GIROLDO da Como (Giroldo di Iacopo da Como, Giroldo di Iacopo da Lugano)
Si ignora la data di nascita di questo scultore e architetto di origine lombardo-ticinese attivo in Toscana a partire dalla metà del Duecento, nei decenni del cruciale passaggio dal romanico al gotico; ma, sulla base della documentazione disponibile, è, tuttavia, agevole fissarla intorno al 1225.
L'artista fece parte del sistema di botteghe di tradizione ed etnia lombardo-ticinese attive in Toscana sin dai decenni intorno al Mille, rinnovatesi a più riprese attraverso l'intero periodo romanico, con costanti contatti con la zona d'origine, e operanti entro una fitta rete di legami familiari e artistici, che nel momento della sua massima espansione, all'inizio del Duecento, copriva i principali cantieri tardoromanici lucchesi, pistoiesi, fiorentini, in parte pisani, non senza relazioni con le cattedrali dell'area settentrionale, dall'Emilia al Trentino, condotte dalle famiglie antelamiche e campionesi, spesso imparentate con gli artisti lombardi attivi in Toscana. Sebbene non siano stati finora approfonditi legami di parentela diretta dell'artista, le tipiche modalità di formazione degli scultori architetti di queste botteghe (Ascani, 1995) suggeriscono di ipotizzare anche per G. un periodo di formazione avvenuto presso i cantieri condotti dai parenti, in Toscana e altrove. In particolare è possibile che l'alunnato di G. si sia svolto innanzi tutto a Lucca, centro principale dell'attività dei lombardi al di qua dell'Appennino, città dove egli fu certamente attivo a più riprese. Negli anni della sua giovinezza si andavano concludendo nella città le fabbriche delle facciate della cattedrale di S. Martino e della chiesa di S. Michele in Foro, opere della cui veste decorativa egli mostra di avere memoria nelle sue sculture, soprattutto entro il settimo decennio del secolo. Sulla base della cultura figurativa toscano-lombarda, l'artista raccolse negli anni differenti stimoli e suggerimenti dalla contemporanea scultura e pittura, sinora sostanzialmente ignorati dalla critica, che ne rendono interessante e degna di maggior attenzione la figura, vista anche nel suo percorso evolutivo, certamente in questo capace di superare la tradizionale staticità e ripetitività degli artisti delle taglie toscano-ticinesi, spesso appagati dall'aver raggiunto in giovane età un soddisfacente livello qualitativo e per il solito scarsamente orientati verso lo studio di ulteriori modelli e la sperimentazione di nuove iconografie che non fossero abili rielaborazioni di modelli decorativi di sapore tradizionale.
Il principale ostacolo che si è finora frapposto alla comprensione piena della personalità dell'artista, anche nei suoi non trascurabili aspetti innovativi e creativi, è costituito dal fatto che G., ultima importante voce della plurisecolare presenza lombarda nella scultura medievale toscana, si trovò a essere contemporaneo, e anzi coetaneo, di Nicola Pisano, compresente e operante nella stessa area geografica, il confronto con il quale ha provocato sin dai primi studi (Salmi, 1914 e 1928; Biehl, 1926; Toesca, 1927) l'irrevocabile condanna critica dell'artista lombardo. Il disinteresse per la figura di G. e la sostanziale assenza di un più obiettivo e complessivo approfondimento storiografico hanno comportato anche la difficoltà di ripercorrere la sua vicenda biografica, da pochi anni ricostruita (Ascani, 1995). A questo riguardo è anzitutto da sostenere l'identificazione di Giroldo di Iacopo da Como, autore sottoscritto del fonte battesimale del duomo di Massa Marittima (detto nell'epigrafe eseguito "a Magistro Giroldo quondam Iacobi de Cumo") e dell'Annunciazione del Museo diocesano di San Miniato, lo stesso firmatosi più brevemente "Giroldus" nel rilievo del Museo dell'Opera del duomo a Prato, con il Giroldo di Iacopo da Lugano - città compresa nel Medioevo in territorio lombardo e in