TAVANI, Giuditta
– Nacque a Roma il 30 aprile 1830 presso l’ospedale Fatebenefratelli, sull’isola Tiberina, da Giustino, commerciante di stoffe, e da Adelaide Mambor. Venne battezzata nello stesso giorno nella chiesa di S. Bartolomeo all’Isola.
Quattordicenne, il 22 luglio 1844, nella chiesa trasteverina di S. Crisogono sposò Francesco Arquati, che aveva conosciuto nel magazzino del padre. Arquati, nato il 27 settembre 1810 a Filettino in una famiglia di proprietari di terre e di bestiame che si era dedicata alla produzione e al commercio di lane, nutriva, come la moglie, sentimenti liberali. Entrambi parteciparono alle vicende della Repubblica Romana del 1849 e, alla caduta, ripararono in Romagna. Pochi anni dopo fecero ritorno nel Lazio e si stabilirono a Subiaco; da qui tornarono nel 1865 a Roma, dove Arquati assunse la direzione di un lanificio situato in via della Lungaretta di proprietà di un imprenditore, Giulio Aiani, che professava idee democratiche. Aiani e Arquati erano entrambi in contatto con il Centro di insurrezione attraverso il quale i democratici intendevano attuare il programma garibaldino di suscitare a Roma e nel Lazio un moto insurrezionale che, sostenuto da volontari accorsi da tutta Italia, avrebbe provocato la caduta del governo pontificio.
Dalla primavera del 1867 il Centro aveva intensificato la propria attività e aveva raccolto anche il favore del Comitato nazionale romano, un organismo che riuniva le forze moderate in collegamento con il governo ed era stato, fino a quel momento, ostile alla prospettiva insurrezionale. Nell’estate del 1867 il Comitato e il Centro si fusero nella Giunta nazionale romana con l’obiettivo di abbattere il dominio papale su Roma. Nel settembre Giuseppe Garibaldi, di ritorno in Italia dopo l’intervento al primo congresso della Lega per la pace e la libertà tenutosi a Ginevra, impartì da Firenze disposizioni ai suoi luogotenenti posti a capo dei volontari dislocati lungo i confini dello Stato del papa per un’azione coordinata di convergenza su Roma. Il governo dichiarò ufficialmente che avrebbe impedito ogni violazione dei confini pontifici e il 24 settembre fece arrestare Garibaldi e lo confinò a Caprera. Tuttavia non furono impediti i movimenti delle truppe volontarie e lo stesso Garibaldi, fuggito da Caprera il 17 ottobre, le raggiunse a Terni il 22 e ne assunse il comando. Il piano insurrezionale prevedeva una serie di azioni per il 22 ottobre, azioni che furono per lo più respinte dalle forze pontificie senza che l’auspicata sollevazione avesse luogo. Non ebbe il risultato sperato neppure l’attentato, in quello stesso giorno, di Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti alla caserma Serristori in Borgo, che aveva provocato la morte di 23 zuavi, azione per la quale gli autori sarebbero stati condannati a morte e giustiziati il 24 novembre 1868. Fallirono anche i tentativi di occupazione del Campidoglio e di altri punti chiave della città, la liberazione dei detenuti dal carcere di San Michele e l’azione tentata a Villa Glori dai fratelli Enrico e Giovanni Cairoli. I superstiti si attestarono a Monterotondo, da dove si sarebbero mossi, ai primi di novembre, sotto la guida dello stesso Garibaldi, verso Tivoli scontrandosi a Mentana con le truppe pontificie il 3 novembre 1867.
La mattina del 25 ottobre 1867, giorno in cui Garibaldi prendeva Monterotondo, alcune decine di rivoluzionari si riunirono in via della Lungaretta 97 nella sede del lanificio di Aiani, per preparare armi e munizioni nella prospettiva di sostenere la sommossa che sarebbe seguita all’arrivo di Garibaldi a Roma. Alla riunione, con Aiani e Arquati, erano presenti anche Giuditta Tavani e uno dei figli della coppia, Antonio. Nel corso della giornata il lanificio venne attaccato da una pattuglia di zuavi: i congiurati resistettero all’assalto sparando e lanciando bombe fino a quando le truppe pontificie riuscirono a entrare nell’edificio. Nove dei congiurati vennero uccisi, alcuni riuscirono a fuggire, altri, tra cui Aiani, furono catturati e successivamente subirono un processo. Tra gli uccisi Tavani, Arquati e il loro figlio adolescente.
