Giudizio abbreviato in udienza preliminare: termini di richiesta
Nel 2014 le Sezioni Unite sono state chiamate ad individuare il termine ultimo per la proposizione della richiesta di giudizio abbreviato formulata nel corso dell’udienza preliminare. La rimessione è nata dall’esistenza di contrapposti indirizzi giurisprudenziali emersi attorno all’esatto confine dell’art. 438, co. 2, c.p.p. a mente del quale la proposizione della richiesta di rito abbreviato può essere avanzata, oralmente o per iscritto, «fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli artt. 421 e 422 c.p.p.». Le Sezioni Unite hanno sposato la lettura per cui il richiamo dell’art. 438 c.p.p. alle «conclusioni» va inteso con riferimento alla definitiva formulazione delle conclusioni compiuta dal difensore per ogni singola parte.
Per lungo tempo si sono registrate in ambito giurisprudenziale diverse impostazioni circa la tardività, ergo l’ammissibilità, della richiesta di giudizio abbreviato avanzata al giudice dell’udienza preliminare dopo che il pubblico ministero ha formulato le conclusioni, ma prima che il giudice dichiari chiusa la discussione1.
Le differenti posizioni fondate sul tenore letterale del menzionato art. 438, co. 2, c.p.p. e su argomentazioni sistematiche si annidano attorno ad un tema determinante, posto che l’accesso o meno ad una determinata posizione importa dirompenti conseguenze processuali: il mancato rispetto del termine finale determina la preclusione e la decadenza da parte dell’imputato a poter reiterare la domanda, dichiarata inammissibile.
Giova esaminare il rilievo che le differenti interpretazioni hanno rivestito e le ragioni sottese alle differenti esegesi, quali parametri delle letture, in sede applicativa, della norma processuale.
Come anticipato, secondo la parte maggioritaria della giurisprudenza2 e della dottrina3 il termine finale per formulare la richiesta di giudizio abbreviato – tanto semplice, quanto condizionato – sarebbe quello in cui si conclude la discussione con la formulazione delle conclusioni dei difensori di tutte le parti: va, conseguentemente, dichiarata ammissibile, perché tempestiva, la richiesta formulata dopo la formulazione delle conclusioni da parte del p.m., ma prima che il giudice dichiari chiusa la discussione.
L’espressione legale, in altri termini, andrebbe intesa in senso “estensivo”. Essa è idonea a comprendere l’intera fase della discussione, contemplata all’art. 421, co. 2, c.p.p. fino al suo epilogo. Il termine ultimo per la rituale proposizione della domanda di accesso al rito speciale sarebbe così rappresentato dal momento in cui la discussione si esaurisce. Se il legislatore avesse voluto ricollegare una decadenza al momento iniziale della discussione, lo avrebbe, infatti, affermato chiaramente, utilizzando precise espressioni, estranee alla disciplina in questione. In questo caso, invece, il legislatore sarebbe ricorso ad una formula volutamente “aperta” al fine di favorire l’accesso al rito speciale. A consolidare una tale esegesi soccorrono, peraltro, ragioni di ordine sistematico legate alla natura e qualità del rito: così ritenendo, viene favorito l’accesso ad un rito premiale e deflattivo, capace di assicurare contestualmente tanto gli interessi dell’imputato – che può avanzare la domanda all’interno di un quadro d’insieme del processo, comprensivo delle richieste terminative di ciascuna parte4 – quanto quelli dell’ordinamento, originando una contrazione dei tempi processuali: la soluzione soddisfa il favor rei, la funzione di “filtro” svolta dall’udienza preliminare e la ratio deflazionistica del rito abbreviato. Una tale impostazione trova conferma nella sentenza costituzionale n. 111/2011, nella quale, seppur in via incidentale, il Giudice delle leggi ha affermato che il rito abbreviato «può essere richiesto e ammesso anche a discussione iniziata e fino al momento in cui non siano formulate le conclusioni» e la soluzione è avallata dalla parte prevalente della dottrina. La richiesta del rito semplificato può essere presentata fino al momento in cui il g.u.p. dichiara chiusa la discussione, e, quindi, «anche dopo l’eventuale emissione dei provvedimenti di integrazione delle indagini o delle prove, che non possono che precedere la chiusura della discussione »: in tal caso, l’imputato potrà formulare le proprie opzioni difensive a fronte di un più dilatato originario “stato degli atti”.
