DATI, Giuliano
Nacque a Firenze verso il 1445 da Cecilia di Filippo Mazzuoli e da Domenico di Bardo, discendente del ramo della famiglia che ha il capostipite in Manetto di Dato di Bencivenni, vinattiere della malvasia, vissuto nella seconda metà del sec. XIV e priore il 10 nov. 1380 0 il 10 marzo 1386. Alla stessa famiglia, seppure a rami diversi, appartennero Gregorio e Leonardo di Stagio e Leonardo di Piero (cfr. Firenze, Bibl. nazionale, Carte Passerini 218, nr. 2, e Poligrafo Gargani 700 D 62).
Nel 1485 troviamo il D. a Roma. probabilmente già penitenziere in S. Giovanni in Laterano, e questa è, allo stato delle conoscenze, la prima notizia certa della sua biografia. Notizie frammentarie e non del tutto sicure si hanno circa le vicende che precedettero l'ingresso del D. nel clero regolare: Antonio Caracciolo nella Vita e gesti di Gio. Pietro Carafa Q. 2, cap. I; conservato in due esemplari mss. presso la Biblioteca nazionale di Roma, S. Andrea della Valle 4, e presso la Biblioteca Casanatense di Roma, n. 349), narra che il D. prima di farsi prete era stato sposato ed aveva avuto una figlia che era stata testimone delle riunioni dell'oratorio del Divino Amore nella parrocchia di S. Dorotea in Trastevere della quale il D. era rettore.
All'ultimo decennio del secolo, e in particolare ai primi anni '90, data il nucleo più consistente della produzione del D., una produzione che tocca un settore ben individuato della tradizione volgare, quello del cantare in ottava rima, dal D. praticato con coerenza in tutte le sue articolazioni discorrendo dai temi favolosi a quelli agiografici, dalla cronaca degli avvenimenti contemporanei alla divulgazione della tradizione storiografica, sempre, però, attingendo ad un patrimonio consolidato di stampo tipicamente medievale.
La prima produzione del D., riferibile agli anni 1492-93, si colloca nel filone tradizionale della letteratura edificante con la Historia e leggenda di s. Biagio (Roma, A. Fritag, 1492-93: Indice delle edizioni romane a stampa [I.E.R.S.], 1274; Indice generale degli incunaboli [I.G.I], 3315A), la Historia di sancta Maria de Loreto (Roma, A. Fritag, 1492-93: I.E.R.S., 1275; I.G.I., 3318A), e le Stazioni e indulgenze di Roma (Roma, A. Fritag, 1492: I.E.R.S., 1260; I.G.L., 3315C). illustrazione canonica dei luoghi della Roma cristiana. Anche in anni successivi il D. continuò a dedicarsi al genere agiografico arricchendo il proprio repertorio con la narrazione delle vite di s. Barbara (Leggenda di s. Barbara, Roma, A. Fritag, 1494: I.E.R.S. Gesamtkatalog der Wiegendrucke [G.K.W.], 7997), di Giobbe (Storia di s. job profeta, Firenze, L. Morgianni e J. Petri, c. 1495; I.G.L., 3316) e della beata Giovanna da Signa (quest'ultima, composta molto più tardi, circa il 1522, è conservata da due testimoni mss. attualmente alla Biblioteca nazionale di Firenze: Palatino 322, sec. XVII, e Magliabechiano XXXVIII 82, sec. XVIII).
Uno scarto significativo nella produzione dei D. è invece costituito dalla Lettera delle isole nuovamente trovate (Roma, E. Silber, 15 giugno 1493; I.E.R.S., 1394; G.K.W., 7999), libera rielaborazione di quella inviata da Colombo a Gabriele Sánchez e stampata, nella traduzione latina di Aliander de Cosco, a Roma nel 1493.
