GISULFO
Tredicesimo nella serie degli abati di Montecassino, G. resse il monastero tra il 796 e il 24 dic. 817, data della sua morte.
Circa l'esordio del suo governo il calendario contenuto nel codice 641 della Biblioteca Casanatense di Roma, originario dello scriptorium cassinese e datato tra l'811 e l'812, in corrispondenza dell'anno 796 della tavola pasquale contiene la seguente nota: "hinc incipiunt anni insignis Gisulfi abbatis" (Hoffmann, 1965, p. 249); le più antiche liste degli abati cassinesi concordano inoltre nell'attribuire a G. ventun anni di abbaziato, un dato che Leone Marsicano conferma nella sua Chronica monasterii Casinensis, pur fissando come primo anno il 797. Sia nel calendario del codice Borg. lat. 211 della Biblioteca apost. Vaticana datato tra il 1094 e il 1105, appartenuto a Leone, sia nel necrologio del manoscritto 47 dell'Archivio di Montecassino, vergato tra il 1159 e il 1173, l'obitus di G. appare segnato in corrispondenza del 24 dicembre; il calendario di Leone contiene, inoltre, un'aggiunta marginale relativa all'anno: "a. D. DCCCXVII" (Hoffmann, 1965, p. 125).
Membro della famiglia ducale beneventana, G., il cui nome è di chiara derivazione germanica, succedette al franco Teodemaro (777/778-796), durante il cui governo Carlo Magno aveva rilasciato il 28 marzo 787 un diploma in favore di Montecassino (Diplomata Karolinorum, n. 158), come del resto aveva fatto in quel medesimo anno anche per la Chiesa di Benevento e per il monastero di S. Vincenzo al Volturno. Il nuovo abate impresse tuttavia al governo cassinese un indirizzo più marcatamente filobeneventano, che già si preannunciava verso gli ultimi anni dello stesso Teodemaro, quando i principi di Benevento Grimoaldo (III) e Grimoaldo (IV) - quest'ultimo almeno fino all'812 -, si svincolarono dai legami di soggezione nei confronti del Regno franco (Houben, 1987).
Leone Marsicano ben sottolinea come G., forte dell'appoggio politico beneventano e dell'accresciuta potenza economica del monastero cassinese, perseguisse sin dall'inizio del suo governo un intenso rinnovamento edilizio volto a ristrutturare e ampliare sia gli edifici monastici già esistenti a valle sia quelli ubicati sul monte di Cassino.
Già l'abate Tomichi (morto nel 778 circa) aveva edificato in pianura una "parva ecclesia" dedicata a S. Benedetto (Chronica, p. 42), forse destinata a servire il monastero lì esistente; G., per rispondere alle crescenti esigenze dell'ormai folta schiera di monaci residenti a valle, trasformò quell'oratorio in una basilica dedicata al Salvatore, titolo molto comune nell'Italia longobarda, annettendole al tempo stesso nuove costruzioni monastiche: una decisione motivata anche dal fatto che, come scrive Leone Marsicano, alla "arta et ardua montis habitatio", cioè alla persistente penuria di spazi abitabili nel monastero superiore, si contrapponeva la "loci amenitas et opum copia non parvarum" della zona pianeggiante (ibid., p. 57). La realizzazione dei lavori affidata da G. al preposito Garioald comportò in primo luogo la bonifica e il consolidamento del terreno paludoso, sul quale sorse la chiesa a tre navate, con caratteristiche che, dopo la trasformazione tardoseicentesca dovuta all'architetto Arcangelo Guglielmelli, ci sono note solo grazie al cronista Leone (ibid., pp. 57 s.) - servitosi probabilmente anche del perduto De constructione coenobii Domini Salvatoris, attribuito da Pietro Diacono al diacono Theophanius - e alla descrizione dello stesso Guglielmelli datata il 20 maggio 1695 (cfr. A. Caravita, I codici e le arti a Monte Cassino, I, Monte Cassino 1869, pp. 38 s.).
La nuova basilica, che misurava in lunghezza cubiti 82 (pari a m 36,40), in larghezza 43 (m 19,09) e in altezza 28 (m 12,43), viene descritta con 24 colonne marmoree e archi che ne scandivano lo spazio interno, immagini lungo le pareti, mentre il pavimento è definito: "variorum lapidum diversitate conspicuum", paragonabile, quindi, come sembra, all'opus sectile di altre chiese dell'Italia centrale d'età carolingia. Le tre absidi, quella principale e quelle laterali, ospitavano rispettivamente l'altare del Salvatore e quelli di S. Benedetto e S. Martino. L'atrio antistante con colonne - ciascun lato misurava circa 40 cubiti (pari a m 17,76) - ospitava una controabside nella parte orientale, posta quindi di fronte al suo ingresso - con un altare dedicato a S. Michele Arcangelo -, e un campanile collocato al centro ed elevato su otto grandi colonne, che il Carbonara ritiene trattarsi: "con tutta probabilità dell'anticipazione del motivo della torre con colonne angolari che sarà ripreso nell'XI secolo e diffuso nell'area campana, ma attuato con una collocazione sua propria, che risente di influssi nordici e propriamente carolingi" (p. 38). La rinnovata basilica del Salvatore e i più funzionali edifici monastici adibiti ai diversi uffici costituiscono il nucleo originario non solo dell'organizzazione curtense nella "Terra Sancti Benedicti" ma anche della futura città fondata dall'abate Bertario (856-883), dal quale avrebbe ricevuto il nome greco di Eulogimenopoli, in seguito sostituito da quello di San Germano (l'attuale Cassino).
