BEZZI, Giuliano
Nacque il 5 genn. 1592 a Forlì da Lucrezia Denti e da Curzio Bezzi.
Il B. assolse per vari anni le mansioni di segretario comunale; dal 1648 ricoprì la carica di consigliere e gli atti comunali attestano che, ottantenne, interveniva con ammirabile assiduità alle adunanze del Consiglio. Non ebbe una vita familiare felice, ché, sposata Chiara Fachinei, assistette alla scomparsa di una figlia, Silvia, che morì a ventidue anni dopo pochi mesi di matrimonio e dové anche sopportare le incapacità del figlio Lodovico a succedergli nelle ambite e gelosamente custodite cariche pubbliche.
Fu tra i primi soci dell'Accademia dei Filergiti, quando questa si ricostituì nel 1652, e ne fu principe dal 1657 al 1660; ebbe frequenti e solleciti rapporti con numerose accademie, i Filoponi di Faenza, i Gelati di Bologna, gli Offuscati di Cesena, gli Umoristi di Roma, e, sebbene assumesse il nome accademico di Sterile, fu scrittore indefesso e ostinatamente giocoso, nonostante le calamità familiari.
La sua prima opera, probabilmente del 1620, è conservata manoscritta nella Biblioteca Comunale di Forlì. S'intitola La Fornò, comedia boschereccia,e descrive, in chiave spigliatamente giocosa che ricorda alla lontana i modelli del Magnifico, una festa carnevalesca nella villa di Fornò in territorio forlivese. Protagonista è lo scapestrato Leandro che prima di prendere moglie deve superare i pregiudizi contro la promessa Serpilla e le seduzioni della cortigiana Doralice. La trama si conclude ovviamente con il riconoscimento che Serpilla è nobile e coll'attenzione di Doralice rivolta ad altri oggetti. Nel 1636 pubblìca il Fuoco trionfante per l'inaugurazione della nuova cappella della Madonna del fuoco, e nel 1639 un poemetto intitolato La Zoimira in cui celebra le lodi di s. Pellegrino Laziosi.
Un breve intervallo separa queste opere di carattere sacro da quelle di ispirazione più propriamente giocosa o di argomento occasionale. Nel 1645 videro infatti la luce a Bologna, stampate dallo stesso editore Monti, le Rime e il Torneo,ove più esplicita si rende la derivazione del B. dai grandi modelli della poesia quattrocentesca toscana. IlTorneo è dedicato al cardinale Spada, al quale il B. già si era rivolto nel 1626 con una ode panegirica.
Le Rime sono in parte amorose, in parte ispirate da nozze, promozioni, malattie e morti: argomenti che preludono alla raccolta poetica che sembra aver concentrato le maggiori energie del B.: le Disgrazie poetiche,stampate a Bologna nel 1654 e dedicate al principe dei Filergiti Giuliano Merenda. Le varie disgrazie provengono da un acquazzone, da una zanzara, dalla penna, dalla stampa, dal vino, dal sale e, per finire, dal crollo della casa del poeta. Dalla semplice menzione dei soggetti si intuisce che si tratta della più fredda e artificiosa poesia barocca esemplata in una sintesi che sorprende per ricchezza e superficialità.
Stucchevole è anche la lettura della Maga Innocente,una tragicommedia in versi stampata pure a Bologna nell'anno 1649, egualmente dedicata al principe dei Filergiti. In essa si raccontano gli amori infelici di Almirena per Filauro. Mentre ella distribuisce profezie e vaticini sotto mentite spoglie (camuffandosi niente meno che da Etiope) si reca a invocare il suo aiuto anche Filauro che si dichiara innamorato di Ermilla. Almirena trasforma Ermilla in negra, ma, condannata, si rivela infine a Filauro che ne invoca la liberazione. Sembrano davvero strane le cautele degli editori dei versi del B. (specialmente delle Disgrazie poetiche)che ebbero premura di sottolineare il contenuto puramente poetico delle opere a scanso di ogni illazione allusiva che potesse procurare noie con la censura. In effetti l'opera si definisce come una manifestazione tra le più stanche e squallidamente provinciali di una avvilita retorica.
Il B. morì il 28 maggio 1674
Bibl.:G. V. Marchesi, Vitae virorum illustrium Foroliviensium,Forolivii 1726, p. 306; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia,II,2, Brescia 1760, p. 1114; A. Pasini, G. B., in La Romagna,s. 6, XIV (1923), pp. 378 ss. (cfr. Giorn. stor. della letter. ital., LXXXIII [1923], p. 390).