GONDI, Giuliano
Nacque a Firenze il 4 giugno 1421 da Leonardo (1400-49), agiato mercante-imprenditore, e da Francesca Biliotti. Ancora molto giovane, fu associato alle attività mercantili del padre, che intorno al 1435 aveva cominciato a dedicarsi alla produzione e commercializzazione di tessuti auroserici. Nel 1445 si sposò con Maddalena di Pietro di Filippo Strozzi e nel 1449, dopo la morte di questa, con Isabella di Matteo Corsi. Nel 1460 concluse un terzo, più duraturo, matrimonio con Antonietta di Lorenzo Scolari.
Alla morte del padre, nel 1449, il G. assunse la direzione dell'azienda di famiglia, alla quale erano associati anche i fratelli minori. La perdita della maggior parte dei "libri di banco" dell'azienda impedisce di conoscere esattamente l'andamento delle attività del Gondi. Già nel 1455 egli doveva aver comunque raggiunto una certa prosperità, visto che denunciò un imponibile di circa 4000 fiorini. E anche in una rilevazione fiscale di poco successiva, datata 1457, il G. figura nel gruppo dei due-trecento maggiori contribuenti di Firenze. È probabile che una parte non trascurabile delle ricchezze del G. derivasse dall'eredità del padre che, partendo da posizioni tutto sommato modeste, era riuscito a imporsi nel mondo mercantile fiorentino. Tuttavia, il G. dimostrò un talento commerciale assai maggiore di quello del padre e tra gli anni '50 e '60 del Quattrocento riuscì ad ampliare considerevolmente il raggio di azione dell'azienda di famiglia, dando nuovo smalto alle sue tradizionali attività.
Al pari della maggior parte delle aziende fiorentine dell'epoca, l'azienda del G. presentava una struttura agile, che consentiva di adattarsi con flessibilità alle fluttuazioni di mercato, e che si fondava su un consistente ricorso al credito, indice, questo, di una scarsa disponibilità di capitali propri. L'esiguità dei capitali era peraltro compensata dalla presenza di una fitta rete di collegamenti con numerose filiali autonome, gestite da altri membri della famiglia, come il fratello minore del G., Antonio, che fu associato ancora molto giovane agli affari della compagnia in posizione di parità con il Gondi.
L'attività principale della compagnia era l'arte del battiloro, cioè la produzione e commercializzazione di tessuti auroserici, che venivano esportati in molte località italiane, tra cui la Lombardia, il Ducato di Urbino e il Mezzogiorno, e anche in remote zone dell'Europa. Nel 1480, quando l'azienda si era ormai notevolmente irrobustita, esistevano una filiale a Costantinopoli e una in Ungheria, gestita da uno dei figli del G., Simone, che proprio in Ungheria morì, appena ventitreenne. Alla commercializzazione dei tessuti si affiancavano inoltre altre attività quali prestiti a breve e vendita di oggetti preziosi, di cui è difficile ipotizzare l'entità.
Il sistema aziendale impiantato dal G., pur estremamente ramificato, poggiava essenzialmente sulla casa madre di Firenze e la filiale di Napoli, fondata all'inizio degli anni '50 del Quattrocento, che acquisì rapidamente un ruolo importante. Dopo la pace di Lodi (1454) Alfonso I e Ferdinando I d'Aragona aprirono le porte del Regno di Napoli alle grandi compagnie mercantili fiorentine e toscane, che nei decenni precedenti avevano spesso subito persecuzioni a causa della politica antiaragonese dei Medici, al punto che gli Strozzi assunsero un ruolo determinante nella gestione della Tesoreria regia, anche grazie ai cospicui prestiti che concessero alla Corona.
