Abstract
La nozione di giudicato nel diritto amministrativo è condizionata, sul piano oggettivo, dalla centralità storicamente riconosciuta all’atto e al potere pubblico; sul piano soggettivo, dalla indeterminatezza della categoria dei terzi. Sotto il primo profilo, in considerazione dell’impostazione soggettiva conferita al processo dagli interventi normativi degli ultimi anni, l’oggetto del giudicato va identificato nel rapporto giuridico controverso. Sotto il secondo profilo, per delimitare l’ambito di efficacia del giudicato è necessario abbandonare la tradizionale concezione del terzo come mero titolare di una frazione dell’interesse pubblico, per ridefinire la sua pretesa in chiave soggettiva.
Per quanto sia assente una definizione di giudicato, come quella contenuta negli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c., la nozione di cosa giudicata formale può essere sussunta nel processo amministrativo in virtù del rinvio esterno operato dall'art. 39 c.p.a., mentre l'estensione soggettiva del giudicato amministrativo è comunque costruita a partire dalla disposizione del codice civile, ritenuta espressione di un principio generale dell'ordinamento (Benvenuti, F., Giudicato, in Enc. dir., XVIII, Milano, 1969, 897; Travi, A., Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2014, 370; contra Calabrò, C., Giudicato, in Enc. giur. Treccani, 1989, 1).
Non è pertanto per quest’assenza che sul giudicato del giudice amministrativo e segnatamente su quello cd. sostanziale (riferibile «al contenuto del comando del giudice»: Gallo, C.E., Manuale di giustizia amministrativa, Torino, 2012) insiste la più grave (in termini di conseguenze) e complessa problematica concernente la tutela giurisdizionale avverso l'attività della pubblica amministrazione, in particolare là dove a questa si presti attenzione dal punto di vista della giurisdizione generale di legittimità. Le cause, tra loro intrecciate, vanno invece rinvenute nel mancato accoglimento di alcuni punti fermi della teoria del processo civile (come quello di assumere a oggetto del processo il rapporto sostanziale – anche nei giudizi di impugnativa negoziale: Cass., S.U., 12.12.2014, nn. 26242 e 26243 –; o quello della capacità della sentenza di «risolvere definitivamente una controversia fra le parti»: Benvenuti, F., Giudicato, cit., 893); nell'incompiuto, se non controverso, accoglimento della vocazione soggettiva della tutela giurisdizionale, così come postulato dall'art. 24 Cost.; nelle fondamentali e perduranti incertezze che circondano le situazioni giuridiche soggettive nei confronti della p.a. e, in specie, il concetto di interesse legittimo. La gravità della problematica è facilmente intuibile, solo considerando che dalla sequenza domanda - oggetto del processo - giudicato dipendono in definitiva tutti gli istituti processuali: dalle condizioni dell'azione al regime probatorio; dagli elementi costitutivi della domanda alle parti al contraddittorio; dalle pronunce cautelari ai poteri del giudice in generale; dal sistema delle preclusioni all'assorbimento dei motivi; dai mezzi di impugnazione all'esecuzione della sentenza (quindi anche la natura e l'oggetto del giudizio di ottemperanza); e così via dicendo. Ma la medesima gravità è già implicata dal fatto che il giudicato rappresenta «il punto di incontro tra diritto processuale e diritto sostanziale» (Vipiana, P.M., Osservazioni sull’implicito nel giudicato amministrativo, in Dir. proc. amm., 1989, 60).
Lungo è l'elenco delle questioni che involgono direttamente e immediatamente il giudicato amministrativo: la formazione del cd. giudicato implicito, di quello interno e di quello parziale, la sussistenza del giudicato in caso di pronuncia di rigetto del ricorso, il rapporto tra giudicato e autotutela amministrativa, la resistenza del giudicato amministrativo al diritto europeo, la distinzione tra effetti del giudicato ed effetti della sentenza (v. infra, § 6), il regime delle sopravvenienze in fatto e in diritto (i cd. limiti cronologici del giudicato), la disciplina della cd. motivazione postuma, la relazione tra provvedimento annullato e provvedimenti allo stesso collegati, l'esperibilità del giudizio di ottemperanza (attraverso le nozioni di elusione e violazione del giudicato: mentre è caduto il presupposto del giudicato formale), e altro ancora.
