Giubileo
Annus centenus Romae semper est iubileus
Il Giubileo di Giovanni Paolo II
di Luigi Accattoli
24 dicembre 1999 - 6 gennaio 2001
II Giubileo ha dominato, come fatto religioso, l'anno 2000. Indetto con la bolla Incarnationis mysterium del 29 novembre 1998 e dedicato alla commemorazione del concepimento e della nascita di Gesù, è stato il 26° Anno Santo ordinario, vissuto da parte del mondo cattolico con una partecipazione senza precedenti, ma seguito con grandissima attenzione anche dai non cattolici. Per tutto l'anno si sono susseguiti 'eventi' religiosi di grande significato, alcuni dei quali del tutto innovativi rispetto alla tradizione giubilare.
Le date più significative
Nel corso del Grande Giubileo del 2000 sono stati una decina gli 'eventi' più nuovi, che lo hanno segnalato all'opinione pubblica mondiale: la Porta Santa ecumenica (18 gennaio), i due pellegrinaggi del Papa al Sinai (24-26 febbraio) e in Terra Santa (20-26 marzo), la Giornata del perdono (12 marzo), la commemorazione ecumenica dei nuovi martiri (7 maggio), il Giubileo dei poveri (15 giugno) e quello nelle carceri (9 luglio), il pellegrinaggio dei giovani (15-20 agosto) e quello delle famiglie (14-15 ottobre).
A questi nove eventi aggiungeremo - come decimo - il pellegrinaggio dei tradizionalisti (8-9 agosto), al quale legheremo una considerazione sul vecchio e sul nuovo che nel Giubileo si sono manifestati e che possono essere efficacemente riassunti nella beatificazione congiunta dei papi Mastai Ferretti e Roncalli (3 settembre). La conclusione sarà che alle dirompenti novità volute da Giovanni Paolo II (già prospettate nel documento più personale del Pontificato: la lettera apostolica Tertio millennio adveniente, del novembre 1994), la Curia ha prudentemente accompagnato l'antico, facendo del Giubileo dell'anno 2000 qualcosa di simile al "tesoro" della parabola evangelica dal quale il padrone di casa "trae fuori cose nuove e vecchie".
La Porta Santa ecumenica
Tra le dieci novità, cinque sono state quelle davvero sorprendenti, tutte dovute al genio per i gesti simbolici che è proprio di Giovanni Paolo II, e sono le prime che abbiamo elencato. Tra esse, la più creativa - e capace di avviare un mutamento di segno della tradizione giubilare cattolica - è la Porta Santa ecumenica: cioè quella della basilica di S. Paolo fuori le mura, aperta il 18 gennaio, con una celebrazione ecumenica che riuniva ventidue tra chiese e organizzazioni cristiane di tutto il mondo. Mai c'era stata in passato, né mai era stata auspicata dai Papi, una presenza ecumenica a una celebrazione giubilare romana. C'è una foto che riassume l'avvenimento e che è stata pubblicata da tutti i giornali: rappresenta il Papa, il primate anglicano John Carey e il metropolita ortodosso Athanasios inginocchiati sulla soglia della porta che hanno appena aperto, spingendola a sei mani. Nell'omelia il Papa invita a chiedere perdono per le divisioni tra le Chiese e a guardare avanti: "Chiediamo perdono a Cristo di tutto ciò che nella storia della Chiesa ha pregiudicato il suo disegno di unità". E ancora: "Da questa basilica, che ci vede oggi raccolti insieme con gli animi colmi di speranza, io spingo avanti lo sguardo verso il nuovo millennio" e verso "un futuro non lontano in cui i cristiani possano tornare a camminare insieme come unico popolo". Qualcuno dalla folla grida: "Unità!" e il Papa - che ha appena finito di parlare - commenta così, improvvisando: ""Unitade, unitade": questo grido che ho sentito in Bucarest durante la mia visita [in Romania, 7-9 maggio 1999] mi ritorna come una forte eco. "Unitade, unitade" gridava il popolo raccolto durante la celebrazione eucaristica. Forse anche noi possiamo uscire da questa basilica gridando come loro: "Unitade, unità, unité, unity". Grazie!".
Il Giubileo fino a ieri era solo cattolico. Sulle indulgenze - elemento essenziale dei giubilei tradizionali, già messo in ombra tuttavia dalla nuova impostazione pastorale, voluta da Paolo VI per l'Anno Santo del 1975 - s'era anzi avviata, nel 16° secolo, la rottura con le Chiese della Riforma. Da qui la sorpresa di quell'assemblea ecumenica riunita nella basilica di S. Paolo, che si ripeterà in occasione della 'commemorazione ecumenica' dei nuovi martiri. Il Grande Giubileo sarà anche carico di contraddizioni ecumeniche, specie nella seconda metà dell'anno e in particolare a motivo della dichiarazione Dominus Iesus, che verrà pubblicata il 5 settembre. Ma l'intenzione di fare dell'anno giubilare un'occasione di incontro tra le Chiese cristiane, simboleggiata dall'apertura a sei mani della Porta Santa della basilica di S. Paolo, sopravviverà alle contraddizioni con cui l'esecuzione del progetto andrà a scontrarsi.
Sulle orme di Abramo e di Mosè
Il 24-26 febbraio il Papa visita Il Cairo e il monastero di S. Caterina nella penisola del Sinai: è la prima tappa del 'pellegrinaggio giubilare' che continuerà il 20-26 marzo con il Monte Nebo (Giordania) e la Terra Santa. Il pellegrinaggio è da sempre uno dei 'segni' del Giubileo, ma la novità introdotta da Giovanni Paolo II è decisiva: invece di limitarsi a chiamare i cattolici a pellegrinare verso Roma, si fa egli stesso pellegrino sulle orme di Abramo, di Mosè, di Gesù e di Paolo. Per il pellegrinaggio papale in Terra Santa c'è il precedente di Paolo VI, che vi si recò nel gennaio 1964. Ma per il pellegrinaggio biblico come momento giubilare, il gesto di Papa Wojtyla non ha precedenti. Giovanni Paolo II aveva progettato un pellegrinaggio giubilare in otto tappe: Ur dei Caldei (Iraq), Sinai (Egitto), Monte Nebo (Giordania), Betlemme (Territori palestinesi), Nazaret e Gerusalemme (Israele), Damasco (Siria), Atene (Grecia). L'idea del Papa era di visitare (come aveva scritto in una 'lettera' di presentazione di questo speciale pellegrinaggio, pubblicata nel giugno 1999) "quei luoghi sui quali il Dio vivente ha lasciato la sua impronta".
Per ragioni diplomatiche e politiche ha dovuto rinunciare alla prima di quelle tappe e rinviare a dopo il Giubileo le ultime due. Ma siccome l'uomo Wojtyla è tenace e non cede, ecco che alla vigilia della partenza per la tappa del Sinai 'celebra' - il 23 febbraio, nell'Aula delle udienze - quella "commemorazione di Abramo nostro padre nella fede" che avrebbe voluto compiere a Ur dei Caldei (che oggi si chiama Tal al Muqayyar, e si trova nel Sud dell'Iraq). All'omelia insiste sulla comunanza d'origine delle tre fedi monoteistiche, che è l'idea madre di tutto il pellegrinaggio giubilare: "Insieme a noi anche gli ebrei e i musulmani guardano alla figura di Abramo come a un modello di incondizionata sottomissione al volere di Dio".
In coerenza con la prima tappa - che i media definiscono 'virtuale' - del pellegrinaggio giubilare, Giovanni Paolo II conduce anche la seconda, quella del Sinai, nel segno del dialogo con l'ebraismo e l'Islam. "Il vento che ancora oggi soffia dal Sinai reca un invito insistente al dialogo fra i seguaci delle grandi religioni monoteistiche nel loro servizio alla famiglia umana. Suggerisce che in Dio possiamo trovare il punto del nostro incontro: in Dio, l'onnipotente e misericordioso, creatore dell'universo e signore della storia, che alla fine della nostra esistenza terrena ci giudicherà con giustizia perfetta": così parla il Papa il 26 febbraio, durante la 'celebrazione della Parola' che tiene sul Sinai, presso il monastero greco-ortodosso di S. Caterina. È curioso che nel grande dibattito sull'Islam in Italia, che si svilupperà nella seconda metà dell'anno, nessuno richiamerà l'indicazione di dialogo e di intenzionale vicinanza a questa religione 'abramitica' data allora dal Papa. Le idee più nuove - e apparentemente utopiche - del Papa slavo spesso sono lasciate cadere dai suoi stessi collaboratori, come si desse per scontato che non possano avere una reale incidenza pratica. Per fare altri due esempi: non risulta che la Conferenza episcopale italiana abbia dato alcun seguito - nello specifico del nostro Paese - al 'mea culpa' papale e alla commemorazione dei martiri della nostra epoca.
