Giudaismo
di Louis Jacobs
Giudaismo
sommario: 1. Introduzione. 2. Movimenti. a) Ortodossia. b) Riforma. c) Giudaismo conservatore. d) Ricostruzionismo. e) Sionismo. 3. Il pensiero del giudaismo. 4. La scienza del giudaismo. 5. Il diritto del giudaismo. 6. Osservazioni conclusive. □ Bibliografia.
1. Introduzione
Non si può comprendere il giudaismo, la religione del popolo ebraico, se si prescinde dalla storia degli Ebrei. All'alba del XX secolo, la più vasta concentrazione di Ebrei si trovava nell'Europa orientale: Russia, Polonia, Lituania, Lettonia, Romania, Ungheria e Austria. Nonostante i notevoli progressi compiuti dal processo di secolarizzazione (orientato in senso socialista), in questi paesi il modello tradizionale della vita religiosa ebraica era ancora assai forte, fermamente radicato com'era nella dottrina biblica interpretata nel Talmud e codificata nel Shuléàn ‛Àrùkh (‛Mensa Apparecchiata'), il codice fondamentale redatto nel XVI secolo.
Ma dopo la rivoluzione russa del 1917, circa tre milioni di Ebrei sovietici furono quasi interamente tagliati fuori da qualsiasi contatto diretto con la vita ebraica delle altre parti del mondo, e quindi col giudaismo, fino al risveglio dell'identità ebraica negli anni sessanta che si manifestò, non senza serie difficoltà, in una corrente migratoria ebraica dall'Unione Sovietica verso Israele.
Sin dalla metà del XIX secolo gli Ebrei dell'Europa occidentale avevano goduto dei frutti dell'emancipazione ebraica. In particolar modo, nella Germania del primo Novecento, il problema che occupava lo spirito dei pensatori ebrei più acuti era quello di come preservare una qualche forma della fede giudaica nel clima della società occidentale, con le sfide ch'essa lanciava in campo intellettuale, culturale e sociale alla religione in generale e a un'antica fede come il giudaismo in particolare. Il problema fu profondamente sentito anche dalle comunità ebraiche di altri paesi occidentali: Francia, Gran Bretagna, Italia, Belgio, Olanda, Svizzera e Scandinavia.
Le comunità ebraiche del continente americano, eredi di tutte le tensioni generate nelle loro terre d'origine (i paesi dell'Europa orientale e la Germania), agli inizi del secolo stavano crescendo rapidamente. Vi erano piccoli gruppi di Ebrei anche in Australia e Nuova Zelanda e un raggruppamento più vasto in Sudafrica. La grande maggioranza di queste comunità ebraiche apparteneva agli Ashkenaziti (da Ashkånaz, antico nome della Germania nel giudaismo medievale). L'altro gruppo erano i Sefarditi (da Såphàrad, l'antico nome della Spagna). Sebbene gli Ashkenaziti e i Sefarditi differiscano in taluni usi liturgici e riti religiosi, la divisione non ha una base dottrinale, ma è fondata sulla distribuzione geografica degli antenati dei due gruppi, ciascuno dei quali aveva seguito i ‛costumi dei padri'.
All'inizio del secolo gli Ebrei Sefarditi erano localizzati essenzialmente in Turchia, nei Balcani, in India e nei territori arabi. Fra queste comunità l'influenza dell'Islàm fu assai più avvertita che quella del cristianesimo. Per esempio la poligamia, vietata sin dal Medioevo fra gli Ashkenaziti, veniva ancora praticata presso taluni gruppi Sefarditi. Nel giudaismo del Novecento, quindi, la riflessione sui problemi connessi con l'adattamento alla società occidentale riguardava quasi esclusivamente gli Ashkenaziti.
Sebbene la consistenza dell'immigrazione ebraica vi fosse agli inizi del secolo relativamente modesta, già allora un gran numero di Ebrei vedeva nella Palestina la propria patria potenziale, e tale infine divenne dopo la dichiarazione Balfour del 1917 e in modo più concreto nel 1948, dopo la costituzione dello Stato di Israele.
La costituzione dello Stato di Israele e l'Olocausto, che la precedette, furono i due eventi che determinarono una drastica ridistribuzione geografica degli Ebrei e provocarono una rivoluzione senza precedenti nel pensiero ebraico. L'Olocausto (in ebraico shō'àh, o anche éurbàn, ‛distruzione', termine usato nella letteratura ebraica antica per la distruzione del Tempio nell'anno 70), in cui perirono sei milioni di Ebrei (un terzo della popolazione ebraica mondiale), fu il tragico epilogo della ‛soluzione finale' nazista del problema ebraico. È una grossolana sottovalutazione definire traumatico l'effetto che l'Olocausto ebbe sugli Ebrei. Questa terribile sciagura sollevò problemi teologici che molti avevano perfino timore di porsi, come per es. quello dei destini della fede in un Creatore benevolo e nel suo intervento provvidenziale nella storia umana. Indubbiamente un motivo di speranza è scaturito dalla creazione dello Stato di Israele e dal conseguente ‛raccolto degli esuli', ma pochi Ebrei si sono mostrati disposti ad accettare la spiegazione sbrigativa secondo la quale l'Olocausto era in un certo modo lo spaventoso prezzo preteso da Dio per il consolidamento del nuovo Stato. Una reazione non infrequente degli Ebrei credenti dinanzi all'Olocausto è stata: ‟Sono preso da reverenza e sgomento dinanzi alla memoria dei kådōshêm (santi) che entrarono nelle camere a gas con l'Ánê ma'ámên io credo! sulle labbra. Come oserei dubitare io, se loro non hanno dubitato? Credo perché essi hanno creduto. E sono preso da reverenza e sgomento dinanzi ai kådōshêm, dinanzi alla memoria della indicibile sofferenza di esseri umani innocenti che entrarono nelle camere a gas senza fede, perché ciò a cui furono sottoposti era più di quanto l'uomo possa sopportare. Non potevano più credere, e ora io non so come fare a credere, tanto mi è facile comprendere la loro incredulità. In realtà, trovo più facile capire la perdita della fede - nei campi di concentramento - che non la fede conservata e proclamata. La fede proclamata fu sovrumana; la perdita della fede, date le circostanze, umana. E poiché io sono solo un essere umano, l'umano mi è più vicino che il sovrumano. La fede è sacra, ma altrettanto sacre sono, nei campi di concentramento, l'incredulità e la ribellione religiosa. L'incredulità non fu incredulità intellettuale, ma fede calpestata, frantumata, ridotta in polvere; e la fede assassinata un milione di volte è sacra incredulità. Coloro che non c'erano e nondimeno sono pronti ad accettare l'Olocausto come la volontà di Dio che non bisogna discutere dissacrano la sacra incredulità di coloro la cui fede è stata assassinata. E coloro che non c'erano e nondimeno si uniscono con leggerezza e presunzione alla schiera degli increduli, dissacrano la sacra fede dei credenti" (v. Berkovits, 1973, pp. 4-5).
Con pochissime eccezioni la costituzione dello Stato di Israele fu accolta con entusiasmo dagli Ebrei di tutto il mondo, ma il conflitto fra l'interpretazione religiosa e quella laica del significato dello Stato fu così acuto e la necessità di superarlo talmente sentita da determinare il tentativo di inglobare entrambi i punti di vista, come dimostrano i seguenti paragrafi, volutamente ambigui, della Dichiarazione di indipendenza firmata il 14 maggio 1948: ‟Eretz Israel fu la terra natia del popolo ebraico. Qui si formò la sua identità spirituale, religiosa e politica. Qui per la prima volta esso divenne nazione, creò valori culturali di importanza nazionale e universale e diede al mondo l'imperituro Libro dei Libri.
Dopo esser stato esiliato con la forza dalla sua terra, il popolo le è rimasto fedele nella Diaspora e mai ha cessato di pregare e sperare di ritornarvi e di restaurarvi la sua libertà politica.
Lo Stato di Israele sarà aperto all'immigrazione ebraica e al ‛raccolto degli esuli'; promuoverà lo sviluppo del Paese per il bene di tutti i suoi cittadini; sarà fondato sulla libertà, la giustizia e la pace come predetto dai profeti di Israele; assicurerà la completa eguaglianza di diritti sociali e politici a tutti i suoi cittadini senza distinzione di religione, razza o sesso; garantirà libertà di religione, di coscienza, di lingua, di istruzione e di cultura; salvaguarderà i Luoghi Santi di tutte le religioni; e sarà fedele ai principi della Carta delle Nazioni Unite.
Confidando nell'Onnipotente, apponiamo le nostre firme a questa proclamazione nella presente sessione del Consiglio provvisorio dello Stato sul suolo della madrepatria, nella città di Tel Aviv, la vigilia del sabato, il 5 di Iyar 5708".