diocesi di Como - che compare in due epigrafi volterrane (Volterra, casa-torre di Giovanni Toscano e battistero: Schmarsow, 1890; Swarzenski, 1921). La lettura del testo della prima epigrafe volterrana, infatti, a torto ritenuta del 1209 (Ricci, 1905, ripreso dalla critica successiva), correttamente letta solo nel pieno Novecento (Consortini, 1942) e successivamente ignorata, rivela che l'artista vi si dichiara costruttore dell'abitazione commissionata dal notabile Giovanni Toscano, peraltro ben documentato nel terzo quarto del Duecento. Meno sicuro l'anno a cui si riferiscono i versi ("Annis millenis currentibus atque ducenis / Christi iam plenis vicibus cum quinque decenis"), da leggersi con ogni probabilità 1250, data la difficoltà a interpretare il probabile "vicibus" come numerale e anche in accordo con le coordinate storiche del committente, tesoriere del re Enzo, testimoniato vivente ancora nel 1262. La seconda epigrafe, del 1252, prova che G. fu architetto della pieve di S. Giovanni Battista e della vicina torre del Balco a Montevoltraio, castello in quell'anno dichiarato unito alla città di Volterra. Resta però da appurare la ragione della sua posizione sulla facciata del battistero di Volterra, ugualmente dedicato a S. Giovanni ma difficilmente identificabile con la chiesa cui l'iscrizione fa riferimento. I pochi ruderi della pieve di S. Giovanni Battista a Montevoltraio, che doveva essere a tre navate su colonne con grossi e attardati capitelli tardoromanici di derivazione pisano-lucchese, mostrano allo stato attuale invero ben pochi legami con lo stile di G., seppure vi si notino spunti di una goticizzazione ancora in gran parte da compiere. L'epigrafe del portale del battistero usa però una metrica e una scelta di termini del tutto identici a quella della casa-torre Toscano: "Anni milleni Christi currebant duceni, inde trieni fluebant optuageni"; e, se pure non nomina l'artista, data il portale al 1283, a probabile conclusione della parte inferiore dell'edificio. Di lavori in quegli anni si ha peraltro traccia anche documentaria in un lascito testamentario del 1278 a favore dell'Opera del battistero (Lessi, in Chiese di Volterra, p. 101). Questa notevole costruzione ottagonale tardoduecentesca rivela soprattutto nella scultura architettonica, nei particolari figurati e nelle forme decorative forti tangenze con l'opera di G., a riprova sia di un suo probabile intervento sia della possibile appartenenza in quegli anni dell'artista alla colonia lombarda attiva in Maremma, come già supposto (Consortini, 1942).
Il portale, posto entro una faccia dell'ottagono a parato bicromo, è a incassi con colonnine da cui sorgono cordoli che inquadrano la lunetta, con la mediazione di capitelli a foglie di acanto volte in su e abitate da teste umane e figure mitologiche antropo-zoomorfe, come l'arpia, la sfinge, il centauro, il fauno. Al di sopra di echini mistilinei corre la cornice che sovrasta anche l'architrave, su mensoloni classicheggianti, in cui compaiono anche busti di Cristo, Maria e apostoli entro una cornice ad archetti trilobi. In quest'opera, a una base ricavata dalla struttura dei portali di tradizione lombardo-lucchese, da S. Giovanni alla stessa cattedrale di Lucca, si sommano una maturità plastica che denuncia lo studio della scultura di Nicola Pisano, seppur in contrasto con le più tradizionali e fisse espressività, e una volontà di ricchezza decorativa e varietà iconografica che, per quanto originate dallo sviluppo di temi perlopiù presenti sulle facciate dei monumenti religiosi lucchesi e pisani, riescono ad approdare a una convincente autonomia e novità rappresentativa. Lo stesso programma iconografico non è privo di significato, e risulta incentrato sulla presenza del Cristo e della sua corte alla cui sinistra spuntano dalla vegetazione, restandovi però confinati, i minacciosi monstra, contrapposti a virtù o ecclesie.