Anche l'azienda del G. partecipò di questo clima di rinnovato sviluppo, che creò una stabile interdipendenza economica tra Firenze e Napoli, sia pure in posizione subordinata rispetto alle grandi case dei Pandolfini e degli Strozzi. Oltre alla consueta attività di commercializzazione delle sete, il G. si impegnò così a concedere prestiti su pegno a Ferdinando d'Aragona, entrando anche in rapporto con l'ambigua figura di Francesco Coppola, conte di Sarno, un ricchissimo mercante, a lungo in rapporti di affari con il sovrano e poi giustiziato nel 1487 perché implicato nella congiura dei baroni. Questo rapporto finì per creare qualche problema al G., poiché Ferdinando d'Aragona gli richiese insistentemente la restituzione di alcune somme di denaro dovute al Coppola e poi devolute al Fisco regio. Del resto, anche i rapporti commerciali intrattenuti dal G. con i sovrani italiani si rivelarono spesso fonte di gravi perdite economiche. Ercole d'Este e Federico da Montefeltro non lesinarono al G. manifestazioni di stima e di riconoscenza, ma si comportarono spesso da debitori insolventi.
La documentazione esistente, conservata in luoghi diversi, non consente una valutazione precisa del giro di affari del G.: sembra tuttavia indubbio che, nonostante l'accumulo di anticipazioni ricevute e crediti inesatti, l'azienda prosperasse. Secondo i dati contabili dell'ospedale degli Innocenti, al quale i battilori fiorentini dovevano pagare una tassa annua rapportata alla loro produzione, dal 1463 al 1489 l'azienda del G. fu la principale azienda di battiloro operante a Firenze. Un dato confermato anche dal cronista Benedetto Dei, che nel 1472 includeva l'azienda del G. e di suo fratello Antonio tra i "setaioli grandi" di Firenze.
Tra gli anni '60 e '70 del Quattrocento il G. era dunque divenuto un membro autorevole della élite commerciale fiorentina, capo di un numeroso e promettente clan familiare. Dalle sue tre mogli il G. aveva avuto ben 11 figli, alcuni dei quali giocarono un ruolo non trascurabile nella vita politica fiorentina tra la fine del Quattrocento e i primi decenni del Cinquecento. Leonardo (1451-1512) fu priore, Giovambattista (1452-1506) fu commissario a Pistoia nel 1504, Bellicozzo (1456-1501) svolse alcune missioni diplomatiche a Napoli.
Ormai ricco e rispettato, il G. poté progettare una più decisa affermazione della sua famiglia nello spazio politico fiorentino, entrando nella vita politica e costruendo un palazzo capace di rivaleggiare con quelli delle grandi famiglie. Stando ai dati catastali, nel 1451 il G. non possedeva ancora una casa propria, ma viveva a pigione in un edificio di proprietà di Carlo Bonciani. Già nel 1455, però, aveva acquistato un palazzo nella parrocchia di San Firenze, dove si trovavano le originarie dimore della famiglia. In seguito, nel corso degli anni '80, il G. cominciò a pensare alla costruzione di una grande dimora monumentale che inglobasse le aree adiacenti alla tradizionale zona di insediamento dei Gondi, instaurando definitivamente la presenza della famiglia in quell'area urbana.
L'inizio della costruzione del palazzo va collocato intorno al 1489, quando il G. ebbe i primi contatti con l'architetto Giuliano da Sangallo (Giuliano Giamberti), a cui fu affidata l'opera. I lavori veri e propri furono avviati nel 1490, ma si interruppero poco dopo la morte del G., avvenuta nel 1501, e il palazzo rimase incompiuto fino agli anni '80 dell'Ottocento. Del resto, il progetto sangallesco si caratterizzava per una magnificenza per molti versi sproporzionata rispetto alle reali disponibilità finanziarie della famiglia dopo la divisione ereditaria che seguì la morte del Gondi. Anche prima del completamento ottocentesco il palazzo rappresentò comunque una presenza significativa nello spazio urbano fiorentino, con la sua sobria e maestosa facciata a bugnato e l'armonioso cortile interno, ricco di effetti prospettici che lo rendono uno dei più armoniosi cortili fiorentini del Quattrocento.
