CERACCHINI, Gisberto
Nacque a Foiano della Chiana (Arezzo) il 5 febbr. 1899 da Anacleto e Leopolda Marchi in una agiata famiglia contadina.
Interruppe gli studi subito dopo la licenza elementare per dedicarsi da autodidatta alla pittura. Come egli stesso ha affermato, (Marsan, 1983) non ebbe altri maestri se non la natura e se stesso; inoltre fu determinante l'origine toscana nell'orientarlo verso lo studio e la scelta della grande tradizione artistico-figurativa locale quale fonte d'ispirazione. Dal 1915 si stabilì a Roma dove entrò in contatto con la cerchia di pittori e letterati frequentatori della "terza saletta" del caffè Aragno, che largo peso avranno nella sua formazione culturale.
L'esordio espositivo avvenne qualche anno più tardi, nel 1921, alla prima Biennale romana, dove, su segnalazione di Armando Spadini, venne accettato il suo dipinto La discordia del 1918, una composizione d'interno impostata su tonalità bruno-rossastre, in cui sono manifeste quelle caratteristiche di stile presenti nelle sue opere sino alla metà degli anni Trenta: un linguaggio primitivo, dai volumi squadrati e spesso monumentali, piuttosto rigido nel segno inciso dei contorni netti, brillante e levigato nella cromia, denso di richiami a modelli quattrocenteschi e, ancora, di suggestioni giotto-masaccesche; un disegno robusto, "appassionatamente espressivo" - come lo ha definito R. Longhi (1929) -, che dà corpo a sentimenti "desueti, anacronistici" per la loro ingenuità e candore.
Il decennio 1925-35 fu quello più fecondo per il C., sia per quanto riguarda la produzione, sia per la partecipazione ad esposizioni di rilievo, nazionali ed internazionali. Intorno al 1925 appunto si trasferì in uno studio della villa Strohl-Fern, dove risiederà sino alla morte, e nella serenità del cenacolo artistico, a contatto con la natura, la sua vena narrativa di antico ". cantastorie" (Guzzi, 1953) si scioglierà in scarne visioni di vita agreste o quiete scene di intimità domestica in cui il paesaggio, anziché ritratto naturalisticamente, appare filtrato dalla memoria, sempre più stilizzato secondo criteri di equilibrio ed ordine compoàitivo ed investito da un'atmosfera di magica sospensione. Si vedano Ritorno dai campi del 1924, Boscaiolo del 1928, Meriggio ed Aratura del 1930-31, Riposo del 1932, ora alla Galleria nazionale d'arte moderna di Roma, Colazione campestre del 1933, Pastore dormiente del 1934, Idillio del 1933, presentato alla Quadriennale romana del 1935 ed acquistato dalla Galleria d'arte moderna di Milano: tutti dipinti la cui ricerca di purismo formale trova piena e felice espressione nel richiamo alla classicità, nel recupero della lezione degli antichi, concordemente con quanto proposto in quegli stessi anni dai fondatori del gruppo del Novecento. E infatti il C. venne invitato sia alle due mostre milanesi del 1926 (presentando Scena campestre, Mosè salvato dalle acque e Ritorno dai campi) e del 1929 (con Estate), sia a gran parte delle esposizioni organizzate dal movimento all'estero.
Nell'ottobre-novembre 1927 fu presente all'Esposizione d'arte italiana in Olanda allo Stedelijk Muscum di Amsterdam; nel novembre-dicembre 1929, all'Exposition d'art italien moderne alla galleria Bonaparte di Parigi; nel febbraio 1930, alla Moderne Italiener alla Kunsthalle di Basilea, e nel settembre dello stesso anno, alla Mostra del Novecento italiano alla Sala de Los amigos dei arte di Buenos Aires; nel settembre-ottobre 1931, a Il Novecento italiano al Liljevalchs Konsthall di Stoccolma ed al Taidelialli Konsthallen di Helsinki.
Nel frattempo il C. aveva partecipato nel 1928 ad una mostra collettiva allestita, presso la galleria Doria di Roma, da esponenti della Scuola romana - M. Mafai, Scipione e F. Di Cocco - alle cui ricerche in quel periodo era avvicinato dalla propensione ad una cromia accesa e vibrante, in lui tuttavia contenuta entro limiti formali ben definiti, e da una più vigile attenzione al dato reale.