I temi trattati nella lettera di Colombo erano tali da attualizzare immagini fantastiche presenti in un immaginario collettivo nutrito dalle favolose narrazioni dei viaggiatori: le creature mostruose che si credeva popolassero le più remote regioni dell'India, il regno di mitica purezza governato dal Prete Gianni sembrano ora realtà attingibili e prossime. La consonanza fra quelli che apparvero gli esiti della navigazione colombiana ed i contenuti di una tradizione letteraria antica di secoli, consonanza che ha la sua giustificazione nella cultura stessa della quale Colomboera partecipe, determinò probabilmente la scelta di offrire della lettera anche un volgarizzamento che le assicurasse una più ampia circolazione. P, significativo che delle edizioni di opere del D. questa sia l'unica nella quale si faccia menzione di un editore, Giovanni Filippo de Lignamine, e che questi sia lo stesso che per primo, a Roma, aveva individuato negli "indotti" il possibile pubblico di un'editoria in volgare.
Con la Lettera il D. inaugura il filone delle narrazioni teratologiche ad essa facendo seguire il poemetto dedicato a La gran magnificentia del Prete Gianni o Primo cantare dell'India (Roma, s. t., 1493-94; I.E.R.S., 1404; G.K.W., 8004) ed il successivo Secondo cantare dell'India (Roma, J. Besicken e S. Mayr, 1494-95: I.E.R. s., 1422; I.G.L, 3313). Si intende che pur discostandosi in queste opere dai temi precedentemente trattati resta però l'intento edificante poiché l'illustrazione di questo universo "deviante" deve indurre il lettore alla riflessione sulla potenza e benignità del Creatore "Che t'ha creato a sua similitudine / e al tuo capo e sentimenti ha dato".
Contemporaneamente a queste il D. pubblica anche un Trattato di Scipione Africano (Roma, J. Besicken e S. Mayr, 1494: I.E.R.S., 1418; LG.L, 3318) narrazione romanzesca di un episodio della spedizione in Spagna, e la Calculatione delle ecclissi (Roma, J. Besicken e S. Mayr, 1493: I.E.R.S., 1332; I.G.I., 3312) calendario per gli anni 1494-1523.
La produzione dei biennio 1495-96 è invece segnata dall'attenzione ad avvenimenti contemporanei suscettibili di interpretazione in chiave simbolica: sono la Storia dei re di Francia (Roma, J. Besicken e S. Mayr, 1495-96: I.E.R.S., 1460; I.G.I., 3317), e La Magna Lega (Roma, J. Besicken, 1495-96: I.E.R.S., 1449; I.G.I., 3315B) entrambi ispirati alla discesa di Carlo VIII, e la narrazione del Diluvio di Roma del 1495 (Roma, J. Besicken e S. Mayr, 1495-96: I.E.R.S., 1454; I.G.I., 3314). A quest'ultimo cantare ed al già citato Stazioni e indulgenze di Roma si collegano poi due altre operette dei D.: l'Aedificatio Romae (Roma, J. Besicken e S. Mayr, 1494, I.E.R.S., 1412; I.G.I., 3311) e il Trattato de Santo Ioanni Laterano (Roma, A. Fritag, 1495: I.E.R.S., 1462; G.K.W., 8013), testimonianza degli interessi antiquari del Dati.
Una delle ultime edizioni di opere dei D. fu quella del testo della Passione "secondo che recita e representa de parola a parola la dignitissima Compagnia del Gonfalone di Roma lo venerdì sancto in loco dicto Colisco" (Roma, A. Fritag e J. Besicken, c. 1496: I.E.R.S., 1520 e 1521; G.K.W., 5005, 8006).
Le prime notizie di questa fortunatissima rappresentazione, che negli anni 1522-24 verrà proibita per motivi di ordine pubblico, risalgono al 1490 ma è probabile che essa costituisse l'ultima evoluzione di consuetudini più antiche, allo stesso modo che il testo a stampa, opera del D. in collaborazione con Bernardo di Antonio e Mariano Particappa, membri anch'essi del Gonfalone, rappresenterebbe la sistemazione di materiali già presenti nel laudario della Confraternita; più tardi esso sarà alla base di successivi rimaneggiamenti dei quali è testimonianza nei frammenti manoscritti conservati nell'archivio del Gonfalone (Archivio Segreto Vaticano, Gonfalone, mazzo XII).