A G. si deve altresì il primo grande rinnovamento dell'antico oratorio di S. Giovanni Battista a Montecassino, ov'era sepolto il fondatore Benedetto. L'edificio originario consisteva in un'aula absidata, il cui perimetro, venuto alla luce nel corso dei lavori di scavo effettuati nel 1951 dopo la distruzione del 15 febbr. 1944, misurava m 7,60 per 15,25. G. trasformò l'antica chiesa dandole, come a quella del Salvatore, un impianto basilicale, a tre absidi, con transetto - come sembra - continuo, archi sostenuti da colonne e pareti probabilmente (su ciò la Chronica di Leone Marsicano tace) decorate a mosaico o ad affresco. Sempre secondo Leone G. dotò inoltre l'altare di S. Benedetto di un ciborio argenteo con decorazioni in oro e smalto, e i rimanenti altari di "tabulae" in argento (Chronica, p. 59), ritenuti dal Bertaux "ornamenti di una preziosità tutta orientale" (1903, p. 92).
Il rinnovato valore dell'antico oratorio di S. Giovanni è riflesso anche dalla sua nuova dedica, di cui è testimone il calendario del già menzionato codice Casanatense, in cui, a c. 80v, in corrispondenza del 4 ottobre si legge, della stessa mano che ha vergato il calendario: "dedic(atio) basili(cae) Beati Benedicti in castro Casino" (Loew, pp. 42, 50 s.; Lowe, tav. 13). La monumentalità che caratterizzava ormai le due chiese cassinesi a valle e a monte è il segno più evidente che l'abate G. operava in sintonia con i nuovi impulsi creativi dell'arte palatina fiorita sotto Arechi II (758-787) a Benevento - la chiesa di S. Sofia, capolavoro dell'architettura longobarda meridionale, era stata edificata tra il 758 e il 760 -, nonché specialmente con l'imponente programma edilizio e artistico promosso nel vicino monastero di S. Vincenzo al Volturno dagli abati Paolo e Giosuè.
Nel quadro della riorganizzazione fondiaria voluta da G., oltre al nuovo monastero del Salvatore che funse in seguito da curtis maior, egli fondò due nuove cellae: la chiesa di S. Angelo in Valleluce (nei pressi di Sant'Elia Fiumerapido, non lontano da Cassino), ove poi dimorò s. Nilo di Rossano tra il 979 e il 994 circa, e quella di S. Apollinare, nucleo dell'omonimo futuro centro abitato (sempre nei dintorni di Cassino). Sotto G. crebbe anche il numero delle donazioni in favore di Montecassino. Nel Registrum di Pietro Diacono (Dell'Omo, 2000), sono attestate importanti donazioni avvenute nel corso del suo abbaziato fra il 795 e il maggio 809; il nome di G., in qualità di destinatario, è menzionato inoltre in diversi documenti che vanno dal settembre 808 al novembre 817. Ancora dal Registrum emergono almeno altri due notevoli indici della mobilità fondiaria che caratterizzò Montecassino negli anni in cui G. fu a capo della comunità: probabilmente al 797 si deve ascrivere la rinuncia da parte del principe di Benevento Grimoaldo (III) di far valere i propri diritti sui servi del monastero a partire dal tempo di Gisulfo (I) fino a quell'anno, nonché sulle donne libere a essi congiunte da vincolo matrimoniale; allo stesso anno, o al più tardi al 798, sembra risalire la donazione in favore di Montecassino del monastero di S. Maria di Banzi nel territorio di Acerenza (Hoffmann, 1967, p. 252 n. 85). Non è senza significato, infine, che proprio in questa fase di espansione e riordinamento economico-amministrativo dei beni che affluivano sempre più numerosi venga stipulato per la prima volta proprio da G. un contratto di livello, in seguito il più diffuso per la conduzione delle terre in ambito cassinese, tramite il quale "pro censu quattuordecim solidorum et medietate totius pastionis" sono dati in concessione ad alcuni "homines" di Termoli tutti i beni appartenenti al monastero ubicati in quel territorio (Chronica, p. 62).
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