Le testimonianze non sono concordi sulle modalità dello scontro, che secondo alcuni si scatenò a seguito della provocazione messa in atto dallo stesso Antonio Arquati con il lancio di una bomba da una finestra dell’edificio. Il Rapporto del Comitato romano d’insurrezione (in P. Mencacci, La mano di Dio nell’ultima invasione di Roma, II, 1868, pp. 315-336) riferiva che Giuditta Tavani era incinta (circostanza negata dalle fonti di parte pontificia) e che, oltre ad Antonio, era presente nel lanificio un altro figlio di pochi anni che sarebbe perito negli scontri. Secondo una testimonianza del nipote di Tavani, Pietro Parboni, nell’opificio Aiani era effettivamente presente Adelaide Arquati, di tre anni, che sarebbe scampata all’eccidio nascondendosi in un cesto di panni. Dopo l’eccidio, Adelaide avrebbe trovato rifugio, insieme con le altre figlie e figli della coppia, a Venezia, dove successivamente avrebbe conosciuto Napoleone Parboni: i due si sposarono nel 1890.
Nella testimonianza di Pietro Parboni, figlio di Napoleone Parboni e di Adelaide Arquati, pubblicata in un numero monografico della rivista Capitolium edita in occasione del centenario dei fatti del 1867, sono riferiti alcuni momenti della vita di Tavani tramandatisi nella famiglia: in particolare che fosse profondamente religiosa, di sentimenti liberali e, come il marito, molto attiva nell’organizzazione rivoluzionaria. Pietro Parboni scrisse anche che pochissimi documenti della famiglia si conservarono dopo la morte della coppia: fra questi alcune lettere indirizzate da Giuditta alle figlie maggiori che, all’epoca dei fatti, i genitori avevano mandato a Filettino. Tali lettere sarebbero tuttora in possesso della famiglia Parboni Arquati.
La figura di Giuditta Tavani Arquati divenne simbolo popolare e nel 1887 fu fondata un’associazione a lei intitolata. La piazza nei pressi del luogo del lanificio, piazza Romana, fu dedicata al suo nome, che tuttora è mantenuto, e nella via della Lungaretta un busto sovrasta l’iscrizione che ricorda la sua morte; il pittore Carlo Ademollo rappresentò l’eccidio in una sua opera del 1880.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Roma, Tribunale Supremo della Sacra Consulta, Processi politici, b. 376; Roma, Museo centrale del Risorgimento, Notizie sul movimento liberale romano dall’anno 1849 al 1867, Mss., 724. Nel Sistema informatitivo unificato delle Soprintendenze archivistiche (SIUSA) è segnalato un fondo relativo alla famiglia Parboni Arquati e posseduto da privati: http://siusa.archivi.beniculturali.it/cgi-bin/pagina.pl?TipoPag=prodfamiglia&Chiave=37526 (28 aprile 2019); P. Mencacci, La mano di Dio nell’ultima invasione di Roma, II, Roma 1868, pp. 118-127, 315-336; N. Roncalli, Diario di Nicola Roncalli dall’anno 1849 al 1870 preceduto da uno studio storico di R. Ambrosi De Magistris e I. Ghiron intorno l’idea dell’unità italiana in Roma, Torino 1884, pp. 571, 606-614.
Cronaca contemporanea, in La civiltà cattolica, XLIV (1893), 1039, pp. 493-495; P.V. Ferrari, Villa Glori: ricordi ed aneddoti dell’autunno 1867, Roma 1899, pp. 122, 132; A. Elia, Ricordi di un garibaldino dal 1847-48 al 1900, Roma 1904, p. 282; P. Orano, Napoleone Parboni. Con documenti autografi di Mazzini, Garibaldi, Bovio, Carducci, Mario, Saffi, Montecchi, ecc., Roma 1915, pp. 76-84; E. Piscitelli, Aiani, Giulio in Dizionario biografico degli Italiani, I, Roma 1960, pp. 512 s.; P. Parboni, Una stagione per Roma. Testimonianze sull’autunno del 1867 a Roma: documentario e inchiesta, a cura di S. Martini - A. Ravaglioli, in Capitolium, 1968, marzo-aprile, monografico: Roma e l’Unità d’Italia. I fatti dell’autunno 1867, a cura di A. Ravaglioli, pp. 64-67; C. Fracassi, La ribelle e il papa re, Milano 2005.