Negli anni cinquanta la demografia del giudaismo era cambiata radicalmente rispetto all'inizio del secolo. La vita ebraica dell'Europa orientale, così piena di fervore, aveva ormai concluso il suo ciclo. Circa mezzo milione di Ebrei erano emigrati in Israele dai Paesi arabi. Gli Stati Uniti d'America erano divenuti la patria di cinque milioni di Ebrei, circa la metà dei quali risiedeva a New York o nei dintorni, formando la maggior comunità ebraica che si fosse mai vista. Al secondo posto veniva lo Stato di Israele, con una popolazione ebraica che negli anni settanta superava i due milioni e mezzo. È indubbio che l'avvenire del giudaismo dipenderà in misura notevole dagli sviluppi futuri di questi due centri. È sorprendente il parallelismo - spesso sottolineato - con la vita ebraica dei primi secoli dell'era cristiana. A quell'epoca gli Ebrei di Palestina e di Babilonia si contendevano la qualifica di roccaforte più rappresentativa del giudaismo. Si può notare nel nostro secolo la medesima rivalità fra Israele e gli Stati Uniti. A volte autori ebrei degli Stati Uniti si sono mostrati inclini a parlare di giudaismo americano, e l'attributo non è piaciuto agli Ebrei dello Stato di Israele e delle altre parti del mondo. Per contro, l'affermazione a volte sostenuta, secondo cui Israele sarebbe l'unico vero centro dell'ebraismo mondiale, non è accettata senza proteste da parte degli Ebrei che risiedono altrove.
2. Movimenti
a) Ortodossia
Il giudaismo ortodosso è fondato sulla credenza che il Pentateuco (la Torà, ‛insegnamento'), la Legge Scritta, così com'è interpretata dalla Legge Orale (tramandata nella letteratura talmudica e successivamente elaborata dai maestri della legge) è l'autentica parola di Dio; ne deriva che la Torà è immutabile, volendo con ciò intendere non solo che il giudaismo non è mai stato soppiantato da alcun'altra fede, ma anche che le leggi ebraiche, sia religiose che etiche, sono eternamente vincolanti nella loro forma tradizionale. A causa delle implicazioni dispregiative del termine ‛ortodossia', che richiama alla mente un atteggiamento reazionario, in certi casi si è preferito nel nostro secolo, per definire questa posizione, la locuzione ‛fedele alla Torà'. Il termine ebraico equivalente a ‛ortodossi' è éàrådim (‛timorati di Dio') o, nello Stato di Israele, dàtê (‛religioso', da dàt, ‛legge'). È probabilmente vero che nel Novecento la maggioranza degli Ebrei religiosamente affiliati sono ortodossi nel senso che sono membri di una sinagoga ortodossa, ma si tratta spesso di un'ortodossia solo nominale. Molti non sono affatto rigidamente osservanti, ed è difficile determinare quanto profondamente si riconoscano nelle credenze ortodosse. Eccettuati i Sefarditi, che si sforzano di conservare le loro tradizioni, e gli Ebrei di origine ungherese, che annettono grande importanza alla più rigida osservanza e sono nettamente contrari a qualsiasi cambiamento, l'ortodossia nel XX secolo è rappresentata essenzialmente dai seguenti tre gruppi (parlare di ‛sette' sarebbe di gran lunga eccessivo, poiché le divisioni non si basano su contrapposizioni dottrinarie e questi gruppi sono tutti saldamente ancorati alla posizione ortodossa): i Hasidim, la Scuola lituana ed i Neo-ortodossi.
Il movimento mistico di risveglio noto col nome di hasidismo, fondato in Podolia (Ucraina) nel XVIII secolo da Israel Baal Shem Tov (‛Signore del Buon Nome'), è incentrato sull'idea cabbalistica secondo la quale le opere dell'uomo hanno un significato cosmico in quanto, nel bene e nel male, da loro dipende il flusso della grazia divina. Tutto quello che è terreno è sorretto e alimentato da ‛scintille divine', e deve essere redento dalle forze demoniache e riscattato alla santità attraverso un rapporto con il mondo vissuto in uno spirito di consacrazione e nel quale Dio sia sempre presente alla mente. Questo atteggiamento di costante devozione (dåväkùt) al divino è però possibile solo a pochi spiriti eletti, donde la dottrina hasidica dello Zaddiq (il ‛Giusto') - un santo maestro affine al guru indiano - i cui discepoli possono partecipare alla vita mistica di preghiera e di culto unendosi in comunione con lui. Lo Zaddiq viene anche chiamato il Rebbe, per distinguerlo dal rabbino tradizionale che ha la funzione di interpretare e applicare la legge. Uno dei primi maestri hasidici affermò che egli si recava dal suo Rebbe non per studiare la Torà nel senso consueto ma per osservare come il Rebbe si annodava i lacci delle scarpe. Si crede che lo Zaddiq, mentre compie l'atto coniugale, riesca, per la santità dei suoi pensieri, a far scendere dal Cielo anime particolarmente elevate; per questo motivo, dopo la morte, è suo figlio che di preferenza gli succede come Zaddiq. Durante il XIX secolo vi fu una proliferazione di dinastie hasidiche, ciascuna guidata da uno Zaddiq con le sue particolari inclinazioni e stile di vita. Alcune sono sopravvissute anche nel XX secolo. Dopo l'Olocausto, queste dinastie sono rifiorite negli Stati Uniti e in Israele, pur continuando a portare i nomi delle città russe, polacche e ungheresi di origine. Alla metà del XX secolo i Rebbe con il maggior numero di seguaci erano quelli di Lubavitch, Sotmar, Munkàcs e Spinka negli Stati Uniti, e di Ger, Belz, Zans e Vishnitz nello Stato di Israele. Fra questi, i due più importanti per numero di seguaci e per l'influenza esercitata sono quelli di Lubavitch e Sotmar.
Il Rebbe di Lubavitch ha molte migliaia di discepoli pronti a ubbidire senza discutere a ogni suo ordine. Il movimento di Lubavitch ha tutta una rete di sinagoghe, scuole e centri di educazione degli adulti in molti paesi, tutti diretti dal quartier generale del Rebbe a Brooklyn. Il nome ufficiale - Éabad, parola formata dalle iniziali di Éokmàh, Bênàh e Da‛at (Sapienza, Intelligenza e Conoscenza) - allude al fine ultimo del gruppo, che è l'austera contemplazione dell'immanenza divina nella creazione. Il Éabad viene generalmente considerato il movimento intellettuale del hasidismo, sebbene nella seconda metà del XX secolo si sia orientato a dare maggiore importanza al fervore emotivo e alla conquista delle anime. Quello di Lubavitch è il più tollerante dei gruppi hasidici, sostenendo l'amore per tutti gli Ebrei, anche quando non siano affatto osservanti. Ma questa tolleranza si fonda sul principio basilare del Éabad, secondo cui nel profondo dell'anima di ogni ebreo vi è, mai totalmente estinta e in attesa di riaccendersi, una scintilla del divino, per cui ogni ebreo viene considerato un potenziale Hasid di Lubavitch. Il rabbino Menahem Mendel Schneersohn (n. 1902) è diventato nel 1950 il settimo capo di Lubavitch. Il Rebbe, pur avendo studiato matematica e scienze alla Sorbona di Parigi, si è dimostrato assolutamente intransigente nell'opporsi all'acquisizione, da parte dei suoi seguaci, di un'istruzione universitaria e nel proclamare la concezione tradizionale, secondo cui il mondo ha poco meno di seimila anni e fu, alla lettera, creato in sei giorni. Il Rebbe di Lubavitch, nel corso di affollate riunioni di fedeli, tiene regolari conferenze durante le quali alterna astrusi temi cabbalistici con sermoni popolari sulla necessità di perpetuare la religione ebraica. Spesso queste conferenze vengono trasmesse ai hasidim di tutto il mondo. Lubavitch ha anche una sua casa editrice (Kehot), che distribuisce ristampe delle pubblicazioni del Éabad, le conferenze del Rebbe e anche testi di istruzione popolare in ebraico, yiddish, inglese e altre lingue.
Il gruppo di Sotmar adotta un atteggiamento molto più esclusivo, esortando i suoi membri a tenersi a distanza dagli Ebrei non osservanti e cercando di preservare intatti i modelli dell'ortodossia hasidica quale veniva praticata prima della guerra a Sotmar in Ungheria. Il Rebbe di Sotmar, il rabbino bel Teitelbaum (n. 1888), tiene cattedra a Williamsburg (New York). Si oppone a qualsiasi innovazione che incida sulle forme tradizionali della vita ebraica, vietando, per esempio, l'uso dell'ebraico negli affari quotidiani, ritenuto una secolarizzazione della lingua sacra. Gli studi laici sono dichiarati tabù come anche la mescolanza dei sessi nelle riunioni sociali. Sotmar attacca lo Stato di Israele, considerandolo un'empia anticipazione della redenzione di Israele dall'esilio, redenzione che sarà operata da Dio per suo diretto intervento e per mezzo di un Messia personale.
