ZANCHI, Girolamo
– Nacque ad Alzano Lombardo, oggi in provincia di Bergamo, il 2 febbraio 1516 da Francesco Terenzio e da Barbara Mozzi Morlotti, entrambi di nobile e antica famiglia. Girolamo non era il nome di battesimo, bensì quello di religione adottato nel 1536; quello di battesimo non è noto ed egli non ne fa cenno neppure nella lettera (2 aprile 1565) al lontano parente Lelio Zanchi, cui narra distesamente del suo periodo bergamasco informandolo anche di non essere stato figlio unico (Hier. Zanchii, 1617-1619, VIII, Epistolarum liber II, pp. 204 s.).
Per la nobiltà degli Zanchi fa fede l’atto del 22 febbraio 1387 relativo all’avo Alberto Bono de’ Zanchi (Gallizioli, 1785, p. VIII). Originari di Grumello de’ Zanchi, in Val Brembana, gli avi di Girolamo si stabilirono a Bergamo probabilmente dopo che la città era divenuta dominio veneziano (1428) con una solida posizione economica e sociale. Il nonno Cristoforo, notaio, aveva dissipato i beni familiari e Francesco Terenzio era stato costretto a interrompere gli studi a Padova come semplice «licentiatus». Dotato di una buona cultura classica, appassionato di letteratura e poeta in proprio, Francesco Terenzio fu segretario di Giorgio Emo, provveditore di Venezia, durante la guerra contro Massimiliano I (1507-08) e ne stese un’interessante narrazione (Gallizioli, 1785, p. 15).
La prima formazione di Girolamo fu affidata probabilmente a Giovita Rapicio, chiamato a Bergamo nel 1508 dallo zio Paolo; l’ambiente familiare era intellettualmente molto stimolante e l’assidua presenza dello zio materno, Eugenio Mozzi Morlotti, canonico regolare lateranense, influenzò Girolamo nella sua decisione di entrare nella stessa famiglia religiosa come i cugini Giulio, Panfilo e Pietro con cui Girolamo era cresciuto, entrati nell’Ordine il 25 ottobre 1525 con il nome rispettivamente di Dionigi, Giovanni Crisostomo e Basilio. Nel 1528 Girolamo perse i genitori, morti di peste, e nel 1531 entrò nel convento agostiniano del S. Spirito di Bergamo, rinomato per la serietà del percorso formativo. Era priore Valeriano Dell’Olmo, teologo ed esegeta addottoratosi a Padova, personalità di rilievo i cui scritti ebbero ampia circolazione negli Studi dell’Ordine.
Girolamo pronunciò la sua professione di fede nel 1536 e proseguì gli studi a Padova, probabilmente nel convento dei canonici lateranensi di S. Giovanni in Verdara, considerato il migliore dell’Ordine; lì acquisì una profonda conoscenza di Aristotele e della scolastica. Forse seguì alcuni corsi all’Università ma certo non l’intero percorso: nel 1568 scriveva al collega zurighese Ludwig Lataver di essere finalmente dottore in teologia (Hier. Zanchii, 1617-1619, VIII, Epistolarum liber II, p. 185), insignito del titolo dall’elettore Federico III che lo aveva voluto all’Università di Heidelberg nel 1567.
Nel 1541 venne designato dal capitolo generale di Cremona predicatore dell’Ordine e inviato al convento di S. Frediano di Lucca insieme con Celso Martinengo di Brescia e Paolo Lazise di Verona. Con Martinengo, incontrato molti anni prima a Bergamo, Zanchi condivise per tutta la vita profonda amicizia, passione per gli studi, convinzioni di fede. A S. Frediano, reduce da un periodo di scandali (1536-39) che ne avevano minacciato la chiusura, era giunto come priore Pier Martire Vermigli, che nei tre anni passati a Napoli era entrato in contatto con il circolo di Juan de Valdés, appassionandosi a Erasmo da Rotterdam e al pensiero di Huldreich Zwingli e Martin Bucero. Nella scuola che Vermigli organizzò subito a S. Frediano Martinengo insegnò il greco, Lazise il latino, Emmanuele Tremellio l’ebraico; Vermigli tenne corsi pubblici di esegesi biblica sulla lettera di Paolo ai Romani e uno sul libro dei Salmi riservato ai confratelli. Sollecitato dal vitale ambiente del convento, Zanchi si dedicò allo studio di Agostino e dei Padri ma con Vermigli scoprì anche la teologia riformata.