Al centro risiede la questione dell'oggetto del giudicato, che condiziona o è in grado di condizionare tutte le altre; financo l'individuazione dei limiti soggettivi del giudicato discende da quella dei limiti oggettivi (Vipiana, P.M., Osservazioni, cit., 63).
Nella questione dell’oggetto del processo, e quindi del giudicato, si riflette la storia della giustizia amministrativa. Poiché il giudizio di fronte al giudice amministrativo nasce all’insegna del controllo di legalità del provvedimento amministrativo, il suo oggetto viene per lungo tempo individuato nello stesso provvedimento o, tutto al più, nel diritto potestativo (diritto al mutamento o all'annullamento) sulla falsariga degli (e anche dagli) studi processual-civilistici sulla tutela giurisdizionale costitutiva (per tutti, Allorio, E., Per una teoria dell’oggetto dell’accertamento giudiziale, in Jus, 1955, 186). In questo modo il processo viene imbrigliato nell'alternativa tra tante causae petendi quanti sono i vizi di legittimità lamentati e un'unica causa petendi (ampiamente, Clarich, M., Giudicato e potere amministrativo, Padova, 124 ss.), a cui segue la preclusione di un nuovo ricorso dello stesso ricorrente dopo la sentenza di rigetto (ricorso che è comunque esposto in entrambi i casi al breve termine decadenziale), con una «rottura di simmetria (nei confronti della pubblica amministrazione che) conserva naturaliter la possibilità di riedizione del potere» (Calabrò, C., Giudicato, in Enc. giur. Treccani, 2002, 7).
Il modello impugnatorio puro e «la concezione del giudizio amministrativo come giudizio su atti [entrano] in crisi» (Caianiello, V., Lineamenti del processo amministrativo, Torino, 1979, 826) nel momento in cui emerge con consapevolezza la distinzione tra interessi legittimi oppositivi e interessi legittimi pretensivi. Se rispetto ai primi si era da sempre raggiunto un (qualche) soddisfacimento dell'interesse sostanziale del ricorrente attraverso l'effetto demolitorio della sentenza (definita autoesecutiva) di annullamento (per quanto lontana fosse ancora la possibilità di assimilare la problematica dell’oggetto del giudicato a quella propria dell'impugnazione del licenziamento, in virtù della pacifica esistenza o almeno pre-esistenza di un diritto soggettivo: Luiso, F.P., Rinnovazione dell’atto di licenziamento e limiti cronologici della cosa giudicata, in Giust. civ., 1985, 559 ss.; Consolo, C., Oggetto del giudicato e principio dispositivo. Oggetto del giudizio ed impugnazione del licenziamento, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1991, 569 ss.), è nei confronti della tutela degli interessi legittimi pretensivi che si leva l’insoddisfazione, di fronte ai casi di provvedimenti di diniego e di silenzi rifiuto.
Si afferma, pertanto, in questo contesto l’esistenza di un contenuto ordinatorio all’interno della sentenza costitutiva (per la teorizzazione dell’effetto ripristinatorio e soprattutto conformativo oltre che eliminativo della sentenza di annullamento v. Nigro, M., Giustizia amministrativa, Bologna, 1983, 386 ss.; rileva che «il loro fondamento normativo appare in realtà poco solido» Clarich, M., in Sandulli, A., a cura di, Diritto processuale amministrativo, Milano, 2007, 304); più in generale, si valorizza il momento dell’accertamento insito nella decisione giudiziale (Greco, G., L’accertamento autonomo del rapporto nel giudizio amministrativo, Milano, 1980).
Parallelamente al ribaltamento dell’«accentuazione nel giudicato amministrativo dell'aspetto costitutivo rispetto a quello accertativo» (Benvenuti, F., Giudicato, cit., 901) si assiste allo spostamento dell’oggetto del giudicato dall'atto al potere; il processo assume la finalità di intercettare l’esercizio del potere amministrativo (per tutti, Scoca, F.G., in Scoca, F.G., a cura di, Giustizia amministrativa, Torino, 2013, 154), visto che l'atto rappresenta «solo un punto emergente nella linea d'azione dell'Amministrazione» (Calabrò, C., Giudicato, cit., 2).
