DEL TOVAGLIA, Giuliano
Nato a Firenze il 15 nov. 1507 da Bernardo di Francesco (quest'ultimo immatricolato nell'arte dei mercanti nel 1487) e da Elisabetta Altoviti, continuò la tradizione commerciale della famiglia. Operava come banchiere a Napoli nel 1545 e nel 1546 insieme con Raffaele Acciaiuoli, di cui era socio anche nell'attività mercantile: essi furono infatti attivamente impegnati nel commercio dei grani, di cui ottennero anche l'appalto per il rifornimento della città di Napoli (1545). Nel 1546 ebbero inoltre l'appalto generale del ferro nel Regno di Napoli, che perdettero però nel 1552 a favore di due altri fiorentini. Nel 1550, comunque, il D. aveva fatto ritorno a Firenze, ove coprì cariche pubbliche di rilievo.
Il 13 nov. 1552 egli venne infatti nominato, per deliberazione pubblica del Magistrato supremo, e cioè dietro designazione di Cosimo I, provveditore della Gabella delle farine e fu chiamato a reggere la carica di soprassindaco nell'ufficio dei Sindaci, soprassindaci e ragionieri. Entrambe le cariche avrebbero dovuto durare a beneplacito del sovrano.
Il D. fu il primo provveditore della Gabella delle farine, di cui era stato, secondo il de' Ricci, anche l'ideatore. La gabella era stata istituita, con legge del Senato dei quarantotto, l'8 ott. 1552 per far fronte alle ingenti spese militari sostenute e da sostenersi per la guerra di Siena. Essa gravava su tutte le farine "di grani, castagne, marroni ed altre biade" che si consumavano nella città di Firenze, nel contado e nel distretto. Venivano per contro annullate altre imposizioni - il testatico e l'arbitrio - che erano solite riscuotersi rispettivamente in tutto lo Stato e nel contado. Stante il suo carattere eccezionale, la gabella avrebbe dovuto rimanere in vigore tre anni; in realtà si trasformò in un'imposizione stabile e ciò portò ad una profonda trasformazione nei modi di esazione ed alla creazione di un'apposita rete di riscuotitori. Per presiedere all'amministrazione della gabella venne istituito l'ufficio delle Farine, con a capo un provveditore a cui spettava di sovrintendere sul corretto svolgimento della esazione, nominare i camarlinghi generali e sorvegliare sulla elezione dei camarlinghi particolari. A lui era affidato inoltre il controllo sulle frodi e sulle infrazioni ed era giudice di appello per le sentenze emesse dai giusdicenti crúninali locali contro eventuali trasgressori.
Anche la carica di soprassindaco era di nuova creazione: per eseguire una precisa volontà ducale, il Magistrato supremo aveva istituito, con deliberazione del 1º nov. 1552, l'ufficio dei Sindaci, soprassindaci e ragionieri, conferendo successivamente la nomina al D. ed a Carlo Marucelli. Tali ufficiali avevano l'incarico di rivedere i conti di tutti i principali uffici della città ed in particolare di quelli che prevedevano il maneggio di denari dello Stato e che solo sporadicamente erano stati soggetti a revisione. Venivano perciò concessi ai ministri responsabili dieci giorni di tempo per consegnare le proprie scritture per il sindacato, che da allora diveniva annuale. I sindaci godevano nell'ambito della loro competenza, di giurisdizione civile e criminale, limitata alla comminazione di pene pecuniare. Ad essi spettava, oltre allo stipendio mensile, a carico del Monte comune, un emolumento di 7 soldi per lira che fosse entrata nella Camera ducale a seguito della scoperta di errori o di frodi.
Cosimo I annetteva grande importanza al lavoro dei soprassindaci, soprattutto in questa prima fase di revisione generale, tanto che, in una lettera del 5 maggio 1553 al D. ed al Marucelli, lamentava la lentezza con cui procedevano i lavori, rimproverando ai due ministri il loro silenzio, e riconfermava la propria risolutezza a fare ultimare le revisioni, la cui stasi teneva "a dietro il disegno che habbiamo di riordinar poi queste cose in forma migliore" (Archivio di Stato di Firenze, Sindaci, soprassindaci e ragionieri, f. 1, n. 1). A loro discolpa il D. ed il Marucelli sottolineavano la difficoltà di portare avanti contemporaneamente la revisione dei conti, risalenti a tanti anni indietro, di un numero così elevato di amministrazioni e proponevano la nomina di aiutanti capaci per accelerare lo svolgimento dei loro compiti.
La carica più rilevante del D. fu comunque quella di "pagatore generale al campo" nella guerra di Siena. Aveva infatti l'incarico di eseguire i pagamenti per le spese militari, eccezion fatta per i vettovagliamenti a cui provvedeva direttamente la "canova" istituita a Poggibonsi e retta da Alessandro Del Caccia. In virtù del suo incarico il D. partecipava ai consigli di guerra tenuti dal Marignano, a fianco di Bartolorneo Concini, segretario di Cosimo I, del commissario delle bande Girolamo Albizzi e del senatore Alessandro Del Caccia; pertanto, corrispondeva con il duca che voleva essere informato anche dei più minuti problemi che nascevano al campo. Le somme gestite dal D. erano assai rilevanti: infatti, in previsione della guerra, la politica finanziaria di Cosimo I era stata rivolta all'accumulazione di ingenti capitali tramite la contrazione di prestiti, l'imposizione di donativi straordinari e l'aumento della pressione fiscale. In considerazione di ciò, terminate le operazioni militari, i conti del D. furono rivisti con particolare attenzione.
