Giudicato restitutorio e acquisizione sanante
Nel risolvere un contrasto recentemente emerso in giurisprudenza, la decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 2 del 2016 afferma degli importanti principi in materia di acquisizione sanante e giudizio di ottemperanza, assumendo che, a fronte di un giudicato puramente cassatorio, il commissario ad acta possa sempre adottare il provvedimento acquisitivo, ma escludendo che ciò possa avvenire a fronte di un giudicato restitutorio che esplicitamente condanni l’amministrazione alla restituzione del bene. La decisione precisa inoltre che il provvedimento acquisitivo può essere adottato anche a fronte di un giudicato che impartisce all’amministrazione l’ordine di attivarsi secondo la disciplina dell’acquisizione sanante. Le conclusioni della decisione meritano di essere segnalate per l’estrema attualità ed interesse, tanto negli aspetti di condivisibilità quanto in quelli meno persuasivi o convincenti.
Con la decisione 9.2.2016, n. 2 l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato si è pronunciata sul quesito di diritto posto nei seguenti termini dall’ordinanza di rimessione1: «se nella fase di ottemperanza – con giurisdizione, quindi, estesa al merito – ad una sentenza avente ad oggetto la domanda demolitoria di atti concernenti una procedura espropriativa, rientri o meno tra i poteri sostituivi del giudice, e per esso, del commissario ad acta, l’adozione della procedura semplificata di cui all’art. 42 bis, cit.»2.
La questione richiede di verificare se, a fronte di una sentenza d’annullamento degli atti del procedimento espropriativo, il giudice dell’ottemperanza o il commissario ad acta suo ausiliario possano adottare il provvedimento di acquisizione sanante previsto dall’art. 42 bis d.P.R. 8.6.2001, n. 327. Nonostante la formulazione del quesito sia circoscritta alle pronunce di annullamento, come parrebbe desumersi dall’esplicito riferimento alla “domanda demolitoria di atti concernenti una procedura espropriativa”, la questione ha una portata più ampia e generale che ricomprende anche quelle decisioni che, senza disporre l’annullamento degli atti espropriativi, accertano l’illegittimità della procedura condannando l’amministrazione alla restituzione del bene.
Così illustrata nei suoi elementi essenziali, la questione è di estrema attualità e interesse in quanto si riferisce ad un istituto, quello dell’acquisizione sanante, che sembra ormai essersi stabilmente assestato nell’attuale disciplina dell’art. 42 bis d.P.R. n. 327/2001, come anche confermato dalla recente sentenza della C. cost. 30.4.2015, n. 71 che ne ha decretato la piena conformità a Costituzione3. Sotto altro profilo, la rilevanza della questione è rivelata dalla sua inerenza al tema generale del giudizio di ottemperanza, con particolare riferimento all’esatta delimitazione dei poteri del giudice e del commissario ad acta a fronte di un giudicato che vincola l’amministrazione a restituire il bene illegittimamente occupato. Conseguentemente, la questione è destinata a confrontarsi anche con il principio di effettività della tutela giurisdizionale, nella misura in cui l’effetto restitutorio derivante dalla sentenza rischia di essere vanificato dall’eventuale adozione del provvedimento acquisitivo.
Prima di esaminare la decisione della Plenaria, segnalandone gli aspetti di condivisibilità e quelli meno convincenti, è necessario inquadrare la questione nei suoi riferimenti normativi e giurisprudenziali, a partire dall’attuale disciplina dell’acquisizione sanante.
Disciplinato dall’art. 42 bis d.P.R. n. 327/2001, l’istituto dell’acquisizione sanante costituisce lo strumento giuridico a disposizione dell’amministrazione per acquisire al suo patrimonio i beni immobili illegittimamente occupati e utilizzati per scopi d’interesse pubblico4. Come noto, l’istituto viene originariamente introdotto per superare il fenomeno di matrice giurisprudenziale dell’occupazione appropriativa, già più volte condannato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, in virtù del quale, pur in assenza di una previsione normativa, l’amministrazione poteva diventare proprietaria del bene illegittimamente occupato al verificarsi della sua irreversibile trasformazione5. Entrata in vigore la disciplina sull’acquisizione sanante, l’amministrazione non può più diventare proprietaria del bene illegittimamente occupato secondo il meccanismo dell’occupazione appropriativa ma deve restituirlo al legittimo proprietario a meno che, appunto, non decida di acquisirlo al suo patrimonio mediante l’adozione del provvedimento previsto dall’art. 42 bis.
