GATTILUSIO, Giuliano
Figlio di Battista "quondam Iuliani", membro di un ramo cadetto dei Gattilusio signori di Mitilene, e di sua moglie Bianchina, nacque intorno al 1435 nell'isola greca di Lesbo, che la sua famiglia, di origine genovese, aveva ricevuto in feudo nel 1355.
Battista era all'epoca amministratore di Lesbo per conto del cugino Dorino (I) quando, nel 1450, cadde in disgrazia presso il figlio di Dorino, Domenico, reggente dell'isola a causa della malattia del padre; l'intera famiglia fu perciò costretta a riparare nella vicina isola di Chio, dove Battista, appianate le divergenze con Domenico, si occupò per conto del signore di Mitilene del commercio dell'allume.
Proprio a Chio il G. compare per la prima volta nella documentazione nota: il 2 sett. 1450, con il consenso del padre, concordava con Nicola di Molassana di affidare il giudizio arbitrale sulle loro controversie a Paride de Marini. Non si conosce la natura precisa della controversia riguardante il giovane G., il quale agiva ancora sotto la potestà paterna; ma pochi anni dopo il G. aveva già intrapreso la sua carriera di avventuriero del mare. Nel luglio del 1454, infatti, egli compì un'incursione nel porto di Chio servendosi di una nave catalana, di cui si era impadronito in precedenza, e saccheggiò la nave del cipriota Antonio Ribaldi. Lo stato di ostilità esistente tanto con i Catalani quanto con i Ciprioti dovette forse rendere giustificabili, agli occhi dei magistrati genovesi d'Oriente, questi episodi; non così si può dire per la cattura di navi genovesi, fatto che indubbiamente contribuì, in modo determinante, a costruire intorno al G. una fama di pericoloso pirata.
La Repubblica di Genova retta dal doge Pietro Fregoso, rimasta fuori dagli accordi della pace di Lodi, era ancora impegnata a difendere i propri interessi commerciali e politici minacciati dalla Corona d'Aragona e non poteva perciò permettersi in quel momento di rinunciare alla possibilità di assicurarsi i servigi di un esperto uomo di mare. La notizia dell'arrivo del G. nelle acque del Tirreno, alla testa di una piccola flotta, venne quindi accolta con compiacimento e notificata dal doge al cugino Gian Galeazzo Fregoso, capitano di Savona, con una lettera con la quale incaricava Gian Galeazzo, marito di Costanza di Palamede Gattilusio, di gestire i contatti con il G. per convincerlo a entrare al servizio di Genova, nonché a restituire un carico di proprietà di Emanuele Appiani, signore di Piombino, sequestrato dal G. in una delle sue scorrerie. Una lettera del 7 maggio 1457 attesta però che il G. in questa occasione dovette limitarsi a rispondere in modo generico ed evasivo alle richieste del governo genovese, suscitando in tal modo l'ira del doge, il quale non risparmiò nemmeno Gian Galeazzo Fregoso, sospettato probabilmente di essere in qualche modo connivente con il Gattilusio. A dispetto di questi sospetti e della sua personale irritazione, Pietro Fregoso non poteva tuttavia trascurare le esigenze del difficile momento e la necessità di assicurarsi i servigi della flotta del G.; perciò, il 6 luglio 1457 Antoniotto Doria venne inviato presso il G. per offrirgli di entrare al servizio della Repubblica con il compito di scortare le navi genovesi di ritorno dalla Provenza. Il G. accettò l'offerta del governo e mise al servizio di Genova una nave e una caravella con a bordo 350 uomini d'arme in cambio del compenso di 4000 lire genovine, oltre ai proventi della sua attività di corsaro. Il 4 settembre successivo egli era di ritorno a Savona con un carico di grano che aveva catturato, accolto nel migliore dei modi dalle autorità (che lo esentarono dal pagamento dei dazi), mentre Gian Galeazzo Fregoso e gli Anziani di Savona venivano invitati pochi giorni dopo a mettere da parte 1000 mine del carico in questione per le riserve del Castelletto di Genova. Ma, se il carico di grano trasportato dal G. appariva provvidenziale - data la difficile situazione degli approvvigionamenti della regione, assediata dal mare dalla flotta catalana -, il fatto che egli avesse portato con sé a Savona una nave castigliana catturata comportava altri gravi problemi e avrebbe potuto avere pesanti ripercussioni sulle relazioni fra Genova e la Castiglia, e soprattutto sulla situazione della comunità dei mercanti genovesi residenti nel Regno iberico; perciò, mentre Tommaso Gentile e Paolo Serra venivano inviati a Savona a trattare con il G., un invito a esercitare pressioni su di lui affinché liberasse la nave catturata veniva anche indirizzato al suo fideiussore, Bartolomeo Doria "quondam Iacobi", personaggio strettamente connesso alla famiglia Gattilusio. Anche Gian Galeazzo Fregoso e gli Anziani di Savona furono nuovamente esortati a interessarsi alla soluzione del caso, e probabilmente per la medesima ragione Bartolomeo Lomellino venne inviato a incontrare personalmente il Gattilusio. Mentre si svolgevano queste affannose trattative, Genova, premuta da terra dalle forze ribelli ai Fregoso e dal mare dalla flotta catalana, cercava protezione e scampo sotto la signoria di Carlo VII re di Francia: l'arrivo nel maggio 1458 del governatore francese, Giovanni d'Angiò duca di Calabria, con un consistente seguito di truppe, non valse però a far cessare l'assedio.