L'ortodossia lituana, non hasidica e a volte anche antihasidica, fu rappresentata nei primi decenni del XX secolo dalle famose Yeshivot (scuole) di Mir, Slabodka, Telz, Kamenitz, Grodno e Radin. In esse la principale materia di studio era il Talmud, con speciale attenzione all'analisi sottile dei concetti giuridici. Lo scopo ultimo di queste Yeshivot era lo studio ‛fine a se stesso' della Torà: nel corso di molti anni gli allievi imparavano a padroneggiare i testi, dai quali erano a loro volta dominati. Alcuni rabbini elaborarono nuovi sistemi analitici che venivano applicati con zelo nelle Yeshivot. I più illustri fra questi furono: Baruch Ber Leibowitz (1866-1939), Moses Mordecai Epstein (1866-1933), Isser Zalman Meltzer (1870-1953), Simeon Shkop (1860- 1940) e in particolare Hayyim Soloveichik (1853-1918) di Brest-Litovsk (Brisk). Soloveichik, insieme al figlio e successore, Isaac Zeev (1886-1960) di Brisk e Gerusalemme, fu promotore del sistema di studio noto col nome di ‛metodo Brisker', in cui i concetti venivano sottoposti a un'analisi rigorosissima dei loro elementi costitutivi; metodo che conquistò il mondo della Yeshivah. Nelle Yeshivot lituane si distinse in particolare Israel Meir Kagan (1838-1933), noto col nome di Éàfäõ Éayyêm (‛Colui che desidera la vita'), un pio studioso molto venerato per la sua condotta etica ineccepibile, per il suo amore per la Torà e per la sua semplice e schietta devozione. Dopo l'Olocausto, talune Yeshivot lituane furono trasferite negli Stati Uniti e in Israele; fra queste le più importanti sono: Telz a Cleveland (Ohio); Hebron, Slabodka e Mir a Gerusalemme; e Ponevezh, la più grande di tutte, a Bene Beraq in Israele. Una figura di spicco nel mondo ‛lituano' dopo l'Olocausto fu Abraham Isaiah Karelitz (1878-1953), noto col nome di Éàzōn Êsh (‛Visione di un Uomo'); alla sua casa a Bene Beraq affluivano molti postulanti per avere una guida su tutti i problemi riguardanti gli Ebrei e il giudaismo.
Nelle Yeshivot lituane predominò il movimento Musar, fondato dal Rabbi Israel Salanter (1810-1883). Il Musar (riprovazione) è un movimento che esalta l'introspezione; i suoi seguaci si impegnano strenuamente per raggiungere - sul piano religioso come su quello etico - la perfezione individuale del carattere e della condotta. Contrari al fervore hasidico, da essi considerato ambiguo e forse anche illusorio, i seguaci del Musar preferirono dedicarsi a un severo esame di coscienza, nel quale l'accento è posto sul bisogno di interiorità nella vita religiosa. In alcuni casi si è avuta la tendenza a sottolineare la dignità dell'uomo creato a immagine di Dio, mentre in altri si è preferito insistere sull'inclinazione dell'uomo verso il peccato e incoraggiare un atteggiamento di disprezzo per il mondo. Ogni Yeshivah lituana del XX secolo aveva uno speciale mashgêaé (supervisore), le cui lezioni su temi Musar costituivano una parte fondamentale del programma. Fra i più eminenti pensatori del movimento Musar nel XX secolo sono da annoverare Nathan Zevi Finkel (1849-1927) di Slabodka, Joseph Josel Horowitz (1848-1920) di Navaradok, Jeroham Leibowitz (1884-1936) di Mir, Joseph Laib Bloch (1860-1930) di Telz e E. E. Dessler (1891-1954) di Ponevezh Yeshivah. Le idee religiose e filosofiche di Bloch e Dessler furono attentamente studiate solo dopo la pubblicazione postuma delle loro opere: Shi‛ùrä Da‛at (Lezioni di religione) di Bloch e Miktav må-Älêyyàhù (Scritti di Elia) di Dessler. Entrambe queste opere, pur mantenendosi rigorosamente nel solco della tradizione, contengono profonde trattazioni su problemi teologici quali il libero arbitrio e il determinismo, la natura della beatitudine spirituale nell'Aldilà, lo scopo della vita secondo la Torà e il rapporto fra etica e religione.
Sia il hasidismo che l'ortodossia lituana in pratica ignorano le sfide lanciate dalla cultura occidentale al tradizionale modo di vita ebraico. La loro posizione è oltremondana e intransigente non si compie altro sforzo se non quello di conservare la fondamentale prospettiva medievale, come se proprio nulla fosse accaduto che la ponga in discussione. La Neo-Ortodossia, invece, rappresenta un tentativo di operare una sintesi fra la tradizione e la vita e il pensiero del XX secolo. Il movimento deve molto alle idee di Samson Raphael Hirsch (1806-1888) di Francoforte, che adottò l'antica massima rabbinica secondo la quale bisogna combinare la Torà con le ‛usanze locali' (in questo caso, con l'attività mondana) per giungere ad affermare che il giudaismo non può che trarre beneficio dalla sua partecipazione alla cultura occidentale. Lungi dal respingere gli studi profani, la Neo-Ortodossia sostiene che l'ebreo ideale, come dice eloquentemente Hirsch, è perfettamente a suo agio nelle discipline scientifiche e umanistiche così come nella dottrina puramente ebraica. La Neo-Ortodossia ebbe molti seguaci durante i primi decenni del XX secolo in Germania e, in misura minore, in Gran Bretagna, Italia e Francia. Successivamente si è affermata con vigore negli Stati Uniti, ove la sua principale istituzione, la Yeshivah University, fondendo insieme l'orientamento lituano con la filosofia neo-ortodossa, prepara i rabbini a officiare in sinagoghe ortodosse di impronta moderna. In queste sinagoghe sono mantenuti modelli occidentali di dignità ; il sermone è in lingua locale, con citazioni tratte dalla letteratura profana oltre che dalle fonti ebraiche e con continui riferimenti ai problemi religiosi, sociali e politici che assillano l'umanità del XX secolo. La Neo-Ortodossia ha il suo periodico ‟Tradition", e rabbini neo-ortodossi collaborano insieme con colleghi non ortodossi al periodico ‟Judaism". I rabbini neo-ortodossi solitamente sono disposti a collaborare con rabbini non ortodossi per il perseguimento di obiettivi comuni, sebbene, sotto l'influsso della pietas di impronta lituana e del separatismo di tipo ungherese, si possa notare, in alcuni neo-ortodossi, una certa tendenza verso un più rigido esclusivismo e una netta svolta a destra. Lo scambio di predicatori tra le sinagoghe ortodosse e quelle non orto- dosse è in pratica inesistente. Il Jews' College di Londra, fondato nel XIX secolo, prepara rabbini ortodossi per le comunità di lingua inglese in Gran Bretagna e nel Com- monwealth e appartiene alla tradizione neo-ortodossa.
b) Riforma
Il movimento di Riforma, sorto in Germania all'inizio del XIX secolo, introdusse anzitutto modifiche nell'officiatura sinagogale. Furono aboliti gli inni eccessivamente prolissi, nella predica fu adottata la lingua locale, si introdusse l'organo (con la disapprovazione degli ortodossi che videro nell'innovazione un tentativo di imitare gli usi della Chiesa cristiana) e, mutamento più radicale, furono omessi tutti i riferimenti alla venuta di un Messia personale e al ritorno del popolo ebraico nella sua antica patria. A mano a mano che il movimento elaborava una sua filosofia, si diffondeva l'opinione che molti dei rituali ebraici potevano essere abbandonati in quanto era mutata la risposta del giudaismo allo Zeitgeist: atteggiamento questo che si espresse talvolta nella formula della ‛rivelazione progressiva'. Una distinzione fu tracciata fra il ‛giudaismo profetico', che esaltava la condotta morale e l'universalismo, e il ‛giudaismo sacerdotale' ritualistico che, a differenza del precedente, era temporalmente condizionato, cosicché si sostenne, per esempio, che nel mondo moderno non si potevano più considerare vincolanti le norme dietetiche e l'osservanza del sabato nella loro rigida forma tradizionale.
Alla fine del secolo la Riforma aveva messo saldamente piede in Germania, negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Cl. Montefiore (1858-1938) fondò a Londra nel 1902 un movimento riformato radicale, la Jewish Religious Union, che portò alla creazione nel 1911 della Liberal Jewish Synagogue. Scrittore prolifico, nei Synoptic Gospels Montefiore prese partito per l'accettazione di taluni aspetti dell'etica cristiana, che egli considerava parte del giudaismo, e, nelle Outlines of liberal Judaism, tentò di precisare la propria posizione religiosa. Insieme con l'erudito ortodosso Herbert Löwe (1882-1940), Montefiore pubblicò A rabbinic anthology, un compendio di passi talmudici e midrashici, forniti di note nelle quali i due curatori espongono le loro diverse filosofie del giudaismo.
Gli Stati Uniti, specialmente dopo l'Olocausto, divennero il più importante centro della Riforma. Il principale seminario per la preparazione di rabbini riformati è lo Hebrew Union College di Cincinnati. Fin dal XIX secolo sono stati tenuti congressi annuali di rabbini riformati americani, i cui atti vengono pubblicati nel Yearbook of the Central of American Rabbis. Alla World Conference of Progressive Judaism partecipano delegati delle varie sinagoghe riformate e liberali di tutto il mondo ebraico. Il Leo Baeck College di Londra, fondato negli anni cinquanta, prepara anch'esso rabbini riformati e liberali. Tra i pensatori riformati più eminenti degli Stati Uniti citiamo Kaufmann Kohler (1843-1926) e Samuel S. Cohon (1888-1959); entrambi scrissero un'opera dal titolo Jewish theology quella di Kohler risente più di quella di Cohon del pensiero protestante degli inizi del XX secolo. L'opera Where Judaism differed di Abba Hillel Silver (1893-1963) costituisce un tentativo, dal punto di vista riformato, di precisare le caratteristiche distintive del giudaismo. Fra le opere scritte negli Stati Uniti da teologi ebrei di orientamento riformato menzioniamo anche: A new Jewish theology in the making e How can a Jew speak of faith today? di Eugene B. Borowitz; Ever since Sinai (uno studio sul significato della rivelazione) di Jakob J. Petuchowski ; e Quest for past and future (una difesa filosofica del teismo tradizionale) di Emil L. Fackenheim.