Nel 1496 si conclude di fatto l'attività letteraria del D. ripresa episodicamente nel 1505 con la composizione delle Vite di tutti i pontefici (Roma 1505: Sander, 2371)., forse concepite come atto d'omaggio a Giulio II, che, nel 1503, lo aveva nominato rettore della parrocchia dei SS. Silvestro e Dorotea in Trastevere.
La sistemazione dei testo della Passione testimonia il ruolo attivo svolto dal D. nell'organizzazione della rappresentazione del venerdì santo, ruolo che risulta confermato dalla colazione offerta nel 1498 a "misser Iuliano Dati e altri che fecero la festa" (cfr. Esposito, 1984, pp. 318-19), ma non in questo si esaurisce l'impegno del D. nelle attività della Confraternita: di essa fu cappellano e, nel 1511, all'atto della riconsacrazione della chiesa di S. Lucia, custode; fu inoltre deputato alla custodia della chiesa dei SS. Quaranta Martiri in Trastevere sovrintendendo a lavori di restauro. Ancora di maggior rilievo nell'ambito delle correnti di rinnovamento religioso attive a Roma nel primo quarto del sec. XVI è il ruolo svolto dal D. all'interrio dell'oratorio del Divino Amore. In quest'ultima fase della vita dei D. l'impegno, che precedentemente aveva scelto come canali di diffusione di contenuti edificanti la stampa e la sacra rappresentazione, ora privilegia forme pratiche di intervento rivolgendosi alla beneficenza ed all'assistenza degli infermi. È infatti presso la chiesa retta dal D. che si tengono le prime riunioni della Compagnia finché il legame fra la "Confraternitas... divini Amoris nupter instituta" e la parrocchia nel 1516 viene reso ufficiale da una bolla di Leone X. Ed il primato del D. all'interno della Compagnia risulta confermato dall'essere a lui toccato di farsi proponente dell'aggregazione dell'ospedale degli Incurabili di Genova all'arciospedale di S. Giacomo, filiazione della Compagnia del Divino Amore (30 dic. 1517).
Penitenziere in Laterano durante il pontificato di Alessandro VI, fu poi penitenziere in S. Pietro e infine decano dei penitenzieri; nel 1518 coronava la sua carriera curiale con la nomina da parte di Leone X a vescovo di San Leone in Calabria - diocesi anomala in quanto priva di fedeli, cattedrale e reddito -, nomina che, quindi, riconoscendo i meriti del D., gli assicurava anche l'indipendenza rispetto alle gerarchie ecclesiastiche.
Il D. morì il 29 dic. 1523 come testimoniava la lapide sepolcrale, oggi perduta, apposta sulla di lui tomba in S. Dorotea: "Qui obiit IV Kal. januar. MDXXIV" (cfr. V. Forcella, Iscrizioni, di Roma, IX, Roma 0000, p. 362 n. 743).