Giornata del perdono
Il Papa che bacia e abbraccia il crocifisso, chiedendo perdono "per i peccati passati e presenti dei figli della Chiesa": l'abbiamo visto il 12 marzo in S. Pietro, in occasione della Giornata del perdono, e abbiamo l'impressione di aver colto un'immagine simbolica dell'intero pontificato. In vista della giornata, la Commissione teologica internazionale - presieduta dal cardinale Joseph Ratzinger - aveva pubblicato, il 7 marzo, un documento intitolato Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato. In esso la novità della 'richiesta di perdono' voluta dal Papa è raccordata alla tradizione penitenziale della Chiesa e viene difesa dalle obiezioni di 'opportunità' avanzate anche da ecclesiastici di primo piano (per es. dal cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo di Bologna, che aveva esposto le sue riserve con la lettera pastorale Christus hodie, del 1995).
La Giornata del perdono ha il momento centrale in una preghiera universale, sul modello di quella del Venerdì Santo, intitolata: Confessione delle colpe e richiesta di perdono. Sette rappresentanti della Curia romana (Bernardin Gantin, Joseph Ratzinger, Roger Etchegaray, Edward Cassidy, Fumio Hamao, Francis Arinze, Nguyen Van Thuan) leggono altrettanti 'invitatori', ai quali risponde il Papa con sette orazioni, riguardanti i 'peccati in generale', le 'colpe nel servizio della verità', i 'peccati che hanno compromesso l'unità del Corpo di Cristo', le 'colpe nei confronti di Israele', le 'colpe commesse con comportamenti contro l'amore, la pace, i diritti dei popoli, il rispetto delle culture e delle religioni', i 'peccati che hanno ferito la dignità della donna e l'unità del genere umano', i 'peccati nel campo dei diritti fondamentali della persona'.
I cinque 'mai più' pronunciati quel giorno da Giovanni Paolo II - a chiusura del rito - rimarranno forse come il testo più bello di tutto il Giubileo: "Mai più contraddizioni alla carità nel servizio della verità, mai più gesti contro la comunione della Chiesa, mai più offese verso qualsiasi popolo, mai più ricorsi alla violenza, mai più discriminazioni, esclusioni, oppressioni, disprezzo dei poveri e degli ultimi". È ragionevole immaginare che Giovanni Paolo II resterà nella storia anche per questa Giornata del perdono. Anzi, forse un giorno lontano, quando nessuno saprà più bene che cosa sia stato il marxismo-leninismo, il Papa slavo potrebbe essere ricordato soprattutto per questo 'atto primaziale', senza precedenti nella storia del papato.
Non si è trattato soltanto dell'appuntamento giubilare più originale, ma del momento in cui il filone evangelico presente nell'intera predicazione di Giovanni Paolo II ha trovato un'espressione compiuta e un significato universale. Per filone evangelico intendiamo quelle parti della predicazione di questo Papa intese a richiamare la radicalità dei precetti evangelici, a farli valere nel mezzo delle contese tra i popoli, a far risuonare il giudizio sul mondo e sulla stessa Chiesa che da essi deriva: quando dice 'no' a ogni guerra e a ogni violenza, quando difende ogni vita fino a delegittimare la pena di morte, quando offre e chiede perdono a ogni fratello cristiano, quando chiama 'fratelli maggiori' gli ebrei e 'fratelli' i musulmani, quando nega che abbia base evangelica la sottomissione della donna all'uomo, quando si batte per i più poveri d'ogni latitudine e chiede la cancellazione del debito dei paesi poveri e una sanatoria per gli immigrati clandestini.
Al Muro del Pianto
C'è una freccia - sulla lavagna del Grande Giubileo - che parte da Roma e va a Gerusalemme: è la rotta dell'aereo del Papa, nel tratto più significativo della seconda fase del suo pellegrinaggio giubilare (20-26 marzo). E c'è un centro del centro, in questo pellegrinaggio: è la domanda di perdono a Dio per la persecuzione degli ebrei, che Giovanni Paolo II aveva pronunciato il 12 marzo nella basilica di S. Pietro e che mette, scritta su un foglietto, in una fessura del Muro del Pianto, il 26 marzo a Gerusalemme. In quel movimento da S. Pietro al Muro del Pianto si esprime il più e il meglio del Grande Giubileo. Nel bimillenario di Cristo, un Papa creativo è finalmente riuscito ad abbracciare davvero i 'fratelli maggiori ebrei', coinvolgendo idealmente nel suo gesto tutta la Chiesa.
I momenti principali dell'abbraccio del Papa agli ebrei, ambedue ambientati a Gerusalemme, sono stati: la visita al memoriale della Shoah (Yad Vashem) giovedì 23 marzo e la preghiera al Muro del Pianto domenica 26 marzo. "In questo luogo della memoria, la mente, il cuore e l'anima provano un estremo bisogno di silenzio. Silenzio, perché non vi sono parole abbastanza forti per deplorare la terribile tragedia della Shoah": così parla il Papa durante la visita a Yad Vashem. E questo è il testo riportato sul foglietto che Giovanni Paolo II lascia al Muro del Pianto, testo che riproduce la quarta 'confessione di peccato' del 12 marzo: "Dio dei nostri padri, tu hai scelto Abramo e la sua discendenza perché il tuo nome fosse portato alle genti; noi siamo profondamente addolorati per il comportamento di quanti nel corso della storia hanno fatto soffrire questi tuoi figli e, chiedendo perdono a Dio, vogliamo impegnarci in un'autentica fraternità con il popolo dell'alleanza". Nel pellegrinaggio papale in Terra Santa, naturalmente, c'è molto altro. Il bacio alla terra palestinese innanzitutto, dato dal Papa al suo arrivo a Betlemme il 22 marzo, come se i territori palestinesi costituissero già uno Stato: quel bacio - come già l''accordo di base' con l'OLP, firmato in Vaticano il 15 febbraio - riassume l'appoggio papale alla rivendicazione del diritto a una patria per questo popolo e affretta la costituzione dello Stato palestinese.
Nella giornata conclusiva, prima della preghiera al Muro del Pianto, Giovanni Paolo II compie una visita al Gran Mufti di Gerusalemme, Sheikh Akram Sabri, nel suo ufficio sulla Spianata delle Moschee: e anche questo è un gesto di grande rilevanza, stante il carattere di massimo santuario islamico di quel luogo, inferiore solo a quelli della Mecca e di Medina. Dopo la preghiera al Muro del Pianto, la terza tappa della storica giornata è la celebrazione nella basilica del Santo Sepolcro: e così, in unità di tempo e di gesto, il Papa ha toccato i luoghi più sacri alle tre religioni monoteistiche, che egli vorrebbe trovassero un modus vivendi all'interno della 'città santa', che - secondo la diplomazia vaticana - dovrebbe essere retta da uno statuto internazionalmente garantito.
Commemorazione ecumenica dei 'nuovi martiri'
Inedita è stata anche la 'Commemorazione ecumenica dei testimoni della fede del secolo XX', detta anche dei 'nuovi martiri', che si è fatta al Colosseo il 7 maggio: c'erano le delegazioni delle altre Chiese e sono stati ricordati i martiri di tutte le appartenenze. Una commissione giubilare aveva raccolto 12.692 schede di altrettanti cattolici uccisi lungo il secolo per motivi legati alla 'testimonianza' religiosa: oltre 8000 in Europa, quasi 2000 in Asia, più di 1000 nell'ex Unione Sovietica, 746 in Africa, 333 nelle Americhe, 126 in Oceania. Il 'catalogo' dei nuovi martiri verrà consegnato al Papa e in seguito sarà pubblicato. Questa moltitudine di testimoni della fede è stata ricordata nella celebrazione serale al Colosseo, suddivisa in otto categorie, o schiere, raccolte dall'intero pianeta, così definite nel testo ufficiale: Cristiani che hanno testimoniato la fede sotto il totalitarismo sovietico; Testimoni della fede, vittime del comunismo in altre nazioni d'Europa; Confessori della fede, vittime del nazismo e del fascismo; Seguaci di Cristo che hanno dato la vita per l'annuncio del Vangelo in Asia e in Oceania; Fedeli di Cristo perseguitati in odio alla fede cattolica; Testimoni dell'evangelizzazione in Africa e Madagascar; Cristiani che hanno dato la vita per amore di Cristo e dei fratelli in America; Testimoni della fede in varie parti del mondo. Quattro sono le caratteristiche più originali di questa commemorazione: l'ecumenicità, la contemporaneità, la provvisorietà del catalogo approntato, il concetto più largo di martirio - rispetto alla tradizione romana - con cui è stato redatto. Per capire la novità del gesto è possibile rifarsi alle parole di Papa Wojtyla nella Tertio millennio adveniente: "Nel nostro secolo sono ritornati i martiri, spesso sconosciuti, quasi 'militi ignoti' della grande causa di Dio. Per quanto possibile non devono andare perdute nella Chiesa le loro testimonianze. Ciò non potrà non avere anche un respiro e un'eloquenza ecumenica. La communio sanctorum parla con voce più alta dei fattori di divisione" (nr. 37).