Tanto premesso, è utile ricordare che, ai sensi dell’art. 42 bis, il provvedimento di acquisizione sanante “può” essere adottato dall’amministrazione che utilizza per “scopi d’interesse pubblico” un bene immobile occupato in assenza di «valido ed efficace provvedimento di esproprio dichiarativo della pubblica utilità», oppure nelle ipotesi in cui sia «stato annullato l’atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all’esproprio, l’atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un’opera o il decreto di esproprio» oppure ancora «durante la pendenza di un giudizio» per l’annullamento degli atti espropriativi, a condizione che l’amministrazione ritiri l’atto impugnato. Come anche si evince dalla formulazione letterale della norma, non è previsto un obbligo di adottare il provvedimento acquisitivo e la decisione se procedere o meno all’acquisizione rientra nella discrezionalità dell’amministrazione. Per quanto riguarda il contenuto, il provvedimento deve recare l’indicazione delle circostanze che hanno condotto all’indebita utilizzazione dell’area e le motivazioni «in riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l’emanazione», deve prendere in considerazione il contrapposto interesse privato evidenziando l’assenza di «ragionevoli alternative» all’adozione dell’atto di acquisizione, deve recare la liquidazione dell’indennizzo da corrispondere al privato entro trenta giorni dalla sua adozione; mentre, per quanto concerne gli effetti, l’acquisizione della proprietà avviene “non retroattivamente” con efficacia ex nunc.
Analogamente a quanto accaduto per la pregressa disciplina, anche per l’attuale sono stati prospettati dei profili d’incostituzionalità, soprattutto in relazione alla tutela costituzionale della proprietà sancita nell’art. 42 Cost.6. Senonché, con la già citata sentenza n. 71/2015, la Corte costituzionale ha ritenuto la disciplina dell’acquisizione sanante pienamente conforme alla Costituzione, sottolineando in particolare come la prevista irretroattività dell’acquisto impedisca «l’utilizzo dell’istituto in presenza di un giudicato che abbia già disposto la restituzione del bene». Si tratta di un passaggio rilevante della sentenza che, come meglio sarà precisato in seguito, viene espressamente richiamato anche dalla Plenaria.
Uno degli aspetti più controversi dell’acquisizione sanante concerne i suoi rapporti con la tutela giurisdizionale invocata dal proprietario per contestare la legittimità del procedimento espropriativo. Si tratta dello stesso profilo esaminato dalla Plenaria relativo alla possibilità per il giudice dell’ottemperanza, o per il commissario ad acta suo ausiliario, di adottare il provvedimento acquisitivo a fronte di un giudicato d’annullamento o di condanna alla restituzione. Collocandosi nel giudizio di ottemperanza, la questione riguarda unicamente i casi in cui a seguito della pronuncia giurisdizionale l’amministrazione sia rimasta inerte, mentre restano estranee all’indagine le diverse ipotesi in cui sia la stessa amministrazione, prima del giudizio di ottemperanza, ad adottare spontaneamente l’atto acquisitivo. Tanto si precisa perché talvolta le due ipotesi vengono sovrapposte senza una precisa distinzione, mentre la questione esaminata resta circoscritta all’adottabilità del provvedimento da parte del giudice dell’ottemperanza o del commissario ad acta.
Una prima posizione ammette che, a fronte di una sentenza di annullamento degli atti della procedura espropriativa, il giudice dell’ottemperanza possa ordinare all’amministrazione di avviare il procedimento di acquisizione sanante ai sensi dell’art. 42 bis d.P.R. n. 327/20017. Secondo questa ricostruzione, se è vero che la sentenza di annullamento determina in capo all’amministrazione l’obbligo di restituzione, è anche vero che il giudice dell’ottemperanza, nell’esercizio dei poteri tipici della giurisdizione di merito, deve pur sempre tenere in considerazione le eventuali esigenze d’interesse pubblico rivelate dal mantenimento dell’opera realizzata. Conseguentemente, non sarebbe precluso al giudice ordinare all’amministrazione l’avvio di un procedimento appositamente preordinato a verificare la sussistenza dei presupposti dell’acquisizione sanante8.