Ma dal momento che «la res judicata [si forma] solo in relazione ai motivi esaminati dal giudice e ritenuti fondati» (Caianiello, V., Lineamenti, cit., 831), non ponendo altro che un «vincolo rispetto all'ulteriore attività amministrativa» (Benvenuti, F., Giudicato, cit., 903; v. anche Villata, R., Riflessioni in tema di giudizio di ottemperanza ed attività successiva alla sentenza di annullamento, in Dir. proc. amm., 1989, 369 ss.), il potere si riespande di là da questo vincolo. Ne consegue la necessità di un nuovo processo di impugnazione ogni qual volta la p.a. emani un provvedimento amministrativo viziato da illegittimità diverse dalla «elusione o violazione del giudicato», secondo la formula recepita dall’art. 21 septies della legge 7.8.1990, n. 241 (su cui, tra altri, Villata, R.-Ramajoli, M., Il provvedimento amministrativo, Torino, 2006, 370 ss.). È questo il sistema del cd. doppio binario, che non apre indefettibilmente all’esecuzione (al giudizio di ottemperanza) dopo la fase della cognizione (recentemente, Cons. St., sez. IV, 19.3.2015, n. 1511), contraddicendo il principio di effettività della tutela (Travi, A., L’esecuzione della sentenza, in Cassese, S., a cura di, Trattato di diritto amministrativo, Diritto amministrativo speciale, V, Milano, 2003, 4605 ss.).
Numerosi sono stati i tentativi, recenti e meno recenti, volti a garantire il cd. bene della vita al ricorrente, sia sul fronte giurisprudenziale che su quello dottrinale: i primi ispirati dalla ricerca di un «bilanciamento» con la salvaguardia dell'inesauribilità del potere amministrativo (Patroni Griffi, F., La sentenza amministrativa, in www.giustizia-amministrativa.it), i secondi più apertamente orientati al superamento del modello impugnatorio.
Alla teorizzazione della definitiva attribuzione del bene della vita tramite la sentenza di accoglimento del ricorso si è innanzitutto pervenuti postulando la necessità del riesercizio difensivo (con atto processuale, cioè, tramite eccezione) del potere (anche) discrezionale, in applicazione della regola della preclusione del dedotto e del deducibile (insieme a quella della corrispondenza tra chiesto e pronunciato: così Corso, G., Processo amministrativo di cognizione e tutela esecutiva, in Foro it., 1989, V, 421 ss. e Verde, G., Osservazioni sul giudizio di ottemperanza, in Riv. dir. proc., 1980, 642 ss.; v. anche Piras, A., Interesse legittimo e giudizio amministrativo, I-II, Milano, 1962). Si tratta di soluzione che la giurisprudenza nei termini anzidetti respinge (Cons. St., sez. IV, 7.3.2013, n. 1405), salvo il caso in cui il ricorrente sia titolare di un interesse legittimo oppositivo (di recente, Cons. St., sez. VI, 10.2.2015, n. 722; per l’applicazione della preclusione a sfavore del ricorrente, Cons. St., sez. V, 6.9.2012, n. 4736), e che si espone al rilievo di portare a oggetto del processo una situazione giuridica soggettiva (il diritto al bene finale) che sul piano sostanziale non esiste o non esiste ancora (Ferrara, L., Situazioni soggettive nei confronti della pubblica amministrazione, in Cassese, S., diretto da, Dizionario di diritto pubblico, Milano, 2006, VI, 5582).
