GIUDIZIO UNIVERSALE
. Al termine della storia dell'umanità, al finire dei tempi, il cristianesimo pone un universale giudizio divino. Tutti i popoli, dalla prima coppia umana all'ultima sua progenie, si dovranno presentare a un'immensa assise presieduta da Cristo. Il giudizio risponde a quell'attesa di giustizia che nel cristianesimo deriva dal concetto delle perfezioni divine. Dio è fonte e vindice di ogni ordine morale. La giustizia, incompiuta nella vita presente, è trasferita assoluta nell'al di là. L'assegnazione del premio o del castigo eterni presuppongono un giudizio divino, al termine della vita d'ognuno e dell'umanità. Il giudizio universale non cambierà le sorti fissate da quello individuale, ma sarà la manifestazione grandiosa e solenne della giustizia di Dio e dell'ordine provvidenziale che domina la storia; poiché non solo l'individuo ma il genere umano dalle sue origini al suo finire ha un compito e una responsabilità. Partendo il tutto da un eterno e infinito principio buono, il termine di tutto deve essere un trionfo del bene assoluto. Tali i fondamenti logici e psicologici dell'affermazione del giudizio universale, ritenuto dottrina rivelata.
I primi albori dell'idea si hanno nell'Antico Testamento. I profeti ebrei minacciavano spesso un giudizio divino, ma nell'ordine storico, cioè sui popoli nemici d'Israele o sui grandi imperi affermatisi con la violenza. Così probabilmente ancora in Gioele e Sofonia. Il primo a esporre con nitidezza un concetto di giudizio universale è Daniele. Da allora l'idea va penetrando sempre più nello spirito del popolo ebreo, come testimoniano il libro della Sapienza e varî Apocrifi giudaici. Gesù Cristo riprese l'idea e la svolse ampiamente. Precedente al grande atto sarà "la resurrezione della carne" (v. resurrezione); tutti cioè riprenderanno il proprio corpo, perché anch'esso partecipi al premio o al castigo. Secondo una descrizione simbolica il giudizio si svolgerà principalmente sulla carità negata o usata verso i sofferenti: quella carità si computerà usata o negata verso Gesù, giudice divino. Gesù stesso si presenta come giudice dell'umanità; dinanzi al sinedrio egli dichiara che vedrebbero "un giorno il Figlio dell'uomo... venire sulle nubi del cielo" (Matt., XXVI, 64; cfr. Daniele, VII, 13).
La descrizione della fine cosmica, il suono della tromba angelica che chiamerà a vita per il giudizio i morti, la separazione delle due schiere di buoni e cattivi, l'apparizione del giudice sono svolti con colori drammatici, tuttavia lontani dall'esaurire la grandiosità dell'evento. Il tempo è tenuto celato: è un segreto del Padre. Come luogo è tolto da Gioele, III, 2 la "valle di Giosafat": ma non è una valle concreta, poiché "Giosafat" significa etimologicamente "Iahvè giudica". Nei tempi calamitosi, come all'inizio della Chiesa, il giudizio divino s'attendeva come vicino. L'Apocalisse (v.) fissa per il regno messianico "mille" anni (cifra simbolica): all'anno 1000 quindi l'attesa della fine del mondo era vivissima e diede luogo a manifestazioni singolari di penitenza. Da allora il giudizio universale si diffonde sempre di più nelle rappresentazioni artistiche (v. appresso). Nella lirica sacra eccelle il Dies Irae (v.) che ha dato luogo a composizioni musicali grandiose. L'idea del giudizio l'ebbero i Persiani, e alcuni pensarono che da loro derivasse nel giudaismo: ma è sempre viva la discussione sull'antichità delle concezioni religiose iraniche; una descrizione sviluppata del giudizio si ha solo tardi, nel Bundahishn, per influenza cristiana.
Iconografia. - La rappresentazione del Giudizio Finale ispirata ai libri dell'Antico e del Nuovo Testamento, è molto semplice nella primitiva arte cristiana: Cristo, circondato da santi, accoglie le anime elette (pitture nei cimiteri di Ciriaco, Domitilla, Callisto, ecc.), o separa in due gruppi il gregge (sarcofago romano del sec. IV, mosaico in S. Apollinare Nuovo a Ravenna). Lo schema iconografico bizantino, con la distribuzione del soggetto entro zone parallele, come poi sempre nell'arte medievale, appare per la prima volta nel manoscritto vaticano di Cosma Indicopleuste (sec. VI) e si ritrova fino al sec. XI in miniature provenienti per lo più dalla scuola di Reichenau (ms. di San Gallo, Salterio di Reichenau, Evangeliario di Monaco, Apocalisse di Bamberga). In seguito l'arte bizantina unisce in un'unica composizione, che riveste la parete delle chiese sopra la porta d'ingresso, le rappresentazioni simboliche e frammentarie del Giudizio Finale con elementi nuovi: Cristo tra gli Apostoli in trono, la resurrezione dei morti, i patriarchi con le anime degli eletti, il fiume di fuoco scendente dal trono del Redentore sui dannati divisi in bolge. Tali rappresentazioni si trovano nella maggior parte delle chiese greche e del Monte Athos (fino al sec. XVI); con varianti o semplificazioni a S. Giorgio di Reichenau (sec. XI) e a S. Angelo in Formis (sec. XI) e, con assoluta fedeltà alla complessa iconografia bizantina, nella cattedrale di Torcello (sec. XII). Nel sec. XII la scultura d'oltralpe s'impadronisce del soggetto per ornarne i timpani dei portali; unisce spesso il Giudizio all'Apocalisse, sopprime il fiume di fuoco e l'etimasia, e introduce numerose varianti; solo nel sec. XIII raggiunge il suo massimo sviluppo (Bourges, Autun, Parigi, Chartres, Reims, Amiens, ecc.).