Mentre la Riforma del XX secolo continuava a sottolineare con vigore gli aspetti universalistici del giudaismo e a sostenere la dottrina della rivelazione progressiva, negli anni trenta cominciò a emergere una tendenza verso una maggior valorizzazione sia degli Ebrei come popolo che dei valori della tradizione. ‟Cinquant'anni dopo la riunione di Pittsburgh il mondo del 1885 era irrevocabilmente scomparso. L'America era ormai il centro della Diaspora. Il sionismo era una forza spirituale e politica, Hitler era al potere, una guerra mondiale era stata combattuta e se ne profilava una seconda. La maggior parte degli Ebrei riformati avevano abbandonato la posizione antisionista. La nuova ‛Piattaforma di Columbus' (adottata nel 1937), sebbene evitasse un'aperta presa di posizione a favore del sionismo, rifletteva il nuovo orientamento dei ‛liberali' americani. Il popolo ebraico e le sue tradizioni erano divenuti ancora una volta fattori significativi nell'ideologia del movimento. Felix A. Levi presiedette la Conferenza, e fu il primo sionista dichiarato a essere chiamato a tale incarico" (v. Plaut, 1965, p. 96). Sintomatica del nuovo orientamento fu la pubblicazione di Responsi in cui maestri della Riforma, segnatamente Solomon B. Freehof (n. 1892), attinsero, per averne guida nella sfera pratica, alle fonti giuridiche tradizionali. Freehof (v., 1971, pp. 12-13) osserva: ‟Per coloro che si occupano di questo problema non sarà privo d'interesse il fatto che il movimento della Riforma si ritrova oggi, in una certa misura, sulle posizioni di coloro che ne furono i primi fautori, e guarda con interesse profondo al rapporto del giudaismo con la Halakhah. Un nuovo interesse è sorto in noi per questi monumenti del passato ebraico. Ci siamo convinti che, mentre è stato indubbiamente di suprema importanza per noi esaltare la Bibbia e avvicinarci così alla moralità fondamentale del giudaismo, ora dobbiamo riscoprire il nostro rapporto con quelle grandi opere che rappresentano la potenza intellettuale e l'autodisciplina del giudaismo. Non siamo ancora riusciti a chiarire bene a noi stessi il nostro atteggiamento verso il Talmud e i codici, ma ora li studiamo con amore, con ammirazione e con interesse sempre più intenso. Stiamo cercando di trovare il modo per farci guidare da questa grande letteratura senza però farcene dominare al punto da limitare il dono prezioso della libertà e di una coscienza modernamente intesa".
c) Giudaismo conservatore
Il giudaismo conservatore, sostiene una via di mezzo fra il fondamentalismo dell'Ortodossia e il latitudinarismo della Riforma classica, ponendo al contempo l'accento sull'unità di tutti gli Ebrei. Si è detto, sebbene sia una generalizzazione di gran lunga eccessiva, che delle tre idee fondamentali del giudaismo - Iddio, la Torà e Israele, cioè il popolo ebraico, - la Riforma pone l'accento su Dio, l'Ortodossia sulla Torà e il giudaismo conservatore su Israele. La filosofia dei conservatori è basata sugli orientamenti della Scuola storica, così come emergono in particolare nelle opere di Zacharias Frankel (1801-1875) e di Solomon Schechter (1847-1915). Dal 1902 fino alla sua morte, Schechter fu presidente del principale seminario per la preparazione dei rabbini conservatori, il Jewish Theological Seminary di New York. Sebbene il giudaismo conservatore conti aderenti in tutto il mondo (organizzati non rigidamente nel World Council of Synagogues), il movimento trova la sua principale espressione negli Stati Uniti d'America. I rabbini conservatori hanno una loro organizzazione, la Rabbinical Assembly, che si riunisce annualmente. Organi ufficiali del pensiero dei conservatori sono i ‟Proceedings of the Rabbinical Assembly" e il periodico ‟Conservative Judaism". Le opinioni dei conservatori più rappresentativi sono raccolte nell'antologia Tradition and change, curata da Mordecai Waxman. Le sinagoghe conservatrici sono coordinate dalla United Synagogue of America.
Il giudaismo conservatore si differenzia dalla Riforma in quanto accetta l'autorità vincolante della Halakhah, il versante giuridico del giudaismo, pur avendone un concetto dinamico, opposto a quello statico dell'Ortodossia. Riassorbendo i risultati della critica biblica e delle ricerche storiche della tradizione ebraica, il giudaismo conservatore intende la rivelazione non come una serie di comandamenti divini trascritti nel Pentateuco, ma come l'emergere di un sistema di osservanze religiose nelle esperienze storiche del popolo ebraico. Per i conservatori la rivelazione non è stata data ‛a' Israele, ma ‛attraverso' Israele. Come dice Schechter (v., 1945, pp. XIX-XX): ‟Un'altra conseguenza di questa concezione della tradizione è che né la Scrittura né il giudaismo primitivo ma il costume generale costituisce la vera norma della prassi. La Sacra Scrittura come anche la storia, ci dice Zunz, insegnano che la Legge mosaica non è mai stata osservata in modo completo e assoluto. È stata sempre concessa libertà ai grandi maestri di ogni generazione di apportare modifiche e innovazioni in armonia con lo spirito delle istituzioni vigenti. Un ritorno alla Legge mosaica sarebbe quindi giuridicamente infondato, pernicioso e in realtà impossibile. È dalla prassi effettivamente vigente che derivano sia la norma che la sanzione. La loro consacrazione è la consacrazione del costume generale o, in altre parole, dell'Israele ‛cattolico'. Fu probabilmente pensando a questa comunione che i mistici moderni introdussero una breve preghiera, da recitarsi prima dell'esecuzione di qualsiasi cerimonia religiosa, in cui fra l'altro l'officiante professa la sua disponibilità ad agire ‛in nome dell'intero Israele'".
Il principale problema pratico che il giudaismo conservatore dovette affrontare fu quello di preservare la validità della Halakhah in una società in mutamento. Sebbene non sia stata ancora trovata alcuna soluzione completamente soddisfacente, si è tuttavia delineato un abbozzo di normativa conservatrice. Nessuna sinagoga conservatrice permette violazioni del sabato o delle norme dietetiche, ma la maggioranza dei rabbini conservatori permette ai propri fedeli l'uso dell'automobile per andare in sinagoga il sabato. In particolare nel settore del diritto matrimoniale, i rabbini conservatori hanno cercato di eliminare gli intralci che sono talvolta imposti dallo schema ortodosso alle donne sposate.
d) Ricostruzionismo
In una certa misura, il ricostruzionismo attraversa le divisioni del giudaismo ortodosso, riformato e conservatore, sebbene pochissimi rabbini ortodossi ne accettino gli orientamenti. Il movimento, fondato da Mordecai M. Kaplan (n. 1881), docente di omiletica al Jewish Theological Seminary, è circoscritto soprattutto agli Stati Uniti, pur avendo simpatizzanti anche in altre parti del mondo. Kaplan critica le altre tre correnti, in quanto ritiene che esse non rendano giustizia all'universalità del giudaismo come civiltà (Judaism as a civilization è il titolo del suo magnum opus). Il giudaismo, per Kaplan, non è solo una religione ma un sistema di vita completo, con una sua arte e una sua musica, una sua etica, suoi costumi di gruppo, sue istituzioni, una sua lingua e una sua letteratura. Da Kaplan, e in generale da tutto il movimento, Dio è concepito, a partire dalla sua funzione, come la Potenza che promuove la giustizia nell'universo, che garantisce che la lotta dell'uomo per l'arricchimento della vita e la realizzazione di tutte le sue possibilità non è destinata al fallimento. Gli Ebrei dovrebbero riconoscere che il giudaismo è per loro profondamente ‛vero' perché l'esperienza ha dimostrato che il giudaismo ha la capacità di elevare la vita ebraica. La preghiera non è considerata un atto di supplica rivolto a un Dio personale, ma un esercizio in cui l'uomo cerca di rivolgere il proprio spirito verso i valori supremi, traendone impulso a lottare per realizzarli. Il Libro di preghiere dei ricostruzionisti lascia cadere certe idee che il movimento ritiene incompatibili col pensiero del XX secolo, come la fede nella resurrezione dei morti e la pretesa degli Ebrei di essere il popolo ‛eletto'. Il movimento ha la sua sede a New York, ha un seminario per la preparazione di rabbini a Filadelfia e un periodico, ‟The reconstructionist".