Simile a questo portale e forse appena più tardo è quello della chiesa volterrana di S. Michele, prospiciente la casa-torre di Michele Toscano, rinnovata nell'ultimo quarto del Duecento.
La parte inferiore della fronte, a paramento bicromo similmente al battistero, è percorsa da arcature cieche su capitelli gotici, perlopiù a due ordini di foglie a crochets o a colpi di vento, talora con testine, sviluppi delle tipologie di derivazione cistercense di cui Volterra fu uno dei primi centri in Toscana a far uso, grazie alla vicinanza, nella stessa diocesi, dell'abbazia di S. Galgano. I temi ricavati dagli esempi cistercensi sono qui reinterpretati anche alla luce dei più ricchi e ariosi esemplari nicoliani visti nei pulpiti e sulle architetture del Pisano. Gli strombi della lunetta percorsi da cordoli, all'uso tardoromanico lombardo e lucchese, richiamano il battistero, come pure l'architrave continuo che raccoglie gli abachi dei capitelli dell'intera fronte. Il riferimento a G. è comprovato anche dal richiamo dei capitelli ai piccoli sostegni presenti quali motivi decorativi sul fonte battesimale di Massa Marittima, a riprova di quanto fosse serrata, in questo scorcio di Medioevo, l'integrazione tra architettura e scultura e tra microarchitettura e architettura monumentale, all'interno di cantieri diretti da una unica personalità artistica di architetto-scultore. È probabile che S. Michele sia stata eseguita appena finiti i lavori in battistero, cioè dopo il 1283.
Oltre che delle opere architettonico-scultoree, concentrate a Volterra, G. fu autore di numerosi rilievi figurati pertinenti ad arredi liturgici, conservati in altri centri della Toscana. Nel 1262 o, meno probabilmente, 1264 (Paolucci, 1977), l'artista scolpì e firmò il rilievo con la Madonna col Bambino in maestà tra l'arcangelo Michele turibolante e i ss. Pietro e Paolo e con il donatore adorante (Prato, Museo dell'Opera del duomo) per la badia di S. Maria a Montepiano, sull'Appennino pratese. Il rilievo, riquadrato nel modo abituale agli scultori lombardo-ticinesi, presenta piane forme già sensibili, nell'ampio naturalismo e nella ricerca di euritmia nei volti, ai primi capolavori di Nicola Pisano; mentre le iconografie lasciano trasparire, ma in parte anticipano - come nella naturalezza del personale gesto del Bambino che si rivolge alla madre abbracciandola - il contemporaneo rinnovamento iconografico toscano in pittura. I panneggi, di moderato rilievo, morbidamente mossi ma spezzati, non senza qualche forzatura, mostrano di superare ma non dimenticare la tradizione dei grafismi propri alla bottega dei Bigarelli. Meno incidenti le talora rilevate derivazioni da pitture o miniature bizantineggianti (Salmi, 1914; Biehl), data la costante opera di omogeneizzazione e reinterpretazione delle diverse componenti culturali effettuata consapevolmente dall'artista. A questo quadro si aggiungono maggiori ricordi di soluzioni compositive e decorative presenti nelle opere dell'oreficeria monumentale propria della vallata della Mosa nel poco più recente fonte battesimale della cattedrale di S. Cerbone a Massa Marittima, firmato e datato al 1267, che andava a completare una chiesa frutto delle migliori energie degli scultori architetti di origine lombarda provenienti perlopiù da Lucca, poco prima della goticizzazione apportata dal passaggio di Giovanni Pisano.