Particolare attenzione merita la produzione letteraria del D. configurandosi essa come uno dei primi casi di un complesso di opere interamente pensato in funzione della diffusione a stampa. Alla stampa delle sue opere, infatti, il D. sovrintese personalmente, facendosene egli stesso editore, come parrebbe suggerire la presenza in molte di queste edizioni del suo stemma (tre teste d'uomo, in profilo, ordinate in banda e sovrastate da un lambello) all'interno del fregio xilografico che incornicia la prima pagina. L'attività letteraria fu per il D. una delle forme in cui si espresse l'impegno pastorale: "i' te l'ho messe in versi per amore 1 che sono a qualchedun più dilettose 1 poi tal potrà quest'opera tenere 1 che non può la gran Bibia in casa avere" (Storiadi s. Job Profeta, f. 2vA). In questi versi è tanto la coscienza della possibile funzione didattica del genere "cantare", in quanto rappresentante il massimo grado di volgarizzazione, e, nell'accenno ad una più agevole e familiare fruibilità del libro, la volontà di sfruttare il mezzo onde raggiungere fasce di pubblico escluso dalla fruizione della letteratura ufficiale. Le edizioni di opere del D., infatti, per i loro caratteri esterni - formato piccolo, impiego di caratteri gotici, disposizione del testo su due colonne, assenza di margini, illustrazioni in rapporto funzionale coi testo - rinviano a quel particolare tipo di libro definito dal Petrucci "libro da bisaccia", un libro "popolare", rivolto ad un "vasto anche se incolto e a volte misero pubblico, desideroso di letture e di immagini", un pubblico "composto all'ingrosso di mercanti, di artigiani, di popolani, di donne, di frati e monache di città, di borghi, di campagne" (A. Petrucci, Alle origini del libro moderno, in Libri, scrittura e pubblico nel Rinascimento, Bari 1979, p. 146). A questo pubblico il D. sceglie di rivolgersi utilizzando la forma ad esso più familiare, il cantare, in ciò manifestandosi esponente di rilievo di quel processo di letterarizzazione del genere popolare, del suo passaggio dalla recitazione alla lettura, che diviene esplicito nel momento in cui referente immediato e obbligato ne è la diffusione a stampa. là significativa, in questo senso, la sopravvivenza di formule proprie del genere quali l'appello agli ascoltatori: "o discret'auditor l'orechio presta", accanto ad altre che rinviano all'apparato iconografico in quanto "illustrativo" del testo e che presuppongono un pubblico di c lettori o e non di uditori: "e per abreviare el mio tractato / i' te l'ho facto in sul libro stampare" (Secondo cantare dell'India, f- 3vB).
Una finalità eminentemente pratica, didattica, presiede dunque alla produzione del D. e la scelta della forma metrica è ad essa funzionale: "0 venerandi e discreti auditori 1 che cose nuove odir vi dilectate i maxime in versi..." (La gran magnificenza del Prete Gianni, II, 1-3), mentre è assente qualsiasi ambizione letteraria così che la topica excusatio delle "rime inepte" riflette l'assenza di ricerca formale limitandosi il D. ad una versificazione, spesso zoppicante, di testi tradizionali (il Meschino e la Leggenda aurea, il Supplementum chronicarum di Filippo da Bergamo e il Chronicon di Martino Polono) tessuta su di un lessico limitato ed un formulario ripetitivo.
Alcune tra le operette del D. possono essere lette all'interno di una tematica oantiquaria" mai distinta tuttavia dalle componenti più proprie alla sua produzione. Si tratta delle Stazioni e Indulgenze di Roma, dell'Aedificatio Romae, del Diluviodi Roma, del Tractato di S. Ioanni Laterano e della più tarda Vite di tutti e pontefici. Se gli schemi narrativi ricalcano quelli tradizionali delle stationes, delle mirabilia o delle cronologie pontificie, le singole opere sembrano tuttavia inserirsi in un progetto complessivo di illustrazione della città. Nelle Stazioni traspare infatti la conoscenza diretta dei luoghi, espressa da notazioni sullo stato delle chiese e degli arredi e da primi giudizi "estetici". Nell'Aedificatio si introduce la descrizione della cinta muraria aureliana e di lì la condizione di mura e porte nel sec. XV, così come la cronologia dei pontefici permette di ricostruirne, almeno per il Quattrocento, l'operato nella città. Nel Diluvio di Roma, cronaca di una inondazione drammatica cui dovette assistere, l'attenzione è centrata sulle abitazioni, i palazzi, i percorsi della città, le botteghe, i muri cadenti. Nell'operetta sulla chiesa di S. Giovanni in Laterano si ripercorre la storia della chiesa traducendo, parafrasando e aggiornando (con notazioni di grande utilità per gli storici della chiesa) i testi della Donazione costantiniana e della Descriptio di Giovanni Diacono, per offrire della basilica l'immagine di monumento/documento superstite della donazione imperiale, in polemica, in alcuni punti esplicita, con la confutazione del Valla. Gli episodi salienti della fondazione rappresentati nelle quattro scene della silografia in prima pagina, forse traccia iconografica degli affreschi perduti della Loggia, commentano in questa chiave il testo (rapporto tra scrittura ed edizione testimoniato già in altre edizioni dalla presenza di suoi schematici ritratti e dalla utilizzazione della medesima matrice con lo stemma familiare in stampe attribuite a tipografie diverse).