Una dichiarazione ufficiale del ricostruzionismo dice fra l'altro: ‟Il giudaismo, o qualunque nome si voglia dare a ciò che ha riunito le successive generazioni in un unico Popolo, non è soltanto una religione: è una civiltà religiosa dinamica. Nella sua evoluzione il giudaismo è passato attraverso tre stadi distinti e si trova ora alle soglie di un quarto stadio. Esso ebbe un'impronta essenzialmente ‛nazionale' durante l'era del Primo Patto, un'impronta ‛sacerdotale' durante l'era del Secondo Patto e un'impronta ‛rabbinica' fino alla fine del XVIII secolo. Si sta ora trasformando in una civiltà ‛democratica', e l'emergere del nuovo stadio esige la ricostruzione e l'accrescimento del popolo ebraico, il rinvigorimento della religione e il rilancio della cultura giudaica. Per infondere nuova vitalità alla religione giudaica occorre che la fede in Dio venga interpretata alla luce dell'esperienza universalmente umana, oltre che specificamente ebraica. La concezione tradizionale della Torà deve essere ampliata sì da includere: a) la cultura etica, cioè la promozione dell'amore e della giustizia in tutti i rapporti umani; b) la cultura rituale, cioè la promozione dei sancta religiosi con tutto il loro significato simbolico; c) la cultura estetica, cioè la promozione delle arti come mezzo per esprimere i valori effettivi della vita ebraica" (v. Kaplan, 1956, pp. XI-XIII). Il programma del ricostruzionismo, se si dimostrò in grado di attirare adesioni prima della seconda guerra mondiale, ha visto diminuire grandemente la sua capacità di richiamo nel periodo postbellico, pervaso da una ribellione contro le filosofie ‛scientifiche' e dalla ricerca di una fede più personale, più mistica e più soprannaturale di quella che il ricostruzionismo era in grado di offrire.
e) Sionismo
Con la costituzione dello Stato di Israele il sionismo, almeno nella sua forma originaria, era stato reso superfluo dal suo stesso successo. Una volta che lo Stato di Israele era divenuto realtà e una volta che l'Olocausto aveva dimostrato quanto precaria poteva essere la situazione degli Ebrei privi di una patria, la grande maggioranza degli Ebrei accettò il principio statale non soltanto come compatibile con il giudaismo ma come mezzo per la sua integrale realizzazione. Fece eccezione il minuscolo ma turbolento gruppo di destra di Gerusalemme noto col nome di Nåöùrä Qartà (‛Custodi della Città') il quale, come il Rebbe di Sotmar che collaborò attivamente con esso, si oppose al sionismo accusandolo di usurpare il compito - che spetta a Dio - di redimere dall'esilio il popolo di Israele, e l'altrettanto esiguo e non rappresentativo gruppo di sinistra, l'American Council for Judaism (fondato nel 1942 da pochi rabbini e laici riformati), che si oppose al sionismo accusandolo di tradire la vocazione universalistica del giudaismo. Quasi tutti gli Ebrei continuarono a esaltare lo Stato ebraico proclamandone la perfetta compatibilità con la più vasta sollecitudine del giudaismo per l'intero genere umano. Cionondimeno i problemi sollevati dal sionismo non sono stati interamente risolti e formano oggetto di accesi contrasti e discussioni, riguardanti specialmente l'interpretazione - se religiosa o secolarizzante - da dare del giudaismo. Sebbene Israele sia uno Stato laico e democratico, la tradizione religiosa trova tuttora espressione in molte istituzioni dello Stato. Nella maggior parte delle città israeliane non vi sono trasporti pubblici il sabato e l'allevamento dei suini è osteggiato dalla legge. I rabbini sono magistrati nominati dallo Stato con l'unica facoltà di amministrare le leggi che regolano il matrimonio e il divorzio. Solo i rabbini ortodossi sono abilitati, mentre i rabbini conservatori e riformati non possono celebrare i matrimoni dei loro affiliati.
Fra i partiti politici di Israele ve ne sono due a indirizzo religioso: il Mizrahi e l'Aguddat Israel. Il Mizrahi aveva partecipato al movimento sionista già molto prima della costituzione dello Stato di Israele. Contro la tesi di molti rabbini, secondo la quale la redenzione di Israele deve scaturire da un diretto intervento divino, il Mizrahi sosteneva che, in questo come in altri campi dell'umano operare, la benedizione di Dio dipende dagli sforzi dell'uomo. È stata rievocata a questo proposito la leggenda rabbinica che racconta come all'epoca del Tempio la fiamma per consumare i sacrifici scendesse dal cielo solo dopo che i sacerdoti avevano acceso il fuoco con mezzi unicamente umani. L'Aguddat Israel era all'inizio antisionista, ma attenuò la sua opposizione dopo la fondazione dello Stato. Entrambi i partiti hanno deputati alla Knesset, il parlamento israeliano, ed esercitano una notevole influenza sull'orientamento religioso dello Stato; ed entrambi hanno un'ala socialista il Pō‛äl ham - Mizràéê e il Pō‛álä Águddat Yiôrà'äl. Ciononostante un certo numero di israeliani religiosi, turbati dall'associazione della religione con la politica, fondarono, sotto la guida di E. E. Urbach (n. 1912), professore di Talmud alla Hebrew University, la Tånù‛àh lå-yaéádùt shel-Tōràh (Movimento per il giudaismo della Torà), un movimento ortodosso - ma di sentimenti liberali - privo di affiliazione politica, il quale ha, tra gli altri, l'obiettivo di restituire vitalità al diritto religioso ebraico nello Stato moderno. Pochi Ebrei religiosi si dimostrarono disposti ad accettare la proposta di J. L. Maimon (1878-1962) per la costituzione di un Sinedrio composto di eminenti rabbini e destinato a trattare i molti problemi che gli Ebrei devono risolvere in tutto il mondo nella sfera del diritto ebraico. A tale progetto gli ortodossi si opposero perché la costituzione di un Sinedrio prima dell'avvento del Messia o era ritenuta illegittima, o si pensava potesse condurre a inopportune attenuazioni della legge. Anche il problema pratico della scelta dei rabbini che avrebbero dovuto farne parte venne ritenuto insormontabile.
Il sionismo religioso deve molto alle idee di A. I. Kook (1865-1935), il primo rabbino capo della Palestina. Per Kook e per i suoi discepoli, gli Ebrei nella Diaspora si erano troppo allontanati dalla vita pratica, erano divenuti per così dire troppo spirituali, cosicché il sacro aveva poche possibilità di influenzare e trasformare il profano. Sotto l'influsso della teoria dell'evoluzione, e proclamando di mantenersi nel solco del pensiero cabbalistico, Kook accolse con favore i nuovi sviluppi della scienza e della tecnologia del XX secolo, in quanto fornivano la base di una rinnovata intelligenza del mondo morale e spirituale e lo stimolo verso una forma di società e un nuovo tipo di uomo più conformi alle esigenze etiche della Torà. La massima di Kook (‟Rinnoviamo l'antico. Santifichiamo il nuovo") aprì la via alla tesi secondo la quale la costituzione dello Stato di Israele era ‟l'inizio della redenzione": il Messia tanto a lungo atteso doveva bensì ancora venire per inaugurare l'era della completa redenzione per gli Ebrei e per il mondo intero, ma i primi passi erano già compiuti. Iddio aveva mostrato la potenza della Sua mano. Si cercava in tal modo di mantenere agli eventi la loro qualità ‛numinosa', riconoscendo al tempo stesso i molti problemi pratici e reali che lo Stato doveva ancora risolvere e respingendo i pericoli spirituali insiti in ogni modello di escatologia realizzata.
3. Il pensiero del giudaismo
Oltre ai pensatori citati trattando dei movimenti ufficiali, altri ve ne sono nel Novecento la cui opera è significativa. Tra coloro che hanno affrontato il tema del giudaismo, i più influenti sono: Hermann Cohen (1842-1918), Leo Baeck (1873-1956), Martin Buber (1878-1965) e Franz Rosenzweig (1886-1929). Tutti e quattro hanno scritto in tedesco e nelle loro opere sul giudaismo hanno inteso anzitutto rispondere alla sfida lanciata alla fede dal pensiero e dalla cultura occidentali quali si presentavano nella Germania prenazista. Da questa circostanza è derivata al pensiero ebraico un'impronta in certo modo tedesca, dalla quale i filosofi ebrei che seguirono, pur scrivendo in ebraico e in inglese, trovarono difficile liberarsi. Delle grandi correnti filosofiche del XX secolo, tre - il neotomismo, l'analisi linguistica e l'esistenzialismo - hanno avuto importanza per la religione, ma delle prime due difficilmente si trovano paralleli nella cultura ebraica. Un approccio esistenzialista al giudaismo, invece, è accolto con favore tra i più giovani teologi ebrei degli Stati Uniti sotto l'influsso delle opere di Buber e di Rosenzweig.