Questa commemorazione giubilare ci aiuta a cogliere alcune delle ragioni che spingono Giovanni Paolo II a moltiplicare il numero dei santi e dei beati: in ventidue anni di Pontificato, ha proclamato novecentonovantaquattro beati e quattrocentoquarantasette santi (in ambedue i casi, più di quanti non ne abbiano proclamati complessivamente i suoi predecessori da quando esiste la Congregazione per le cause dei santi, cioè dalla fine del 16° secolo). Egli desidera che la segnalazione della santità e del martirio sia più tempestiva, più ampia e più flessibile rispetto al metodo seguito fino a oggi dalla Curia e codificato nelle leggi della Chiesa.
Giubileo dei poveri
In parte nuovo è stato anche il Giubileo dei poveri, che ha avuto come momento culminante un gesto simbolico di 'condivisione': il 15 giugno il Papa si è messo a tavola, nell'atrio dell'aula Paolo VI, con duecento bisognosi, cristiani e musulmani, italiani e stranieri assistiti dalla Comunità di Sant'Egidio, dalla Caritas di Roma e dalla Casa Dono di Maria. Alla fine del pranzo così ha salutato gli ospiti: "Fra i tanti appuntamenti del Giubileo, questo è per me sicuramente uno dei più sentiti e più significativi. Ho voluto incontrarvi, ho voluto condividere con voi la mensa per dirvi che voi siete nel cuore del Papa. Con grande affetto abbraccio ciascuno di voi, amici a me tanto cari". A tavoli da tredici persone sedevano dieci ospiti insieme a un cardinale o a un vescovo, e a due volontari abitualmente impegnati ad assisterli. Servivano gli alunni del Seminario romano, mentre un gruppo di Legionari di Cristo suonava e cantava. Il Papa ha salutato ciascuno degli ospiti, donando una busta con del danaro.
Oltre che con questo gesto simbolico, la dimensione sociale del Grande Giubileo è stata affermata dal Papa con il ripetuto invito rivolto ai paesi ricchi a 'ridurre se non cancellare' il debito estero dei paesi poveri (richiesta già formulata in Tertio millennio adveniente) e con la sollecitazione degli stessi a realizzare una forma di sanatoria degli immigrati 'illegali'.
Va infine ricordato che - per la prima volta - le attività di volontariato sociale e assistenziale sono state inserite tra le modalità per l'acquisto dell'indulgenza giubilare: la bolla Incarnationis mysterium attribuisce lo stesso valore delle pratiche tradizionali dei pellegrinaggi alla "visita ai fratelli in necessità, quasi un pellegrinaggio verso Cristo presente in loro".
Giubileo nelle carceri
Durante la giornata del Giubileo nelle carceri, che si tiene domenica 9 luglio, il Papa ripete tre volte l'appello a un 'segno di clemenza' in favore di 'tutti i detenuti', già rivolto alle autorità di governo di tutto il mondo con un messaggio pubblicato il 30 giugno: lo fa in apertura e in chiusura della celebrazione che presiede nel carcere romano di Regina Coeli e all'Angelus. Così parla nella seconda di tali occasioni: "So bene che ognuno di voi vive guardando al giorno in cui, espiata la pena, potrà riacquistare la libertà e tornare nella propria famiglia. Consapevole di ciò, nel messaggio che ho inviato al mondo intero per questa giornata giubilare, sulle orme dei miei predecessori e nello spirito dell'Anno Santo, ho invocato per voi un segno di clemenza, attraverso una 'riduzione della pena'. L'ho chiesto nella profonda convinzione che una tale scelta costituisce un segno di sensibilità verso la vostra condizione, capace di incoraggiare l'impegno del pentimento e di sollecitare il personale ravvedimento".
Durante quella stessa celebrazione il Papa fa ripetere, in una delle invocazioni della preghiera dei fedeli, lette dai detenuti, la richiesta dell'abolizione in tutto il mondo della pena di morte, qualificata come 'castigo indegno': mai Giovanni Paolo II era arrivato a usare - nella sua predicazione contro la pena capitale - un'espressione così drastica. Ma già ripetutamente aveva messo, tra gli obiettivi del Grande Giubileo, quello di ottenere quanto meno una moratoria delle sentenze capitali (la prima volta ne aveva parlato il 6 novembre 1998).
Non sono molti gli Stati che adottano 'gesti' di clemenza per i detenuti, in risposta all'appello papale - e tra essi non c'è l'Italia, che pure aveva fatto buona accoglienza alla sollecitazione a ridurre il debito estero - ed ecco che Giovanni Paolo II replica il suo appello il 4 novembre, in occasione del Giubileo dei responsabili della cosa pubblica.
Giornata mondiale della gioventù
Tra i grandi pellegrinaggi giubilari, il più vasto e coinvolgente - anche sul piano dei mass media - è quello dei giovani (15-20 agosto): due milioni di ragazzi, venuti da centocinquantanove paesi. Per una settimana reti televisive e giornali enfatizzano la 'sorpresa' costituita da quella massa di giovani così festosa e insieme così capace di concentrazione; descrivono il loro interminabile 'pellegrinaggio' alla tomba dell'apostolo Pietro, nella basilica vaticana, e la pazienza con cui si mettono in coda davanti ai trecento 'confessionali' del Circo Massimo, dove si alternano 2000 sacerdoti. Sono 250.000 i ragazzi che passano ogni giorno la Porta Santa di S. Pietro, dalle otto della mattina fino a mezzanotte, e poi si spargono per quello spazio ombroso e sterminato, a prendere il fresco distesi sul pavimento di marmo, a guardare statue e icone, ad ammirare la cupola di Michelangelo. Entrano in calzoncini e canottiere, con i vestiti appiccicati dal sudore e dagli idranti dei pompieri vaticani che li rinfrescano mentre fanno la coda sul sagrato: i 'sampietrini' (cioè i custodi della basilica) non li fermano, come invece fanno di solito con i turisti non adeguatamente abbigliati. I cronisti sono attirati soprattutto dai gruppi seduti in cerchio, libretto in mano, che leggono salmi o meditano il Vangelo. Nelle chiese, negli stadi, nelle piazze, sulle scalinate dei palazzi dell'EUR si tengono ogni giorno centosessanta catechesi in trentadue lingue. Infine la grande veglia con Giovanni Paolo II, la sera del 19 agosto nel campus di Tor Vergata, e la celebrazione conclusiva, nello stesso luogo, la mattina del 20. Delle quindici Giornate mondiali della gioventù che si sono tenute dal 1984 al 2000, questa - a giudizio dello stesso Pontefice - risulta 'la più completa'.
Incontro con le famiglie
Secondo per dimensione tra i pellegrinaggi giubilari è quello dei gruppi familiari, incentrato sull''incontro del Papa con le famiglie' del 14-15 ottobre. "Figli, primavera della famiglia e della società" era il tema del raduno, che ha portato a Roma 250.000 persone. "Non abbiate paura della vita!" ha detto Giovanni Paolo II ai papà e alle mamme, mentre riproponeva ai governi, ai Parlamenti e all'ONU il suo appello di sempre a "difendere il valore della famiglia e il rispetto della vita fin dal momento del concepimento".