Nel giugno del 1542 iniziarono i primi processi per eresia; pur riconfermato priore ad aprile, Vermigli si sentì minacciato e nell’estate fuggì a Zurigo insieme a Lazise e Tremellio. Zanchi e Martinengo restarono in Italia, probabilmente spostandosi ogni due anni da un convento all’altro, come era norma dell’Ordine. Di questo periodo si sa poco: come predicatore Zanchi godeva di notevole autonomia e del privilegio di possedere libri e nella corrispondenza più tarda ricordò solo le sue letture – Melantone, Bucero, Andreas Musculus, Johann Heinrich Bullinger, Giovanni Calvino – da cui trasse, come scrisse a Bullinger il 24 giugno 1568, «il succo mettendolo per iscritto con la mia mano, che gli inquisitori non sarebbero mai riusciti a leggere» non solo per la pessima grafia ma perché diede a quegli appunti la forma di questioni scolastiche rendendo impossibile risalire agli autori (Hier. Zanchii, 1617-1619, VIII, Epistularum liber II, p. 128b).
Nel 1544 Zanchi fu riconfermato nel ruolo di predicatore; nel 1548 fu inviato al convento di S. Spirito a Bergamo e nel 1550 nuovamente a S. Frediano, dove era priore Martinengo. Al capitolo generale di Ravenna aperto nell’aprile del 1551 egli attese invano Martinengo, che invece di raggiungerlo era fuggito nei Grigioni. Conclusi i lavori, Zanchi decise la fuga e dopo una sosta ad Alzano per salutare i familiari e fornirsi del denaro necessario riparò a Chiavenna e da lì a Ginevra.
A Ginevra trovò Martinengo, pastore della Chiesa italiana; Zanchi si inserì nella comunità e partecipò alle attività ma si dedicò essenzialmente allo studio con un progetto denso e rigoroso: studio dell’ebraico (iniziato a Lucca con Tremellio) e dell’Antico e Nuovo Testamento; stesura di un catalogo dei Loci communes biblici con apparato di citazioni dei Padri e dei teologi moderni, cattolici e riformati; approfondimento degli scritti metodologici di Aristotele per condurre con «arte et methodo» (Hier. Zanchii, 1617-1619, VIII, l. 1, col. 426) i suoi studi di Sacra Scrittura. Nel 1553 decise di raggiungere Vermigli a Oxford e prima di partire si recò a Basilea per salutare Celio Secondo Curione, conosciuto a Lucca. A Basilea la sua vita prese invece una diversa direzione: sposò la figlia di Curione, Violante (1532-1556) e si trasferì a Strasburgo, accettando la chiamata di Jakob Sturm sulla cattedra di ebraico e Antico Testamento già coperta da Kaspar Hedio: alla Scuola tenne anche dei corsi sulla Fisica di Aristotele.
Con Zanchi arrivò anche Vermigli, che lasciava l’Inghilterra di Maria Tudor. Entrambi impegnati nell’insegnamento di Antico Testamento, furono insieme coinvolti nel dissenso con i colleghi luterani decisi a imporre a Strasburgo la confessione augustana legittimata nel 1555. Dopo molte insistenze Zanchi la sottoscrisse ‘con riserva’ e sollecitò una discussione sugli articoli che contestava; Vermigli invece partì per Zurigo e Zanchi restò l’unico teologo riformato a Strasburgo. Nel 1556 lo scontro con il luterano Johann Marbach, decano dei pastori e ostile alla sua pretesa di libertà nell’insegnamento, s’inasprì e non bastò a placarlo l’ampio sostegno di numerose facoltà di teologia alle tesi di Zanchi sui temi controversi (Anticristo, natura della Chiesa, concezione della santa cena, predestinazione).
Nel 1563, invitato a sostituire il defunto Agostino Mainardi, Zanchi lasciò Strasburgo preferendo Chiavenna alle sedi più prestigiose che lo avevano invitato, anche per avvicinarsi alla famiglia della moglie. Nel 1561 aveva sposato Livia Lumaga, figlia di un ricco mercante di Piuro, e sperava che a Chiavenna avrebbe potuto lavorare più serenamente. Dei nove figli nati dal matrimonio sopravvissero quattro maschi e tre femmine.
I maschi seguirono le orme del padre: Tito Cornelio fu pastore a Neustadt, Girolamo Roberto pastore a Utrecht, Ludovico professore di Sacra Scrittura a Leida; l’ultimo, Egeberto, restò a Heidelberg con la madre. Delle tre femmine Anna Lidia sposò Enrico Cochardo, professore di teologia e pastore a Utrecht, Violante sposò Giovanni Rodolfo Bovillio, protomedico di Utrecht, e Lelia Costanza Georg Gabel, pastore a Musbach (Gallizioli, 1785, pp. 64 s.).