Sia per Cohen che per Buber l'essenza del giudaismo risiede nel suo monoteismo etico. Secondo Cohen ‟Israele passa nella storia al modo di Giobbe". La missione storica di Israele ebbe inizio solo con la perdita di ogni potere e ricchezza terreni. Israele ha una lunga storia di sofferenze, dovuta non già al ripudio divino, come hanno sostenuto taluni cristiani, ma, al contrario, al fatto che Dio ama coloro che soffrono. Idee come queste, che potevano infondere negli Ebrei speranza e coraggio all'inizio del secolo, divennero quasi del tutto superate, come componenti di una filosofia del giudaismo, quando gli Ebrei cominciarono a ricostruirsi una possibilità di vita dopo aver assistito alla distruzione di un terzo del loro popolo. Più significativo è in Cohen il concetto della tåshùvàh, ‛ritorno' cioè ‛pentimento', quale risposta ebraica alla dottrina del peccato originale. L'uomo non è destinato a peccare da una maledizione avuta in retaggio. Egli è l'artefice del proprio destino e, quando pecca, lo fa per libera scelta. Esercitando la medesima facoltà di scelta può redimersi ritornando a Dio. ‟Pentimento è ‛autosantificazione'. Tutto ciò che il rimorso comporta, il rivolgersi alle profondità dell'io, l'esame minuzioso del proprio modo di vivere e infine la svolta, il ‛ritorno' e l'impostazione di un nuovo modo di vivere, tutto questo si assomma nell'autosantificazione. Essa fornisce al pentimento l'energia e la guida necessarie perché possa operare per giungere alla creazione del vero Io. La santificazione è il traguardo; l'autosantificazione è l'unico mezzo" (v. Cohen, 1919, p. 205).
Nel pensiero di Baeck, Dio è una realtà, non semplicemente la grande idea che dà al giudaismo la sua guida. Per razionalistico che fosse il suo pensiero, Baeck sapeva cogliere la dimensione mistica della vita umana, in cui l'uomo si trova di fronte all'Uno, il quale è più - e non meno - che personale. Baeck espose le sue idee per la prima volta in Das Wesen des Judentums, pubblicato nel 1905. In seguito, quando alcuni pensatori, sotto la spinta di Baeck, cercarono di riscoprire l'‛essenza del giudaismo', la nozione nel suo insieme fu assoggettata a un'aspra critica; si argomentò che il giudaismo era a tal punto un prodotto di esperienze storiche, a tal punto un amalgama di concetti diversi, perfino contraddittori, che non poteva essere ridotto a un'‛essenza'. In realtà l'influsso di Baeck fu dovuto più alla sua vita eroica di misericordioso ‛santo di Theresienstadt' che alla sua filosofia. Il suo biografo scrive: ‟Leo Baeck non ci ha lasciato una teologia sistematica. Ci ha però lasciato una regola di vita. La vita è il veicolo dell'imperativo supremo del comandamento etico, e la dottrina il veicolo della conoscenza del mistero divino. Baeck fu il poeta metafisico del suo popolo; egli proclamò con forza la realtà effettiva dell'uomo biblico - che non poteva essere ridotto a un simbolo - e mosse dalla rivelazione al popolo di Israele, per giungere ai compiti comuni che legano Ebrei e non Ebrei. Il giudaismo per Baeck era una missione, una rivelazione e una testimonianza che tutti dovevano condividere. Era anche una fiamma perenne che arde nel Popolo e che conduce di rinascita in rinascita" (v. Friedlander, 1968, p. 276).
Buber affermava di parlare in nome della tradizione ebraica giacché, diceva, egli vedeva passare il mondo intero mentre stava sulla soglia della casa paterna. Certamente, l'idea del dialogo, dell'Io-Tu, dell'uomo che incontra Dio, il Tu eterno, attraverso i singoli Tu, è fondata dallo stesso Buber sulla dottrina ebraica. L'interpretazione buberiana della regola aurea contenuta nel Levitico (XIX, 18) è ‟amerai il tuo prossimo (poiché è un essere umano e non una cosa ed è perciò) come te stesso". Nelle sue opere Buber ha fatto conoscere il hasidismo al mondo occidentale, sebbene sia stato giustamente rilevato che quel che Buber propugna è un neo-hasidismo suo particolare in cui egli adatta le fonti hasidiche secondo le sue necessità. I Hasidim, che insistevano sull'annullamento mistico dell'Io, avrebbero ripudiato l'Io-Tu di Buber, prospettato come il paradigma del rapporto dell'uomo con Dio. L'accento posto da Buber sul rapporto Io-Tu - con il suggerimento implicito, e a volte esplicito, che quando l'uomo risponde a un comandamento divino con uno spirito non completamente libero la sua esperienza manca di autenticità - ha fatto situare il pensiero di Buber al di fuori della corrente principale del giudaismo, in cui l'obbedienza alla volontà di Dio è tutto. Buber dimostra il suo atteggiamento anticonvenzionale, dal punto di vista ebraico, anche nel preferire l'esperienza di vita al sapere dei libri. ‟Eccovi una prova infallibile" - scrive Buber - ‟immaginate di essere soli, completamente soli sulla terra, e di vedervi offrire l'alternativa tra la compagnia di un libro o la compagnia di un vostro simile. Spesso ho udito uomini vantare la loro solitudine, ma questo avviene solo perché vi sono ancora degli uomini in qualche luogo sulla terra, anche se lontani. Nulla sapevo di libri quando uscii dal grembo di mia madre, e senza libri morirò, con la mano di un mio simile nella mia. È vero che qualche volta chiudo la porta e mi abbandono alla lettura di un libro, ma solo perché posso riaprirla e vedere un essere umano che mi guarda" (citato in Schilpp e Friedman, 1967, pp. 38-39).
Nel Novecento Rosenzweig è l'esempio più illustre dell'ebreo assimilato che ritrova la via verso la fede avita: dalla periferia al centro, secondo le sue stesse parole. Intendendo convertirsi al cristianesimo, Rosenzweig decise di conoscere prima più a fondo la religione che pensava di abbandonare. La riflessione lo convinse della verità e validità eterna del giudaismo, alla cui esposizione dedicò tutto il resto della sua breve vita. Rosenzweig scrisse Der Stern der Erlösung sulle cartoline postali che inviava ai familiari mentre prestava servizio nell'esercito tedesco durante la prima guerra mondiale. Nella sua ricerca dell'essenza del giudaismo Rosenzweig non era disposto a sacrificare le sue facoltà critiche. Riconosceva che J. Wellhausen è nel vero quando sostiene che il Pentateuco è un'opera composita messa assieme da una serie di compilatori; affermava però che questo non inficia in alcun modo la fede ebraica nella Torà. Il simbolo ‛R', che i critici usano per indicare il ‛Redattore' dei testi del Pentateuco, nello schema di Rosenzweig sta per Rabbänù (‛il nostro maestro'). La rivelazione di Dio non va tanto ricercata nei documenti originali, quanto piuttosto nel modo in cui questi documenti furono utilizzati dai maestri di Israele per scoprire la parola di Dio. Rosenzweig affronta anche il rapporto tra giudaismo è cristianesimo, sostenendo che entrambe le religioni hanno il loro posto nel disegno divino per il genere umano. Se la funzione del cristianesimo è quella di condurre l'uomo a Dio, l'ebreo è stato condotto a Dio dalla sua stessa storia. Rosenzweig concorda sul fatto che nessun uomo può accedere al Padre se non attraverso Gesù, ma l'ebreo non ha bisogno di ‛accedere' al Padre, dato che è già presso di Lui. Il pensiero di Rosenzweig è stato utile per la continuazione del dialogo tra rappresentanti del giudaismo e del cristianesimo.
Asher Ginzberg (1856-1927), che scrisse sotto lo pseudonimo di Aéad hà-‛Àm (‛Uno del Popolo'), fu l'esponente del sionismo spirituale, contrapposto al sionismo politico di Herzl. La Terra d'Israele deve divenire un centro spirituale per gli Ebrei di tutto il mondo. Con il termine ‛spirituale' Ginzberg, libero pensatore in religione, intende le conquiste intellettuali, morali e culturali del popolo ebraico. Mettendo a raffronto giudaismo e cristianesimo, Ginzberg sostiene, su basi piuttosto discutibili, che l'etica cristiana è fondata sull'amore e l'etica ebraica sulla giustizia. Secondo questo pensatore il giudaismo esige giustizia assoluta per tutti, anche per l'Io, cosicché l'altruismo diviene una forma invertita di egotismo. Il giudaismo offre un valido sistema di vita, ricco di contenuto etico, anche ai non credenti che non apprezzino la sua dimensione religiosa. In realtà, rispetto al credente, il non credente è ancora più orgoglioso delle conquiste del suo popolo, in quanto, per il non credente, gli Ebrei non furono unicamente destinatari passivi di una rivelazione di Dio, ma attivi creatori della Bibbia ebraica. Il ricostruzionismo di Mordecai Kaplan può essere considerato uno sviluppo delle idee di Ginzberg. Ma, mentre le idee di Oinzberg si conquistavano un vasto seguito, molti pensatori ebrei si sentirono attirati a ricercare un approccio al giudaismo che offrisse qualcosa di più all'anima religiosa affamata di divino. Il biografo di Ginzberg, nel valutare sotto questo aspetto il suo pensiero, osserva giustamente: ‟Egli riconobbe il giudaismo storico come una religione nazionale, ma non avrebbe accettato la definizione del nazionalismo ebraico come un nazionalismo religioso. Inoltre, la sua indole e la sua prospettiva non religiose lo portarono a trattare in modo alquanto unilaterale le manifestazioni storiche dello spirito ebraico. Contrario al misticismo e diffidente del sentimento, egli era insensibile al richiamo della letteratura devozionale e della poesia, nelle quali trova espressione l'anelito dell'anima individuale verso una comunione con l'infinito; e il suo nazionalismo era così totale che egli sembrava aspettarsi che ogni ebreo vedesse appagate nell'amore per Sion e nel servizio reso al popolo tutte le esigenze spirituali della propria individualità. Si ispirava a quei libri della Bibbia che esaltano l'ideale della giustizia sociale e assegnano alla nazione ebraica una posizione chiave nel dramma universale del progresso morale; ma sarebbe difficile immaginarlo, per esempio, alla ricerca di sostegno o conforto spirituale nel ventitreesimo salmo che pure è anch'esso, sarebbe difficile negarlo, un prodotto autentico dello spirito ebraico" (v. Simon, 1955, p. 290).