I raduni del Grande Giubileo (da quello dei bambini a quello dei lavoratori, dei malati, degli sportivi, dei politici, degli artisti) sono stati anche un'occasione privilegiata per la predicazione del Papa ad extra e per le sue denunce dei mali dell'epoca. Ecco, per es., come ha stigmatizzato, durante il Giubileo delle famiglie, il contraddittorio atteggiamento postmoderno nei confronti dei figli: "La tendenza a ricorrere a pratiche moralmente inaccettabili nella generazione tradisce l'assurda mentalità di un 'diritto al figlio', che ha preso il posto del giusto riconoscimento di un 'diritto del figlio' a nascere e crescere in un modo pienamente umano [...] Proprio nei paesi di maggior benessere i bambini talvolta sono sentiti più come una minaccia che come un dono". E la loro situazione viene a essere "una sfida per l'intera società". "È essenziale" per i figli "poter contare su entrambe le vostre figure" ha detto ancora il Papa alle coppie e ha aggiunto un monito contro le rivendicazioni - in materia di procreazione assistita - da parte delle coppie omosessuali e dei single: "No, non è un passo avanti nella civiltà assecondare tendenze che mettono in ombra questa elementare verità e pretendono di affermarsi anche sul piano legale". Infine "la piaga del divorzio", con il bambino costretto a "dividere il suo amore tra genitori in conflitto". Ai credenti divorziati e risposati, il Papa ha ricordato "che non sono esclusi dalla comunità", poiché la Chiesa "senza tacere loro la verità del disordine morale oggettivo in cui si trovano, intende mostrare loro tutta la sua materna vicinanza".
Pellegrinaggio tradizionalista
Un pellegrinaggio di 6000 persone organizzato dalla Fraternità di san Pio X è a Roma per il Grande Giubileo, nei giorni 8 e 9 agosto: l'8 pomeriggio passano per la Porta Santa della basilica di S. Pietro e pregano all'altare di san Pio X. Il superiore generale della Fraternità, il vescovo svizzero Bernard Fellay, dice ai giornalisti che il pellegrinaggio era stato concordato con il Comitato per il Giubileo, afferma di non ritenere valida la scomunica che lo colpì nel giugno del 1988, all'atto della consacrazione episcopale, insieme al consacrante Marcel Lefebvre (morto nel marzo 1991) e agli altri tre vescovi consacrati con lui senza il mandato del Papa. Il vescovo tradizionalista riassume così le critiche all'attuale pontificato: "Indebolimento della tradizione cattolica, eccesso di cerimonie ecumeniche senza sufficiente avvertenza della differenza che passa tra la Chiesa cattolica e gli altri cristiani, indebito riconoscimento di colpe storiche che l'opinione pubblica attribuisce alla Chiesa e che invece vanno messe sul conto dei singoli cristiani che ne furono responsabili". Interrogato dai giornalisti, il Comitato per il Giubileo dichiara di essere "informato del pellegrinaggio e del suo programma". Un monsignore del Comitato, Giuseppe Conte, accompagna i pellegrini. Una messa viene celebrata per quella folla tradizionalista il 9 agosto, al Colle Oppio.
Che significato attribuire a questo inusitato pellegrinaggio, guidato da vescovi scomunicati e accolto senza battere ciglio dalle autorità vaticane? Ovviamente un Giubileo aperto alle Chiese non cattoliche, con ripetute celebrazioni ecumeniche - alle quali hanno partecipato ortodossi, anglicani, luterani e riformati - non poteva escludere la componente tradizionalista, che quanto meno è ancora interna alla Chiesa cattolica. Ma c'è dell'altro a spiegare la buona - benché silenziosa - accoglienza ufficiale del pellegrinaggio tradizionalista, che certamente sarebbe risultato impossibile solo dieci anni prima, per non dire sotto il pontificato di Paolo VI. È in corso - nell'ufficialità vaticana - un laborioso tentativo di riportare l'interpretazione attuativa del Concilio Vaticano II nell'alveo della tradizione, dal quale per certi aspetti era sembrata uscire, non solo per l'impeto innovatore di alcuni episcopati, ma anche per iniziativa dei Papi Montini e Wojtyla.
Per stare al Grande Giubileo, la Giornata del perdono e i due pellegrinaggi giubilari del Papa (durante il primo di essi, Giovanni Paolo II dal Cairo ha rilanciato il suo appello a tutte le Chiese cristiane perché l'aiutino a rivedere "le forme di esercizio storico" del papato, in modo che possa essere accettato da tutte) rientrano certamente tra le iniziative interpretabili come rottura con il passato. Ma nella seconda parte dell'Anno giubilare si sono moltiplicate le correzioni di rotta: insieme alla spinta al dialogo interreligioso ed ecumenico, è stata solennemente affermata la 'unicità' di Cristo e della Chiesa (dichiarazione Dominus Iesus) e insieme al Papa del Vaticano II, Giovanni XXIII, è stato beatificato il Papa del Vaticano I, Pio IX.
Oltre che in tali correzioni di rotta, il segno e il peso della tradizione curiale - mobilitata a bilanciare le novità wojtyliane - possono essere intravisti anche nella sovrabbondanza dei 'grandi eventi' e in taluni aspetti di gigantismo massmediatico, che hanno caratterizzato le dirette televisive, specie delle cerimonie di avvio del Grande Giubileo e delle giornate del pellegrinaggio giovanile. Per l'eccesso degli eventi basterà ricordare i cinque Congressi internazionali che sono stati inseriti nel calendario giubilare, senza alcuna ragionevole esigenza che non fosse quella di affollare la scena: Eucaristico (18-25 giugno), Mariano e Mariologico (15-24 settembre), Missiologico (17 ottobre), Missionario (18 ottobre), dell'Apostolato dei laici (24-26 novembre).
È opinabile, poi, il giudizio su quanti di questi eventi fossero realmente giustificati e quanti invece dettati da una logica quantitativa: Giubileo dei bambini (2 gennaio), degli ammalati e degli operatori sanitari (11 febbraio), degli artisti (18 febbraio), degli artigiani (19 marzo), dei lavoratori (1° maggio), degli scienziati (25 marzo), dei migranti e degli itineranti (2 giugno), dei giornalisti (4 giugno), dei docenti universitari (10 settembre), della terza età (17 settembre), degli sportivi (29 ottobre), dei governanti e dei parlamentari (4-5 novembre), del mondo agricolo (12 novembre), dei militari e della polizia (19 novembre), delle comunità con i disabili (3 dicembre), del mondo dello spettacolo (17 dicembre). Evidente ci pare, infine, il carattere puramente promozionale di una serie di appuntamenti riservati al mondo ecclesiastico: Giubileo della vita consacrata (2 febbraio), dei diaconi permanenti (20 febbraio), della Curia romana (22 febbraio), dei presbiteri (18 maggio), dei rappresentanti pontifici (15 settembre), dei vescovi (8 ottobre).
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Il nome Giubileo
Per la Chiesa cattolica il Giubileo è un'indulgenza plenaria solenne elargita dal Papa ai fedeli che si rechino a Roma e compiano particolari pratiche religiose. Il termine è di origine ebraica e deriva da yobel, alla lettera "capro" e per metonimia "il corno di capro" nel quale gli antichi sacerdoti soffiavano per annunziare l'inizio dell''anno del Giubileo'. San Girolamo tradusse il termine con annus iubileus, rapportandolo al latino iubilum, per significare la gioia connessa con i benefici assicurati da quella ricorrenza.
Nella tradizione biblica l'anno del Giubileo era, dopo il sabato e l'anno sabbatico, la terza delle istituzioni stabilite per il popolo ebraico per mezzo di Mosè, basate sul numero simbolico sette. Il sabato, memoria del settimo giorno in cui Dio aveva riposato dopo la creazione del mondo, era il giorno dedicato al riposo e al culto. L'anno sabbatico era il settimo di una serie di anni, nel quale dovevano essere sospesi i lavori dei campi, per garantire il riposo agli animali e agli uomini. L'anno del Giubileo era il settimo di sette anni sabbatici: "Dichiarerete santo l'anno cinquantesimo e proclamerete nella terra la liberazione per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un Giubileo. Ognuno ritornerà al suo patrimonio e alla sua famiglia [...] Il Giubileo sarà per voi cosa sacra; mangerete i prodotti del campo [...]" (Lev. 25, 10-11). L'anno giubilare, dunque, era quello della 'remissione', nel quale i campi e le case che erano stati alienati tornavano al primitivo proprietario e i debiti venivano annullati.
Con il cristianesimo le istituzioni ebraiche assunsero nuovi significati e le prescrizioni della legge furono interpretate in senso spirituale. La remissione non fu più intesa in senso materiale, ma divenne liberazione dai peccati, "condono", secondo l'espressione usata nelle Etimologie di Isidoro di Siviglia (7° secolo).