La presenza della flotta catalana nelle acque prospicienti il porto teneva in ansia i membri del governo per la sorte di un convoglio in arrivo dal Levante al comando di Pietro Giustiniani de Campi, ex governatore di Chio; furono pertanto contattati tutti i patroni di navi disponibili per costituire una scorta, e fra questi fu anche il G. il quale, al contrario degli altri patroni, non ricevette un ordine, ma un invito a partecipare all'impresa. Questi elementi porterebbero a ipotizzare che il G. avesse stretto, nel corso delle sue frequenti puntate nelle acque provenzali, rapporti con gli Angioini e la Corona di Francia, un'ipotesi che pare trovare vari elementi di conferma nella sua attività successiva. Il rango particolare del G. viene del resto ribadito anche nelle disposizioni sul comportamento da tenere con lui contenute nel dispaccio inviato al Giustiniani; la morte inattesa di Alfonso d'Aragona (27 giugno 1458), con il conseguente richiamo a Napoli della flotta catalana, rese però superflui questi provvedimenti, cosicché il governo poté comunicare al Giustiniani che la flotta poteva salpare da Bonifacio, dove era stata approntata, alla volta della Liguria. Il 24 luglio, l'intero convoglio, accompagnato anche dalla nave del G., passò davanti al porto di Finale, ma il G. non tardò ad abbandonare il servizio della Repubblica per riprendere la propria attività piratesca, portando a termine un'impresa alla quale sarebbe rimasta in buona parte legata la sua fama successiva e che avrebbe avuto ripercussioni pesantissime sulla politica e sulle relazioni commerciali della madrepatria.
Il 4 ag. 1458 giunse a Genova la notizia che il G. aveva assalito e catturato nelle acque siciliane due navi inglesi provenienti da Cipro; la gravità dell'episodio, e soprattutto delle sue possibili ripercussioni sulle relazioni commerciali genovesi con l'Inghilterra, fu subito evidente agli occhi del governo. Venne pertanto deciso di adottare una linea difensiva già molte volte utilizzata in precedenza in casi analoghi: negare che il G. fosse genovese o in qualche modo connesso con Genova. Pertanto, in tutta la documentazione, il G., del quale in precedenza era stata spesso ricordata l'origine genovese, divenne improvvisamente uno straniero: contro di lui furono presi drastici provvedimenti, come risulta da una missiva spedita il 6 agosto a Gregorio Giustiniani, podestà di Chio, nella quale venne dato ordine di arrestarlo se per caso si fosse fermato nel porto dell'isola. Tale linea difensiva non risultò però efficace: la corte inglese indicava in Genova e nei Genovesi i responsabili delle azioni del pirata, inducendo il governo a cercare autorevoli conferme delle sue affermazioni. Un'azione in tal senso fu intrapresa nel mese di settembre; il giorno 19 vennero infatti diramate missive indirizzate ai grandi della Cristianità occidentale: per primi furono contattati lo stesso pontefice Pio II e i cardinali del Sacro Collegio affinché confermassero che il G. non era genovese, ma greco. Analogamente, altre missive furono inviate a Francesco Sforza, alla Signoria di Firenze e a Pasquale Malipiero doge di Venezia, per richiedere la testimonianza di mercanti lombardi, fiorentini e veneziani residenti in Inghilterra. La posizione della Repubblica sulla nazionalità del G., insieme con l'assicurazione che a tutti i magistrati delle colonie genovesi era stato diramato l'ordine di catturarlo vivo o morto, venne ribadita, sempre lo stesso giorno, anche a Enrico VI d'Inghilterra in una lettera di protesta per gli arresti e i sequestri subiti oltremanica dai mercanti genovesi. Di fronte alla sua ostinazione, il re fu invitato a rivolgersi ai mercanti inglesi che avevano avuto occasione di frequentare gli stabilimenti coloniali genovesi e veneziani nel Levante per sapere da loro se i Gattilusio, pur di origine genovese, non dovessero essere considerati greci. La corte inglese accettò infine di considerare il G. un greco, ma contemporaneamente ribadì che riteneva Genova corresponsabile delle sue azioni, in quanto nel porto genovese il pirata aveva armato e vettovagliato la propria nave. Benché questo fatto fosse negato dalle autorità cittadine, esse furono però alla fine obbligate a ratificare, nel 1459, un trattato che il legato Giovanni Serra era stato costretto a sottoscrivere in Inghilterra, impegnandosi a rifondere completamente i danni subiti dagli armatori di Bristol. Genova si impegnò inoltre a non assistere in alcun modo il re di Francia contro il suo rivale inglese.