Componendo i frammenti del mosaico - chiese, arredi, mura, porte e il loro consumo, - la città esistente è rappresentata in una continuità fatta di oggetti. Una storia non lineare la cui chiave di lettura è nella compresenza delle tracce. Atteggiamento antiquario riconoscibile anche al di fuori della produzione letteraria. La casa del D. presso S. Giovanni della Malva era ornata di antiche iscrizioni: quasi una collezione, così come viene citata da J. Mazocchi (Epigrammata Antiquae Urbis, Romae 1521, p. CLXI) o da Petrus Sabinus (Bibl. Apost. Vat., Ottob. lat. 210 s, Epitaphia varia antiqua Romae et alibi reperta, f. 118 rv). Ed ancora, rimestando con curiosità tra le antiche lastre abbandonate negli innumerevoli cantieri aperti, il D. si appropria, tra l'altro, di un cippo romano consacrato da una reliquia di S. Dorotea, cippo che trasporta nella nuova chiesa della santa di cui è parroco dal 1503. E qui, all'oggetto testimone della Roma imperiale e di quella dei martiri, appone un nuovo segno, la consacrazione al giubileo, ormai già trascorso, del 1500. Falso storico ripetute nel cippo oggi nel chiostro di S. Giovanni in Laterano: cippo funerario romano trasformato in fontana alla metà del sec. XIII (P. C. Claussen, Scultura rmnana del tempo di Federico II, in Federico II e l'arte del Duecento italiano, Atti della III Settimana di studi di storia dell'arte medievale dell'Univ. di Roma, I, Galatina 1980, pp. 344 ss.). Alle iscrizioni di dedica ai personaggi della famiglia, il D. affianca lo stemma con gli attributi delle sue cariche (penitenziere e vescovo) e la data del 1500, diciotto anni anteriore all'assunzione del vescovato: omaggio al fatto che "il giubileo è sempre in Santo Ianni", come egli stesso scrive a nuova esplicita affermazione del suo atteggiamento verso la storia.
Edizioni: Numerose le ediz. antiche di cui nel testo è segnalata la prima a noi pervenuta; per le altre si rinvia ai repertori: Indice delle edizioni romane a stampa, in Scrittura, biblioteche e stampa a Roma nel Quattrocento, I, 2, Città del Vaticano 1980, ad Indices; e, per le edizioni non romane, Gesamtkatalog der Wiegendrucke; Indice generale degli incunaboli delle Bibliotèche d'Italia; e M. Sander, Le livre d figures italien de la Renaissance, I, Milan 1942, 2343-2371; 111, 6233-6251, e Supplement, a cura di C. E. Rava, Milan 1969, nn. 2351a e 6251a; A. Cioni, Bibliografia delle sacre rappresent., Firenze 1961, pp. 156-164; Id., La poesia religiosa. I cantari agiografici e le rime di argomento sacro, Firenze 1963, pp. 102 s., 114, 239 s. Si hanno cinque ediz. moderne della Lettera delle isole nuovamente trovate: in Select letters of Christopher Columbus..., a cura di R. H. Major, London 1870-, pp. XC-CVII; G. Dati, La lettera dell'isole che ha trovato nuovamente il re di Spagna, a cura di G. Uzielli, Bologna 1873 e in G. Raffaelli, Illustrazione bibliografica della edizione princeps di Cristoforo Colombo a Gabriele Sánchez. Fermo 1892, tutte basate sull'edizione fiorentina del 26 ott. 1493; ad esse seguirono due edizioni: a cura di G. Berchet in Raccolta di docum. e studi pubblicati dalla R. Commiss. colombiana, pt. 1, II, Roma 1893, pp. 8-25; e G. Dati, La storia della inventione delle nuove insule di Channaria indiane, introd. e note di M. Ruffini, Torino 1967, queste ultime basate sulla prima stampa romana del 15 giugno 1493. La Passione di Cristo in rima volgare fu pubblicata da G. Amati (Roma 1866) sulla base dell'esemplare dell'edizione romana del 1501 conservato presso la Bibl. Casanatense e oggi perduto. A. Neri ha edito La gran magnificenza del prete Janni, in IlPropugnatore, IX (1876), 1, pp. 138-173. L'edizione delle opere di interesse antiquario è stata annunciata da G. Curcio e P. Farenga. Resta infine da segnalare che è forse da attribuirsi al D. la Resuscitazione di Lazzaro, stampata a Roma dopo il 1500 e conservata presso la Bibl. Colombina di Siviglia (Adorisio, 1976, p. 21 nota).