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Le origini: indulgenze e pellegrinaggi
Il primo grande Giubileo della chiesa cattolica fu indetto da Bonifacio VIII nel 1300. Gli elementi centrali che sono alla base di questa pratica devozionale, cioè l'indulgenza e il pellegrinaggio, facevano tuttavia parte della religiosità medievale già da tempo.
L'indulgenza è, secondo la definizione del diritto canonico, "la remissione dinanzi a Dio della pena temporale dovuta per i peccati già cancellati per quanto riguarda la colpa, che l'autorità ecclesiastica concede dal tesoro della Chiesa, per i vivi a modo di assoluzione e per i defunti a modo di suffragio". La sua storia si lega a quella delle pratiche penitenziali. Nei primi secoli del cristianesimo la disciplina penitenziale era stata assai dura e per alcuni peccati la riammissione nella Chiesa comportava espiazioni pubbliche assai lunghe; però, con la diffusione del cristianesimo e cessate le persecuzioni, la pratica penitenziale pubblica fu sentita sempre più come gravosa e umiliante. Si introdusse, perciò, dapprima nell'Irlanda, l'uso di una penitenza imposta dal confessore al peccatore secondo 'tariffe' di opere soddisfattorie, proporzionate per rigore e durata alla gravità delle colpe commesse: la pratica delle redemptiones, per cui una penitenza ineseguibile per lunghezza o per circostanze poteva essere sostituita con digiuni, preghiere e mortificazioni di uguale valore, si era già affermata nel 8° secolo. Nell'895, il Concilio di Trebur stabilì che anche alcuni atti di carità, come le donazioni e le elemosine, potessero essere assegnati dal confessore come pratiche di penitenza per scontare i peccati commessi. Verso la metà dell'11° secolo, apparvero le 'remissioni generali', cioè condoni di un periodo di pene temporali applicabili a tutti quei fedeli che, per es., compissero un pellegrinaggio, o dessero particolari elemosine, senza che fosse il confessore a stabilire per un singolo peccatore le condizioni del riscatto della pena. L'indulgenza plenaria fu concessa per la prima volta nel 1095 da Urbano II ai Crociati e fu poi estesa alle loro mogli, ai finanziatori, ai predicatori e infine anche a quelli che combattevano contro gli eretici e i nemici della Chiesa in genere. In occasione della seconda crociata, nel 1146, san Bernardo parlò di annus remissionis, definendolo anche annus vere iubileus. Il termine Giubileo era quindi già usato come sinonimo di indulgenza.
Indulgenze speciali si potevano acquistare, o 'lucrare' come si iniziò a dire con termine mutuato dal linguaggio commerciale e mercantile, visitando la tomba di san Pietro in occasione di determinate festività liturgiche, come il Giovedì santo o l'Ascensione, o assistendo, sempre in S. Pietro, all'annuale ostensione della reliquia della Veronica. Il concetto di indulgenza era dunque già fortemente connesso con quello del pellegrinaggio a Roma, ancor prima della proclamazione del primo Giubileo del 1300.
La pratica del pellegrinaggio, parzialmente mutuata dal rituale ebraico della visita al Tempio di Gerusalemme, risaliva ai tempi più antichi del cristianesimo. Eusebio di Cesarea attesta che già prima dell'era costantiniana era in uso tra i cristiani recarsi in Palestina, per venerare i luoghi e le cose sacre per il ricordo di Cristo e dei suoi apostoli e trarre da questa visita incremento spirituale. Naturalmente l'usanza si affermò ancora di più a partire dal 4° secolo, a seguito della libertà di culto concessa ai cristiani da Costantino. I luoghi più visitati erano il Santo Sepolcro e il monte degli Olivi a Gerusalemme, Betlemme, Betania.
Assai precocemente, tuttavia, divenne meta di numerosissimi pellegrini anche Roma, luogo del martirio di san Pietro, di san Paolo e di altri santi assai venerati, come per es. san Lorenzo. Il numero di coloro che visitavano Roma crebbe enormemente dopo che, grazie all'azione missionaria di Gregorio Magno, fecero grandi progressi la cristianizzazione dell'Europa e la conversione al cattolicesimo degli ariani, e aumentò poi, ancora di più, dopo il 638, quando, essendo caduta Gerusalemme nelle mani degli arabi, la visita in Palestina diventò sempre più difficile. Fu quindi Roma, città santa dell'Occidente, nella quale il contatto con il sacro era assicurato dalla presenza delle numerose e straordinarie reliquie che custodiva, a divenire la meta d'elezione dei pellegrinaggi medievali.
Il pellegrinaggio dei 'romei' (il termine compare nella Vita Nova di Dante che precisa: "chiamansi romei in quanto vanno a Roma") poteva essere individuale o collettivo e si svolgeva secondo una prassi consolidata dalla tradizione. Prima di partire, il pellegrino riceveva dal vescovo o dal parroco della sua diocesi una speciale benedizione che veniva impartita anche agli indumenti che indossava e che lo differenziavano dagli altri viaggiatori: una veste di lana grezza, o saio, con una mantellina, o pellegrina, sulle spalle, un cappello a larghe falde legato sotto il mento, o petaso, un cinturone sui fianchi, i calzari ai piedi. Completavano l'attrezzatura il bordone, bastone dotato di una punta in ferro al quale era appesa una zucca vuota che serviva da fiaschetta per l'acqua, e la bisaccia per tenere le carte e il denaro. Il viaggio, compiuto su carri o a cavallo o a dorso di mulo o il più delle volte a piedi e costantemente accompagnato da canti di inni o dalla recita di salmi, seguiva percorsi prestabiliti, con soste presso i santuari più importanti che si incontravano nell'itinerario. Ogni pellegrinaggio era contraddistinto dal suo distintivo: il romeo appuntava sulla sua veste una placchetta metallica con l'effigie della Veronica o volto santo, i pellegrini verso Gerusalemme una palma e quelli che si recavano a Santiago di Compostela in Galizia, altra meta famosa di pellegrinaggi medievali, una conchiglia.
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I luoghi: le quattro basiliche e la Porta Santa
Nella bolla di indizione del primo Giubileo, Bonifacio VIII stabilì che potessero acquistare l'indulgenza plenaria coloro che avessero visitato, per trenta giorni se romani, per quindici giorni se forestieri, le basiliche di S. Pietro e di S. Paolo. Furono dunque queste chiese i primi due luoghi consacrati alla pratica giubilare, per altro già meta principale del pellegrinaggio dei romei. Le tombe di Pietro e Paolo, infatti, erano venerate dai tempi più antichi del cristianesimo e assai presto avevano ricevuto una sistemazione che consentiva di distinguerle da quelle vicine. Alla fine del 2° secolo, in una lettera del presbitero romano Gaio, si parla con fierezza di monumenti commemorativi degli apostoli: "se vorrai andare al Vaticano e sulla via Ostiense troverai i trofei di coloro che fondarono questa chiesa".
Gli scavi archeologici condotti sotto l'altare maggiore della basilica vaticana hanno consentito di individuare il primo dei 'trofei' menzionati da Gaio, costituito da un'edicola formata da due nicchie sovrapposte, addossata a un muro fittamente coperto da graffiti cristiani. All'epoca di Costantino l'edicola fu inglobata in un monumento di marmo e porfido, al di sopra del quale fu impiantata, superando notevoli difficoltà di carattere giuridico e tecnico, la più grande delle basiliche costantiniane, destinata a suscitare l'ammirazione di schiere di pellegrini fino a quando, nel corso del 16° secolo, fu demolita per far posto alla chiesa attuale. I pellegrini che si recavano a S. Pietro, tuttavia, non avevano come unico oggetto di venerazione la tomba dell'apostolo. Infatti nella basilica era conservata anche la più rinomata reliquia di Cristo che si conservava in Occidente, la Veronica, il santo sudario, che secondo la tradizione sarebbe stato porto a Cristo, durante la salita al Calvario, da una pia donna chiamata appunto Veronica (in realtà il nome è storpiatura di 'vera icona'), perché si asciugasse il volto sudato e insanguinato: i tratti divini sarebbero rimasti impressi nella stoffa. La devozione per questa reliquia, attestata dall'11° secolo e di cui sono testimonianza versi famosi di Dante e Petrarca, fu vivissima: la Veronica era un fulcro di attrazione per i pellegrini, ai quali veniva mostrata ogni mercoledì, giovedì e sabato di Quaresima, all'Ascensione, nella festa del nome di Gesù e nella domenica successiva all'ottava dell'Epifania. Durante il Giubileo era esposta ogni venerdì e domenica e durante le feste liturgiche in corso.