Sempre sul fronte dottrinale il nesso tra garanzia del bene della vita e annullamento del provvedimento amministrativo si è realizzato anche ipotizzando l’esistenza di una preclusione di carattere (non più processuale ma) procedimentale; individuando, cioè, un onere a carico della p.a. di spendere integralmente il potere nel procedimento amministrativo, pena il suo esaurimento (Clarich, M., Giudicato, cit., 180 ss.). La tesi, che appare pretermettere le ragioni del controinteressato e costruire la posizione della p.a. in termini più svantaggiosi di quanto non sia la posizione del debitore in un usuale rapporto obbligatorio civilistico (al quale è data la possibilità di adempiere anche tardivamente alla sua obbligazione: Ferrara, L., La comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza nel riformato quadro delle garanzie procedimentali, in Studi in onore di Leopoldo Mazzarolli, Padova, 2007, II, 83 ss.), ha trovato un ulteriore sostegno nell’art. 10 bis, l. n. 241 del 1990, là dove impone la comunicazione di tutti i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza prima del rigetto (Clarich, M., Tipicità delle azioni e azione di adempimento nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2005, 279-280).Di stampo decisamente pragmatico le soluzioni avanzate dalla giurisprudenza: da quella che vede il giudicato formarsi progressivamente nel corso del giudizio di ottemperanza (non ancora abbandonata: Cons. St., 23.3.2015, n. 1558), facendo «regredire in secondo piano la sentenza pronunciata in sede di cognizione» (Clarich, M., Il giudizio amministrativo di esecuzione, in Paleologo, G., a cura di, I Consigli di stato di Francia e d’Italia, Milano, 1998, 355); a quella della preclusione a scoppio ritardato, che, in temperamento della tesi dottrinale da ultimo ricordata, fa discendere l’esaurimento della discrezionalità dall’esercizio del potere amministrativo che fa seguito alla pronuncia del giudice (tanto definitiva quanto addirittura cautelare), escludendo, pertanto, che la p.a. possa tornare a decidere sfavorevolmente sull’istanza (e sia invece vincolata ad accoglierla) dopo l’annullamento del provvedimento per opera della seconda pronuncia (indirizzo inaugurato da Cons. St., sez. V, 6.2.1999, n. 134; sulla teoria del cd. one shot temperata, di recente, Cons. St., sez. IV, 6.10.2014, n. 4987).
Alla riconduzione dell’oggetto del giudicato al rapporto giuridico controverso hanno portato nuova linfa gli interventi normativi succedutisi nel corso del nuovo millennio: dalla disciplina dell’annullamento non pronunciabile ai sensi dell’art. 21 octies, co. 2, l. n. 241/1990 come riformata nel 2005 (Cacciavillani, C., in Scoca, F.G., a cura di, Giustizia amministrativa, cit., 568), applicabile in presenza di un vincolo, anche in concreto, che porta a escludere l’esistenza dell’interesse legittimo e a dichiarare l’infondatezza del ricorso (Ferrara, L., La partecipazione tra “illegittimità” e “illegalità”. Considerazioni sulla disciplina dell’annullamento non pronunciabile, in Dir. amm., 2008, 103 ss.), alle trasformazioni del processo amministrativo culminate nell’adozione del codice.
Rilevano da quest’ultimo punto di vista le disposizioni che fanno della situazione giuridica vantata l’oggetto del processo (artt. 7 e 34 c.p.a.; di una «incerta definizione» ragiona, tuttavia, Comporti, G., Il giudice amministrativo tra storia e cultura: la lezione di Pier Giorgio Ponticelli, in Dir. proc. amm., 2014, 753) così come la pluralità di azioni ormai esperibili nel giudizio di legittimità. Se con l’azione di risarcimento del danno «il tema del giudicato amministrativo […] acquista una netta autonomia rispetto all’esecuzione della sentenza di annullamento» (Travi, A., Il giudicato amministrativo, in Dir. proc. amm., 2006, 919), è, in particolare, con il riconoscimento dell’azione di condanna al fàcere che il problema tradizionalmente posto dalla riedizione del potere amministrativo assume caratteristiche differenti.
Laddove tale potere ha carattere (interamente) vincolato è significativa l’introduzione dell’azione di adempimento in caso di silenzio inadempimento e di provvedimento di diniego, che si basa sull’accertamento della fondatezza della pretesa fatta valere e che non può operare se non in applicazione della regola della preclusione del dedotto e del deducibile (Gisondi, R., Commento all’art. 30. Azione di condanna, in Caringella, F.-Protto, M., a cura di, Codice del nuovo processo amministrativo, Trento, 2013, 366 ss.). Laddove, invece, l’attività amministrativa ha carattere discrezionale, fermo il pacifico assunto che alla statuizione sul rapporto il giudice non possa pervenire pronunciandosi in cognizione sui «poteri amministrativi non ancora esercitati» (34, comma 2, c.p.a.), si è potuto sostenere che la copertura del dedotto e del deducibile da parte del giudicato di condanna continua a concernere ciò che spetta all’attore, che nella specie non corrisponde al bene finale, ma alla chance di ottenerlo. In questa prospettiva è il diritto allo scioglimento dell’incertezza in cui il legislatore lascia il titolare dell’interesse legittimo pretensivo, in presenza dei requisiti e dei presupposti di legge che integrano il suo fatto costitutivo, a costituire l’oggetto del giudicato, restituendo così alla sentenza del giudice della cognizione la satisfattività che dovrebbe essergli consustanziale: con la conseguenza che la p.a., condannata a tradurre la chance in una risposta concreta, è esposta, in caso di perdurante inadempimento, alla sostituzione in via esecutiva (Ferrara, L., Domanda giudiziale e potere amministrativo. L’azione di condanna al facere, in Dir. proc. amm., 2013, 617 ss.).