2.1 La tesi restrittiva
All’interno di tale cornice, un’isolata e opposta decisione della sezione III della Cassazione5 ha, recentemente, dichiarato che ragioni di certezza e di equità processuale comportano che la richiesta deve essere presentata prima che venga data la parola al p.m. per la formulazione delle sue conclusioni.
Conseguentemente, sarebbe da dichiararsi inammissibile, perché tardiva, la richiesta avanzata dopo quel termine. Al di là del dato letterale, a confortare la linea interpretativa seguita dalla sezione III induce la stessa struttura dell’udienza, scandita per fasi ordinate. La scansione dei tempi dell’udienza in momenti specifici, quali sono quelli della costituzione delle parti, della discussione – nel senso che il p.m., prima, e i difensori, poi, illustrano le ragioni a sostegno delle rispettive richieste – e, infine, quella della formulazione delle conclusioni – intesa quale parte terminale dell’udienza, in cui tanto il p.m. quanto i soggetti privati rassegnano formalmente e ufficialmente le proprie richieste finali – appaiono funzionali all’identificazione di termini certi per le differenti attività che comportano decadenze, come, per l’appunto, la richiesta di rito abbreviato.
La tripartizione, in altre parole, intenderebbe manifestare come le tempistiche dell’udienza preliminare siano scandire e regolate dal legislatore, talché il rinvio operato dall’art. 438, co. 2, c.p.p. al fatto che la richiesta del rito alternativo possa essere avanzata «fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli artt. 421 e 422 c.p.p.» individuerebbe, quale termine, quello del conferimento della parola al p.m. e non quello in cui il giudice dichiara chiusa la discussione, al quale la legge non fa espressa menzione. Una diversa opzione creerebbe non poche questioni nel caso in cui si proceda nei confronti di più imputati. Il profilo pratico di maggior rilievo emergerebbe nel quadro dei processi con pluralità di imputati: in quest’ipotesi, ragioni di garanzia, richiedono che gli imputati, che pur rivestono posizioni diverse, possano godere delle medesime garanzie, qui non intese reciprocamente, ma nei loro rapporti rispetto all’accusa. In altri termini, le scelte difensive dei differenti imputati debbono essere analoghe e il limite identico: ne discende, che esso va identificato nel momento in cui il g.u.p. concede la parola al p.m. per «formulare le conclusioni a norma degli artt. 421 e 422 c.p.p.».
Il dies a quem così individuato non comporterebbe, infatti, alcuna ricaduta nel caso in cui, dopo che tutti abbiano concluso, uno o più coimputati cambino opinione e formulino la richiesta di rito abbreviato ovvero non si creerebbe alcuna disparità di trattamento rappresentata – diversamente opinando – dal fatto che l’accesso al rito speciale finisca per essere concesso al solo imputato il cui difensore non abbia ancora concluso. Una diversa opzione implicherebbe, in conclusione, una evidente disparità tra le parti. Ad avvalorare tale impostazione indurrebbe la deviazione dal normale iter dell’udienza preliminare data dalle integrazioni probatorie disposte, che – idonee a rimediare all’impossibilità di decidere allo stato degli atti – possono giustificare la presentazione di una nuova (o diversa) richiesta di rito abbreviato, vale a dire prima della chiusura dell’udienza rinnovata e, comunque, della nuova discussione6.
2.2 La tesi intermedia
All’interno di quest’ultimo indirizzo si colloca una terza esegesi secondo la quale il richiamo alle conclusioni contenuto nell’art. 438 c.p.p. va inteso con riferimento alla definitiva formulazione delle conclusioni di ogni singola parte. Quest’ultima impostazione, che assume particolare valore nel caso dei procedimenti cumulativi, potrebbe, tuttavia, creare un problema o, meglio, un’iniquità integrata dalla possibilità concreta di una diversità di termini, per presentare l’istanza, tra i vari imputati. Non è ipotesi isolata quella per cui, dato il gran numero di imputati, potrebbe effettivamente verificarsi che nel momento in cui il difensore della singola parte esaurisca la formale illustrazione delle sue conclusioni, si verifichi la decadenza alla proposizione dell’istanza su aspetti prospettati in sede conclusionale dai legali degli altri imputati, creando, così, un marcato squilibrio di partenza fra le posizioni delle parti.