La vasca monolitica a pianta quadrata, sorretta da leoni, presenta su ogni lato, all'interno di un'archeggiatura triloba continua sorreggente una classica trabeazione, figure o scene scolpite. Esse mostrano Cristo in trono tra la Vergine e il Battista supplicanti in forma di deesis e i santi patroni della città Cerbone e Regolo, le cui storie si dividono, con il ciclo della Vita del Battista incentrato, sul battesimo di Cristo, gli altri lati del fonte. Al di sopra del sostegno centrale della vasca è stato posto un grosso tabernacolo quattrocentesco. La ricchezza del racconto, l'accuratezza degli elementi decorativi e la notevole varietà dei riferimenti iconografici ne sono gli elementi distintivi. Non ultima è da notare la comparsa di finti capitellini imitanti quelli, nuovissimi e reali, dell'abbaziale di S. Galgano allora in via di completamento (Ascani, in corso di stampa). Meno brillante, viceversa, l'acuità espressiva delle figure e finanche la loro qualità esecutiva, oltre al talora eccessivo affollamento delle scene, sebbene attentamente congegnate. Queste, le ragioni della pesantezza e dell'inefficacia rappresentativa spesso rimproverate dalla critica a un'opera che pure offre non rari spunti di interesse all'osservazione, soprattutto nel gradevole e fine classicismo, rilevabile nei panneggi all'antica o nelle figure dei cavalli, parallelo nella volontà di recupero a quello di Nicola, ma tutto graficamente esteriore, e nei particolari più mobili, come i variati gesti di personaggi per il resto troppo uniformi, o le più riuscite tra le rapide figurette inserite nei pennacchi.
La "confusione di forme involutamente gotiche" che, severamente, Pietro Toesca (1927) vedeva nel fonte di Massa Marittima è l'espressione del disagio dell'artista davanti a opere, i pulpiti di Nicola soprattutto, che egli doveva sentire tanto più avanti alla propria scultura e a cui cercava di offrire una sia pur debole alternativa ma che non poteva esimersi dallo studiare e ammirare. Gli sforzi di rinnovamento e la curiosità culturale di G., il suo autonomo attingere al patrimonio iconografico classico e a quello nuovo, cistercense, stanno viceversa a dimostrare la tenacia e l'intelligenza di un autore che meglio di altri si offre a paradigma del grado, saliente, di ricezione delle nuove forme artistiche in Toscana, con i fermenti e i problemi che ne conseguirono, e dell'inserimento delle nuove conquiste formali, stilistiche e, in assai minor misura, espressive, nella vasta tradizione scultorea della regione. Questo itinerario conobbe un successivo stadio, di maggior finezza lineare e inventiva e di più libera organizzazione spaziale, nel pulpito della pieve - poi cattedrale - di S. Maria Assunta e S. Genesio a San Miniato, opera del 1274. Ne resta un'Annunciazione (San Miniato, Museo diocesano d'arte sacra) in una doppia formella con figure dal fine rilievo appena schiacciato e dalle proporzioni allungate di consonanza bizantina ma di mano ormai linearisticamente e modernamente gotica, influenzata anche dalla produzione miniata francese, studiata in una invero personale direzione di ricerca, ma sempre moderata dal nobilitante intento di classicistica chiarezza formale qui meglio espresso che a Massa Marittima.
Un'evoluzione e una più decisa svolta in direzione del gotico francese sono da registrare con le figure di un distrutto altare da S. Frediano a Lucca, dove G. risulta essere presente almeno nel 1282 e 1284 (Lucca, Museo nazionale di Villa Guinigi: Ridolfi; Biehl), a testimonianza di una carriera in ascesa e non relegata ai soli centri minori; mentre si andavano affievolendo gli echi dei successi dell'attività della bottega dei Bigarelli, di cui erano allora attivi in città gli epigoni. Si tratta di un'Annunciazione e S. Fausta in tre figure entro svelte edicolette coronate a finte architetture tardoromaniche a parte il più moderno, elegante timpano sovrastante la santa, frutto certo dello studio delle realizzazioni nuovissime di Arnolfo di Cambio, mentre vengono ormai superati i riferimenti nicoliani, negli anni della morte del grande scultore. La datazione di quest'opera andrebbe dunque posta intorno al 1285, nell'estrema e lucida maturità dell'artista, che giunge ad apportare un compiuto e originale aggiornamento alla ormai declinante tradizione scultorea lucchese.
Le tracce dell'artista si perdono negli anni successivi, quando è dato trovare la sua scuola, e in particolare il figlio Lapo, attivi in Toscana, probabilmente anche a Firenze, sin nel Trecento avanzato. È possibile che la morte sia avvenuta intorno al 1295.