Per quanto i limiti soggettivi del giudicato amministrativo siano ricostruiti a partire da un principio generale, quale l’art. 2909 c.c., vi sono difficoltà nell’individuare il novero dei soggetti nei cui confronti il giudicato esplica o può esplicare i propri effetti. Tali difficoltà dipendono da incertezze apprezzabili sia a livello processuale sia a livello sostanziale: sul versante processuale, vengono in gioco le questioni inerenti all’oggetto del giudizio, soprattutto in ordine alla centralità storicamente riconosciuta all’atto e al potere pubblico; sul versante sostanziale, assume rilievo la sfuggente e indeterminata categoria dei “terzi”, cui si riconosce un ruolo peculiare nel diritto amministrativo in conseguenza dell’«essenza stessa del potere amministrativo, conferito per la tutela di interessi che eccedono le sfere giuridiche del soggetto dell’atto [e del] suo destinatario» (Corso, G., L’efficacia del provvedimento amministrativo, Milano, 1969, 362 s.).
Secondo la ricostruzione prevalente, l’applicazione dell’art. 2909 c.c. nel processo amministrativo conosce, infatti, due eccezioni. La prima ipotesi di efficacia ultra partes del giudicato si collega alla possibilità per l’amministrazione soccombente di estendere gli effetti del giudicato favorevole a soggetti che sono estranei al giudizio (Cons. St., sez. VI, 29.9.1998, n. 1317): si tratta di un potere generale a carattere discrezionale (Maruotti, L., Il giudicato amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it), che nondimeno viene talvolta espressamente escluso dalla legge (per esempio, per ragioni di contenimento della spesa: art. 1, co. 132, l. 30.12.2004, n. 311). La seconda eccezione, invece, più significativa e foriera di maggiori dubbi interpretativi, si fonda sulla distinzione tra atti scindibili e atti inscindibili. Mentre con riferimento agli atti dai contenuti scindibili si riconosce che il giudicato di annullamento può avere effetto solo tra le parti, altrettanto non può dirsi con riferimento agli atti dal contenuto unitario. In questo caso, si ammette l’efficacia ultra partes all’annullamento di atti a contenuto generale ovvero normativo, «nei quali gli effetti dell’annullamento non sono circoscrivibili ai soli ricorrenti, essendosi in presenza di un atto sostanzialmente e strutturalmente unitario, il quale non può esistere per taluni e non esistere per altri» (TAR Lazio, Roma, sez. I, 6.6.2014, n. 6053; osserva Calabrò, C., Giudicato, cit., 6, come il giudicato amministrativo abbia sempre effetti riflessi anche nei confronti degli «interessati» che non abbiano partecipato al processo e che tali «riflessi» assumono la «consistenza di effetti diretti» in presenza di atti inscindibili).
Quest’ultima deroga alla regola dell’efficacia inter partes degli effetti del giudicato amministrativo si pone in tensione con i principi del contraddittorio e del diritto di difesa: i terzi si troverebbero sottoposti alla autorità di giudicato di quanto statuito in un processo cui sono rimasti estranei. Per rimediare, sono state prospettate due soluzioni alternative, entrambe rivolte a limitare la efficacia ultra partes (o addirittura erga omnes) del giudicato di annullamento. Innanzitutto, si è proposto di estendere al processo amministrativo la distinzione, desunta dalla dottrina processualcivilistica (Liebman, T. E., Efficacia ed autorità della sentenza, Milano, 1935), tra efficacia della sentenza e autorità di giudicato (Travi, A., Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2012, 365). A fronte dell’annullamento di atti dai contenuti inscindibili, i terzi sarebbero sottoposti agli effetti dell’annullamento, ma non anche agli effetti del giudicato: il provvedimento non potrebbe più considerarsi esistente neanche per i terzi, venendo dunque meno tutte le utilitas da quello assegnate, ma non opererebbe nei loro confronti alcun meccanismo preclusivo, là dove intendessero rimettere in discussione quanto disposto nel primo processo. Secondo tale tesi, a fronte di provvedimenti dai contenuti inscindibili, l’effetto erga omnes dell’annullamento non invererebbe una vera e propria estensione del giudicato, collegandosi piuttosto alla particolare natura del provvedimento impugnato, cosicchè la sentenza nei confronti dei terzi varrebbe come un qualsiasi fatto di annullamento (Travi, A., Il giudicato amministrativo, cit., 932).