Anche sul luogo della tomba di san Paolo sull'Ostiense Costantino fece erigere una basilica, più piccola di quella vaticana, che fu sostituita da una di più grandiose proporzioni alla fine del 4° secolo. Accanto alla chiesa si stabilì un monastero e la zona fu un centro monastico-feudale di grande rilievo per tutto il Medioevo. Nel 9° secolo il borgo fu cinto da mura, per proteggerlo dagli assalti dei Saraceni, e fu chiamato Giovannipoli dal nome di Papa Giovanni VIII. La basilica paleocristiana, a parte alcuni rifacimenti e alcune aggiunte, rimase immutata fino al 1823, quando un incendio la distrusse quasi completamente. Leone XII la fece ricostruire, seguendo le dimensioni e la pianta originale.
Alla prescritta visita alle due basiliche apostoliche, in occasione del secondo Giubileo, nel 1350, si aggiunse quella a S. Giovanni in Laterano, chiesa cattedrale di Roma, e come tale 'Madre e capo di tutte chiese'. Anche questa basilica, inizialmente intitolata al Salvatore, era stata costruita, con il vicino battistero, da Costantino. Per tutto il Medioevo, fino al periodo avignonese, fu la sede del Papa e il centro della vita della Chiesa. Da qui Bonifacio VIII indisse il primo Giubileo.
S. Maria Maggiore fu aggiunta all'elenco delle basiliche da visitare per l'Anno Santo da Bonifacio IX nel 1390, in modo da includere nell'itinerario un luogo di culto mariano. Nella basilica dell'Esquilino, sorta alla metà del 4° secolo e ricostruita nel 5° al termine del Concilio di Efeso, era custodita una reliquia particolarmente venerata: la mangiatoia di Gesù Bambino, portata da Betlemme dai monaci che si rifugiarono a Roma dopo la caduta di Gerusalemme in mano agli arabi.
Caratteristica delle quattro basiliche patriarcali è la presenza della Porta Santa, un ingresso speciale riservato all'Anno Santo, la cui apertura segna l'inaugurazione del Giubileo stesso. La Porta Santa raffigura la Porta del Paradiso, alla quale hanno accesso solo i fedeli che cercano la salvezza attraverso un percorso di grazia; il simbolismo fa riferimento alla frase di Gesù "Io sono la porta: chi entrerà attraverso di me sarà salvo" (Giovanni 10, 9). La prima notizia riguardo a quest'uso si riferisce alla basilica del Laterano e risale al 1423, quando un cronista di Viterbo, Niccola della Tuccia, scrive: "Papa Martino fe' poi aprire la porta santa di S. Joanni"; notizie più precise vengono per il Giubileo successivo, quello del 1450, da Giovanni Rucellai, ricco mercante fiorentino che raccolse le impressioni del suo pellegrinaggio romano in uno Zibaldone indirizzato ai figli: "Delle cinque porte [del Laterano] ve n'è una che di continuo sta murata, eccetto che l'anno del Giubileo, che si smura per Natale, quando comincia il Giubileo; ed è tanta la divozione che le persone hanno nei mattoni e nei calcinacci che subito come è smurata a furia di popolo sono portati via [...] e per detta divozione ciascuno che va al perdono passa per detta porta la quale si rimura subito finito il Giubileo". L'uso di riservare una porta ai pellegrini dell'Anno Santo fu esteso alle altre basiliche nel 1500 da Alessandro VI. Nello stabilire il cerimoniale dei riti di inizio e di fine del Giubileo, che da allora in poi sarebbe rimasto sostanzialmente immutato, Alessandro VI lo incentrò proprio sull'apertura e la chiusura delle Porte Sante, quella di S. Pietro da parte del Papa stesso, quelle delle altre basiliche da parte di cardinali legati. Nel Giubileo del 2000, per la prima volta, è stato il Papa ad aprire tutte e quattro le Porte Sante.
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Giubilei ordinari e straordinari
Nel promulgare il Giubileo, Bonifacio VIII fissò la sua ricorrenza ogni 'centesimo anno' a partire dal 1300. Il periodo fu dimezzato, portandolo a cinquant'anni, da Clemente VI, che proclamò il secondo Giubileo per il 1350, e ancora ridotto a trentatré anni, quelli della vita di Cristo, da Urbano VI, che nell'adottare tale decisione fu spinto anche dalla considerazione che gli uomini 'debilitati dalle lunghe contagioni', e in maniera particolare dalla peste che in quel periodo era assai diffusa in tutte le regioni d'Europa, spesso non arrivavano a cinquant'anni e restavano quindi privi dell'opportunità di lucrare l'indulgenza giubilare. Poiché il provvedimento di Urbano VI fu preso quando erano già trascorsi più di trentatré anni dal 1350, il terzo Giubileo fu indetto per il 1390. Seguendo la nuova periodicità nel 1400 non si sarebbe dovuto celebrare alcun Giubileo e fu piuttosto la pietà popolare a imporlo; non vi fu peraltro per quell'anno nessuna bolla d'indizione. Il Giubileo successivo fu celebrato trentatré anni dopo il 1390, nel 1423. Niccolò V, nel 1450, tornò alla data cinquantennale e infine Paolo II a partire dal 1475 fissò in venticinque anni il periodo compreso fra due Giubilei, e tale norma da allora in poi rimase in vigore, con le sole due eccezioni dei Giubilei del 1800 e del 1850, che non furono indetti.
Complessivamente, con quello del 2000, i Giubilei ordinari sono stati ventisei. Oltre a questi, a partire dal 16° secolo, sono stati celebrati settantaquattro Giubilei straordinari, indetti da vari pontefici per impetrare uno speciale aiuto divino in momenti di massima gravità per la Chiesa universale o per determinate nazioni, oppure per celebrare particolari solennità o il proprio anniversario sacerdotale o episcopale; di durata variabile da pochi giorni ad alcuni mesi, spesso hanno avuto valore limitato a specifiche chiese locali. Vi sono poi dei Giubilei straordinari legati a singole località, come per es. quello che si celebra a Santiago di Compostela quando il 25 luglio, festa di san Giacomo, cade di domenica. 'Straordinari fra gli ordinari' si devono considerare invece i due Anni Santi indetti da Pio XI nel 1933 e da Giovanni Paolo II nel 1983, rispettivamente per il 1900° e il 1950° anniversario della morte di Cristo e chiamati Anni Santi della Redenzione; essi, infatti, hanno avuto come i Giubilei ordinari durata annuale e valore universale e hanno visto anche l'apertura delle Porte Sante.
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Gli Anni Santi dal 1300 al 1975
1300
La bolla d'indizione del primo Giubileo, Antiquorum habet, fu promulgata da Bonifacio VIII il 22 febbraio, festa della Cattedra di san Pietro, in risposta a un diffuso movimento di massa che già dal Natale precedente aveva portato a Roma migliaia e migliaia di pellegrini, spinti dalla convinzione che con la visita alla tomba dell'apostolo avrebbero potuto acquistare una completa remissione di tutte le colpe. Da fonti coeve (il cardinale Iacopo Gaetano Stefaneschi, il cronista Giovanni Villani) sappiamo che l'affluenza di romei si mantenne altissima per tutto l'anno, fino a raggiungere complessivamente i due milioni, cifra tanto più impressionante se rapportata al numero degli abitanti della città che si aggirava allora sui 20.000. Fra i tanti pellegrini, assai probabilmente vi fu anche Dante.
1350
Clemente VI indisse il secondo Giubileo con la bolla Unigenitus Dei filius da Avignone, sollecitato da un'ambasceria di romani, della quale faceva parte Cola di Rienzo; deludendo tutte le aspettative non fece tuttavia ritorno a Roma. Nonostante l'assenza del Papa e le condizioni catastrofiche in cui versava la città, colpita anche dalla peste e da un terremoto, il numero di pellegrini fu molto elevato. Pellegrini illustri furono Petrarca e santa Brigida di Svezia.
1390
La bolla d'indizione del terzo Giubileo, Salvator noster unigenitus, fu promulgata da Urbano VI. Essendo questi, però, morto prima dell'inizio dell'anno, il Giubileo fu celebrato da Bonifacio IX. Si era in pieno scisma di Occidente e si recarono a Roma solo i pellegrini che riconoscevano il Papa italiano: nel complesso un numero molto limitato.