Nell'agosto del 1461, dopo una lunga assenza, il G. ricompare nella documentazione: a quella data egli si trovava nel porto di Savona (ancora saldamente tenuta dai Francesi cacciati alcuni mesi prima da Genova), dove stava procedendo a riarmare una nave; il doge Ludovico Fregoso e il suo governo, temendo che meditasse di impiegarla per attacchi rivolti contro Genova e considerando come la sua semplice presenza nelle acque liguri intralciasse gravemente il traffico commerciale dello scalo genovese, tentarono da un lato di fargliela sottrarre e dall'altro di trattare con lui, ottenendone però solo le consuete vaghe assicurazioni di devozione. Per evitare l'insorgere di nuove complicazioni nelle proprie relazioni commerciali, la Repubblica inviò il 2 ottobre di quell'anno dispacci a Venezia e a Firenze perché mettessero in guardia i loro "patroni" in navigazione nel Tirreno. Pochi giorni dopo, la nave del G. mise il blocco al porto di Genova, impedendo per alcuni giorni il transito delle navi, prima di ritirarsi verso le sue basi nella Riviera di Ponente, inseguita dalla nave di Oberto Squarciafico appositamente assoldata dal governo. Nonostante questi atti di aperta ostilità, l'ambiguo rapporto fra Genova e il G. non conobbe interruzioni e questi continuò a scaricare il frutto delle sue razzie a La Spezia e nei porti circostanti, provocando tra l'altro un nuovo incidente diplomatico con Firenze; l'unica preoccupazione del governo appariva quella di controllare che in queste operazioni egli non avesse evaso il pagamento del dazio, anche se quasi contemporaneamente veniva armata una nave contro di lui.
Tra il marzo 1462 e il gennaio 1463 la documentazione tace sulle attività del G., che ricompare nelle acque liguri portando con sé una navetta carica di sale, risultata poi predata a mercanti portoghesi. Questa azione di pirateria serviva probabilmente come copertura al progetto di restaurazione del dominio francese in Genova sostenuto dal G., come fa ritenere anche l'oscuro episodio, avvenuto nel porto di Genova a opera di alcuni suoi complici, del furto di una caravella carica di pezzi d'artiglieria condotta in seguito a Marsiglia dove l'ex governatore Giovanni d'Angiò stava armando una flotta.
Sembra però che già nell'agosto 1464 questa alleanza fra gli Angioini e il G. fosse sfumata; sappiamo infatti che a quell'epoca egli minacciava i traffici commerciali di Marsiglia, mentre andava stringendo i contatti con Francesco Sforza, nuovo signore di Genova. Il governo genovese non dovette però abbassare la guardia nei confronti del G. se, di fronte ai suoi attacchi pirateschi, si preoccupava di proteggere la navigazione verso Chio; in questo torno di anni il G. doveva essere ritornato infatti a navigare nelle acque orientali, approfittando della confusa situazione politica dell'area egea, sempre più sconvolta dall'azione ottomana, che gli permetteva di agire a suo piacimento. Proprio a Chio, come attesta un documento del 1466, il G. trovava rifugio dopo aver assalito una nave di Rodi.
Un lungo silenzio cala dopo questa data sul G. che ricompare improvvisamente, come condottiero al servizio degli Sforza, nel marzo 1473, quando gli viene concesso un permesso per recarsi a Genova per riscuotere dei crediti e per trovare marito a una sorella. Se si eccettua un riferimento alla nave "Grimalda", naufragata a Rodi nel 1474 e già appartenuta al G., questa è l'ultima notizia finora reperita nella documentazione coeva relativa alla sicura esistenza in vita di questo singolare e ambiguo personaggio il quale, in conseguenza delle sue azioni piratesche, ebbe un ruolo determinante nella fine della prosperità dei commerci genovesi con l'Inghilterra, a tutto vantaggio di Veneziani e Fiorentini.
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