Una seconda soluzione, anch’essa volta a circoscrivere la efficacia ultra partes del giudicato di annullamento, è suggerita da quella giurisprudenza che propone di distinguere tra effetti cassatori ed effetti conformativi della pronuncia. Sarebbero soltanto gli effetti eliminatori a spiegare effetti erga omnes, perché «l’effetto cassatorio che deriva dalla sentenza amministrativa risente della natura indivisibile dell’atto che ne è oggetto, propagandosi necessariamente a tutti i soggetti rispetto ai quali esso aveva prodotto conseguenze giuridiche»; viceversa, il contenuto ordinatorio della pronuncia del giudice amministrativo, «incidendo sul rapporto controverso», manterrebbe efficacia inter partes, restando cioè legato al caso concreto su cui il giudice è chiamato a decidere. Questa impostazione consentirebbe di non distorcere la natura della sentenza amministrativa, come invece accadrebbe ove le si attribuisse, in caso di impugnazione di atti generali, «una portata normativa che è del tutto estranea al contenuto della funzione giurisdizionale che il giudice amministrativo è chiamato a esercitare» (TAR Lombardia, Milano, sez. III, 4.2.2009, n. 1131).
La tradizionale ricostruzione dei limiti soggettivi del giudicato, che si fonda, pur con le varianti esaminate, sulla distinzione tra atti scindibili e atti inscindibili, lascia aperti alcuni problemi.
Un primo ordine di questioni concerne la difficoltà di applicare, in concreto, il criterio della (in)scindibilità. Il problema si è posto, per esempio, per gli strumenti urbanistici generali, in riferimento ai quali la giurisprudenza ha avanzato letture opposte. Da un lato, il Consiglio di Stato, ancorato alle posizioni tradizionali e a una concezione oggettiva di atto generale, sostiene che l’annullamento dei provvedimenti urbanistici ha efficacia erga omnes tutte le volte in cui dipenda da una causa «indivisibile», ovvero da un «vizio che inficia l’atto nel suo procedimento formativo o nel suo elemento di generalità». Dall’altro lato, invece, la Cassazione ammette l’efficacia ultra partes dell’annullamento dell’atto generale soltanto quale riflesso della inscindibilità soggettiva dei suoi effetti, sul presupposto che solo se l’atto «provvede in modo unitario e indivisibile» per una pluralità di soggetti può valere il principio secondo cui esso «sta per tutti o non sta per nessuno» (per questa ricostruzione, Ramajoli, M.-Tonoletti, B., Qualificazione e regime giuridico degli atti amministrativi generali, in Dir. amm., 2013, 101 ss., cui si rinvia anche per indicazioni sulla giurisprudenza).
Un secondo ordine di questioni, più generale, concerne le incertezze che attengono alla posizione dei terzi nel diritto amministrativo e che si riverberano sull’estensione dei limiti soggettivi del giudicato. Tali incertezze emergono, innanzitutto, a livello processuale. Per spiegarlo può essere utile esaminare due aspetti: la distinzione tra controinteressati in senso stretto e controinteressati solo sostanziali e la legittimazione a proporre opposizione di terzo.
Con riferimento al primo profilo, è noto che, per potersi parlare di controinteressati in senso stretto (gli unici che beneficiano della notifica del ricorso), la giurisprudenza richiede la presenza di due requisiti: uno formale, «scaturente dalla esplicita contemplazione del soggetto nel provvedimento impugnato, ovvero della sua immediata individuabilità»; l’altro sostanziale, «discendente dal riconoscimento, in capo al controinteressato, di un interesse al mantenimento della situazione esistente, che è proprio di coloro che sono coinvolti da un provvedimento amministrativo ed abbiano acquisito, in relazione a detto provvedimento, una posizione giuridica qualificata alla sua conservazione» (ex multis, TAR Lazio, Roma, sez. I ter, 1.7.2013, n. 6497): dunque, sono considerati parti necessarie nel processo non tutti i titolari dell’interesse sostanziale, ma soltanto quanti, tra quelli, siano anche indicati nel provvedimento (Bartolini, A., Contraddittorio e intervento, in Morbidelli, G., a cura di, Codice della giustizia amministrativa, Milano, 2015, 368 e 373). Questa asimmetria tra il dato formale e il dato sostanziale si riflette sulla questione dei limiti soggettivi del giudicato, perché rende dubbia l’estensione del giudicato a soggetti che, pur versando nella medesima posizione sostanziale, godono di un differente trattamento processuale in ragione di un dato meramente testuale.
