, male interpretati: lo spirito d’indisciplina non cesserà immediatamente. Dunque alla forza bisognerà ricorrere, e una buona volta bisognerà pure andare incontro alla gravissima responsabilità di adoperarla. Io non sono di quelli che tra un caffè ed un bicchierino di cognac riformano il mondo a bastonate e sciabolate – so bene cosa vuol dire avere una responsabilità come quella che ha Lei. Solo ho il dubbio che Ella creda di potere andare avanti ancora un pezzo con le buone maniere.
Ma ho forse la sicurezza io che si riescirebbe con provvedimenti draconiani? Quegli stessi che ora con così poca buona fede hanno tuonato contro gli scolari, tuonerebbero contro il Ministro: non ne dubito.
Alla penna arguta di Ermenegildo Pistelli, nascosto sotto lo pseudonimo «Un insegnante», saranno affidate considerazioni simili, anni più tardi, il 10 febbraio 1897 in un articolo apparso nella «Rassegna nazionale» del 16 febbraio dal titolo I disordini universitari:
Siamo alle solite e non ce ne maravigliamo! I chiassi nella Università, seguiti da qualche vacanza straordinaria – e Dio sa se ce ne sarebbe bisogno! – si ripetono ormai a periodi così brevi, che sembrano diventati la regola. […] Se quattro o sei manovali avvinazzati, o forse affamati, rompono passando per la strada qualche vetro, trovano subito chi glie ne fa passare la voglia; e agli studenti sarà lecito spezzare, rovinare, bruciare tutto quello che vogliono, senza che nessuno ardisca disturbarli?
Tutto si tiene nella visione d’ordine che i più influenti tra i docenti fiorentini vanno tessendo in quegli anni corruschi di fine secolo. Se si rileggono le pagine del necrologio di Pistelli pronunciato da Vitelli presso la società Leonardo da Vinci il 14 marzo 1927, qualche mese dopo le celebrazioni dei fascisti fiorentini in piazza della Signoria per il loro assessore alla cultura del comune di Firenze, si avverte ben altro clima, quasi di pacificazione e serenità:
Molti della mia generazione, o suppergiù della mia generazione, abbiamo lottato per convincere gli italiani che nella storia non c’è né ci deve essere soluzione di continuità, che il nuovo ha le radici nell’antico, e che dalle radici più che dalle foglie – e spesso quali foglie! – viene all’albero il succo di vital nutrimento. Oggi vivaddio, non occorre più lottare: è venuta anche dall’alto la buona parola, e siamo tutti commoventemente d’accordo che alla prosperità, alla grandezza, alla gloria del nostro paese contribuirà proporzionatamente così chi indaga la vita degli antichi come chi promuove la più utilitaria delle scienze moderne (In memoria di Ermenegildo Pistelli, 1928, p. XV).
Vitelli, ormai padre nobile della filologia classica italiana, olimpico nume tutelare della nuova generazione di classicisti, immune quasi dalle piaghe che il tempo lascia addosso ai mortali – «[…] non mi sono mai accorto che il Vitelli invecchiasse. Era un uomo bellissimo» (Pasquali 1936, p. 18) – viveva ormai nel suo mondo fatto di papiri, Eschilo, Callimaco, Euforione, Favorino, avendo determinato con la sua caparbia intuizione le linee della nuova ricerca storico-filologica in Italia, addirittura fino ai nostri giorni. Un mondo protetto, sostenuto, in un legittimo orgoglio nazionalista, dal nuovo regime, che nella cultura, specie d’oltre mare, come quella che attingeva alle coste e ai Paesi del Mediterraneo romano-imperiale, trovava ragion d’essere. Di qui i contributi straordinari, i finanziamenti per gli scavi e gli acquisti di papiri, per le pubblicazioni della Società italiana per la ricerca dei papiri greci e latini in Egitto.
Anche i momenti più rischiosi potevano trovare garanzia per un liberale come Vitelli che, nella XVIII Tornata del Senato del venerdì 24 maggio 1929, durante la discussione sul Concordato con la Santa Sede chiedeva assicurazione al capo del governo sul «pericolo che il professore universitario non potesse manifestare opinioni non conciliabili col dogma cattolico» (Lettera di Vitelli a Giuseppe Rensi, da Firenze il 27 maggio 1929). Dopo aver avuto assicurazione da Mussolini sulla libertà d’insegnamento, in quell’occasione Vitelli ribadiva:
Insisto invece sulla libertà assoluta dell’insegnamento superiore, pure essendo molto grato all’on. Mussolini della cortese assicurazione. In ogni ordine dell’insegnamento superiore ci si può trovare in conflitto con quelle direttive che pare debbano essere seguite secondo lo spirito del Concordato. Interpreto la parola dell’onorevole Capo del Governo nel senso che ogni Professore universitario, nell’esercizio delle sue funzioni d’insegnante, possa liberamente (beninteso, con i debiti riguardi) parlare anche di religione (XVIII Tornata del Senato, cit.).