Nella concezione di A. J. Heschel (1907-1972), il senso della meraviglia è una componente essenziale della consapevolezza religiosa dell'uomo. A meno che la sua anima non sia stata resa ottusa dall'abitudine, l'uomo è istintivamente sensibile ai prodigi dell'universo e vede dietro di essi il Creatore. La preghiera non è un esercizio di una qualche specie superiore di autosuggestione, ma un incontro con Dio. Heschel cita l'ammonimento rabbinico al fedele: ‟Sappi al cospetto di Chi ti trovi". L'Oggetto del culto è un ‛Essere', non una ‛Cosa'. Per dirla con le parole del titolo di una delle sue prime opere, l'‛uomo non è solo' (Man is not alone), e l'anima sensibile può - come ci dice il titolo di un altro suo libro (God in search of man) - accorgersi che ‛Dio è alla ricerca dell'uomo'. Poeta religioso più che pensatore sistematico, durante gli anni in cui insegnò al Jewish Theological Seminary Heschel contribuì alla formazione di una generazione di rabbini assai più aperti di molti dei loro predecessori alla dimensione religiosa del giudaismo. Heschel fu anche uno dei più ferventi sostenitori, fra gli Ebrei, del dialogo con le Chiese cristiane e partecipò attivamente a battaglie condotte in nome di principi morali, come quelle per la giustizia sociale e i diritti dei negri.
Un pensatore ortodosso, in contrasto con Heschel riguardo al dialogo con le Chiese, è J. B. Soloveitchik (n. 1903), docente alla Yeshiva University e maestro riconosciuto della generazione più giovane di rabbini ortodossi in America. Soloveitchik, seguendo una tradizione familiare, ha pubblicato assai poco, ma ha fatto sentire il suo influsso attraverso un'eloquenza magistrale e l'insegnamento alla Yeshiva University. Egli rappresenta la classica posizione rabbinica, per la quale l'‛uomo della legge' esprime la sua obbedienza alla volontà di Dio osservando i precetti della Torà senza partecipazione emotiva, ma semplicemente perché è giusto farlo. Non sorprende che Soloveitchik, diversamente da molti pensatori ebrei, sostenga che l'ideale kierkegaardiano del ‛cavaliere della fede' e la ‛sospensione teleologica' dell'‛etico' sono perfettamente compatibili con il giudaismo. Nello stesso solco si muove I. Leibowitz (n. 1903), professore di biochimica alla Hebrew University. Secondo Leibowitz il fine del giudaismo non è il raggiungimento di una qualche specie di soddisfazione personale, ma il culto di Dio da parte dell'uomo che esegue la Sua volontà. Leibowitz sostiene che il simbolo del cristianesimo è la Croce, mentre il simbolo del giudaismo è il Sacrificio di Isacco, perché nel primo caso Dio dona suo figlio per amore dell'uomo, nel secondo l'uomo dona suo figlio per amore di Dio.
Gershom Scholem (n. 1897) non è un teologo ma uno studioso. Si deve alle sue ricerche e alla scuola da lui fondata alla Hebrew University la creazione di una nuova disciplina. Nel suo libro Major trends in Jewish mysticism e nelle altre sue opere Scholem ha descritto dettagliatamente e con straordinaria penetrazione gli sviluppi della coscienza mistica ebraica nelle varie epoche; da lui hanno preso l'avvio ulteriori indagini su questo aspetto finora negletto del pensiero ebraico come anche una migliore comprensione della dimensione mistica del giudaismo da parte degli Ebrei del XX secolo.
Cionondimeno due pensatori ebrei avversi al misticismo, I. Maybaum (1897-1976) e L. Roth (1891-1963), pur riconoscendo il grande contributo di Scholem alla scienza, hanno ritenuto non del tutto lodevole la sua influenza sulla vita ebraica. Maybaum vede con sospetto qualsiasi estremismo, sia di destra che di sinistra, e apprezza la posizione apertamente ‛centrista' del giudaismo tradizionale, quale egli lo vede. In The face of God after Auschwitz Maybaum tratta il problema della fede in Dio dopo l'Olocausto. Nel suo Judaism, Roth offre un'interpretazione razionalistica della fede ebraica fondata sulle dottrine di Maimonide (1135-1204) viste alla luce del pensiero moderno. Roth critica il nuovo interesse per la Cabbala, vedendovi quella sorta di mitologia del divino contro cui lottarono i profeti ebrei. Roth sostiene anche la supremazia dell'ideale di giustizia nel giudaismo e un approccio più universalistico. Il pensatore americano W. Herberg (n. 1909) nel suo Judaism and modem man cerca di elaborare una sintesi fra la tradizione ebraica e i valori del mondo occidentale, insistendo sulla tradizione ma appoggiandosi molto a Buber. I. Epstein (1894-1962), rettore del Jews' College, in The faith of Judaism difende la posizione ortodossa contro i suoi avversari. Un altro teologo ortodosso è N. Lamm, che in Faith and doubt discute i problemi che preoccupano gli Ebrei del XX secolo, come per esempio l'atteggiamento ebraico nei riguardi dell'ecologia.
4. La scienza del giudaismo
Nel giudaismo lo studio della Torà è un supremo dovere religioso. Tradizionalmente, lo studio era inteso come un puro atto di devozione, dal quale era bandito qualsiasi tipo di critica letteraria e testuale. Tuttavia, durante il XIX secolo, sorse in Germania il movimento della Jüdische Wissenschaft con l'intento di applicare i metodi della critica storica alle fonti ebraiche (il Talmud, il Midrash, la letteratura ebraica medievale e in una certa misura la Bibbia), sebbene nell'applicazione di questo metodo al Pentateuco, la fonte principale del giudaismo, si procedesse spesso con notevole circospezione. Nei primi decenni del XX secolo i principali istituti in cui si è coltivato il nuovo indirizzo sono: la Hochschule für die Wissenschaft des Judentums e il più ortodosso Rabbinerseminar für das orthodoxe Judentum, entrambi a Berlino; il Jews' College a Londra; l'École Rabbinique a Parigi; il Hebrew Union College a Cincinnati; il Jewish Theological Seminary a New York. Successivamente vennero creati istituti per lo studio del giudaismo in un certo numero di università degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, della Germania e di altri paesi europei; e inoltre presso la Hebrew University a Gerusalemme, l'Università di Tel Aviv e la Bar-Ilan University nei pressi di Tel Aviv. In questi istituti viene favorita nel complesso un'impostazione obiettiva e non apologetica, così che il giudaismo viene studiato come qualsiasi altra disciplina umanistica. I principali periodici scientifici che si occupano del giudaismo sono: la ‟Revue des études juives", che nel 1961 si fuse con la ‟Historia judaica"; la ‟Monatsschrift für Geschichte und Wissenschaft des Judentums", che cessò le pubblicazioni nel 1939; il ‟Hebrew Union College Annual"; la ‟Jewish quarterly review"; il ‟Journal of Jewish studies"; infine, pubblicati in Israele, ‟Zion", ‟Tarbitz" e ‟Kiryat Sefer". In tutte queste riviste e in moltissimi libri dedicati a tutti gli aspetti del passato ebraico, il giudaismo viene studiato senza preconcetti e senz'alcun dogmatismo. Naturalmente, le conclusioni raggiunte sono non di rado in contrasto con l'immagine tradizionale degli avvenimenti del passato, sollevando problemi con i quali parecchi teologi si sono cimentati.