2.3 La soluzione (intermedia) accolta dalle Sezioni Unite
Ebbene, nonostante la segnalata discrasia, nel risolvere la prospettata questione le Sezioni Unite7 hanno aderito a quest’ultima interpretazione, affermando che il termine finale per la formulazione della richiesta di rito abbreviato nell’udienza preliminare è costituito, dopo la formulazione delle conclusioni da parte del pubblico ministero, dalla prospettazione delle conclusioni del difensore per ciascun imputato.
Al più tardi, quindi, il momento in cui è proponibile la richiesta del rito premiale è quello in cui il proprio difensore formula le conclusioni definitive. Una tale opzione interpretativa è ritenuta la più aderente alla lettera della norma, alla sistematica del codice e quella più capace di contemperare il diritto di difesa di tutti gli imputati all’interno del rito de quo. Le Sezioni Unite censurano le due altre posizioni esegetiche. In particolare, la lettura più restrittiva è rigettata per motivi di ordine sostanziale che rendono imprescindibile l’esigenza che l’imputato abbia conoscenza delle conclusioni del pubblico ministero, il quale può tra l’altro modificare l’imputazione a norma dell’art. 423 c.p.p. Un tale passaggio assume, dunque, una fondamentale e grande importanza ai fini della determinazione temporale, considerato che la decisione dell’imputato di formulare (o meno) la richiesta di rito abbreviato dipende da tale passaggio processuale. Quanto, invece, alla tesi più ampia – quella, cioè, che rinviene il termine ultimo nel momento in cui l’ultimo difensore prende la parola8 – essa è respinta in quanto rischia di espandere oltremodo gli effetti deflativi del rito, creando, soprattutto, una disparità tra gli imputati. Il rifiuto muove dall’assunto secondo il quale «la conoscenza delle conclusioni degli altri imputati non è elemento cui può fondatamente riconoscersi l’efficacia di influenzare le scelte di ciascun imputato», atteso che la parità
delle parti va intesa non tanto quale conoscenza delle posizioni delle diverse parti processuali,ma piuttosto nel senso che deve essere assicurata la parità tra le parti contrapposte del processo, è cioè tra accusa e difesa.
Si giunge, pertanto, alla conclusione che – tenuto conto delle scansioni dell’udienza preliminare e l’ordine dei relativi interventi – l’imputato ha diritto di richiedere l’accesso al rito sicuramente dopo le conclusioni del pubblico ministero, anche perché è alla luce delle richieste di quest’ultimo che l’imputato può scegliere la più opportuna strategia processuale.
Nel caso di più coimputati è pacifico che la richiesta va avanzata prima delle conclusioni del proprio difensore: saranno, allora, individuabili tanti termini quanti sono gli imputati. La loro pluralità è legata al naturale svolgimento dell’udienza: nell’ambito di un sistema accusatorio solo dopo le richieste per ciascuno di essi, infatti, i singoli legali potranno all’atto della illustrazione delle loro conclusioni, manifestare al giudice, fra le altre, le opzioni processuali e sostanziali più opportune per ciascun assistito. Nel caso della pluralità di imputati, poi, nessun rilievo riveste la possibile costituzione del coimputato contumace nel corso della discussione. Una tale evenienza – affermano le Sezioni Unite – non consente di estendere il termine fino alla chiusura della discussione. A questa conclusione induce il fatto che tale frammento dell’udienza si distingue dalla fase in cui sono illustrate le conclusioni sia concettualmente sia soggettivamente, posto che l’una è deliberata dal giudice e l’altra vede, invece, impegnati i difensori. La costituzione tardiva del contumace ha rilievo in quanto si traduca nell’introduzione nel processo di elementi di cognizione nuovi e rilevanti anche per gli altri imputati, dei quali il giudice potrà tenere conto o in sede di replica o autorizzando nuove conclusioni, esattamente come accade nel caso d’integrazioni investigative o istruttorie.