Di lì a pochi anni (1935) sarebbe morto, a Spotorno, in casa del genero Dante Pacchioni, «in un paese dove non c’è che frivolità, gambe e schiene nude, chitarrate e festini eleganti!» (Lettera di Medea Norsa a Teresa Lodi, da Spotorno il 7 agosto 1935, in Cinquant’anni di papirologia in Italia, 1983, p. 851).
Quell’ironia delle cose di cui ha circondato tutta la sua vita perdura anche in quest’ora: i libri chiusi nella cassa sono nella stanza in cui egli soffre. La fine probabile in un frivolo paese di bagni, di schiene nude, organini e chitarrate […] mentre gli amici avevano fatto il voto che fosse a San Miniato accanto al Pistelli! Ma ora chi ci pensa? (Lettera di Medea Norsa a Matilde Sansoni del 31 agosto 1935, in Cinquant’anni di papirologia in Italia, 1983, p. 851).
L’anno prima, in ottemperanza alla circolare del 19 giugno 1934, l’Accademia dei Lincei, di cui era socio, aveva proposto al senatore Vitelli l’obbligo del giuramento fascista per gli accademici. Dell’amarezza e della dignità con le quali affrontò questo difficile passo, alla fine di una vita spesa nella serietà dello studio e dell’insegnamento, fanno fede due lettere private a Medea Norsa del 6 e del 10 ottobre 1934, e una ufficiale al ministro dell’Educazione nazionale Francesco Ercole, parte delle quali, per quanto già note alla cronaca storica (R. Pintaudi, Girolamo Vitelli e il giuramento di fedeltà al regime fascista imposto agli accademici, «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», s. III, 1981, 11, pp. 159-64), mi piace collocare a suggello di questo tentativo di storicizzare e documentare l’impegno ‘politico’ del sommo ellenista.
Cerrione (Vercelli) 6.10.’34
[…] Un’altra seccatura mi tocca. Dai Lincei (cioè dal cancelliere Morghen dei Lincei; V. Rossi non mi ha scritto mai neppure un rigo!) mi si comunica dunque che il Ministero dell’Educazione nazionale consente che io presti l’inutile giuramento nelle mani del Prefetto di Firenze, il quale mi inviterà etc. etc.
Ora che, quando una legge imponesse di ripetere modificato il mio giuramento di Senatore, non mi rifiuterei senz’altro di farlo, perché non mi passa lontanamente per il capo il desiderio di mutazione del regime, pur non potendo essere d’accordo con esso in tutti i particolari, non mi rassegno davvero a modificare questo mio giuramento nel senso di limitare la mia libertà nella ricerca scientifica e tanto meno in una funzione accademica, che non può essere se non puramente scientifica. Non ho risposto ancora nulla, ed aspetto ulteriori comunicazioni. Capisco bene che non rassegnandomi dovrò rinunciare anche alla papirologia (in quanto a collegamento con la protezione ufficiale), ma decisamente non mi sento di smentire tutta la mia lunga vita di studioso (utile o inutile, importa poco) neppure per considerazioni di opportunità scientifica. Non avrei mai creduto che, dati i miei sentimenti di buon italiano (e Lei li conosce!), mi sarei dovuto trovare a questo! […] Ma non dispero di persuadere a lasciarmi in pace, e di poter continuare, per il piccolo residuo di vita che mi resta, a servire in pura coscienza il mio paese e gli studi a cui ho atteso o voluto attendere, oramai da più di 70 anni.
Così scriveva, infatti, Vitelli al ministro dell’Educazione nazionale Ercole:
Eccellenza
Tempo fa il R. Commissario per l’Accademia nazionale dei Lincei m’invitava a prestare giuramento nella mia qualità di Socio nazionale della predetta Accademia. Mi pare di avergli risposto che da qualche anno le mie condizioni di età e di salute mi avevano impedito di recarmi a Roma a compiere il mio dovere di Senatore. Insieme gli facevo notare che appunto come Senatore del Regno io avevo già prestato un giuramento al quale mi ritenevo sempre legato, giuramento che mi dava facoltà di esercitare un ufficio legislativo in un’assemblea legislativa, a norma dello Statuto del Regno d’Italia; e ritenevo perciò superfluo un altro giuramento per esercitare una funzione puramente scientifica nel Regno stesso. Mi si comunica oggi dal Cancelliere della sullodata Accademia, che l’E.V. ha concesso che io presti il giuramento Accademico nelle mani del Prefetto di Firenze.
Premesso che io non ho mai trasgredito né intendo di trasgredire il giuramento prestato come Senatore, e che, del resto, anche senza giuramento in nessun caso agirei in contradizione con gli obblighi di cittadino verso lo Stato e il potere legalmente costituito dallo Stato stesso, cioè verso il Governo che lo rappresenta; continuo a ritenere per lo meno superfluo un nuovo giuramento per una funzione non politica, ma (come già dicevo) puramente scientifica. In tale funzione scientifica il mio sentimento di italiano è stato, e sarà sempre, scrupolosamente conservato; né d’altra parte riesco ad intendere come le mie convinzioni puramente scientifiche possano o debbano esser condizionate a considerazioni extrascientifiche, mutevoli queste insieme al Governo a cui lo Stato affida la sua amministrazione.