A partire dagli anni '60 del Quattrocento, proprio mentre cominciava a pensare alla costruzione del palazzo gentilizio, il G. iniziò a partecipare assiduamente alla vita politica. Nel 1464 fu incaricato di una missione diplomatica presso Federico da Montefeltro, al quale riconfermò l'amicizia della Repubblica fiorentina, e nel 1468 fu eletto priore. Negli anni successivi, però, la sua carriera subì una dura battuta d'arresto. Dopo essere stato discriminato con tutta la sua famiglia nello scrutinio del 1471, nel 1474 il G. fu ammonito e dichiarato inabile alle cariche pubbliche. Le ragioni della condanna non sono del tutto chiare. Il cronista Dei riferisce che il G. fu "amunito et chondanato […] per falsario" (p. 98), ma forse si trattò di una ritorsione per la sua tiepidezza verso i Medici. Nel 1477 la condanna fu revocata, grazie alle pressioni di Ferdinando d'Aragona, e il G. poté giocare un ruolo non trascurabile nelle intricate vicende che seguirono la congiura dei Pazzi. Com'è noto, la dura repressione della congiura diede motivo a Sisto IV, a Ferdinando d'Aragona e a Federico da Montefeltro, che avevano tutti avuto qualche parte nella congiura, di aprire le ostilità contro Firenze. L'abile diplomazia di Lorenzo de' Medici cercò di evitare la probabile sconfitta mobilitando tutti i canali informali di cui poteva disporre. Il G. fu così incaricato di una missione presso il duca di Urbino, che ottenne un certo successo e contribuì alla soluzione della crisi politica.
Anche se non sembra che il G. si sia mai impegnato apertamente nell'opposizione ai Medici, il suo cursus honorum conobbe una forte accelerazione dopo la cacciata di Piero de' Medici (1494). Oltre a ricoprire più volte la carica di conservatore di Legge, il G. fu eletto priore nel 1495 e nel 1498, in una fase estremamente delicata della vita pubblica fiorentina. Minacciata da ricorrenti tentativi di restaurazione medicea, la Repubblica era squassata da gravi conflitti interni tra il partito savonaroliano e i gruppi favorevoli al mantenimento di buoni rapporti con il Papato e del tradizionale quadro di alleanze. La situazione precipitò nel marzo 1498, quando Alessandro VI emanò un breve con cui ordinava alla Repubblica di consegnargli il Savonarola, pena la scomunica. Il 14 marzo si tenne una drammatica "pratica" dei più autorevoli cittadini per decidere il da farsi e il G. prese decisamente posizione contro il Savonarola. Al contrario di altri interventi, caratterizzati da una non risolta ambiguità verso il Savonarola, la posizione del G. era lineare: la Repubblica doveva obbedire al papa come ogni devoto cristiano e doveva impedire che si formasse a Firenze una setta eretica, anche perché l'eventuale disobbedienza avrebbe messo a rischio i beni e le persone dei mercanti fiorentini attivi in Italia. La posizione del G. tradiva la sua preoccupazione per la sorte degli interessi economici che la sua famiglia aveva a Napoli e a Roma, ma non era certo priva di fondamento. Proprio negli stessi giorni Alessandro VI aveva deciso pesanti ritorsioni contro i mercanti fiorentini nel caso che la Repubblica non avesse obbedito. Nelle settimane successive la posizione del G. e degli altri magnati antisavonaroliani riuscì a imporsi su un'opinione pubblica confusa e disorientata e la sorte del Savonarola si compì. Arrestato e torturato, il frate fu arso sul rogo il 23 maggio 1498.
Anche se ormai anziano, il G. partecipò attivamente alla tumultuosa fase politica che si aprì a Firenze dopo la morte del Savonarola. Oltre a intervenire con autorevolezza alle riunioni dei Consigli, il G. si occupò del finanziamento della guerra di Pisa, mantenendo i contatti con il capitano dell'esercito, Paolo Vitelli, e sovvenzionò abbondantemente la Repubblica.
Il 3 genn. 1501 il G. redasse il suo testamento. Oltre a liberare alcuni schiavi, il vecchio mercante prescriveva ai suoi eredi di tenere in vita almeno per cinque anni l'attività di battiloro e raccomandava loro di continuare la compagnia di lana e il commercio con il Regno di Napoli. Altre disposizioni riguardavano le numerose fabbriche avviate dal Gondi. In particolare si prescriveva di recuperare dal Comune di Firenze e dal duca di Ferrara una serie di crediti inesatti per destinarli alla costruzione di una cappella gentilizia nella chiesa di S. Maria Novella e di portare a termine il palazzo di famiglia.
Pochi mesi dopo, l'8 maggio 1501, il G. morì a Firenze.
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