MEDICI, Giuliano
de’. – Nacque a Firenze nel 1574 da Raffaello di Francesco e Costanza di Pietro Alamanni. Il padre fu senatore e cavaliere di S. Stefano, balì di Firenze e infine conte di Castellina nel 1628, e i fratelli Lorenzo e Giovanni furono abili condottieri.
La carriera del M. iniziò nel 1592 come canonico della cattedrale di Firenze. Nell’aprile 1605 fu nominato cameriere segreto di Leone XI (Alessandro de’ Medici). Fu un incarico brevissimo, come d’altronde il pontificato di Leone XI, eletto il 1° apr. 1605 e morto il successivo 27 aprile.
Dal 1608 al 1618 il M. fu ambasciatore del granduca di Toscana alla corte imperiale con diversi incarichi. Fino al 1613 risiedette quasi sempre a Praga, tranne per due brevi missioni che nel 1612 lo condussero a Francoforte e in Polonia.
Gli anni presso l’eclettica corte di Rodolfo d’Asburgo trascorsero senza affanni. La curiosità e la passione del M. per l’arte – le sue lettere sono costellate di riferimenti ad artisti, opere, possibili scambi o acquisti consigliati al granduca Cosimo II – trovarono appagamento nella frequentazione e dai contatti con i numerosi artisti e scienziati riuniti da Rodolfo. Fin dall’inizio dovette tenere a bada la passione di collezionista dell’imperatore, che chiedeva insistentemente al granduca di donargli un Raffaello, di poter arricchire il proprio castello con qualche opera d’arte italiana gelosamente conservata agli Uffizi e di avere qualche pietra semipreziosa della ingente collezione medicea. Numerose sono le lettere di quegli anni sui particolari vini toscani da inviare alla corte di Rodolfo o sui pecorini marzemini che il M. si faceva mandare. Le carte del datario Vincenzo de’ Medici contengono un resoconto dettagliato delle spese straordinarie sostenute dal M. per ricevimenti e banchetti alla corte di Praga; e una lettera piuttosto brusca di Belisario Vinta lo invitava a contenere gli sfarzi eccessivi.
La malattia di Rodolfo, che dalla fine del 1611 allontanò l’imperatore dalla vita politica, concluse quel lieto periodo. Nel 1613 il M. si trovava a Vienna presso il nuovo imperatore Mattia, col compito di dar garanzia sulla fedeltà del granduca Cosimo II e di sollecitare l’aiuto imperiale per il rafforzamento mediceo in territorio toscano, soprattutto nell’ambito possesso dell’Elba e di Piombino. All’imperatore, Cosimo chiese anche di fare da padrino al figlio Mattias.
Dal gennaio 1615 al 1617 il M. fu di nuovo a Praga. Gli ultimi anni della sua ambasciata imperiale furono assai impegnativi a causa delle crescenti tensioni nell’Impero e della stretta in senso cattolico del nuovo re di Boemia Ferdinando II d’Asburgo, che portò, il 23 maggio 1618, alla defenestrazione di Praga, primo episodio della guerra dei Trent’anni.
Nel 1618, a Vienna, si trovò davanti a una delle crisi diplomatiche più gravi, e affrontò le richieste sempre più pressanti dell’imperatore e di Ferdinando, fratello di Maria Maddalena d’Austria, moglie di Cosimo II, perché il granduca mandasse un contingente in aiuto delle truppe cattoliche, strette dall’assedio dei protestanti. Cosimo, in attesa di vedere come le altre potenze cattoliche, Spagna in testa, si sarebbero schierate, promise 500 cavalieri in soccorso di Ferdinando, ma ordinò al M. di prendere tempo. Dall’agosto al novembre 1618, il M. dovette quindi tenere a bada le pretese dell’imperatore e la sua ira, mentre le forze protestanti incalzavano. Nel frattempo dava chiare disposizioni sulle forze e i capitani da reclutare, appoggiandosi anche alle capacità militari del fratello Lorenzo, allora a Vienna, scrivendo personalmente al famoso condottiero Raimondo Montecuccoli e discutendo di persona con Euriglio Duval, conte di Dampierre, nominato colonnello del reggimento toscano.
Con questa arrischiata operazione il M. guadagnò la completa fiducia di Cosimo II – e da qui scaturirono la stima, la fiducia e la notoria benevolenza che il granduca avrebbe sempre mostrato nei suoi confronti –, ma perse ogni credibilità presso Ferdinando e l’imperatore Mattia. Giovanni Altoviti, partito da Firenze nella seconda metà di ottobre 1618 come ambasciatore straordinario, fu nominato ambasciatore residente e il M., con sollievo, poté lasciare Vienna in novembre. Solo nel maggio 1619, da poco era morto Mattia, le compagnie fiorentine entrarono a Vienna in tempo per soccorrere Ferdinando, assediato dai protestanti, ribaltando una situazione che sembrava ormai compromessa per la parte cattolica.