1400
Bonifacio IX celebrò anche il Giubileo del 1400, per il quale non ci fu bolla d'indizione, ma che fu piuttosto la conseguenza de facto della straordinaria affluenza di romei, spinti da una devozione che la cadenza secolare sembrava acuire e alla quale non era estraneo lo sconforto per la triste situazione in cui si trovava la Chiesa, divisa in due sedi apostoliche. Particolarmente imponente fu il pellegrinaggio dei Bianchi, un movimento di flagellanti proveniente dal Piemonte che nel suo passaggio per l'Italia coinvolse intere masse di popolo.
1423
Conclusosi lo Scisma d'Occidente con il Concilio di Costanza, Martino V celebrò con un Giubileo il suo trionfale ritorno a Roma, contando trentatré anni da quello del 1390 e non considerando ordinario quello del 1400. La bolla d'indizione non è conservata e molto probabilmente non fu emessa. Un significativo esempio di carità giubilare e di appassionata predicazione fu offerto in quest'anno da santa Francesca Romana e da san Bernardino da Siena.
1450
Indetto da Niccolò V con la bolla Immensa et innumerabilia, questo Giubileo meritò l'appellativo di 'Anno d'oro', sia per il numero di pellegrini sia per l'intensa attività economica che si accompagnò agli aspetti religiosi. L'avvenimento più saliente fu, il 24 maggio, la canonizzazione di san Bernardino da Siena, alla quale parteciparono, oltre a moltissimi altri fedeli, più di 3000 frati, venuti da ogni parte d'Europa. Fra questi ve ne erano quattro che a loro volta sarebbero saliti alla gloria degli altari: Giovanni da Capestrano, Diego d'Alcalà, Pietro Relegato, Giacomo della Marca. Altri futuri santi che visitarono Roma in quell'anno furono santa Caterina Vegri di Bologna, sant'Antonino Pierozzi, arcivescovo di Firenze e, forse, santa Rita da Cascia.
1475
Stabilito da Paolo II nel 1470, il Giubileo del 1475 fu indetto da Sisto IV con la bolla Quemadmodum operosi, che fu la prima pubblicata a stampa, sia in latino sia in italiano. Vennero sospese tutte le indulgenze fuori di Roma, a eccezione di quelle consentite a Ferdinando d'Aragona e a Isabella di Castiglia, che poterono lucrare il Giubileo in Spagna, e ai cittadini di Bologna ai quali a causa della peste fu concesso, da maggio a Natale, di celebrare il Giubileo in quattro chiese della loro città.
1500
Promulgato da Alessandro VI con la bolla Inter multiplices, fu il primo ufficialmente denominato 'Anno Santo'. Alessandro VI volle conferire un carattere di forte impatto simbolico alle cerimonie giubilari, che fino ad allora non avevano seguito rituali specifici, e in particolare, coadiuvato dal Maestro della cappella papale, Giovanni Burcardo, stabilì i solenni riti di inaugurazione e di conclusione, incentrati sull'apertura e la chiusura delle Porte Sante nelle quattro basiliche maggiori.
1525
Quando Clemente VII con la bolla Inter sollicitudines indisse l'Anno Santo del 1525, già era dilagato il protestantesimo con la sua ferma condanna della pratica delle indulgenze. Per questa ragione e per la difficile situazione politica, con l'Italia stravolta dalle guerre combattute fra gli eserciti spagnoli di Carlo V e quelli francesi di Francesco I, le celebrazioni ebbero un tono dimesso con una partecipazione assai scarsa.
1550
L'Anno Santo 1550 ebbe inizio in ritardo, a febbraio. Nell'ottobre 1549 era infatti morto Paolo III e il conclave per l'elezione del nuovo Papa si protrasse per tre mesi. Appena eletto, Giulio III indisse il Giubileo con la bolla Si pastores ovium, intendendolo anche, in clima di Concilio tridentino, come importante risposta cattolica alla protesta luterana. In quell'anno furono presenti a Roma sant'Ignazio di Loyola e san Filippo Neri.
1575
Con il Giubileo del 1575, indetto da Gregorio XIII con la bolla Dominus ac Redemptor, il primo celebrato dopo la conclusione del concilio di Trento, si volle dare una dimostrazione del nuovo clima spirituale instauratosi nella Chiesa. La preparazione, che vide a fianco del Papa san Carlo Borromeo, fu particolarmente accurata in modo che la città potesse offrire ai pellegrini un'immagine inedita di austerità e di rigore, lontana dagli sfarzi e dalle mondanità che avevano caratterizzato la prima metà del secolo. Per questo motivo furono aboliti i festeggiamenti del Carnevale e tutte le altre manifestazioni del genere.
1600
L'Anno Santo 1600, la cui bolla d'indizione si intitola Annus Domini placabilis, si aprì con qualche giorno di ritardo a causa di una malattia del Papa Clemente VIII. Nonostante la sua salute cagionevole, questi per tutto l'anno volle essere esempio di fervore devozionale, compiendo la visita alle quattro basiliche sessanta volte invece delle trenta prescritte e recandosi in numerosissime occasioni alla Scala Santa, e di caritatevole abnegazione, distribuendo elemosine e ospitando alla sua mensa ogni giorno dodici poveri, che serviva personalmente. Il 16 febbraio di quell'anno fu bruciato sul rogo di Campo de' Fiori Giordano Bruno.
1625
Il Giubileo fu indetto da Urbano VIII con la bolla Omnes gentes plaudite manibus. Per la prima volta il Papa stabilì che alcune categorie di fedeli (monaci e suore di clausura, carcerati, infermi), impossibilitati a muoversi dalla loro sede per gravi motivi, potessero acquistare l'indulgenza giubilare a determinate condizioni, restando nella loro sede. A Roma, a causa della peste che imperversava soprattutto nelle zone meridionali della città, la visita a S. Paolo fu sostituita con quella a S. Maria in Trastevere. Nonostante l'epidemia, i riti giubilari furono improntati a teatrale fastosità.
1650
Protagonista dell'Anno Santo 1650, indetto da Innocenzo X con la bolla Appropinquat dilectissimi filii, fu la volitiva cognata del Papa, Donna Olimpia Maidalchini, la figura più potente della Roma del momento che esercitava sull'anziano pontefice un'influenza fortissima. Fu lei a curare l'organizzazione dell'anno giubilare, suscitando non poche critiche. Nonostante si fosse appena conclusa la guerra dei Trent'anni e fosse ancora in atto quella tra Spagna e Francia, l'affluenza di pellegrini fu rilevante.
1675
Clemente XII indisse il quindicesimo Giubileo ordinario con la bolla Ad apostolicae vocis oraculum. Fu un Anno Santo in tono minore, quasi gravato da un'atmosfera di ripetitiva normalità, nonostante non mancassero alcuni eventi spettacolari, soprattutto le processioni organizzate dagli spagnoli. La pellegrina più illustre fu la regina Cristina di Svezia, che da alcuni anni si era trasferita a Roma.
1700
Il Giubileo del 1700, indetto da Innocenzo XII con la bolla Regi saeculorum, è stato l'unico svoltosi sotto due pontificati. Infatti Innocenzo XII, che per motivi di salute non aveva neanche potuto partecipare alla cerimonia di apertura, morì a settembre. La Porta Santa di S. Pietro fu chiusa dal suo successore, Clemente XI. Un violento straripamento del Tevere, rendendo impraticabile la via Ostiense, isolò la basilica di S. Paolo, escludendola dal giro giubilare. Anche in quest'anno fra i pellegrini spiccò una regina, Maria Casimira di Polonia.
1725
Annunciato da Benedetto XIII con la bolla Redemptor et Dominus noster, il Giubileo del 1725 fu fortemente legato alla personalità del Pontefice, che insistette molto sugli aspetti religiosi e devozionali a scapito di cortei, sfarzi e apparati. L'affluenza fu però modesta, ancora minore che nei già ridimensionati Giubilei precedenti.