La personalità di G. resta apprezzabile soprattutto per il selettivo e non vuoto eclettismo dell'artista e il costante suo sforzo di aggiornamento, in una concezione solida e umile del proprio mestiere cara agli scultori di matrice comacina e campionese: caratteristiche arricchite dalla considerevole ampiezza dei riferimenti culturali, dei modelli iconografici e dei motivi decorativi delle sue opere, che lo rendono autore significativo nell'articolato fenomeno della nascita del gotico toscano.
Quello del figlio di G., Lapo, attivo nei primi decenni del Trecento, è l'unico nome sicuro all'interno della sua bottega. Suo è un massiccio gruppo statuario, a grasse figure dai panneggi appena rilevati, componente un'Annunciazione, firmato e datato 1320, già nel duomo di Carrara (Carrara, Accademia di belle arti); mentre ad altri artisti della bottega sono da riferire rilievi tra cui quello, recante parimenti un'Annunciazione, forse del 1310, inserito sul fianco meridionale della cattedrale di S. Maria del Fiore a Firenze, elaborazione delle composizioni di G. con forti rimandi allo stile nuovo di Arnolfo di Cambio, artista, del resto, di irrinunciabile riferimento in questo caso in quanto presente in quel cantiere sino alla morte, forse in quell'anno, come capomastro.
Fonti e Bibl.: D.F. Giachi, Saggio di ricerche storiche sopra lo stato antico e moderno di Volterra, II, Siena 1796, pp. 143-147; E. Ridolfi, Diporti artistici, in Atti dell'Accademia lucchese di scienze, lettere ed arti, XVIII (1868), pp. 185-205 passim; G. Leoncini, Illustrazione sulla cattedrale di Volterra, Siena 1869, p. 111; A. Schmarsow, S. Martin von Lucca und die Anfänge der toskanischen Skulptur im Mittelalter, Breslau 1890, p. 223; L. Petrocchi, Massa Marittima, Firenze 1900, pp. 19, 40-46; C. Ricci, Volterra, Bergamo 1905, p. 76; G. Swarzenski, in Repertorium für Kunstwissenschaft, XVIII (1905), pp. 168 s. (rec. a I.B. Supino, Arte pisana, Firenze 1904); G. De Nicola, Arte inedita a Siena e nel suo antico territorio, in Vita d'arte, V (1912), pp. 85-96; M. Salmi, Due rilievi romanici inediti, in Arte e storia, XXXIII (1914), pp. 164-168; G. Swarzenski, in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, Leipzig 1921, p. 189 (s.v. Giroldo da Lugano); W. Biehl, Toskanische Plastik des frühen und hohen Mittelalters, Leipzig 1926, pp. 87-90, 122 s.; P. Toesca, Storia dell'arte italiana, I, Torino 1927, pp. 786, 819; M. Salmi, La scultura romanica in Toscana, Firenze 1928, pp. 58, 61, 113 s., 121; P.L. Consortini, Le case-torri di Giovanni Toscano in Volterra, Lucca 1942; D. Lotti, Proposte per il catalogo del Museo di San Miniato, in Boll. dell'Accademia degli Euteleti, XXIX (1965-66), pp. 50 s. n. 79; E. Carli, L'arte a Massa Marittima, Siena 1976, p. 36; A. Paolucci, Il restauro del rilievo di G. a Montepiano, in Prospettiva, 1977, n. 9, pp. 76-78; A. Caleca, Specchio di pulpito raffigurante l'Annunciazione, in Niveo de marmore (catal., Sarzana), a cura di E. Castelnuovo, Genova 1992, pp. 241 s. n. 47; V. Ascani, in Enc. dell'arte me-dievale, VI, Roma 1995, pp. 774-776 (s.v. Giroldo da Como); Chiese di Volterra, a cura di P.G. Bocci - F.A. Lessi, Firenze 2000, pp. 99-108; V. Ascani, Componenti cistercensi della scultura architettonica gotica in Toscana, in Decorazione e figurazione nell'Europa cistercense. Atti della Giornata di studio Firenze 1996, in corso di stampa.