[…] V.E. poi non ignora (e credo non lo ignori neppure S.E. il Capo del Governo) che nella mia vita, dirò così, politica ho costantemente deplorata quella degenerazione di liberalismo che aveva vergognosamente immiserito sott’ogni rispetto l’Italia, e costantemente ho dato con fiducia il mio voto al governo che ha restituito l’autorità dello Stato; le sole riserve che ho sempre fatte riguardavano esclusivamente la libertà di pensiero e d’insegnamento nell’Università scientifica. Or se, per quel che riguarda l’insegnamento, si possono e debbono ammettere limiti imposti dall’interesse dello Stato, nel puro campo scientifico ogni legame è, a mio giudizio, inconcepibile e sempre dannoso. Né la funzione accademica io so altrimenti concepire se non come funzione puramente scientifica. Sicché dato e non concesso che il mio giudizio sia errato, posso io nell’età di più di 85 anni rinnegare, senza sembrar ridicolo a me stesso, convinzioni a cui sono rimasto fedele finora? O dunque il giuramento accademico non m’impone se non quello che mi è imposto dal giuramento senatorio, ed allora esso è perfettamente inutile; o limita e lega in qualsivoglia altro modo il mio pensiero e la mia azione nel puro campo scientifico, ed allora la mia coscienza e il mio carattere mi vietano di giurarlo.
Un elenco completo degli scritti di Girolamo Vitelli dal 1869 al 1935 è dato da Teresa Lodi a conclusione del volume In memoria di Girolamo Vitelli, Firenze 1936, pp. 87-124.
Tra gli scritti si segnalano:
Intorno ad alcuni luoghi della “Ifigenia in Aulide” di Euripide, Firenze 1877.
Collezione fiorentina di facsimili paleografici greci e latini, illustrata da G. Vitelli, C. Paoli, 5 voll., Firenze 1884-1897.
Ioannis Philoponi in Aristotelis Physicorum libros quinque posteriores Commentaria, edidit Hieronymus Vitelli, Berolini 1888.
Iordani Bruni Nolani Opera latine conscripta publicis sumptibus edita, curantibus F. Tocco et H. Vitelli, 3 voll., Firenze 1889-1891.
Ioannis Philoponi in Aristotelis libros de generatione et corruptione commentaria, edidit Hieronymus Vitelli, Berolini 1897.
Papiri fiorentini. Documenti pubblici e privati dell’età romana e bizantina, a cura di G. Vitelli, Milano 1906.
Papiri della Società Italiana, 11 voll., Firenze 1912-1935.
Papiri fiorentini. Documenti e testi letterarii dell’età romana e bizantina, a cura di G. Vitelli, Milano 1915.
In memoria di Ermenegildo Pistelli, Firenze 1928.
Il Papiro Vaticano Greco 11, 1. Phaborinou peri phyges, 2. Registri fondiari della Marmarica, a cura di M. Norsa, G. Vitelli, Città del Vaticano 1931.
Diegeseis di poemi di Callimaco in un papiro di Tebtynis, a cura di M. Norsa, G. Vitelli, Firenze 1934.
M. Norsa, Ricordo di Girolamo Vitelli, in In memoria di Girolamo Vitelli, Firenze 1936, pp. 21-49.
G. Pasquali, Ricordo di Girolamo Vitelli, in In memoria di Girolamo Vitelli, Firenze 1936, pp. 5-20.
B. Croce, Ministro col Giolitti, in Id., Nuove pagine sparse, 1° vol., Napoli 1949, p. 55.
P. Treves, Girolamo Vitelli, in Lo studio dell’antichità classica nell’Ottocento, a cura di P. Treves, Milano-Napoli 1962, pp. 1113-49.
Cinquant’anni di papirologia in Italia. Carteggi Breccia-Comparetti-Norsa-Vitelli, a cura di D. Morelli, R. Pintaudi, Napoli 1983.
D’Ancona-Vitelli (con un’appendice sulle false Carte d’Arborea), a cura di R. Pintaudi, Pisa 1991.
Gli archivi della memoria. Bibliotecari, filologi e papirologi nei carteggi della Biblioteca Medicea Laurenziana, a cura di R. Pintaudi, Firenze 1996.
Domenico Comparetti e Girolamo Vitelli. Storia di un’amicizia e di un dissidio, a cura di R. Pintaudi, Messina 2002.
D. Minutoli, Evaristo Breccia alla ricerca dei papiri in Egitto, in Annibale Evaristo Breccia in Egitto, a cura di A. Abdel Fattah et al., Il Cairo 2003, pp. 91-163.
L. Canfora, Il papiro di Dongo, Milano 2005.
M. Manfredi, Girolamo Vitelli (1849-1935), in Hermae. Scholars and scholarship in papyrology, ed. M. Capasso, Pisa 2007, pp. 45-52.
Les lettres de Pierre Jouguet à Evaristo Breccia, à Girolamo Vitelli et à Medea Norsa, éd. G. Nachtergael, Firenze 2008.
G.D. Baldi, Enea Piccolomini e la filologia, il metodo, la scuola, con un’appendice di lettere inedite, Firenze 2012.