La locuzione ‛raccolto degli esuli' è stata usata per designare l'aspetto più tipico che gli studi ebraici hanno assunto nel XX secolo, cioè il recupero e l'ordinamento del pensiero ebraico del passato nella forma di ristampe di libri rari e di opere generali (storie, dizionari ed enciclopedie) in parecchi volumi. Tra quelle più importanti si citano: Legends of the Jews di Louis Ginzberg; Social and religious history of the Jews di Salo W. Baron; History of Jewish literature di Meyer Waxman; Tōseftàh kê-påshùöàh di Saul Lieberman; Tōràh Shålämàh, una raccolta di tutti i commenti tradizionali del Pentateuco a cura di M. M. Kasher; il gigantesco repertorio di concordanze della letteratura rabbinica di H. J. Kasowski; compendi di vario genere curati da J. D. Fisenstein, tutti col titolo Ōõàr; e il repertorio di pareri giuridici sul diritto matrimoniale Ōõàr hap-pōsåkêm. Tra le opere tradotte in inglese sono da ricordare: The Holy Scriptures, pubblicate dalla Jewish Pubblication Society of America nel 1917 e la versione riveduta della Tōràh, uscita presso la stessa casa editrice nel 1962; le traduzioni, apparse a Londra per i tipi di Soncino, di tutto il Talmud babilonese (1948-1962) a cura di I. Epstein, della Bibbia (1950) con commentario, del Midrash Rabbah (1939) e dello Zohar (1949); la serie ‛Yale Judaica' di traduzioni del Midrash, di Sa'adyah e del Codice di Maimonide. L. Goldschmidt ha tradotto da solo tutto il Talmud babilonese in tedesco (1896-1935). Fra le enciclopedie in ebraico citiamo: la hà-Enõiklopedyàh hà-‛ivrêt (1949 ss.) e la Enõiklopedyàh miqrà'êt (1950-1968) sulla Bibbia, la Enõiklopedyàh talmùdêt sul Talmud e i Codici (1947 ss.), tutte pubblicate in Israele; e a New York l'Ōõàr Yiôrà'äl di J. D. Fisenstein. Vi sono tre enciclopedie in inglese: The Jewish Encyclopedia (1901-1906) in 12 volumi, un'opera insuperabile a cui hanno collaborato i più eminenti ebraisti contemporanei, e la Universal Jewish Encyclopedia (1939-1943) in 10 volumi, entrambe pubblicate a New York. Un gruppo di studiosi provenienti da tutto il mondo si è riunito a Gerusalemme nel 1971 per redigere i sedici volumi dell'Encyclopedia Judaica. Con tanti libri perduti nella distruzione delle comunità ebraiche dell'Europa orientale, la ristampa di opere classiche è divenuta un'attività di primo piano. Fra le ristampe di maggior divulgazione sono da citare: la Mishnah, il Talmud, i codici di Maimonide, Yacob ben Asher e Yoseph Caro, le raccolte di Responsi, le opere dei Cabbalisti, dei Hasidim e dei filosofi medievali; si pubblicano anche nuove edizioni critiche di libri rari di studi ebraici moderni. Quasi tutte le opere importanti sono state ristampate, spesso con commenti e glossari a cura di studiosi contemporanei.
5. Il diritto del giudaismo
Il giudaismo, come religione che esalta la retta condotta, ha sempre tenuto in grande considerazione la Halakhah, l'insieme delle norme giuridiche, sebbene A. J. Heschel abbia tacciato di pan-halakhismo l'esclusiva concentrazione su questo aspetto del giudaismo. Nel giudaismo vi è poesia e prosa, voli dell'immaginazione religiosa e austera accettazione della legge. Comunque, a partire dal IX secolo, è invalso l'uso di sottoporre a rabbini di riconosciuta esperienza quesiti sul comportamento che gli Ebrei debbono tenere in circostanze nuove non contemplate dalla legge tramandata nel Talmud. Le loro risposte, raccolte nei Responsi, costituiscono un importante repertorio di pareri, utile per determinare i modelli della vita ebraica. Quando, nel XX secolo, una massa di nuovi problemi si presentarono ai devoti, un gran numero di rabbini si dedicò alla redazione di Responsi. Particolarmente attivi in questo campo sono gli ortodossi, ma non sono infrequenti Responsi di conservatori e riformati i quali, pur operando naturalmente in uno spirito diverso da quello degli ortodossi, prendono sempre come guida, sebbene non le considerino assolutamente vincolanti, le fonti tradizionali del diritto. Fra i più importanti compilatori di Responsi del XX secolo sono da citare: Hayym Ozer Grodzinsky (1863-1940) di Vilna; Hayyim Eleazar Spira (1872-1937) di Munkàcs; Judah Grünwald (1845-1920) di Sotmar; D. Hoffman (1843-1921) di Berlino; Moses Grünwald (1853-1910) di Huszt; Menahem Manish Babad (1865-1938) di Ternopol'; Abraham Menahem Steinberg (1847-1928) di Brody; Hayyim Mordecai Roller (m. 1946) di Tîrgu-Neamţ; Joseph Rozin (1858-1936) di Dvinsk; Judah Laib Zirelson (1859-1941) di Kišinëv; Moses Feinstein (n. 1895) di New York, Mordecai Jacob Breisch (n. 1896) di Zurigo; J. J. Weinberg (1885-1966) di Berlino e Svizzera; Isaac Jacob Weiss (n. 1902) di Manchester e Gerusalemme; Eliezer Waldenberg (n. 1917) di Gerusalemme; Ben Zion Uziel (1880-1953), rabbino capo dei Sefarditi di Israele; Isaac Herzog (1888-1959), rabbino capo degli Ashkenaziti di Israele e il suo successore I. J. Unterman (1886-1976); Isaac Nissim (n. 1896), rabbino capo dei Sefarditi di Israele e il suo successore Ovadiah Yosef (n. 1920).
I problemi trattati nei Responsi del XX secolo riflettono tutti i progressi della scienza, tecnologia, istruzione, economia e medicina. Vi sono Responsi che contemplano perfino il problema di quando un astronauta ebreo deve recitare le preghiere del mattino e della sera. Ma la maggior parte di questi Responsi trattano di problemi pratici gravi che si incontrano nella vita quotidiana, fra i quali l'etica della fecondazione artificiale, l'aborto e l'uso dei contraccettivi; l'eutanasia, le autopsie, i trapianti di cuore e se il medico debba dire o non dire al paziente che è affetto da un male incurabile; l'uso dell'elettricità il sabato e i giorni festivi; l'uso del microfono durante le funzioni in sinagoga; l'uso appropriato della televisione e del cinema; scioperi e serrate; se siano permessi cibi vietati che hanno subito una modifica chimica; le preghiere da recitarsi viaggiando in aereo; la vivisezione; il suffragio femminile, il diritto di una donna di risposarsi se il marito non è ritornato dai campi di sterminio; se un ebreo possa dedicarsi alla parapsicologia; se sia permesso fare un censimento degli Ebrei; se il sistema bancario moderno debba considerarsi in contrasto con il divieto di pretendere interessi; se sia permesso adibire a sinagoga un edificio un tempo usato come chiesa; se il giudaismo imponga l'inumazione del cadavere e vieti la sua cremazione.
Nel XX secolo un problema fondamentale per il diritto ebraico è stato quello di preservarne l'autorità pur riconoscendo la necessità della sua evoluzione. Nuove condizioni esigono nuove soluzioni agli antichi problemi; tuttavia il peso della tradizione è tale che molti ortodossi considerano i luminari del diritto del passato come maestri pressoché infallibili, dalle cui norme è vietato scostarsi. Parafrasando un detto talmudico è stato spesso asserito: ‟Se consideriamo angeli gli antichi dottori, noi possiamo considerarci uomini. Se li consideriamo uomini, noi siamo asini". Perfino un innovazione tanto innocente come l'introduzione nella liturgia di nuove preghiere per commemorare l'Olocausto e per celebrare l'anniversario della costituzione dello Stato di Israele è stata contrastata con l'affermazione che gli appartenenti a questa ‛derelitta generazione' non hanno la facoltà di modificare il culto stabilito. Cionondimeno una nuova legislazione è stata effettivamente introdotta in Israele: è stata per esempio vietata la poligamia anche per i Sefarditi e per sposarsi è ora richiesta un'età superiore a quella prima stabilita. Molto lavoro preparatorio viene svolto alla Hebrew University, dove viene studiata la tradizione giuridica e vengono proposti rimedi agli abusi che si inquadrino nel vasto contesto della legge tradizionale, specialmente sotto la guida del professor Z. Falk (n. 1923) e del professor M. Elon (n. 1923), direttore dell'Institute for Research in Jewish Law.
6. Osservazioni conclusive
In tutta la sua storia il giudaismo non ha forse mai dovuto affrontare una crisi così distruttiva come quella che lo ha colpito nel XX secolo. Il generale declino del sentimento religioso determinato dalla critica biblica, le polemiche tra scienza e religione, le critiche marxiste e freudiane della fede avevano suscitato, insieme ai problemi scaturiti dall'emancipazione, un diffuso scetticismo religioso già prima che l'Olocausto assestasse alla fede giudaica un colpo così grave da far dubitare che il giudaismo potesse mai riprendersi. Ma venne allora in soccorso la capacità di recupero acquisita nel fronteggiare catastrofi simili, seppur meno gravi, subite in passato. I sopravvissuti dei campi trovarono nuovi focolari, i templi del sapere furono ricostituiti in un ambiente più ospitale, la ricostruzione procedette rapidamente e lo Stato di Israele, pur gravato da problemi propri, si è dimostrato una fonte di incoraggiamento a tener fede all'antico patto. Non c'era né il desiderio né la possibilità di ritornare al passato: mai più le cose sarebbero tornate come prima. A partire dalla fine degli anni trenta il mondo ebraico ha visto assoggettare la tradizione alla critica: una critica che però ha spronato a una più profonda riflessione sul significato e sull'importanza del giudaismo nell'Occidente e alla ferma risoluzione che mai Hitler doveva ottenere la vittoria. Nel complesso il giudaismo è riuscito a dimostrare la sua vitalità e la capacità di reagire a sfide senza precedenti. Sembra certo che la posterità ebraica guarderà al XX secolo come a un periodo paragonabile a quello dell'altra sciagura, mai cancellata dalla coscienza del popolo ebraico: la distruzione del Tempio. Come allora, le memorie del passato hanno ispirato il presente e dato speranza per il futuro.
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