Il secondo profilo riguarda l’opposizione di terzo. L’introduzione di questo istituto costringe a una ridefinizione dei confini soggettivi del giudicato (Lolli, A., I limiti soggettivi del giudicato amministrativo. Stabilità del giudicato e difesa del terzo nel processo amministrativo, Milano, 2002, 4 ss.). In base all’art. 108 c.p.a., si ritiene che nel processo amministrativo, come nel processo civile, possano proporre opposizione i litisconsorti necessari pretermessi e i titolari di una posizione autonoma e incompatibile. Nondimeno, l’assenza di una compiuta teoria delle parti rende nella pratica difficile ricondurre questi soggetti alle categorie del diritto processuale amministrativo (Carbone, A., L’opposizione di terzo ex art. 108, 1° co., c.p.a., in Foro amm. – TAR, 2012, 2964). Per esempio, possono considerarsi tali i controinteressati sopravvenuti? E chi sono nel diritto amministrativo i titolari di posizioni autonome e incompatibili? (dubita della configurabilità, nel diritto amministrativo, di situazioni autonome e incompatibili, Trimarchi Banfi, F., Considerazioni sull’opposizione alla sentenza di annullamento, proposta dal terzo titolare di posizione “autonoma e incompatibile”, in Dir. proc. amm., 1998, 783 e 796 ss.; talora i controinteressati sostanziali sono considerati titolari di una posizione autonoma e incompatibile ai fini della legittimazione a proporre opposizione: Travi, A., Lezioni, cit., 332). Tradizionalmente si tende a utilizzare un metro ampio nella identificazione dei soggetti legittimati a proporre opposizione di terzo per una ragione pratica: l’opposizione di terzo è stata subito intesa come strumento per «ovviare alla possibilità che una sentenza, pronunciata nei confronti di soggetti direttamente contemplati nell’atto impugnato, possa produrre effetti nei confronti dei terzi senza che questi siano stati coinvolti nel giudizio perché formalmente non erano considerati controinteressati» (C. cost., 17.5.1995. n. 177). L’opposizione finisce così per diventare l’unico strumento di garanzia dei terzi che non abbiano ricevuto la notificazione del ricorso o che non abbiano avuto conoscenza del processo, pur essendo a esso “interessati”. In questo modo, però, essa rischia di perdere i connotati del rimedio di chiusura «destinato a garantire un’ultima, straordinaria, possibilità di tutela, laddove gli altri, necessari e primari, meccanismi di garanzia abbiano fallito», per diventare lo strumento ordinario di tutela dei terzi (Corletto, D., Opposizione (dir. proc. amm.), in Dig. pubb., XIV, Appendice, Torino, 1999, 566).