In Italia, intorno al '300, anche artisti di spiccata individualità rimangono sostanzialmente fedeli alla tradizione iconografica bizantina (Cavallini, Giotto, Nicola e Giovanni Pisano; inoltre, Giudizio in S. Maria di Donna Regina a Napoli); solo nel volgere del secolo la composizione si amplia, si arricchisce di particolari e si divide in più riquadri (Camposanto di Pisa, S. Maria Novella a Firenze). Pochi ma grandi artisti hanno rappresentato il Giudizio nel Rinascimento italiano; l'Angelico, ancora fedele alla tradizione e tutto lirico nel Paradiso, il Signorelli complesso e cupo nelle vaste composizioni, Michelangelo possente nell'apparizione di Cristo, grandioso nell'apoteosi dell'umanità, il Tintoretto che non più con l'ultimo dei giorni, ma con la Gloria Eterna chiude in un inno di Paradiso la serie. L'arte nordica dei secoli XIV, XV, XVI, pur senza elevarsi mai all'altezza d'idealizzazione del Rinascimento italiano, diede notevoli rappresentazioni (Lucas van Leyden, Ruggero van der Weyden, ecc.) e mostrò con A. Dürer la perturbazione degli elementi e il cataclisma finale dell'universo. Larghe raffigurazioni del Giudizio si trovano anche in vetrate (Nantes, Poitiers, Bourges, Strasburgo, Rathausen in Svizzera, ecc.) e nelle incisioni tedesche, in cui il verismo nordico è caduto nella mancanza di gusto e nel comune. Nei tempi del Barocco e del Rococò nessuna opera degna di nota si è prodotta sul Giudizio Finale e bisogna giungere al Cornelius per ritrovare trattazioni degne e grandi (S. Luigi, a Monaco; Camposanto di Berlino), in affinità con l'elevazione degli spiriti e in relazione al cattolicismo romantico.
V. tavv. LXXXIX-XCII.
Bibl.: L. Ruhl, De mortuorum iudicio, Giessen 1905. Le idee dei Babilonesi sulla fine cosmica, senza traccia però di giudizio, presso A. Jeremias, Handbuch der altorient. Geisteskultur, Lipsia 1913. Per la tesi di un'influenza delle concezioni iraniche sull'escatologia giudaica: E. Böklen, Die Verwandtschaft der jüdischcristlichen mit der parsischen Eschatologie, Gottinga 1902; H. Gressmann, Der Ursprung der israelitisch-jüdischen Eschatologie, Gottinga 1905; W. Bousset, Die Religion des Judentums im späthellenistischen Zeitalter, 3ª ed. curata da H. Gressmann, Tubinga 1926; tesi opposta è sostenuta da M. J. Lagrange, Le Judaïsme avant Jésus-Christ, Parigi 1931. Sulle idee di Cristo v. gesù.
Per l'iconografia v.: F. X. Kraus, Gesch. der christl. Kunst, II, i, Friburgo 1896, p. 373 segg.; G. Fleury, Étude sur les portails imagés du XIIe siècle en France, Parigi 1923; id., L'art religieux de la fin du moyen âge en France, Parigi 1925, p. 497; O.M. Dalton, Byzantine art and archaeology, Oxford 1911, p. 667; C. Diehl, Manuel d'art byzantin, 2ª ed., Parigi 1925; L. Bréhier, L'art chrétien, 2ª ed., Parigi 1928; F. Cabrol, e H. Leclercq, Dict. d'archéol. chrét., VIII, i, Parigi 1928, p. 279 segg.; R. Künstle, Ikonographie d. christl. Kunst, Friburgo 1928, p. 521 segg. Per bibliografia particolare: P. Jessen, Die Darstellung d. Weltgerichts bis auf Michelangelo, Berlino 1883; A. Springer, Das jüngste Gericht, in Rep. für Kunstw., VII (1884), p. 375; G. Voss, Das Jüngste Gericht in der bild. Kunst des frühen Mittel., Lipsia 1884; F. X. Kraus, Die Wandgemälde von S. Georgskirche zu Oberzell auf der Reichenau, Friburgo 1884, pp. 15-22; A. Bouillet, Le Jugement dernier, notes d'art et d'archéol., Parigi 1894; B. Supino, Il Campo Santo Pisano, Firenze 1897; W. H. v. d. Mülbe, Die Darstellung d. jüng. Gerichts, Lipsia 1911; A. Foratti, Il Gudizio Universale di Giotto in Padova, in Boll. d'arte, I (1921-22), pp. 49-66.