La conclusione raggiunta delle Sezioni Unite è pienamente condivisibile e non pare, invero, sollevare particolari problemi. Al di là della manifestata fedeltà al dato letterale della norma che si richiama alla formulazione delle “conclusioni” e non alla “chiusura della discussione”, la soluzione offerta dell’autorevole Collegio appare elemento utile per assicurare non solo il diritto di difesa dell’imputato, ma la regolarità e certezza nello svolgimento della dinamica complessiva dell’udienza preliminare, e l’economicità, rectius, la ragionevole durata, dei tempi processuali. Il termine della presentazione delle conclusioni di ogni singolo difensore si conforma all’art. 421, co. 3, c.p.p. e consente di responsabilizzare la presenza del legale in udienza, ma anche di evitare uno scenario confuso e del tutto casuale dell’udienza, prospettando deplorevoli e alternative versioni difensive o strumentali attività argomentative9. La scelta si conforma, peraltro, all’appetibilità verso il rito premiale a cui il legislatore ha da sempre puntato. Infine, la soluzione raggiunta assicura una certa “flessibilità” del termine indicato, nella misura in cui fa salvo l’impegno del giudice di tener conto dell’eventuale novum. Suscita, invece, delle perplessità il caso peculiare della tardiva costituzione del contumace, rimesso dalla Corte al giudizio discrezionale del giudice; si è persa, così, l’occasione per fornire sul punto una più specifica soluzione10.
1 La questione è stata affrontata da Cass. pen., sez. IV, 16.1.2014, Frija, che ha rimesso la questione alle Sezioni Unite.
2 Di recente, Cass. pen., sez. I, 18.12.2013, Di Paolo, in www.penalecontemporaneo.it; Cass. pen., sez. I, 19.2.2009, Iervasi, in CED Cass., rv. 243041; Cass. pen., sez. V, 9.2.2006, Paolone, ivi, rv. 233829; Cass. pen., sez. I, 23.3.2004, Marzocca, ivi, rv. 227761; Cass. pen., sez. I, 14.11.2002, Tinnirello, ivi, rv. 223251.
3 Cfr., senza pretesa di completezza: Barbuto, G., Il nuovo giudizio abbreviato,Milano, 2006, 51 s.; Bassi, A.-D’Arcangelo, F., Il giudizio abbreviato, in Bassi, A.-Parodi, C., a cura di, I procedimenti speciali,Milano, 2013, 71 ss.; Bonetti, M., Il giudizio abbreviato, in Pisani,M., a cura di, I procedimenti speciali in materia penale, II ed.,Milano, 2003, 44; Bricchetti, R., Sì all’abbreviato anche senza il consenso del p.m., in Guida dir., 2000, fasc. 1, 59; Bricchetti, R.-Pistorelli, L., Il giudizio abbreviato. Profili teorico-pratici, Milano, 2005, 81 ss.; Bruno, O., L’ammissibilità del giudizio abbreviato, Padova, 2007, 71 s.; Cabiale, A., Rimessa alla Sezioni Unite una rilevante questione sul termine per la richiesta di giudizio abbreviato, in www.penalecontemporaneo.it; Degl’Innocenti, L.- De Giorgio,M., Il giudizio abbreviato, II ed.,Milano, 2013, 34; Pistorelli, L.-Bricchetti, R., Il giudizio abbreviato, in Spangher,G., diretto da, Trattato di procedura penale, I, Procedimenti speciali, a cura di L. Filippi, Torino, 2008, 130 ss.; Zacché, F., Il giudizio abbreviato, Milano, 2004, 50.
4 Così, Barbuto, G., Il nuovo giudizio abbreviato, cit., 53.
5 Cfr., soprattutto, Cass., Sez. III, 31marzo 2011,T.S., S. L. e B. L., in Ced. Cass., n. 250009.
6 Canzio, G., Giudizio abbreviato, in Enc. dir., Aggiornamento, IV,Milano, 2000, 625; Degl’Innocenti, L.-De Giorgio, M., Il giudizio abbreviato, cit., 34 s.; Zacchè, F., Il giudizio abbreviato, cit., 51.
7 Cass. pen., S.U., 27.3.2014, Frija, in Giur. it., 2014, 1511, con nota di Lorusso, S., Dubbi persistenti sul termine entro cui richiedere il giudizio abbreviato.
8 Orlandi, R., Sub art. 27 l. 16 dicembre 1999 n. 479, in Legisl. pen., 2000, 438.
9 Diversamente, Cabiale, A., Rimessa alla Sezioni Unite, cit.; Bruno, O., L’ammissibilità del giudizio abbreviato, cit., 72; Maffeo, V., Il giudizio abbreviato, Napoli, 2004, 222.
10 In tal senso, Lorusso, S., Dubbi persistenti, cit., 1515.