Un secondo orientamento, che in realtà più che sui poteri del commissario ad acta è incentrato sui poteri dell’amministrazione successivamente al giudicato, ritiene che il provvedimento di acquisizione sanante sia adottabile anche a fronte di un giudicato che condanna esplicitamente alla restituzione del bene illegittimamente occupato9. Nella prospettiva assunta, il giudice che dispone la restituzione non modificherebbe la situazione giuridica precedente all’illegittima occupazione, limitandosi ad accertare la proprietà del bene senza determinare nessun effetto costitutivo. L’amministrazione sarebbe pertanto libera di adottare un provvedimento autoritativo che, come l’atto di acquisizione sanante, «consapevolmente viola il diritto di proprietà senza contestarne la titolarità secondo uno schema reso possibile dall’articolo 42, co.3, Cost.»10. La possibilità di adottare l’atto acquisitivo anche a fronte di un giudicato restitutorio non arrecherebbe nessun pregiudizio all’effettività della tutela giurisdizionale, dal momento che «una volta adottato il provvedimento di sanatoria, tutte le aspettative di tutela del privato, restitutorie e risarcitorie, si canalizzano nell’eventuale contenzioso avente ad oggetto il provvedimento in questione»11. Come anticipato, l’orientamento esaminato si riferisce ai diversi casi in cui è l’amministrazione, nell’esercizio di una sua autonoma scelta, ad adottare il provvedimento acquisitivo, ma le stesse conclusioni sembrano potersi adattare ai poteri del commissario, anch’essi potenzialmente destinati a misurarsi con un giudicato restitutorio.
Un terzo orientamento esclude che, a fronte di un giudicato d’annullamento degli atti espropriativi, il giudice dell’ottemperanza possa ordinare all’amministrazione di attivarsi ai sensi dell’art. 42 bis12. Poiché la sentenza d’annullamento recherebbe in sé l’effetto restitutorio-ripristinatorio, dal quale scaturisce l’obbligo per l’amministrazione di restituire il bene, se al giudice dell’ottemperanza fosse riconosciuto il potere di ordinare l’avvio del procedimento acquisitivo, verrebbe a determinarsi la situazione paradossale per cui «lo stesso giudice che in sede di cognizione ha ritenuto che il bene dovesse essere restituito al legittimo proprietario, in sede di ottemperanza ordinerà invece all’amministrazione di impossessarsi dello stesso bene»13. Resta inteso che il provvedimento di acquisizione sanante potrebbe essere adottato dall’amministrazione nell’esercizio di una sua autonoma scelta, in quanto provvedimento autonomo e distinto rispetto agli atti della procedura espropriativa, con presupposti altrettanto autonomi e distinti14.
Investita della questione oggetto del contrasto giurisprudenziale, la Plenaria offre un’articolata soluzione che può essere così illustrata.
In primo luogo, viene escluso che il commissario ad acta possa adottare il provvedimento di acquisizione sanante a fronte di un giudicato che esplicitamente condanni l’amministrazione alla restituzione del bene illegittimamente occupato. L’assunto poggia essenzialmente sul previsto carattere non retroattivo dell’acquisto che, come anche sottolineato dalla sentenza della C. cost. n. 71/2015, precluderebbe «l’utilizzo dell’istituto in presenza di un giudicato che abbia già disposto la restituzione del bene», impedendo così che l’effetto restitutorio della sentenza possa essere vanificato dall’adozione dell’atto acquisitivo. Nella ricostruzione della Plenaria, per “giudicato restitutorio” deve intendersi esclusivamente quello che «disponga espressamente, sic et sempliciter, la restituzione del bene», restandone escluse le sentenze d’annullamento degli atti espropriativi nonostante i loro indiscussi effetti restitutori (v. infra).