Chiusa l’avventura imperiale, il M. fu nominato ambasciatore mediceo presso Filippo III di Spagna, succedendo a Orso Pannocchieschi conte d’Elci, che era stato dieci anni a Madrid. L’incarico si svolse dall’estate 1619 all’inverno 1621. Le istruzioni di Cosimo dell’aprile 1619 raccomandavano al M., che già aveva dato «tanti saggi di accortezza prudenza, valore et fede» di essere particolarmente attento e studiare ogni personaggio «di quella corte quasi tutta mutata di pochi mesi in qua» (Istruzioni agli ambasciatori, p. 318). La lettera con cui il segretario dell’ambasciata Giulio Inghirami lo accoglieva a Madrid gli indicava personaggi in ascesa e fazioni politiche nella corte.
Il M. arrivò a Madrid il 22 luglio 1619, dopo avere fatto tappa a Montserrat. Fece tesoro degli avvertimenti di Cosimo e delle descrizioni di Inghirami. Le sue lettere da Madrid lo mostrano attento a percepire ogni minimo cambiamento dell’ambiente di corte, valutando poteri e influenze, soppesando visite e regali e muovendosi tra le gelosie reciproche delle tre donne più influenti a corte in quel momento, dopo la morte della regina Margherita d’Austria: Margherita d’Asburgo, figlia di Massimiliano II monaca al monastero delle Descalzas Reales, Leonor de Pimentel e l’agostiniana Mariana de san José, priora del monastero dell’Encarnación. Osservò il declino di Francisco Gómez de Sandoval y Rojas, duca di Lerma, e dei suoi uomini, e raccontò nei dettagli il processo al più famoso di loro, Rodrigo Calderón, marchese delle Siete Iglesias, per nulla convinto delle accuse di stregoneria nei confronti di costui. La spietata descrizione di Filippo III, fatta al segretario Andrea Cioli, offre un esempio eloquente delle indubbie capacità di analisi del Medici. Il sovrano è personalità «dappoco et senza nessuna sorte d’azzione et per natura et per l’educazione del padre che si ricordava del suo primogenito, et per la privanza de Lerma a cui metteva conto per i suoi interessi mantenerlo tale», dal cervello «terra terra, che i suoi passatempi maggiori, oltre a quello della caccia, nel quale si è assai raffreddato, sono l’andare con i figliuoli et con la Principessa la quale ama come figliuola, alle monache et merendare et trastullarsi ancora bambinescamente co’ figliuoli» (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 5079, c. 911).
Già nel novembre 1619 il segretario Cioli avvisava il M. di una possibile nomina ad arcivescovo di Pisa, che arrivò nella primavera successiva. Il 22 apr. 1620 era in cammino per Barcellona, non senza avere tentato di risolvere prima della partenza l’annosa questione del pagamento da parte del sovrano dello scultore Pietro Tacca, autore del monumento equestre inviato da Cosimo II nel 1616, e anche di raccomandare Galileo Galilei presso il viceré di Napoli, da quell’anno Pedro Téllez-Girón, duca di Osuna. Il M. fu consacrato a Roma il 15 giugno 1620 e si rimise in viaggio quasi subito. Nel novembre dello stesso anno era di nuovo a Madrid.
Nel 1621 morirono quasi contemporaneamente Filippo III (31 marzo) e Cosimo II (28 febbraio). In una corte che stava di nuovo cambiando, il M. descrisse l’allontanamento del duca di Osuna, Pietro Téllez Girón e poi il processo contro di lui, la pubblica esecuzione di Rodrigo Calderón (21 ott. 1621), la definitiva cacciata del duca di Lerma. Nell’agosto 1621 chiese al nuovo sovrano spagnolo Filippo IV l’investitura di Siena per Ferdinando II de’ Medici.
Urgeva però tornare a Firenze. Il permesso accordato da Gregorio XV per stare un anno lontano dalla diocesi di Pisa era scaduto, ma soprattutto il M. doveva riprendere parte attiva nella vita politica del Granducato. Cosimo, infatti, lo aveva designato nel proprio testamento consigliere per la reggenza, cioè membro di quel «Consiglio segreto», formato anche da Niccolò Dell’Antella, dal marchese Fabrizio Colloredo, dal senese Orso Pannocchieschi, che aveva voluto affiancare alle tutrici del figlio Ferdinando, la madre Cristina di Lorena e la moglie Maria Maddalena d’Austria. Nella lotta per il potere tra le due tutrici, il M. si schierò, insieme con N. Dell’Antella e F. Colloredo, dalla parte di Cristina di Lorena. Fu però il partito di Maria Maddalena a prevalere, grazie alla rapida ascesa di Orso Pannocchieschi, che seppe far leva sulla stima di Cristina e sulla collaborazione del segretario agli Affari interni A. Cioli, prendendo il potere all’interno del Consiglio e diventando una sorta di favorito alla spagnola.
