FINELLI, Giuliano
Figlio di Domenico, mercante di marmi, e di Maria Cassione, nacque a Massa, probabilmente tra il 1602 e il 1603 (Strazzullo, 1984); la data di nascita del 12 nov. 1602, proposta dal Passeri (1772), risulta priva di riscontri documentari.
La più autorevole delle biografie del F. è quella del Passeri (1772) che, ancora inedita, venne parafrasata dal Pascoli (1736), da cui deriva anche la biografia del De Dominici (1743), ricca di indicazioni, talvolta imprecise, sull'attività napoletana del Finelli (Santa Maria, in Pascoli [1736], 1992, p. 870 n. 1.
Nel 1611 (Strazzullo, 1984), il F. si trasferì a Napoli presso lo zio paterno Vitale, scalpellino e marmorario e vi rimase probabilmente due anni; passò poi nella bottega napoletana di M. Naccherino, scultore fiorentino presso cui dimorava, come è attestato da due atti del 1616 e del 1618 (Maresca, 1924, pp. 123 s.).
Dopo un nuovo soggiorno presso lo zio Vitale, il F. si trasferì a Roma, probabilmente nel 1622. Qui lavorò con S. Ghetti per una tomba in S. Maria sopra Minerva (Nava Cellini, 1955, p. 30 n. 7). Fu notato da P. Bernini, che lo volle nella sua bottega.
Il F. avrebbe collaborato, quindi, prima con P. Bernini alla realizzazione della tomba del cardinale Roberto Bellarmino nella chiesa del Gesù (1623-24) per poi passare al fianco di G.L. Bernini all'esecuzione di diverse sue opere: l'Apollo e Dafne della Galleria Borghese (1622-25), la statua di S. Bibiana nell'omonima chiesa romana (1624-26), l'altare maggiore di S. Agostino (1626-28) e il busto di Maria Barberini, già in palazzo Sciarra. La collaborazione del F. con G.L. Bernini, ignorata dai biografi di quest'ultimo (F. Baldinucci e P. Bernini), è stata riconosciuta nel Novecento (per l'esame dell'ampia bibliografia in proposito e per gli eventuali interventi del F. in altre opere del Bernini vedi Santa Maria, in Pascoli [1736], 1992, pp. 871-873, nn.10-14, 17, 21).
Nel 1628il F. lavorò in S. Pietro, sotto la direzione di G.L. Bernini, collaborando alla realizzazione della copertura del baldacchino bronzeo e degli angeli posti sopra le colonne e preparando i modelli delle statue degli apostoli Pietro e Paolo per la balaustra dell'altare maggiore (Pollack, 1931). Alla morte di P. Bernini (1629), il F. si trattenne ancora qualche tempo presso la bottega, diretta da Gian Lorenzo. La preferenza accordata dal Bernini ad A. Bolgi, impiegato nei lavori di S. Pietro a partire dal 1628, deve essere stata motivo di tensione nel rapporto tra i due artisti. Alla fine del 1629il Bolgi ottenne la commissione per la statua di S. Elena, una delle quattro sculture da collocare nelle nicchie dei pilastri della cupola. Questo episodio deve aver provocato la rottura definitiva tra il F. e il Bernini. A partire dal 1629è documentata l'attività autonoma dei F.: il 3 novembre assunse un aiuto, C. Lombardelli di Carrara (Campori, 1873, pp. 149 s.), che lo seguì anche a Napoli. All'inizio del 1630, inoltre, V. Spada riferiva in una lettera di "un giovane così valente, che gli emoli del Bernino dicono che il credito di questo sia proceduto da quello, quale sdegnato che la sua gloria fomenti la fortuna d'altri, e non la propria si è partito dal Bernino, et ha messo casa da sua posta procurando occasione de lavori"; questo artista è stato identificato con il F. (Heimbürger Ravalli, 1977).