In secondo luogo, viene ammessa la possibilità di adottare il provvedimento acquisitivo a fronte di un giudicato puramente cassatorio, precisando che il giudicato si presenta “puramente cassatorio” quando il privato, non avendo più interesse alla restituzione, si sia limitato a chiedere l’annullamento degli atti espropriativi senza proporre “una rituale domanda di condanna alla restituzione previa riduzione in pristino secondo quanto previsto dagli artt. 30, co.1, e 34, lett. c) ed e)”. In questi casi l’annullamento degli atti espropriativi non precluderebbe al commissario di adottare il provvedimento di acquisizione sanante, proprio perché la natura meramente cassatoria del giudicato sarebbe il frutto di una libera scelta del proprietario, il quale non ha più interesse alla restituzione e per tale ragione non ha proposto domanda di condanna.
In terzo luogo, viene consentita l’adottabilità del provvedimento acquisitivo nelle ipotesi in cui il giudicato imponga all’amministrazione di attivarsi ai sensi dell’art. 42 bis d.P.R. n. 327/2001. Ciò che, ad esempio, può avvenire all’esito di un giudizio di ordinaria cognizione che abbia accertato l’illegittimità della procedura espropriativa15, ovvero in esito al giudizio speciale sul silenzio che abbia accertato il dovere dell’amministrazione di procedere ai sensi dell’art. 42 bis16.
La Plenaria offre delle soluzioni in parte condivisibili e in parte non pienamente convincenti.
Condivisibile è la statuizione che esclude l’adottabilità del provvedimento acquisitivo a fronte di un giudicato restitutorio che condanni l’amministrazione alla restituzione del bene. In linea con la pronuncia della C. cost. n. 71/2015, la conclusione valorizza il principio di effettività della tutela giurisdizionale superando l’orientamento contrario che, ammettendo l’adottabilità del provvedimento acquisitivo, si poneva in serio contrasto con il suddetto principio17.
Condivisibile è anche l’adottabilità del provvedimento acquisitivo a fronte di un giudicato che, all’esito di un giudizio di ordinaria cognizione o del giudizio speciale sul silenzio, imponga all’amministrazione di attivarsi ai sensi dell’art. 42 bis. Nella misura in cui dalla sentenza discende un obbligo di agire secondo la disciplina dell’acquisizione sanante, è perfettamente coerente con i principi generali in materia di ottemperanza consentire al commissario di adempiere all’obbligo rimasto inadempiuto. Semmai, come meglio sarà precisato, l’aspetto problematico è a monte nella compatibilità dell’ordine imposto dalla sentenza con i limiti fisiologici delle pronunce di condanna nei confronti dell’amministrazione, diverse da quelle aventi ad oggetto il pagamento di una somma di denaro, soprattutto se, come nella specie, la decisione se adottare o meno il provvedimento acquisitivo rientra nella discrezionalità dell’amministrazione (v. infra).
Non pienamente convincente, come subito si passa ad illustrare, è invece la statuizione che ammette l’adottabilità dell’atto acquisitivo a fronte di un giudicato puramente cassatorio.
Si è più volte sottolineato come la Plenaria escluda l’adottabilità del provvedimento acquisitivo a fronte di un giudicato restitutorio e la ammetta a fronte di un giudicato puramente cassatorio, come se, in assenza d’una esplicita condanna alla restituzione, il semplice annullamento degli atti espropriativi non determinasse nessun effetto restitutorio.
La decisione non sembra adeguatamente considerare che, in base ai principi generali in materia di giudicato amministrativo, la sentenza di annullamento reca in sé l’effetto restitutorio imponendo all’amministrazione di restituire il bene nella situazione in cui si trovava anteriormente al provvedimento annullato18. Si tratta di un effetto che, secondo il tipico modello di tutela degli interessi oppositivi, discende naturalmente dalla pronuncia costitutiva d’annullamento, senza che a tal fine sia necessaria l’esplicita formulazione di una domanda di (condanna alla) restituzione già implicita nella domanda di annullamento19. Se l’adottabilità del provvedimento acquisitivo viene esclusa a fronte di un giudicato restitutorio, la stessa preclusione dovrebbe valere per il giudicato cassatorio in quanto la pronuncia di annullamento, al pari della condanna alla restituzione, determina anch’essa un effetto restitutorio che impone la restituzione del bene illegittimamente occupato. A seguire l’impostazione della Plenaria, si verrebbe a determinare un’inammissibile disparità di trattamento tra le tutele rispettivamente accordate dalla sentenza d’annullamento e dalla sentenza di condanna, che non avrebbe nessuna ragion d’essere in quanto entrambe le pronunce impongono all’amministrazione di restituire il bene illegittimamente occupato.