L’incertezza che connota la posizione dei terzi nel diritto amministrativo affiora, ancor prima, a livello sostanziale. Nella idea tradizionale, il terzo è colui che, pur non essendo il diretto destinatario del provvedimento, è comunque interessato dalla decisione. Si tratta di una conseguenza del fatto che il potere pubblico si dirige naturalmente verso un numero indefinito di soggetti e, esercitandolo, l’amministrazione può disporre di tutti gli interessi rilevanti, compreso quello del terzo (Trimarchi Banfi, F., L’atto autoritativo, in Dir. amm., 2011, 673). Sarebbe del resto lo stesso interesse legittimo a caratterizzarsi per indubbi profili di multipolarità (Travi, A., Nuovi fermenti nel diritto amministrativo verso la fine degli anni ’90, in Foro it., V, 1997, 176). La multidirezionalità del potere giustificherebbe, dunque, l’elasticità dei confini della categoria dei terzi, utile a fini di garanzia, perché la sua estensione consente di ampliare il novero dei soggetti legittimati a ricorrere avverso uno scorretto uso del potere pubblico. Questa impostazione risponde però a una esigenza di controllo del potere, più che di garanzia di posizioni rilevanti: l’interesse legittimo del terzo è plasmato in chiave processuale, come reazione al provvedimento illegittimo; si prescinde dalla sua qualificazione e ci si accontenta di un interesse in qualche modo differenziato, con la conseguenza che la sua esistenza «finisce per essere rimessa alle valutazioni non sempre prevedibili del giudice» (così, Trimarchi Banfi, F., L’interesse legittimo: teoria e prassi, in Dir. proc. amm., 2013, 1010, con riferimento alla figura generale dell’interesse legittimo). È evidente la difficoltà di intendere in chiave soggettiva la posizione sostanziale del terzo e di riportarla a una logica relazionale: la situazione soggettiva di cui questi è titolare non è autonoma, ma mero riflesso dell’interesse pubblico; il terzo può aspirare a una tutela nei confronti della amministrazione solo nei limiti di una pretesa alla «corretta cura dell’interesse pubblico» (Merloni, F., Funzioni amministrative e sindacato giurisdizionale. Una rilettura della Costituzione, in Dir. pubbl., 2011, 497).
Così intesa, la nozione di terzo si rivela strutturalmente inadatta a conformarsi alle logiche del processo di parti, poiché non costituisce una “vera” posizione soggettiva, ma vive all’ombra dell’interesse pubblico. I contorni dell’efficacia soggettiva del giudicato amministrativo, dunque, sono inevitabilmente sfumati proprio perché sfumata è la categoria dei soggetti che potrebbero esservi sottoposti.
Si tratta, del resto, di una incertezza che pare il precipitato di una insufficiente riflessione sulle posizioni soggettive nel diritto amministrativo e sulla loro azionabilità: una più rigorosa definizione dell’ambito soggettivo del giudizio (e del giudicato) amministrativo non può prescindere da una più attenta considerazione dei caratteri dell’interesse legittimo, che di quel giudizio sta diventando l’oggetto.
Art. 2909 c.c.; art. 324 c.p.c.; artt. 2 e 21 septies l. 7.8.1990, n. 241; artt. 7, 8, 11, 30, 34, 78, 92, 108, 112, 114, 123, 130, 133 e 134 c.p.a.; art. 27, c. 4, R.d. 26.6.1924, n. 1054; artt. 21, 23, 33, 37, l. 6.12.1971, n. 1034; art. 1, co. 132, l. 30.12.2004, n. 311.
Oltre ai lavori citati nel testo, si vedano: Cacciavillani, C., Giudizio amministrativo e giudicato, Padova, 2005; Caranta, R., Atto collettivo, atto plurimo e limiti soggettivi del giudicato amministrativo di annullamento, in Giust. civ., 1989, 916; Capaccioli, E., Per la effettività della giustizia amministrativa. (Saggio sul giudicato amministrativo), ora in Diritto e processo, Padova, 1978, 447 ss.; Cassarino, S., Le situazioni giuridiche e l’oggetto della giurisdizione amministrativa, Milano, 1956; Ferrara, L., Dal giudizio di ottemperanza al processo di esecuzione, Milano, 2003; Fornaciari, M., Situazioni potestative, tutela costitutiva, giudicato, Torino, 1999; Guicciardi, E., I limiti soggettivi del giudicato amministrativo, in Giur. It., 1941, III, 17; Menchini, S., I limiti oggettivi del giudicato civile, Milano, 1987; Motto A., Poteri sostanziali e tutela giurisdizionale, Torino, 2012; Proto Pisani, A., Note in tema di limiti soggettivi della sentenza civile, in Foro it., 1985, 2385; Raggi, L., I limiti soggettivi dell’efficacia di cosa giudicata delle decisioni delle giurisdizioni amministrative, in Giur. cass. civ., 1948, 418; Stoppini, E., Appunti in tema di estensione soggettiva del giudicato amministrativo, in Dir. proc. amm., 1992, 347; Vipiana, P.M., Contributo allo studio del giudicato amministrativo, Milano, 1989.
*Il presente scritto rappresenta il frutto di riflessioni congiunte degli autori. Tuttavia, i §§ 1-4 sono stati stesi da Leonardo Ferrara, i §§ 5-8 da Giulia Mannucci.