1750
In pieno secolo dei Lumi, in risposta agli strali dei filosofi illuministi (è di Voltaire l'affermazione: "ancora un Giubileo! eppure se ne è fatta di filosofia"), Benedetto XIV volle che l'Anno Santo, indetto con la bolla Peregrinantes a Domino, si presentasse come momento esemplare di vita religiosa e di approfondimento di fede, al di fuori di ogni forma spettacolare e profana. Furono convocati a Roma i più rinomati predicatori dell'epoca, fra i quali si distinse in particolare fra Leonardo da Porto Maurizio. Per iniziativa di questi per la prima volta si svolse una solenne Via Crucis al Colosseo, che in quell'anno il Papa consacrò alla passione di Cristo e al ricordo dei martiri.
1775
L'Anno Santo 1775 fu indetto da Clemente XIV con la bolla Salutis nostrae auctor ma, essendo il Papa morto nel 1774, fu inaugurato in ritardo, il 26 febbraio, da Pio VI. La propaganda illuminista e l'anticlericalismo crescente fecero sentire i loro effetti: le presenze di pellegrini a Roma furono nel complesso quanto mai modeste.
1825
Il Giubileo del 1825 fu celebrato a distanza di cinquant'anni dal precedente. Infatti nel 1800 l'occupazione francese di Roma, con la proclamazione della Repubblica Romana e la deportazione del Papa in Francia, non aveva reso possibile l'indizione dell'Anno Santo. Leone XII volle promulgare quello del 1825, con la bolla Quod hoc ineunte, nonostante il timore che con i pellegrini potessero giungere a Roma sostenitori delle idee carbonare. L'intento era quello di fare della città "una santa Gerusalemme, città sacerdotale e regia". Fra i provvedimenti presi a tal fine, il più inconsueto fu l'apposizione di cancelli alle osterie.
1875
Nel 1850 Pio IX, che durante la Repubblica Romana di Mazzini, Armellini e Saffi aveva trovato rifugio nel Regno di Napoli, fece ritorno a Roma solo in aprile e non indisse il Giubileo. Anche quello del 1875, promulgato con la bolla Gravibus ecclesiae, fu celebrato da Pio IX, 'prigioniero' in Vaticano, in forma ridotta, senza l'apertura delle Porte Sante. La cerimonia di inaugurazione fu tenuta alla sola presenza del clero romano e nel corso dell'anno non si ebbe nessun pellegrinaggio di rilievo.
1900
Pur non essendo stata ancora risolta la questione romana, Leone XIII indisse, con la bolla Properante ad exitum saeculo, l'Anno Santo 1900 sia per dare un segno visibile del ruolo di guida che la Chiesa voleva mantenere sia come atto di distensione verso il Regno d'Italia. Complessivamente il Giubileo fu un successo, con un'affluenza elevata, soprattutto in occasioni particolarmente solenni come le canonizzazioni di san Giovanni Battista de la Salle e di santa Rita da Cascia. Il 20 settembre il capo della Massoneria, il futuro sindaco di Roma Ernesto Nathan, organizzò un antigiubileo, con visita alle 'quattro basiliche laiche': Pantheon, Gianicolo, Campidoglio, Porta Pia.
1925
Indetto con la bolla Infinita Dei misericordia da Pio XI, l'Anno Santo 1925 fu consacrato all'unità fra i popoli e all'apostolato missionario. La facilità di raggiungere Roma assicurata dai nuovi mezzi di trasporto determinò una crescita eccezionale del numero di pellegrini, ma contemporaneamente fece sì che il pellegrinaggio giubilare perdesse il carattere di sacrificio e penitenza individuale per acquistare piuttosto quello di omaggio collettivo al Papa.
1950
Il Giubileo del 1950 fu indetto da Pio XII con la bolla Iubilaeum maximum e vide un afflusso di quasi tre milioni di pellegrini. Per facilitare l'acquisto dell'indulgenza, fu ridotta a una la visita a ciascuna basilica. L'evento più saliente fu la proclamazione del dogma dell'Assunzione in cielo della Beata Vergine, avvenuta il 1° novembre alla presenza di vescovi di tutto il mondo e di centinaia di migliaia di fedeli.
1975
Paolo VI indisse l'Anno Santo 1975 con la bolla Apostolorum limina e lo incentrò sul tema del rinnovamento e della riconciliazione. La cerimonia di apertura fu trasmessa in diretta in mondovisione. Le modalità di acquisto delle indulgenze furono ancora semplificate, bastando la visita a una sola basilica. Alla chiusura dell'Anno Santo il Papa concesse l'indulgenza plenaria anche a chi seguiva il rito per radio o per televisione.
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Testimonianze letterarie
Lo scrittore della cancelleria papale Silvestro accluse alle copie della bolla d'indizione del primo Giubileo una circolare di spiegazione, completandola con tre versi, destinati a divenire famosi in quanto recitati dai pellegrini durante il cammino verso Roma: "Annus centenus Romae semper est iubileus / crimina laxantur cui poenitet ista donantur / hoc declaravit Bonifacius et roboravit". Da allora, numerosi sono stati gli scritti dedicati ai Giubilei da parte di poeti, cronisti o pellegrini più o meno illustri che hanno registrato le impressioni del loro viaggio.
Al Giubileo di Bonifacio VIII si riferiscono alcuni versi dell'Inferno di Dante nei quali il procedere in senso opposto delle due schiere dei peccatori della prima bolgia è paragonato a quello dei pellegrini che sul ponte Sant'Angelo, durante il Giubileo, si incrociano gli uni andando verso S. Pietro, gli altri facendone ritorno diretti a Monte Giordano: "come i Roman per l'essercito molto, / l'anno del Giubileo, su per lo ponte / hanno a passar la gente modo colto / che da l'un lato tutti hanno la fronte / verso 'l castello e vanno a Santo Pietro; / da l'altra sponda vanno verso il monte" (Inf. 18, 28-33). Non necessariamente riferiti all'Anno Santo, ma comunque relativi a una delle sue pratiche devozionali più sentite, l'ostensione della Veronica, sono i versi famosi in cui Dante paragona sé stesso in contemplazione del volto di san Bernardo al pellegrino venuto dalla lontana Croazia per vedere la sembianza di Cristo nell'immagine della Veronica: "Qual è colui che forse di Croazia / viene a veder la Veronica nostra / che per l'antica fame non sen sazia / ma dice nel pensier, fin che si mostra: / "Segnor mio Iesù Cristo, Dio verace, / or fu sì fatta la sembianza vostra?"" (Par. 31, 103-08).
Alla Veronica allude anche un celebre sonetto di Francesco Petrarca: "Movesi il vecchierel canuto et biancho / del dolce loco ov'à sua età fornita / … / et viene a Roma, seguendo 'l desio, / per mirar la sembianza di Colui / ch'ancor lassù nel ciel vedere spera". Del suo pellegrinaggio giubilare nel 1350 Petrarca parla con commozione in varie lettere ad amici, fra cui Giovanni Boccaccio.
Poesie celebrative del Giubileo furono composte da Gabriello Chiabrera (Il Giubileo di Papa Urbano VIII, 1625), da Vincenzo da Filicaia (Lauda per i pellegrini, 1700) e da Giovanni Pascoli, che in occasione dell'Anno Santo 1900 dedicò a Leone XIII un'ode intitolata La Porta Santa: "Uomo, che quando fievole / mormori, il mondo t'ode / scingi il grembiul tuo bianco, / mite schiavo di Dio: / la Porta ancor vaneggi! / vogliono ancor, le greggi / meste, passar di là. / Non ci lasciar nell'atrio / del viver nostro, avanti / la Porta chiusa, erranti / come vane parole".
Non tutti gli autori, però, hanno trattato del Giubileo con venerazione e devozione. Non mancano le note critiche o irridenti. Esempio più rilevante delle prime fu un libretto d'ispirazione luterana che ebbe vasta diffusione in Germania nel corso del 16° secolo: intitolato Dell'Anno giubilare, mirava a convincere i lettori dell'inutilità del viaggio a Roma. In quanto ai testi satirici vanno ricordati, come esemplari, i quattro sonetti che Giuseppe Gioachino Belli compose in occasione del Giubileo straordinario indetto da Gregorio XVI nel 1832. Essi sono intitolati L'Anno Santo, Er zanatoto ossi er giubbileo, Er giubbileo 1 e Er giubbileo e hanno tutti come tema centrale l'ipocrisia di una pratica religiosa che nella disinvolta interpretazione popolare diventa occasione di peccare allegramente, sicuri di essere subito perdonati: "Beato in tutto st'anno chi ha ppeccati, / ché a la cuscienza nun je resta un gneo! / tu vvà a le sette cchiese sorfeggianno, / mettete in testa un po' de scenneraccio / e ttienghi er paradiso ar tu' commanno".