È pur vero che la sentenza della C. cost. n. 75/2015 esclude espressamente l’adottabilità del provvedimento di acquisizione a fronte del “giudicato restitutorio”, ma ciò non sembra escludere, proprio e anche al fine di evitare possibili disparità di trattamento, che il giudicato d’annullamento (nei suoi effetti restitutori) possa essere identificato nel “giudicato restitutorio” cui si riferisce la pronuncia costituzionale.
Un ulteriore aspetto di criticità investe il tema generale dei limiti ai poteri del giudice di ottemperanza e del commissario ad acta suo ausiliario.
Si è già precisato che, in virtù dell’effetto restitutorio, la sentenza di annullamento determina per l’amministrazione l’obbligo giuridico di restituire il bene illegittimamente occupato, previo eventuale ripristino dello status quo ante. In assenza di ulteriori statuizioni, la restituzione (con eventuale ripristino) costituisce l’unico obbligo che scaturisce dalla pronuncia costitutiva. Orbene, sostenere che in sede di ottemperanza sia possibile adottare il provvedimento acquisitivo oppure ordinare l’avvio di un procedimento ai sensi dell’art. 42 bis, significa ammettere che possa essere adottato un atto o avviato un procedimento nonostante né l’adozione di quell’atto né l’avvio di quel procedimento siano correlati ad un preciso obbligo dell’amministrazione originato dalla decisione d’annullamento, considerato che, come più volte sottolineato, l’unico obbligo discendente dalla pronuncia è la restituzione del bene illegittimamente occupato. Ferma restando una sua possibile riconducibilità nell’alveo delle più attuali concezioni della giurisdizione di merito20, l’assunto sembra porsi in contrasto con i principi tradizionali in materia di ottemperanza secondo cui possono essere imposti all’amministrazione soltanto quei doveri e quegli obblighi che direttamente derivino dal contenuto della sentenza, senza possibilità di estendere la cognizione a nuove situazioni giuridiche o fattispecie che non abbiano formato specifico oggetto della decisione da eseguire21. Resta inteso che, nell’esercizio di una sua autonoma scelta, l’amministrazione potrà comunque neutralizzare l’effetto restitutorio adottando il provvedimento acquisitivo, che, come già precisato, è pur sempre un provvedimento autonomo e distinto rispetto agli atti della procedura espropriativa, con presupposti altrettanto autonomi e distinti.
L’ultimo profilo da segnalare prende le mosse dall’adottabilità del provvedimento acquisitivo nelle ipotesi in cui, in esito al giudizio di cognizione o al giudizio speciale sul silenzio, il giudicato imponga all’amministrazione di attivarsi ai sensi dell’art. 42 bis d.P.R. n. 327/2001.
La critica non investe direttamente la soluzione adottata dalla Plenaria che, come già precisato, è di per sé condivisibile e coerente con i principi generali in materia di ottemperanza. Piuttosto, l’aspetto da evidenziare riguarda a monte la compatibilità dell’ordine imposto con i limiti generali delle pronunce di condanna nei confronti dell’amministrazione diverse da quelle aventi ad oggetto il pagamento di una somma di denaro. Se ne tratta in questa sede in quanto pregiudizialmente connesso alla questione principale, nella misura in cui l’ordine imposto dalla sentenza condiziona e veicola i poteri del giudice dell’ottemperanza e del commissario suo ausiliare.