Intanto il F. aveva stretto amicizia con altri esponenti del mondo artistico romano: Pietro da Cortona, conosciuto probabilmente in S. Bibiana, che lo introdusse presso i Sacchetti, e il Cavalier d'Arpino, che gli avrebbe procurato la commissione della statua di S. Cecilia per la chiesa di S. Maria di Loreto, eseguita tra il 1629e il 1633(Dony, 1922; Benedetti, 1968). Nel 1629il F. lavorò anche nella cappella Bandini in S. Silvestro al Quirinale, insieme con il giovane Algardi e con il Domenichino, eseguendo il busto del cardinale Ottavio Bandini.
Di questo periodo sono anche diversi ritratti che attestano il livello di virtuosismo e la capacità di penetrazione psicologica raggiunta dal Finelli. Essi rappresentano un'alternativa al "ritratto parlante" berniniano, con il quale, tuttavia, mostrano numerose analogie. Le fonti antiche ricordano il busto di Michelangelo Buonarroti il Giovane (Firenze, Casa Buonarroti), eseguito nel 1630 (Lavin, 1968 e 1970), e quello del cardinale Giulio Antonio Santori, nella cappella del Crocifisso in S. Giovanni in Laterano. A questi la critica più recente ne ha aggiunti altri, ignorati dalle fonti o prima diversamente attribuiti: i busti di Orazio Spada (Roma, Palazzo Spada: Biagivi, 1961) e di A. Menicucci (Canepina [Viterbo], Madonna del Carmine: Heimbürger Ravalli, 1983); il documentato Ritratto del cardinale Scipione Borghese (New York, Metropolitan Museum), già riferito all'Algardi ed eseguito entro il 1632 (Montagu, 1985, II, pp. 472 s., cui si rimanda per la ritrattistica del F.); il noto, e problematico, busto di F. Bracciolini (Londra, Victoria and Albert Museum), già attribuito al F. (Nava Cellini, 1957 e 1960, pp. 19 s.) e, forse, documentato (Pope Hennessy, 1964) e il busto di G. Manili in S. Maria Maggiore, finito nel 1634 (Nava Cellini, 1960, pp. 19 s.).Nel 1634 il F. si stabilì a Napoli presso lo zio (Strazzullo, 1984), avendo ottenuto la commissione per le statue degli apostoli Pietro e Paolo, da collocare ai lati dell'ingresso della cappella del Tesoro in S. Gennaro (Bellucci, 1915, p. 47). Per l'occasione, il F. costituì una società con F. del Medico, di Carrara, per l'importazione del marmo necessario per quest'opera e per l'altare di S. Francesco Saverio nella chiesa del Gesù Nuovo (Prota Giurleo, 1957, p. 165 n. 5). La realizzazione delle due figure di S. Pietro e S. Paolo impegnò il F. dal 1636 al 1639-40 (Strazzulio, 1978, p. 73). Nel 1636 il F. eseguì le due figure inginocchiate del viceré di Napoli Emanuel de Fonseca y Zuñiga, conte di Monterrey, e della moglie, Leonora de Guzman, per il coro della chiesa degli agostiniani scalzi a Salamanca (Passeri [1772], 1954, p. 251 n. 2). Al 1637 risale la successiva, importante, commissione: l'esecuzione delle statue bronzee dei patroni di Napoli per le nicchie della tribuna della cappella del Tesoro in S. Gennaro.
Il contratto, del 4 sett. 1638, fu successivamente modificato il 20 novembre seguente (Bellucci, 1915, p. 49). Il F., che già tra la fine del 1637 e l'inizio del 1638 aveva cominciato a lavorare (Catello-Catello, 1977, p. 65), fu impegnato nell'esecuzione delle statue, pare, fino al 1647; nel 1649 e 1650 furono effettuate le stime (Bellucci, 1915, pp. 50 s.), all'origine di una vertenza conclusa solo nel 1684, dopo la morte del F. (Strazzullo, 1978, pp. 74 s.). Per la realizzazione di quest'opera, il F. si sarebbe valso dell'aiuto di G. de Rossi, esperto fonditore e già collaboratore dei Bernini. Altri aiuti del F., durante il soggiorno napoletano, furono E. Ferrata, il nipote D. Guidi e, forse, G. Mencaglia.