A Chiavenna trovò Ulisse Martinengo, fratello di Celso, e molti altri esuli italiani. Gran parte dei locali si mostrarono ostili: gli avrebbero preferito il casertano Simone Fiorillo, già secondo pastore con Mainardi, il quale mal sopportava la presenza degli esuli e l’accoglienza che Zanchi riservava anche a quelli in fama di eterodossia. Una situazione che Zanchi affrontò con modi autoritari, consapevole della sua superiorità intellettuale; il conflitto si rivelò presto insanabile e lo convinse ad accettare la cattedra a Heidelberg. Nella città palatina ottenne i riconoscimenti che meritava: nel giugno 1568 fu insignito del titolo di dottore in teologia e nel 1571 nominato rettore dell’Università.
A Heidelberg poté lavorare con serenità al progetto di un sistema teologico di ampio respiro che restò incompiuto ma di cui vide in vita l’edizione delle due prime parti: De tribus Elohim (1572-73) e De natura Dei (1577) mentre la terza e la quarta apparvero postume.
Nel 1576 avvenne l’ennesimo spostamento: Ludovico VI, successore di Federico III e luterano ortodosso, cacciò da Heidelberg gran parte dei professori che trovarono accoglienza a Neustadt an der Haardt presso suo fratello, Giovanni Casimiro, convinto riformato. Nell’Accademia da lui fondata – detta Casimirianum – Zanchi iniziò i suoi corsi sulle Epistole neotestamentarie e venne incaricato di dare corpo al progetto di Giovanni Casimiro di una confessione di fede unica per tutte le Chiese riformate europee, contraltare della Formula concordiae (1577) luterana. Zanchi lavorò al testo per diversi anni ma i supervisori di Zurigo e Ginevra non lo ritennero adeguato e optarono per una semplice Harmonia confessionum fidei delle Chiese riformate che vide la luce a Ginevra nel 1581. Zanchi rielaborò ampliandolo molto il suo testo e nel 1585 pubblicò De religione christiana fides. Nel 1583 avrebbe potuto rientrare a Heidelberg – a Ludovico VI era succeduto il fratello Federico IV, riformato – ma scelse di restare a Neustadt, partecipando attivamente e autorevolmente al dibattito teologico vivacissimo in quegli anni.
Morì però il 19 novembre 1590 a Heidelberg, dove si trovava casualmente, e venne sepolto nella chiesa dell’Università, a riconoscimento del suo essere stato teologo tra i più autorevoli del mondo riformato europeo.
I suoi trattati teologici, i suoi numerosi commentari, ammirevoli per erudizione e acume, ebbero numerose edizioni – le opere complete furono edite tre volte a Ginevra tra il 1605 e il 1619 (Baschera, 2011, p. 167) – e restarono un punto di riferimento imprescindibile ancora per tutto il secolo successivo, nel Vecchio e nel Nuovo Mondo.
Fonti e Bibl.: Ravenna, Biblioteca Classense, Fondi antichi, 222: Acta Capitularia Congregationis Lateranensis, c. 47; Bergamo, Biblioteca civica Angelo Mai, Archivio storico comunale, Estimi, 1.2.16-54, Comune de Alzani Inferiore, anno 1476, cc. 3v-4v.
Hier. Zanchii Omnium operum theologicorum tomi octo, I-VIII, Genevae 1617-1619; G.B. Gallizioli, Memorie istoriche e letterarie della vita e delle opere di G. Z., Bergamo 1785; M. Berengo, Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento, Torino 1965, p. 413; Ph. McNair, Pietro Martire Vermigli in Italia: un’anatomia di una apostasia, Napoli 1971, ad ind.; G. Zucchini, Riforma e società nei Grigioni. G. Z., Simone Fiorillo, Scipione Lentolo, Coira 1978; G.O. Bravi, G. Z., da Lucca a Strasburgo, in Archivio storico bergamasco, I (1981), pp. 35-64; E. Fiume, La vita ed il pensiero teologico di G. Z. e il “De religione christiana fides”, tesi di laurea, Roma, Facoltà valdese di teologia, 1996; G. Zanchi, De religione Christiana fides/Confession of christian religion, a cura L. Baschera - Ch. Moser, Leiden-Boston 2007; L. Baschera, G. Z., in Fratelli d’Italia. Riformatori italiani del Cinquecento, a cura M. Biagioni - M. Duni - L. Felici, Torino 2011, pp. 161-168; G. Zanchi, La fede cristiana, a cura di E. Fiume, Chieti-Roma 2011 (in Appendice: E. Campi, Rassegna bibliografica); G.O. Bravi, I riformati bergamaschi G. Z. e Guglielmo Grataroli in Italia prima dell’esilio, in Il dissenso religioso a Bergamo, Atti del Convegno... 2017, Bergamo 2018, pp. 125-167.