Circoscrivendo il discorso al giudizio sul silenzio, si può osservare che, nel riconoscere al commissario ad acta il potere di acquisizione sanante, la Plenaria presuppone che l’inerzia dell’amministrazione nell’adozione del provvedimento acquisitivo configuri un silenzio inadempimento contestabile innanzi al giudice amministrativo. Senonché, come anche recentemente emerso in giurisprudenza22, non è affatto pacifica la sussistenza di un obbligo dell’amministrazione ad adottare il provvedimento di acquisizione sanante. Anche volendo prescindere dalla formulazione letterale dell’art. 42 bis che configura l’adozione dell’atto in termini di mera facoltà, la decisione se acquisire o meno il bene è rimessa alla discrezionalità dell’amministrazione e viene assunta in esito ad una valutazione altrettanto discrezionale che contempera l’interesse pubblico con l’interesse del privato. La mancanza dell’obbligo di adottare l’atto, unitamente alla natura discrezionale della decisione, può così indurre ad escludere che l’inerzia dell’amministrazione integri un silenzio inadempimento censurabile in sede giurisdizionale. Ciò non significa che l’amministrazione non sia obbligata ad eliminare la situazione d’illegittimità determinata dall’occupazione, ma soltanto che l’obbligo giuridico per raggiungere tale risultato sia quello di restituire il bene, mentre l’acquisizione sanante resta una prerogativa non giurisdizionalmente coercibile.
Le stesse osservazioni possono estendersi alle pronunce che in sede di cognizione condannano l’amministrazione a procedere ai sensi dell’art. 42 bis. Considerando i limiti fisiologici di questa tipologia di sentenze, può seriamente dubitarsi dell’ammissibilità d’una condanna che abbia ad oggetto una decisione amministrativa discrezionale23.
Nelle ipotesi in cui il giudicato ordini di procedere ai sensi dell’art. 42 bis, l’adozione in sede d’ottemperanza del provvedimento acquisitivo deve pertanto misurarsi anche con degli aspetti pregiudiziali dei quali, dati i limiti del quesito posto, la Plenaria non si è potuta occupare.
Note
1 Cons. St., A.P., 9.2.2016, n. 2, in www.giustiziaamministrativa.it.
2 Cons. St., sez. IV, 3.7.2014, n. 3347, in www.giustiziaamministrativa.it.
3 C. cost., 30.4.2015, n. 71, in www.cortecostituzionale.it.
4 Come noto, originariamente l’istituto era disciplinato dall’art. 43 del d.P.R. n. 327/2001, successivamente dichiarato incostituzionale per vizi formali dalla sentenza della C. cost., 8.10.2010, n. 293. Sull’attuale disciplina dell’acquisizione sanante recata nell’art. 42 bis del d.P.R. n. 327/2001, introdotto dal d.l. 6.7.2011, n. 98, si rinvia a Garofoli, R.Ferrari, G., Codice della espropriazione, Roma, 2016, 909 ss.
5 Sull’occupazione appropriativa, si veda Conti, R., L’occupazione acquisitiva, Milano, 2006, passim.
6 Per gli aspetti d’incostituzionalità della disciplina dell’acquisizione sanante, con specifico riferimento al non più vigente art. 43 d.P.R. n. 327/2001, sia consentito rinviare a Zampetti, E., Acquisizione sanante e principi costituzionali, in Dir. amm., 2011, 3, 569 ss; si veda anche Mari, G., Rassegna delle questioni ancora aperte sull’acquisizione sanante ex art. 43 d.p.r. n. 327 del 2001. I persistenti dubbi di legittimità costituzionale, in Riv. giur. ed., 2008, 147 ss.
7 Cons. St., sez. VI, 1.12.2011, n. 6351, in Foro amm.– Cons. St., 2012, 3, 714 ss., con nota di E Zampetti, Nuova acquisizione sanante, tutela restitutoria e giudizio di ottemperanza.