La carriera del M. a corte – almeno agli alti livelli cui era stato collocato per volere di Cosimo – si esaurì nel giro di qualche anno. Tornato a Pisa continuò a partecipare fino al 1626 alle riunioni del Consiglio di reggenza ma in maniera defilata, allontanandosi, a quanto pare, quando non condivideva le decisioni che vi venivano prese (Arch. di Stato di Lucca, Anziani, 641, cc. 178-179).
Due missioni importanti lo videro ancora in campo come ambasciatore. Nel 1626 fu inviato a Mantova per risolvere la difficile questione della successione gonzaghesca e della restituzione della dote a Caterina de’ Medici, vedova del duca Ferdinando Gonzaga, missione che lo vide impegnato dal novembre 1626 alla primavera successiva. Nel 1631 fu inviato a Susa nel pieno della crisi tosco-francese. La lapide voluta dal fratello e i panegirici seicenteschi riconoscono in questo incarico il suo più grande successo diplomatico per aver convinto Luigi XIII a non entrare in Italia con un esercito.
Le lettere del fratello Averardo, che gli succedette come ambasciatore in Spagna, lo mantennero al corrente di quanto succedeva alla corte di Madrid. Nel 1629 il fratello gli segnalò l’arrivo di Diego Velázquez in Italia e il M. si affrettò a scrivere a Ferdinando per consigliargli di farsi fare un ritratto dall’artista tanto amato da Filippo IV.
Nonostante le ripetute assenze dall’arcidiocesi e il suo ruolo nella vita politica, pare che il M. sia stato un arcivescovo piuttosto zelante.
Rifondò il seminario arcivescovile secondo le norme tridentine, imponendo la residenza dei seminaristi e facendo costruire il collegio annesso, e più volte si rivolse ai cardinali della congregazione del Concilio per sciogliere dubbi sulle misure disciplinari da prendere. Convocò due volte il sinodo diocesano, nel 1628 e nel 1634; introdusse i padri barnabiti a Livorno; patrocinò la costruzione di due chiese e un convento e ottenne da Roma che s. Ranieri fosse nominato patrono di Pisa. Compì due visite pastorali: nella prima fu accompagnato dal vicario Benedetto Leoli, nella seconda da Paolo Tronci, storico ed erudito pisano che nel 1629 divenne suo vicario. Le cronache locali raccontano che fu particolarmente sollecito durante la terribile peste che colpì Pisa tra il 1629 e il 1631.
Il M. morì a Pisa il 6 genn. 1636, dopo avere dato il suo assenso perché da Firenze raccogliessero e bruciassero tutte le sue lettere. Nel 1660 il fratello Lorenzo fece erigere in duomo un monumento marmoreo, con una lunga epigrafe che ne raccontava le gesta.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 302, 4369, 4949, 4954, 4956, 5079; Misc. Medicea, 15-3; 48/13; 30/32; 141, cc. 140-146; Arch. di Stato di Lucca, Anziani, 640, 641; Pisa, Arch. dell’Archidiocesi, Mss. Tronci: Notizie relative agli arcivescovi pisani; Istruzioni agli ambasciatori e inviati medicei in Spagna e nell’«Italia spagnola» (1536-1648), II, a cura di F. Martelli - C. Galasso, Roma 2007, pp. 318-325; F. Ughelli - N. Coleti, Italia sacra, III, Venetiis 1718, pp. 491 s.; A.F. Mattei, Ecclesiae Pisanae historia, Lucae 1768, pp. 225-235; G. Bandini, Un episodio mediceo della guerra dei Trent’anni (1618-1621), Firenze 1901, passim; N. Zucchelli, Cronotassi dei vescovi e arcivescovi di Pisa, Pisa 1907, pp. 212-218; G. Greco, Paolo Tronci chierico e funzionario della Chiesa pisana nella prima metà del Seicento, in Paolo Tronci storico e erudito pisano, a cura di E. Cristiani, Pisa 1985, pp. 45-48; F. Angiolini, Principe, uomini di governo e direzione politica nella Toscana seicentesca, in Ricerche di storia moderna, IV, Studi in onore di Mario Mirri, a cura di G. Biagioli, Pisa 1995, pp. 470, 472, 478; W. Dolfi, Vescovi e arcivescovi di Pisa. I loro stemmi e il palazzo, Pisa 2000, I, 1, pp. 299-307; II, pp. 83 s., 149; C. Sodini, L’Ercole tirreno. Guerra e dinastia medicea nella prima metà del Seicento, Firenze 2001, pp. 665 s., 227; P. Volpini, Toscana y España, in La corte de Felipe III: los Reinos, a cura di J. Millán Martínez - M.A. Visceglia, Madrid 2008, IV, pp. 1145-1147; A. Koller, Papst, Kaiser und Reich am Vorabend des Dreissigjähringen Krieges (1612-1621). Die Sicherung der Sukzession Ferdinands von Innerösterreich, in Die Aussenbeziehungen der römischen Kurie unter Paul V. Borghese (1605-1621) Kongress, Rom…2005, a cura di A. Koller, Tübingen 2008, p. 114.
S. Pastore