Bibl.: L. Ruggeri, L'Arciconfraternita del Gonfalone, Roma 1866, pp. 151 ss., 160 s.; C De Lollis, Scritti di Cristoforo Colombo, in Raccolta di docum. e studi Pubblicati dalla R. Commiss. colombiana, I,1, Roma 1892, pp. XXV-XLVII; V. De Bartholomaeis, Di alcune antiche rappresentazioni ital., in Studi di filologia romanza, VI (1893), 16, pp. 161-245; M. Vattasso, Per la storia del dramma sacro in Italia, Roma 1903, pp. 38-89; A. Bianconi, L'opera delle Compagnie del Divino Amore nella riforma cattolica, Città di Castello 1914, pp. 47, 131 doc. XXX; P. Paschini, La benefic. in Italia e le "Compagnie del Divino Amore", in Tre ricerche sulla storia della Chiesa nel Cinquecento, Roma 1945, pp. 33 s" 41 s.; M. Simhart, Una leggenda in versi su santa Barbara del 1494composta da G. D., in La Bibliofilia, XXVII (1925), pp. 142-146; P. Paschini, Un Parroco romano in sui Primi del '500, in Roma, VI (1928), pp. 19-25; F. Neri, La "Passione" del ms. Magliab. VII. 760, in Pallante. II (novembre 1929), pp. 26-58; L. Olschki, I "Cantari dell'India" di G. D., in La Bibliofilia, XL (1938), pp. 289-316; A. Cistellini, Figure della riforma pretridentina, Brescia 1948, pp. 271, 282 s.; G. Bronzini, La o Vita della beata Giovanna da Signa" di G. D., in La Bibliofilia, LIV (1952), pp. 49-56; R. Lefevre, Fiorentini a Roma nel '400. I Dati, in Studi romani, XX (1972), pp. 187-197; A. M. Adorisio, Cultura in lingua volgare a Roma fra '400e '500, in Studi di biblioteconomia e storia del libro in onore di Francesco Barberi, Roma 1976, pp. 120-124; P. Farenga, Indoctis viris... mulierculis quoque ipsis, in Scrittura, biblioteche e stampa a Roma nel Quattrocento. Atti del Seminario 1-2 giugno 1979, I,1, Città del Vaticano 1980, pp. 411 s.; S. Colafranceschi, G. D.: "Historia e legenda di Sancto Biasio vescovo et martyre", in Scrittura, biblioteche e stampa a Roma nel Quattrocento, Atti del 2° Seminario... 1982, a cura di M. Miglio, Città del Vaticano 1983, pp. 257-270; G. Curcio, G. D.: "Comincia el tractato di Santo Ioanni Laterano", ibid., pp. 271-304; A. Esposito, Apparati e suggestioni nelle "jeste e devotioni" delle confraternite romane, in Archivio d. Soc. rom. di si. patria, CVI (1983), pp. 311-22; Id., Le "Confraternite" del Gonfalone, in Ricerche per la storia relig. di Roma, V (1984), pp. 91-136.