8 Una parte della giurisprudenza applica le stesse conclusioni anche alle sentenze emanate in sede di cognizione ordinaria, assumendo che un’eventuale condanna alla restituzione del bene impedirebbe all’amministrazione di esercitare un potere, quale appunto quello che si concretizza nel provvedimento acquisitivo, appositamente previsto per preservare l’interesse pubblico al mantenimento dell’opera realizzata e utilizzata. Richiamando il principio di atipicità delle pronunce di condanna ex art. 34 lett. c) c.p.a., si ammettono pertanto sentenze di condanna a provvedere ai sensi dell’art. 42 bis, di modo che l’amministrazione possa effettuare le proprie valutazioni discrezionali e decidere se restituire il bene o disporne l’acquisizione (Cons. St., sez. IV, 16.3.2012, n. 1514, in www.giustiziaamministrativa.it). Talvolta, si riscontrano addirittura casi di condanna all’adozione del provvedimento acquisitivo (TAR Campania, sez. V, 21.10.2011, n. 4885, in www.giustiziaamministrativa.it).
9 Cons. St., sez. V, 11.5.2009, n. 2877, in www.giustiziaamministrativa.it; Cons. St., sez. IV, 3.9.2008, n. 4114, in www.giustiziaamministrativa.it.
10 Cons. St., sez. V, n. 2877/2009, cit.
11 Cons. St., sez. V, n. 2877/2009, cit.
12 Cons. St., sez. IV, 19.3.2014, n. 1344, in www.giustiziaamministrativa.it; Cons. St., sez. IV, 13.3.2014, n. 1222, in www.giustiziaamministrativa.it.
13 Cons. St., sez. IV, n. 1344/2014.
14 Cons. St., sez. IV, n. 1222/2014.
15 Si veda, ad esempio, Cons. St., sez. IV, n. 1514/2012, cit.
16 Si veda, ad esempio, Cons. St., sez. IV, 27.4.2015, n. 2126, in www.giustiziaamministrativa.it.
17 Cons. St., sez. V, n. 2877/2009, cit.; Cons. St., sez. IV, n. 4114/2008, cit.
18 Sugli effetti restitutori del giudicato d’annullamento, si veda per tutti Nigro, M., Giusta amministrativa, VI ed., a cura di E. Cardi e A. Nigro, Bologna, 2012, 319.
19 È pur vero che, a causa della giurisdizione esclusiva prevista per la materia ediliziourbanistica, può accadere che il privato formuli esplicitamente una domanda di condanna restitutoria e che il giudice amministrativo accolga tale domanda condannando l’amministrazione alla restituzione, ma si tratta generalmente di casi in cui non esistono provvedimenti amministrativi da impugnare ed una tutela d’annullamento non è nemmeno ipotizzabile. In questi casi, la formulazione della domanda restitutoria risponde a precise esigenze tecnicoprocessuali e, nella sostanza, la tutela accordata dalla pronuncia di condanna non parrebbe distinguersi qualitativamente dalla tutela accordata dalla pronuncia di annullamento.
20 Si veda D’Angelo, F., La giurisdizione di merito del giudice amministrativo. Contributo allo studio dei profili evolutivi, 2013, 193 ss; Mari, G., Giudice amministrativo ed effettività della tutela, Napoli, 2013, 101 ss.; Police, A., Attualità e prospettive della giurisdizione di merito del giudice amministrativo, in Studi in onore di Alberto Romano, II, Napoli, 2011, 1437 ss; tra gli studi meno recenti che hanno contribuito all’evoluzione concettuale del giudizio di ottemperanza, si veda Cannada Bartoli, E., Giustizia amministrativa, in Dig. pubbl., Torino, 1992, 91; Francario, F., Inerzia e ottemperanza al giudicato: spunti per una riflessione sull’atto di ottemperanza, in Foro amm., 1985, 753 ss.
21 Si veda al riguardo Cons. St., sez., VI, 2.5.2011, n. 2578, in www.giustiziaamministrativa.it; Cons. St., sez. VI, 21.12.2011, n. 6773, in www.giustiziaamministrativa.it; in dottrina, si veda in particolare Villata, R., Riflessioni in tema di giudizio di ottemperanza ed attività successiva alla sentenza di annullamento, in Dir. proc. amm., 1989, 37879.
22 TAR Toscana, Firenze, sez. I, 23.12.2013, n. 1756, in www.giustiziaamministrativa.it; contra, Cons. St., sez. IV, n. 2126/2015, cit.
23 Per un approfondimento sul tema, si veda Carbone, A., L’azione di adempimento nel processo amministrativo, Torino, 2012, 225 ss.