Nel luglio del 1557 l'auditore alle Riformagioni, Alfonso Quistelli, informava Cosimo I delle difficoltà incontrate nel controllo delle spese effettuate dal D. negli anni di guerra ed originate dal fatto che il tesoriere riluttava a presentare per la revisione le proprie scritture - a quanto affermava - in disordine. In quello stesso periodo venne comunque risolta una serie di controversie pendenti tra il D. ed alcuni pagatori che avevano operato in collaborazione con lui: il 6 sett. 1557 la Pratica segreta decideva a favore di un'equa spartizione di emolumenti tra il D. e Luca di Vara, pagatore "collaterale"; l'8 settembre dello stesso anno il Quistelli dava a Cosimo I il proprio parere circa un'analoga controversia a sfavore di una richiesta di partecipazione alle "rigaglie" avanzata da Bartolomeo, Concini a cui, secondo l'auditore, niente spettava in quanto egli non si era mai interessato "di banche né delle cose che da esse dipendono e non ci aveva fatto spesa alcuna" (Archivio di Stato di Firenze, Auditore delle Riformagioni, f. 2, n. 167). Comunque, il 7 ag. 1558, in un memoriale al duca, il Quistelli riferiva che era iniziata la revisione dei conti della guerra, ma nel contempo cominciava a manifestare alcune perplessità circa l'operato del D. e metteva in dubbio la possibilità di quest'ultimo di "provare molte cose" dal momento che "tutti i suoi ministri si voltono contro di lui dove mancano le scritture, dicendo che hanno eseguito sua commissione" (Ibid., ibid., n. 249) e consigliava, come aveva fatto in precedenza, il duca, di voler prendere "qualche sicurtà" nei confronti del Del Tovaglia.
Per quanto in quell'occasione Cosimo I avesse scritto, di fronte alle insinuazioni del Quistelli, che "sinché non lo tocca con mano non voglia credere che Giuliano ci abbia ingannato", il 4 nov. 1558, di fronte ai ritardi ed alle lentezze con cui procedeva la revisione dei conti, si decise a nominare tre commissari che potessero procedere sia civilmente, sia penalmente contro il D. ed i suoi ministri.
I tre prescelti per questa carica straordinaria furono Bartolomeo di Carlo Gondi, Pierfilippo di Francesco Pandolfini e Filippo di Giovanni Dell'Antella, coadiuvati dal cancelliere Giovanni Brandini da Volterra. Nel loro mandato era previsto che essi godessero "di tutta quella maggiore autorità, potestà e balia che sin qui sia mai stata data a qualsivoglia magistrato o persone che in simili conti fussin stati deputati, con mero e mixto imperio, da procedersi come a loro parrà et piacerà liberamente, senza essere tenuti a solennità alcuna, nel procedere et giudicare, ma solo attendere la verità delle cose et solo quelle giudicare, possendo procedere sino alla pena di morte inclusive, et a deliberare dua de' tre debbino essere d'accordo, così nel procedere come nel giudicare" (Archivio di Stato di Firenze, Miscellanea Medicea, f. 23, n. 44, c. 619). Il processo venne pertanto tolto dalle mani dei Quistelli, ritenuto troppo debole ed allontanato da Firenze con altri incarichi, ed affidato alla sorveglianza del depositario Antonio de' Nobili, che si sforzò tenacemente di dimostrare la colpevolezza del D. accusato di peculato.L'inquisizione si protrasse con alterne vicende: da una parte il D. rifiutava di confessare, anche sotto tortura, dall'altra Cosimo I, convinto della sua colpevolezza, voleva comminare una punizione esemplare ad un funzionario corrotto. Nel processo vennero coinvolti anche gli aiutanti e servitori del D., Filippo Sacchetti, Francesco e Marco Marucelli, Benedetto Formiconi e Battista Giuliani, le cui confessioni contribuirono a sottolineare la condotta poco chiara del D. nelle operazioni finanziarie della guerra. Egli fu altresì imputato di aver fatto doni di argenti, drappi e denaro a personaggi influenti, di avere denaro proprio in mano di altri e di aver condotto affari tramite prestanome a Napoli ed a Venezia, di avere introdotto merci di frodo a Firenze. Non ultimo gli venne constestato di aver fatto aumentare di un quattrino la gabella della carne per favorire i Capponi ed il loro commercio di castroni con il Regno di Napoli. Le prove messe insieme contro di lui e la tenacia del duca stesso nell'accusare il D. furono tali che, nonostante tutti gli appelli, egli venne condannato a morte. La sentenza venne eseguita a Firenze, il 10 apr. 1559, e con lui venne impiccato Filippo Sacchetti, suo collaboratore, accusato dei medesimi reati.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Tratte 444 bis; Ibid., Carte Sebregondi 5227; Ibid., Auditore alle Riformagioni, f. 2, cc. 223, 230, 338 s., 362, 402 s., 415, 438, 466, 676, 687 s., 761 s.; f. 3, cc. 460 ss.; Ibid. Pratica segreta, f, 4, nn. 46, 106, 114; Ibid., Sindaci soprassindaci e ragionieri, f. 1, n. 1; Ibid., Magistrato supremo, f. 4308, c. 172; Ibid., Miscellanea Medicea, f. 23, n. 44 (già citata da A. Anzilotti con la segnatura Miscellanea Medicea, f. 42); Ibid., Mediceo del principato, f. 603, passim (già citata da A. Anzilotti con la segnatura Depositeria, f. 603); Firenze, Bibl. nazionale, E. B. 141: Priorista Ricci, c. 296rv; Ibid., A. Cirri, Necrologiofiorentino, XVIII, c. 223; G. de' Ricci, Cronaca (1532-1606), a cura di G. Sapori, Milano-Napoli 1972, pp. 347 s.