Nel 1935 la II Quadriennale romana gli dedicò un'intera sala dove espose due sculture (e infatti da qualche anno si dedicava a questo mezzo) e quindici dipinti (partecipò anche alla III con Conversazione e alla IV con Annunciazione, Pastorale e Maternità); nel 1936 partecipò all'Esposizione internazionale di Budapest, e due anni dopo, in occasione di quella di Parigi, si aggiudicò la medaglia d'oro con l'opera Meriggio. Frequente fu anche la partecipazione, nel corso degli anni Trenta, alla Biennale veneziana (dal 1930 al 1938) ed a rassegne organizzate dal Sindacato fascista di belle arti del Lazio.
Nel 1936 il C. esegui un affresco, di diretta suggestione pierfrancescana, per il sacrario dei caduti aretini fascisti. Poi, a partire dagli anni della guerra, mentre la produzione di cavalletto si sclerotizzava in temi e stilemi manieristici, divenne predominante l'attività di frescante ed esecutore di pale d'altare per diverse chiese romane: per la cappella dell'università e per la chiesa di S. Emerenziana (1946); per S. Maria Mediatrice sul colle Gelsomino, dove lasciò nel coro l'affresco della Apoteosi dell'Ordine francescano; per il lunettone del quadriportico del Verano (1946-47); per la cappella di S. Giuseppe in S. Eugenio (Storie di s. Giuseppe, affreschi); per la chiesa di S. Leone Magno (1952); di S. Maria in Dorrinica (affreschi decorativi nelle absidi minori); per la chiesa di S. Giovanni Bosco di Frascati (pala della Madonna Ausiliatrice e santi).
Il C. morì a Petrignano del Lago (Perugia) il 27 luglio 1982.
Fonti e Bibl.: R. Longhi, La mostra degli artisti sindacati. C. e gli altri, in L'Italia letteraria, 14 apr. 1929; L. De Libero, Ritratto di C., in L'Ambrosiano, 29 luglio 1929; V. Costantini, La XVII Biennale veneziana. I contemporanei, in L'Italia letteraria, 18 mag. 1930; M. Sarfatti, Storia della pittura moderna, Roma 1930, p. 120; R. Melli, Vita e miracoli della giovane e giovanissima arte romana del 1920, in L'Almanacco degli artisti, I (1931), pp. 324, 332; N. Bertocchi, Alla I Quadriennale romana. Romani e Scuola di Parigi, in L'Italia letteraria, 22 febbr. 1932; A. Spaini, Pittori italiani a Venezia. I "Guardiani" di C., in Il Resto del carlino, 28 maggio 1932; F. Trombadori, Il pittore G. C., in Gioventù fascista, 20 genn. 1932; A. Neppi, Artisti romani al lavoro. Georgiche e bucoliche di C., in Il Lavoro fascista, 25 dic. 1934; G. Scheiwiller, Visita a C., in Corriere padano, 24 apr. 1934; S. Volta, Nello studio di un pittore. G. C., in La Gazzetta del Popolo, 7 apr. 1934; L. De Libero, G. C., Milano 1935; U. Nebbia, La pittura del Novecento, Milano 1941, pp. 188-201; G. Fallani, G. C., Roma 1945; V. Guzzi-G. Fallani, G. C., Roma 1953; F. Trombadori, in Arte moderna in Italia 1915-1935 (catal.), Firenze 1967, p. 339; R. Bossaglia, Il "Novecento italiano". Storia, documenti, iconografia, con App. a cura di C. Gian Ferrari e M. Lorandi, Milano 1979, passim; R. Daolio, in La Metafisica: gli Anni Venti (catal.), I, Bologna 1980, pp. 367 s.; C. Marsan, in Il Novecento italiano 1923-1933 (catal.), Milano 1983, pp. 278-80; E. Coen, in Gli artisti di villa Strohl-Fern (catal.), Roma 1983, pp. 93-95; P. Marescalchi, in Annitrenta (catal.), Milano 1983, pp. 504 s.