Il 3 maggio 1638 il F. sposò Flavia, figlia del pittore G. Lanfranco, impegnato a Napoli già da alcuni anni. Stando alle dichiarazioni rese in quest'occasione, il F. e il Lanfranco si conoscevano "da circa quatordeci anni" e il F. abitava ancora presso lo zio Vitale, nella parrocchia dei Ss. Francesco e Matteo (Strazzullo, 1984). Dal matrimonio nacquero almeno tre figlie, Teresa, Margherita e Giustina.
Dal 1638 al 1640 il F. fu impegnato nella realizzazione dell'altare maggiore della chiesa della Ss. Annunziata. I limiti dell'intervento del F., che collaborò con C. Fanzago, con E. Ferrata e si valse di altri aiuti minori, sono difficili da stabilire, poiché l'opera è perduta. Contemporaneamente lavorò anche all'altare di S. Francesco Saverio nella chiesa del Gesù Nuovo (1639-1645). Più tardi partecipò al completamento dell'altare Filomarino nella chiesa dei Ss. Apostoli, per il quale nel 1647 realizzò i due leoni che sostengono la mensa (D'Addosio, 1914, p. 847).
Nel 1643 il F. acquistò "una casa palaziata... con cortiglio et giardinetto" e una cappella, presso il duomo, vicino al Monte di misericordia. (Prota Giurleo, 1957, pp. 161 s.).
Al periodo napoletano appartengono alcuni ritratti che attestano l'evoluzione dello stile del F. anche in questo campo. Nella maggior parte dei casi egli si adattò ai gusti della committenza napoletana o spagnola, che preferiva un ritratto da parata, distante ed altero, superficiale ed enfatico, e ne adottò le tipologie. Tra questi, oltre ai due ritratti del Monterrey e della moglie, sono il busto di F. Mariconda nella chiesa della Ss. Annunziata, del 1637, e la statua di C. Firrao, nella cappella Firrao nella chiesa di S. Paolo Maggiore, del 1640-1642 (Nava Cellini, 1960, pp. 24 s., 29 n. 23), oltre al busto di C.A. Caracciolo, nella cappella Caracciolo in S. Giovanni a Carbonara, firmato e datato al 1643 (Bologna, 1954, pp. 26 s.). In questi ritratti il F. abbandonò la resa immediata, flagrante, del personaggio, la capacità di penetrazione psicologica e la raffinatezza d'esecuzione che avevano caratterizzato le opere romane. Nel ritratto di G. Filomarino, nella chiesa dei Ss. Apostoli, del 1649 (ibid., pp. 25 s.), per un committente più aggiornato e raffinato, il F. ripropose il modello romano, come anche in quello del cardinale D. Ginnasi (cappella del palazzo Ginnasi), eseguito nel 1639, dopo la morte del prelato (Nava Cellini, 1960, p. 26). Queste stesse caratteristiche si riscontrano anche nei ritratti, più tardi, di G. Bonanni e della moglie a Roma, in S. Caterina a Magnanapoli, eseguiti probabilmente a partire dal 1648, e nel busto di E. Orsini de Vivariis in S. Maria dell'Anima (Nava Cellini, 1955, pp. 26 s.).
Probabilmente nel 1651, il F. fu inviato a Roma, dove è documentato dal 1652 (Santa Maria, in Pascoli [1736], 1992, p. 880 n. 63), per dirigere l'esecuzione di diverse sculture commissionate dal re di Spagna. Sorvegliò la realizzazione dei leoni in bronzo dorato (oggi al Prado e all'Alcazar di Madrid), eseguiti da M. Bonarelli, delle comucopie, e di alcune copie in bronzo di statue antiche (Harris, 1960, pp. 135 s.; Montagu, 1985,II, pp. 477 s.).
Il F. morì a Roma il 16 ag. 1653 e fu sepolto nella chiesa dei Ss. Luca e Martina (Prota Giurleo, 1957, p. 169).
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